TORRIANI, Vincenzo
– Nacque il 17 settembre 1918 a Novate Milanese da Romeo, titolare di una locanda e di un frantoio con rivendita di olio, vini e granaglie, e da Luigia Clerici.
Frequentò prima il Collegio arcivescovile di Saronno e poi quello S. Carlo di Milano, dove si diplomò; s’iscrisse quindi alla facoltà di economia e commercio dell’Università cattolica di Milano. L’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale (1940) interruppe bruscamente i suoi studi, durante i quali aveva evidenziato spiccate propensioni all’organizzazione di attività sportive, tornei e iniziative ricreative. Mobilitato, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 rifiutò di servire nella Repubblica sociale italiana, e nell’inverno 1943-44 riparò in Svizzera con altri commilitoni. Assegnato al campo di Rapperswil (presso Berna) e con il permesso speciale di circolare negli altri centri d’internamento, svolse attività politico-culturali di rilievo tra i vari campi, d’intesa con le autorità locali e la legazione di Lugano del Comitato di liberazione nazionale dell’alta Italia (CLNAI).
Rimpatriato il 28 aprile 1945, cooperò – nel comitato costituitosi sotto l’egida dell’Arcivescovato ambrosiano – prima alla predisposizione dei festeggiamenti del 6 maggio per lo ‘scoprimento’ della Madonnina sul Duomo (durante la guerra, la statua era stata mascherata con un telo, perché non divenisse un bersaglio di bombardamenti aerei) e poi al palio di S. Ambrogio, una corsa podistica intorno alla città svoltasi il 7 dicembre. Scoprì in quelle occasioni la sua vocazione come organizzatore di eventi, di lì a poco rafforzata con l’assunzione al principale quotidiano sportivo italiano, La Gazzetta dello sport di Milano, quale braccio destro del direttore amministrativo Armando Cougnet (promotore nel 1909 del primo Giro d’Italia ciclistico). Torriani assunse la responsabilità dell’Ufficio organizzazione e pubblicità, in un momento difficile per il giornale (era riapparso nelle edicole il 2 luglio 1945, ma solo dal 1° ottobre era tornato a essere quotidiano).
L’8 maggio 1947 sposò Elena D’Eramo, dalla quale avrebbe avuto tre figli: Gianni (1948), Marco (1952) e Milly (1958).
Nell’inverno del 1945-46 Torriani predispose per conto di Cougnet la 29a edizione del Giro d’Italia, la prima dopo i cinque anni d’interruzione (1941-45) dovuti alla guerra. Rovine dovute agli eventi bellici e difficoltà economiche resero problematica l’organizzazione della corsa. Poiché il Tour de France sarebbe ripreso soltanto nel 1947, il Giro del 1946 – denominato per l’occasione Giro della rinascita – costituì la prima corsa a tappe europea del dopoguerra. Delineato un itinerario di massima, Torriani percorse – su una vecchia auto FIAT Balilla – il tracciato prefissato, per accertarne l’effettiva percorribilità, resa difficile dallo stato sia del fondo stradale sia dei ponti (alcuni dei quali erano ancora impraticabili). Un altro ostacolo fu costituito dalla scarsezza di mezzi di trasporto; ma, grazie alla disponibilità di Ernesto Rossi, direttore dell’Azienda rilievo alienazione residuati (ARAR), fu possibile utilizzare un certo numero di auto fuoristrada Willys MB (note come jeep) che erano appartenute all’esercito statunitense. Quella edizione del Giro, che prese il via il 15 giugno, era carica di significati simbolici, perché segnava il ritorno a una vita ‘normale’ dopo anni di lutti e rovine: Trento e Trieste furono per questo motivo designate quali sedi di tappa speciali.
Il 30 giugno – nell’ultima parte della 12a tappa, la Rovigo-Trieste – il Giro attraversò località della Venezia Giulia dove forte era la presenza di sloveni simpatizzanti della Iugoslavia (che allora rivendicava la città di Trieste), i quali nei pressi di Pieris (a una quarantina di chilometri dal traguardo) effettuarono sassaiole contro i ciclisti e bloccarono la strada con blocchi di cemento. Gli organizzatori decisero di interrompere la corsa, ma Torriani permise ai sedici partecipanti che lo chiesero, capeggiati da Giordano Cottur, di venire trasportati – a bordo di automezzi delle truppe britanniche e statunitensi che allora occupavano Trieste – fino a 6 km dalla città, e poi, ripresa la corsa sulle loro biciclette, di entrarvi tra due ali di folla plaudente, arrivando fino al traguardo previsto, l’ippodromo di Montebello. Il Giro poi proseguì a partire da Udine, animato dalla rivalità tra Fausto Coppi (vincitore di tre tappe) e Gino Bartali (vincitore finale), che suscitò l’entusiasmo delle rispettive tifoserie.
La popolarità acquisita in breve tempo dal Giro è testimoniata, tra le altre cose, dal fatto che nel 1948 fu girato un film comico incentrato su di esso, Totò al Giro d’Italia, di Mario Mattoli, in cui molti celebri corridori (tra cui anche Bartali e Coppi) interpretavano loro stessi.
Nel 1949 Cougnet si ritirò per motivi di età e l’intera responsabilità delle attività ciclistiche patrocinate dalla Gazzetta passò a Torriani, che divenne così, all’età di trent’anni, il più importante organizzatore sportivo italiano. Il nuovo patron (con questo termine, mutuato dal Tour de France, veniva comunemente chiamato il direttore del Giro) diresse le varie edizioni della corsa, talvolta ergendosi fuori dal tettuccio della sua auto ufficiale (detta l’ammiraglia), su percorsi da lui stesso ideati, per valorizzare le sfide tra i più noti atleti.
Torriani fu sempre consapevole dell’importanza dei mass media. Per quanto riguarda la radio favorì il potenziamento dei collegamenti in tempo reale, con cronisti montati su motociclette, mentre dal 1949 al 1953 collaborò con la RAI per la rubrica a carattere satirico Giringiro (ovvero «il Giro preso in giro»), una trasmissione itinerante che seguiva le tappe della gara.
Per quanto riguarda la televisione, già per il Giro del 1953 Torriani si prestò all’esperimento della diretta per la partenza da Milano (12 maggio) e alla trasmissione della tappa finale, la Bormio-Milano, vinta da Fiorenzo Magni (2 giugno); fu, quella, una sorta di anticipazione del lancio delle trasmissioni televisive quotidiane in Italia, che avvenne il 2 gennaio 1954. Con il Giro del 1956 si avviò la copertura quotidiana in diretta, benché limitata alle fasi finali di ogni tappa, mentre, per coinvolgere un pubblico non soltanto di tifosi, fu lanciata la trasmissione Giro a segno, allestita a fine tappa e condotta da Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello con verve ironica, come una satira di costume. In seguito, con la trasmissione Il processo alla tappa, condotta da Sergio Zavoli tra il 1962 e il 1970, elicotteri e telecamere mobili furono utilizzati per le riprese delle corse.
Attorno alla dimensione agonistica Torriani diede spazio a elementi coreografici, legati allo sviluppo della società italiana negli anni della ricostruzione. Potenziò in modo creativo la carovana della corsa, trasformandola in spettacolo itinerante, happening festoso e gratuito: veicoli dalle carrozzerie bizzarre, ideate per colpire la fantasia degli italiani, pubblicizzarono marchi commerciali, precedendo di un paio d’ore gli atleti, per alimentare l’aspettativa degli spettatori e regalare loro, al contempo, cappellini e campioni dei prodotti pubblicizzati; su questa scia, dal 1952 venne organizzato uno spettacolo serale nelle piazze delle città di tappa, La fiera del Giro, presentato da Walter Marcheselli, con comici e cantanti.
Nella gestione ‘torrianiana’, insomma, il Giro aggiunse alla dimensione agonistica quella commerciale e quella spettacolare, entrambe in grado di catturare l’attenzione di estese platee.
Torriani avvertì anche l’esigenza, per il ciclismo, di coinvolgere imprese industriali e commerciali, non solo per abbinarle a servizi organizzativi, ma anche per coinvolgerle quali titolari di squadre ciclistiche, ponendo fine alla tradizione che riservava questo ruolo a società direttamente legate al settore, in quanto produttrici di biciclette (Atala, Bianchi, Legnano) o di pneumatici (Pirelli). Una decisione presa in dissenso con il collega d’Oltralpe Jacques Goddet (patron del Tour dal 1936 al 1987, per oltre un cinquantennio), contrario per ragioni di principio alla ‘contaminazione’ dello sport con l’industria extrasettoriale. All’origine della scelta di Torriani stava la comprensione delle difficoltà finanziarie del microcosmo ciclistico, che si ripercuotevano sugli stessi atleti, spesso ingaggiati per stipendi modesti. A fare da apripista fu uno degli atleti più vicini a Torriani, Magni, capitano nella stagione 1954 della Nivea, squadra sponsorizzata dall’omonima azienda produttrice di creme per la pelle. Attirate dalle potenzialità pubblicitarie di uno sport molto popolare, diverse aziende investirono nel ciclismo e promossero la creazione di squadre: tra queste vi furono Ignis (frigoriferi), Faema, (macchine per caffè), Chlorodont (dentifrici), Carpano (liquori), Molteni (salumi), San Pellegrino (bibite), Philco (televisori), Salvarani (cucine), Sanson (gelati), Vittadello (abiti).
Attraverso gli abbinamenti pubblicitari, che anticiparono gli sponsor, il ciclismo si modernizzò; nella monografia Sport e pubblicità (1959) Torriani illustrò le ragioni di un connubio di cui avrebbero beneficiato atleti, imprenditori e spettatori, offrendo opportunità di sviluppo anche per il turismo, l’arte e la cultura. Tra i maggiori sponsor della corsa vi sarebbero stati negli anni Sessanta aziende quali ENI, FIAT, Piaggio, Coca Cola, Motta, Gancia, Ferrero, Marzotto, Olivetti, Falck, Pirelli.
Tra le intuizioni torrianiane vi fu – al termine dell’edizione del 1959 – l’idea di riunire nella stessa squadra i grandi rivali Bartali e Coppi, rispettivamente nei ruoli di direttore sportivo e di capitano: progetto realizzato con la squadra San Pellegrino, ma stroncato dalla malattia tropicale che il 2 gennaio 1960 uccise Coppi. Torriani aveva persino procurato a Coppi un appartamento a Milano, in cui il corridore intendeva approdare a fine carriera, lontano dai riflettori che lo avevano reso suo malgrado protagonista di inchieste sulla controversa situazione familiare.
La prorompente personalità di Torriani condizionò il rapporto tra gli intellettuali e il ciclismo: egli, infatti, fu amico di Gianni Brera e Cesare Zavattini, rispettivamente inviato speciale al Giro e autore della sceneggiatura di Ladri di biciclette (1948, per la regia di Vittorio De Sica). Torriani era anche estimatore del drammaturgo Giovanni Testori, suo vicino di casa. Consapevole dell’importanza dell’informazione nella popolarizzazione dello sport, intrattenne rapporti cordiali con Giorgio Bocca (La Gazzetta del popolo), Giorgio Fattori (La Stampa), Indro Montanelli (Il Corriere della sera), Giovanni Mosca (La domenica del Corriere), Gian Paolo Ormezzano (Tuttosport), Sergio Neri (Il Corriere dello sport) e tanti altri giornalisti, da lui posti nella migliore condizione per offrire ai lettori cronache tempestive, commenti, narrazioni e retroscena della corsa. Con Bruno Raschi (La Gazzetta dello sport) condivise persino il posto nell’ammiraglia.
Per comprendere la professionalità di Torriani, ci si può riferire alla 34a edizione del Giro, quella del 1951, costata oltre 100 milioni di lire in spese organizzative. La documentazione conservata nel suo archivio familiare rivela che la definizione dell’itinerario richiese a lui e ai suoi collaboratori viaggi per circa 25.000 km (l’itinerario di gara era di 4153 km), un fitto carteggio con sponsor e squadre sportive, la definizione dei soggiorni per quasi 700 persone. La carovana si compose di 270 automezzi, che consumarono 260.000 litri di benzina. Ognuna delle quattordici formazioni in gara includeva sette atleti, un direttore sportivo, due meccanici, due massaggiatori, tre tecnici. I giornalisti al seguito superavano il centinaio e seguivano la gara attraverso Radiocorsa, il servizio informativo in diretta del Giro. Alla sicurezza degli atleti provvidero diciotto motociclisti e quattro auto della polizia stradale, sempre in contatto con le altre forze dell’ordine che presidiavano il percorso e con il direttore di organizzazione. Torriani e la sua segreteria contattarono preventivamente gli enti locali interessati ad aggiudicarsi una delle venti sedi di tappa. L’imponente dispiegamento organizzativo contribuì a fare del Giro, in quel periodo, la principale corsa a tappe europea, cui non poteva mancare alcun campione, come attestato dalle variegate nazionalità dei protagonisti di quella edizione, vinta da Magni davanti a Rik Van Steenbergen e allo svizzero Ferdi Kubler; Coppi si piazzò in quarta posizione e Bartali al decimo posto, mentre il Gran premio della montagna fu dominato dal francese Louison Bobet.
Negli anni Cinquanta altri prestigiosi atleti stranieri ingaggiati da Torriani furono gli svizzeri Hugo Koblet e Carlo Clerici, il lussemburghese Charly Gaul, il francese Jacques Anquetil, gli spagnoli Miguel Poblet e Federico Bahamontes.
Con Goddet Torriani costituì a Parigi l’Associazione internazionale organizzatori corse ciclistiche (AIOCC), per indirizzare l’attività del settore e tutelarne il patrimonio storico. E introdusse diverse novità: le tappe fuori dai confini nazionali, i prologhi, gli epiloghi, le intertappe. Nel 1954 – l’anno in cui fu creata la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, antesignana dell’attuale Unione Europea – coordinò e diresse il Tour d’Europe - Paneuropéenne cycliste, con partenza da Parigi e arrivo a Strasburgo, passando per Zurigo, Milano, Verona, Innsbruck, Monaco, Stoccarda, Lussemburgo, Liegi, Amsterdam e Gand, con il motto European unity and cooperation. Dal 20 settembre al 3 ottobre gareggiarono una settantina di atleti provenienti da Belgio, Germania Occidentale, Danimarca, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Italia, Polonia, Romania, Iugoslavia, Austria e Regno Unito. La vittoria arrise al toscano Primo Volpi. All’edizione del 1956, finanziata da Adriano Olivetti, parteciparono anche corridori iugoslavi e romeni. Di fatto, il Giro d’Europa più memorabile fu l’edizione del 1973 del Giro d’Italia, dominata dal belga Eddy Merckx, che nelle cinque tappe iniziali attraversò i sei Paesi fondatori della Comunità economica europea (Belgio, Germania, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia, Italia), con un passaggio per il territorio svizzero.
La proiezione internazionale dei progetti di Torriani fu talvolta impedita da costi esorbitanti, come le progettate partenze da New York o da Mosca, ma anche da fughe di notizie, come quella che compromise, all’ultimo momento, l’avvio dell’edizione del 1987 del Giro con una tappa a cronometro tra Berlino Est e Ovest, separate dal Muro, che simboleggiava la Guerra fredda: occorreva dare un segnale di cambiamento e di pace, anche tramite lo sport.
All’inizio degli anni Cinquanta Torriani fondò a Milano (indiscussa capitale del ciclismo italiano) la Lega del ciclismo professionistico, con la suddivisione in tre categorie (organizzatori, squadre, corridori), in un’epoca in cui i procuratori sportivi erano una rarità e le federazioni evitavano di sconfinare oltre il loro ruolo arbitrale. Torriani collaborò strettamente con Magni, allora presidente dell’Associazione corridori professionisti, cui lo legavano stima e amicizia di lunga data, con Alfredo Martini, autorevole commissario tecnico della nazionale, con Bartali e con Coppi.
Il Giro d’Italia non esaurì l’impegno di Torriani, promotore – tra l’altro – di manifestazioni per la popolarizzazione delle attività sportive tra i giovani: su suo impulso nacquero il concorso Giornalisti per un giorno, il Congresso dei ragazzi d’Italia, il gioco a premi Trofeo Autojunior, la maratona ciclistica Milano-Roma denominata Gran fondo d’Italia, il Gran premio del Mediterraneo (1952) e la Centochilometri con arrivo a Lugano.
Per radicare profondamente il Giro nella realtà storico-artistica del Paese e rafforzarne le potenzialità turistiche negli anni Settanta Torriani si propose di far concludere le tappe nei luoghi più suggestivi della penisola: dentro l’Arena di Verona (grazie a un sistema di passerelle), in piazza S. Marco a Venezia (su ponti di barche: il progetto, bocciato nel 1963 dall’amministrazione comunale, fu realizzato nel 1978 e trasmesso in mondovisione), in piazza dei Miracoli a Pisa, nella valle dei Templi ad Agrigento e così via.
Anche il collegamento con la storia d’Italia caratterizzò l’impronta torrianiana del Giro, in particolare con l’edizione speciale del 1961, dedicata alla commemorazione del centenario dell’Unità nazionale: inaugurata con tre minitappe, con l’arrivo a Quarto dei Mille, seguita dal trasferimento su nave in Sicilia, con un itinerario sui luoghi dell’epopea garibaldina (Palermo, Milazzo, Teano), per poi risalire la penisola attraverso i luoghi topici del Risorgimento. La cornice del Giro d’Italia valorizzò borghi medievali e rinascimentali, attraverso gli arrivi nel cuore dei centri storici, ma anche ricostruendo le mulattiere del Gavia, valicando le pareti nevose dello Stelvio, inventando il Muro di Sormano, la scalata del Blockhaus e inserendo il leggendario Poggio nel finale della Milano-Sanremo e il Superghisallo nel Giro di Lombardia.
In particolari occasioni il patron utilizzò la corsa a tappe per iniziative solidaristiche, quali la tappa del 6 giugno 1977 a Gemona, ancora devastata dal terremoto che il 6 maggio dell’anno precedente aveva colpito una parte del Friuli. L’evento venne diffuso da molte agenzie internazionali d’informazione, e contribuì così a sensibilizzare il resto del mondo sul tema della ricostruzione della zona colpita.
Consapevole del degrado introdotto dal doping nelle attività agonistiche, Torriani introdusse l’assistenza medico-dietetica in corsa e, in via sperimentale, pose al seguito del Giro un laboratorio indipendente di analisi mobile, munito di apparato elettronico di gascromatografia.
Minato da un male invalidante, il patron lasciò nel 1992 il timone all’avvocato sorrentino Carmine Castellano. Visse gli ultimi anni nella sua casa milanese, dove morì il 24 aprile 1996.
In suo onore venne istituito nel 1998 il Premio itinerante Vincenzo Torriani, quale riconoscimento a personalità distintesi nella promozione e nell’esercizio della pratica ciclistica. Tra i premiati: Bernard Hinault, Eddy Merckx, Felice Gimondi, Francesco Moser, Vincenzo Nibali.
Fonti e Bibl.: Novate Milanese, Archivio privato Vincenzo Torriani.
M. Franzinelli, Il Giro d’Italia. Dai pionieri agli anni d’oro, Milano 2013 (tutta la seconda parte è dedicata a Torriani); G. Torriani, L’ultimo Patron. V. T., una vita per il Giro, Milano 2017.