TECCHIO, Vincenzo
– Nacque a Napoli il 26 aprile 1895 da Vincenzo e da Teresa Braca, in una famiglia di artigiani (specializzati nella produzione di letti in ferro battuto).
Fu volontario in fanteria nella Grande Guerra, ottenne una medaglia al valore e fu congedato come tenente. Si laureò in giurisprudenza ed esercitò come avvocato nel foro di Napoli.
Squadrista della prima ora, iscritto al Partito nazionale fascista (PNF) dal 1° dicembre 1920, fu seguace di Aurelio Padovani, un carismatico sindacalista, fondatore del fascio di Napoli e massimo rappresentante locale dell’ala radicale del partito.
Nel gennaio del 1923 Tecchio divenne segretario federale del PNF. In maggio Padovani fu espulso e diversi suoi seguaci, tra cui Tecchio, inizialmente lo seguirono, costituendo un gruppo alternativo in città e nella provincia. Ma Tecchio, insieme ad altri dissidenti, rientrò nei ranghi nell’ottobre dello stesso anno, peraltro su incoraggiamento di Padovani stesso. Nel periodo successivo si appoggiò alla corrente ‘intransigente’ che a livello nazionale faceva capo a Roberto Farinacci (segretario del PNF dal febbraio del 1925), e dal marzo al giugno del 1925 fu uno dei quattro segretari federali di Napoli.
Dopo che Benito Mussolini procedette alla ‘normalizzazione’ del PNF, sostituendo Augusto Turati a Farinacci come segretario del partito (marzo 1926) – linea che Padovani si rifiutò di accettare – anche Tecchio visse un periodo di eclisse politica. Il suo fu un allontanamento di breve durata perché Tecchio ritornò presto a essere uno dei gerarchi più influenti del fascismo napoletano e, anzi, fu tra coloro che avversarono un ritorno nel partito di Padovani, con cui i rapporti si erano irrimediabilmente guastati a seguito del suo ‘tradimento’. Divenne tuttavia consigliere di amministrazione del Mezzogiorno e del Roma, due quotidiani napoletani che erano diretti (rispettivamente dal 1923 e dal 1928) da Giovanni Preziosi, esponente dell’ala più radicale del fascismo (il Mezzogiorno aveva appoggiato Farinacci e gli oltranzisti durante la crisi politica del 1924-25 seguita al rapimento e all’omicidio del deputato socialriformista Giacomo Matteotti). Nel quadro della progressiva ripresa in mano, da parte di Mussolini, della variegata ‘galassia’ fascista (proseguita anche dopo la marginalizzazione di Farinacci), nel dicembre del 1929 Preziosi dovette dimettersi dalla direzione dei due giornali e poco dopo il Mezzogiorno venne chiuso.
La morte di Padovani in un tragico incidente (giugno 1926) aveva eliminato quello che ormai era divenuto un potenziale avversario di Tecchio (anche se questi ne fu l’erede politico o almeno ne incarnò gli ideali massimalisti). Per volontà di Mussolini, tuttavia, Tecchio non fu mai più federale di Napoli. Il duce nel novembre del 1926 gli preferì una figura moderata come Nicola Sansanelli, con il quale, comunque, Tecchio (in quanto esponente della corrente radicale) condivise di fatto il potere nel partito locale.
Il 24 marzo 1929 Tecchio fu eletto deputato al Parlamento e il 20 aprile, con l’inizio della XXVIII legislatura, iniziò la sua lunga carriera parlamentare, che sarebbe durata fino all’agosto del 1943 (quindi anche nella nuova Camera dei fasci e delle corporazioni, creata nel gennaio del 1939). In tale ambito, esercitò il ruolo di segretario della Commissione per l’esame dei bilanci e dei rendiconti consuntivi dal maggio del 1934 al marzo del 1939. Nel 1935 partecipò come volontario alla guerra d’Africa. Fu membro del Direttivo provinciale e del Direttorio nazionale del sindacato degli avvocati e, in tale veste, il 7 lugio 1937 fu ricevuto da Mussolini a palazzo Venezia.
Iscritto alla Camera di commercio di Napoli come proprietario di un negozio che vendeva letti, acquisì rapidamente una riconosciuta competenza in materia economica. Nel 1937 divenne vicepresidente del Consiglio provinciale dell’economia corporativa, di cui ebbe in pratica la guida effettiva, avendone ottenuto i poteri dal prefetto, che ne era il presidente di diritto. Come tale fu un protagonista dello sviluppo della città. Il suo dinamismo e le sue competenze furono apprezzate da Mussolini, che ne favorì l’ascesa a ruoli di vertice. Tecchio, infatti, entrò nel Consiglio di amministrazione dell’Alfa Romeo e – con il consenso dei vertici del gruppo IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) – nel 1939 divenne presidente e amministratore di Navalmeccanica, una società appena costituita dall’IRI integrando varie aziende (tra cui, nel napoletano, i cantieri di Castellamare di Stabia) e a cui il regime affidò la costruzione di navi da guerra. Tecchio fu cooptato anche nel Consiglio di amministrazione dell’Università di Napoli.
Nel 1937 Mussolini lo nominò commissario generale governativo della prima Mostra triennale delle terre italiane d’oltremare, che avrebbe dovuto essere inaugurata il 9 maggio 1940, nel quarto anniversario della proclamazione dell’impero.
La scelta di Napoli fu determinata dalla volontà del regime di fare della città il principale porto di collegamento tra l’Italia e l’Africa italiana. Come l’EUR a Roma, l’esposizione avrebbe dovuto rappresentare idealmente la nuova civiltà italiana e fascista nelle colonie. Per costruirla, fu necessario progettare la ristrutturazione di una cruciale area urbana nella zona flegrea (tra Bagnoli e Fuorigrotta, non lontano dai siti archeologici di Cuma e dell’Averno); il progetto avrebbe dovuto promuovere lo sviluppo turistico e commerciale di Napoli, ma comportò anche l’abbattimento di buona parte di un quartiere popolare (il rione Castellana) e il trasferimento forzato di 15.000 dei suoi 39.000 abitanti. Il progetto complessivo fu affidato all’architetto Marcello Canino e vi parteciparono anche altri celebri professionisti (tra cui Carlo Cocchia e Luigi Piccinato, che nel 1938 disegnarono la grande fontana dell’Esedra). I lavori furono piuttosto celeri. La mostra fu inaugurata nella data prevista, alla presenza del re Vittorio Emanuele III, ma chiuse solo un mese dopo a causa dell’entrata in guerra dell’Italia. Nel corso del conflitto fu gravemente danneggiata dai bombardamenti alleati e fu ricostruita a partire dal 1952 come Mostra d’oltremare e del lavoro italiano nel mondo.
Dopo la promulgazione delle leggi razziali (settembre 1938), Tecchio, come componente del Direttorio nazionale del sindacato degli avvocati, partecipò all’epurazione dei professionisti ebrei.
All’inizio del 1941 rivestì l’uniforme e partecipò ai combattimenti sul fronte greco-albanese, ottenendo due decorazioni al valore. Nello stesso anno fu uno dei fondatori e il primo presidente del Centro studi per lo sviluppo del Mezzogiorno (da cui sarebbe nata nel dopoguerra l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, SVIMEZ). Inoltre consolidò la sua partecipazione all’economia cittadina, entrando, il 24 marzo, nel Consiglio di amministrazione e nella Giunta esecutiva del porto di Napoli.
Nella primavera del 1943, nel pieno della crisi del regime determinata dalle sconfitte belliche, divenne uno degli ispettori nazionali del PNF, una vecchia carica (era stata creata nel 1921) che venne allora potenziata allo scopo di consolidare la coesione interna del partito e di rilanciarne il ruolo di perno del sistema totalitario.
Dopo l’8 settembre 1943 Tecchio aderì alla Repubblica sociale italiana (RSI). L’8 marzo 1944 divenne commissario straordinario dell’IRI, al posto di Alberto Asquini, che il 24 febbraio si era dimesso perché non condivideva la politica di socializzazione inaugurata dal governo della RSI con la legge 375 del 12 febbraio (Sulla socializzazione delle imprese). Tecchio, quindi, avrebbe dovuto accelerare questa politica, cooperando con Angelo Tarchi, ministro dell’Economia corporativa (e dal gennaio 1945 della Produzione industriale), alla costituzione dell’Istituto di gestione e finanziamento (IGEFI), il nuovo ente cui sarebbe stata delegata la gestione delle industrie statali, di cui Tecchio divenne vicepresidente.
In realtà egli fu prudente nell’applicazione della legge sulla socializzazione, salvaguardando i dirigenti che non erano iscritti al partito e proteggendoli dalle intromissioni dei fascisti più radicali. In quei mesi, il suo principale obiettivo fu quello di rallentare le requisizioni e le distruzioni degli impianti da parte delle truppe tedesche, coadiuvando l’opera del direttore generale dell’IRI Giovanni Malvezzi, di cui pure conosceva la fede antifascista (che ne avrebbe provocato prima il licenziamento, nel maggio del 1944, e poi l’arresto, nel gennaio del 1945; cfr. Archivio centrale dello Stato, PCM, RSI, Carte Barracu, 1943-1945, f. Malvezzi dr. Giovanni Direttore generale IRI, Note sul Dott. Giovanni Malvezzi). L’azione di Malvezzi era volta a rimuovere i macchinari dagli stabilimenti e a nasconderli (al fine di consentire alle aziende di riprendere l’attività dopo la fine della guerra), nonché a occultare riserve di denaro e materie prime. Tecchio frenò nei fatti la socializzazione, pur ritenendola giusta in linea di principio, anche se, in una lettera a Giampietro Domenico Pellegrini, ministro delle Finanze, ne rilevò gli aspetti demagogici e propagandistici, che avrebbero gettato le imprese nell’anarchia e ne avrebbero menomato la capacità produttiva (cfr. Archivio centrale dello Stato, ASIRI, Serie nera, b. 101, Tecchio a Pellegrini Giampietro, 22 novembre 1944).
Nell’estate del 1944, d’accordo con Pellegrini e Tarchi, Tecchio costituì un Comitato per la produzione postbellica (al fine di programmare la riconversione dalle fabbricazioni belliche a quelle civili), composto dai principali dirigenti delle aziende statali, che si sarebbe radunato clandestinamente più volte prima della fine del conflitto (ibid., b. 95, Comitato per la produzione postbellica, Seduta del 1° luglio 1944). In una delle riunioni Tecchio dichiarò che l’obiettivo prioritario sarebbe stato quello di salvaguardare l’occupazione e, ritenendo ineluttabile la sconfitta tedesca, sarebbe stato necessario anche allacciare relazioni con gli Stati Uniti per integrare l’industria italiana nel sistema economico internazionale (ibid., Seduta del 30 ottobre 1944 in Genova).
L’azione svolta da Tecchio per salvaguardare gli impianti dell’IRI dalle requisizioni e dalle distruzioni operate dalle truppe germaniche gli fu riconosciuta nel 1945 dalla commissione di epurazione (Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo) e costituì un’attenuante che gli consentì di rientrare rapidamente nella vita civile.
Così, nel dicembre del 1946, partecipò alla costituzione del Movimento sociale italiano (MSI), facendo parte dapprima di un ‘senato’ informale (che si riuniva a Roma), composto da esponenti del fascismo repubblicano scampati alla cattura, latitanti o amnistiati – tra cui due dei suoi avversari all’epoca della socializzazione come Pino Romualdi e Giuseppe Spinelli, che lo avevano accusato di boicottare la legge (Archivio centrale dello Stato, SPD, CR, RSI, b. 15, f. 70, Appunto per il Duce, 22 marzo 1945, e ASIRI, Serie nera, b. 101, Spinelli a Tecchio, 3 aprile 1945) – e più tardi di una speciale commissione politica, concepita per elaborare il progetto politico e l’organizzazione del nuovo partito.
Amico personale di Renato Angiolillo, proprietario e direttore del Tempo, allora il quotidiano più diffuso nella capitale, Tecchio fu cooptato come collaboratore nella sua società editoriale. Fu presidente della Giunta nazionale quotidiani di capoluogo di regione e vicepresidente della Federazione italiana editori giornali. Fece parte anche dei consigli di amministrazione delle società Telestampa e Rhodiatoce e dell’Istituto romano beni stabili.
Morì a Napoli il 9 settembre 1953.
L’amministrazione comunale, allora presieduta da Achille Lauro, gli intitolò un piazzale nel quartiere Fuorigrotta, antistante la Mostra d’oltremare. Il suo nome tornò alla ribalta nel gennaio del 2018, allorché il sindaco Luigi De Magistris cambiò il nome della piazza dedicandola a Giorgio Ascarelli, l’imprenditore ebreo che fondò il Napoli calcio nel 1926.
Fonti e Bibl.: Camera dei deputati, Portale storico, https://storia.camera. it/deputato/ vincenzo-tecchio-18950426; Roma, Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri (PCM), Repubblica sociale italiana (RSI), Carte Barracu, 1943-1945; Archivio storico dell’Istituto per la ricostruzione industriale (ASIRI), Serie nera, bb. 95 e 101; Segreteria particolare del Duce (SPD), Carte riservate (CR), RSI, b. 15.
Opera omnia di Benito Mussolini, a cura di E. Susmel - D. Susmel, XXVIII-XXIX, Firenze 1959, rispettivamente pp. 220 e 112; G. Lombardi, V. T., in Dizionario biografico dei presidenti delle Camere di commercio italiane (1862-1944), I, a cura di G. Paletta, Soveria Mannelli 2005, pp. 163-165; G. Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, Bologna 2006, pp. 397 s., 401; G.L. Podestà, Nella guerra, in Storia dell’IRI, I, Dalle origini al dopoguerra, a cura di V. Castronovo, Roma-Bari 2012, pp. 455-518 (in partic. pp. 501 e nota, 502, 503 e nota, 505, 506 e nota, 507, 515 e nota, 516 e nota, 517 nota); A. Meniconi, Il mondo degli avvocati e le leggi antiebraiche, in Le leggi antiebraiche nell’ordinamento italiano. Razza diritto esperienze, a cura di G. Speciale, Bologna 2013, pp. 177-192 (in partic. pp. 188 s. nota); P. Villani, Gerarchi e fascismo a Napoli (1921-1943), Bologna 2013, pp. 10-14, 22, 24, 27-30, 32, 35, 45 s., 51, 55, 58, 61 s., 65, 87, 92 s., 110 s., 114-116, 128.