TOZZI, Vincenzo
TOZZI, Vincenzo. – Nacque a Roma intorno al 1612.
Sugli anni di formazione non si hanno notizie. Fu tra i virtuosi di musica al servizio del futuro cardinale Vincenzo Costaguti fino al 1640, quando lasciò la capitale pontificia per trasferirsi a Messina (Pitoni, 1713-1730 circa).
A Roma l’unica traccia di un «Vincenzo Tozzi romano» è nell’indicazione di proprietà di un codice miscellaneo di arie risalente al 1641-44 e proveniente dall’eredità del compositore Marco Marazzoli (oggi in Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Chigi Q.VI.85): è possibile, tuttavia, che si tratti dell’omonimo fanciullo cantore che nel 1632 sostituì Paolo Cipriani nella cappella di S. Luigi dei Francesi (Lionnet, 1985; Pitoni, 1713-1730 circa). È inoltre da smentire l’identificazione con il Tozzi organista attivo a Roma nella chiesa del Gesù e in S. Maria Maggiore tra il 1652 e il 1657 (Ciliberti, 1986), giacché il compositore, oltre a non comparire mai come organista nelle fonti coeve, in quegli anni era certamente in Sicilia. Infine, non va confuso con il compositore Vincenzo Tuzzi (De Tutiis, de Tucciis), monaco benedettino originario di Gravina, documentato al monastero di S. Paolo d’Argon, autore di una raccolta di salmi e mottetti a quattro voci, due Magnificat e una messa a quattro voci (Vespertini totius anni, Concentus integri..., Venezia 1627, oggi irreperibile, ma citato nel Catalogus librorum musicorum del libraio olandese Jan Evertsen van Doorn, edizione a cura di H. Vanhulst, Utrecht 1996, c. D2r [=49], n. 15, e in quello del libraio augustano Kaspar Flurschütz, Die Kataloge des Augsburger Musikalien-Händlers, edizione a cura di R. Schaal, Wilhelmshaven 1974, p. 140, n. 2796) e di una Missa cum psalmis tribus vocibus aliaeque sacrae cantiones (Venezia 1628; cfr. Don Vincenzo de Tutiis da Gravina e la musica sacra del Seicento, a cura di M. D’Agostino - A. Susca, Noci 2007).
Ebbe almeno due figli: Francesco, organista e compositore attivo a Messina, e un altro, di cui si ignora il nome, che vestì l’abito del Terzo Ordine francescano (Pitoni, 1713-1730 circa, 1988, p. 316).
Vincenzo Tozzi è menzionato nel libretto della Finta savia di Giulio Strozzi, allestita a Venezia nel Carnevale del 1643 al teatro dei Ss. Giovanni e Paolo (facsimile in F. Laurenzi, Arie a una voce, a cura di A. Magini, Firenze 2000, p. 166). Compositore primario del dramma fu il romano Filiberto Laurenzi, che si trovava in laguna dal 1641; ma per la musica di alcune scene il libretto fa i nomi di Tarquinio Merula, Benedetto Ferrari, Alessandro Leardini, Arcangelo Crivelli e «Vincenzo Tozzi». A quest’ultimo è intestata la canzonetta Ch’io possa prego Amore, aggiunta ex post in un quartino a stampa come arietta alternativa per O come, o come in fretta di Laurenzi (atto I, scena VI; Osthoff, 1976). Mancando qualsiasi altro indizio di una presenza veneziana di Tozzi, resta aperto il dubbio che possa trattarsi di un omonimo del musicista romano oppure che il cantante della parte di Numitore, il soprano Stefano Costa, possa aver inserito nella recita dell’opera un’aria preesistente, composta da Tozzi.
A Messina è documentato come maestro di cappella del duomo dal 1646 (cfr. il frontespizio delle Rime da cantarsi in tuono musicale nella novena dell’aspettatione del parto di Maria Vergine, Messina 1646), succedendo a Ottavio Catalani, originario di Castrogiovanni (l’odierna Enna), ma anch’egli romano per formazione. L’impiego, che prevedeva l’obbligo per il maestro di mantenere un ragazzo soprano, era retribuito con 200 onze annue, derivanti dalle 1428 onze versate periodicamente dal senato messinese per il sostentamento della cappella, e comportava l’intervento del maestro alle cerimonie della città, sia religiose sia civili (Policastro, 1947, pp. 20-22). Fu governatore della Confraternita di S. Cecilia dei musici, alla quale nel maggio del 1649 fu concesso l’uso di una cappella nella chiesa di S. Gioacchino (Buono, 2002, p. 118), dov’era conservato un suo ritratto a olio, andato distrutto nel terremoto del 1783 (La Corte Cailler, 1982, p. 174). Il suo mottetto a due voci O dulcissime Iesu apparve nell’opera collettanea a stampa Cantiones alias sacras (Roma 1649), curata da Florido de Silvestris: degli autori ivi rappresentati, tutti romani, Tozzi è l’unico impegnato all’estero, il che comprova un perdurante legame con l’ambiente di provenienza.
Operò nei circoli accademici messinesi, pur senza esservi formalmente ascritto. Per l’Accademia degli Abbarbicati, fondata nel 1636 presso la residenza di Alberto Tuccari, musicò i versi del ‘concerto musicale’ Le gare di Natura e di Fortuna di Paolo Sapone (nei Festosi presagi, Venezia 1659), eseguito per i festeggiamenti della nascita di Filippo Prospero d’Asburgo, erede al trono di Spagna, da musici chiamati «dalle principali città dell’Italia» (ibid., p. 14). Con l’Accademia della Fucina, avviata nel 1639 dal marchese Carlo de Gregorio, senatore e futuro ambasciatore presso Madrid, si produsse anche come compositore di musica scenica: nel 1669 al teatro della Munizione furono rappresentati I pasticceri, due intermezzi in cui quattro maschere intessono un intrigo amoroso di ‘diversi linguaggi’, napoletano, siciliano, fiorentino e bolognese (Nigido-Dionisi, 1903, pp. 149 ss.; Chiatto, 2013, pp. 140 s.); nel libretto, dato alle stampe nel «trattenimento terzo» del Duello delle muse (Napoli 1670, pp. 143 ss.), si loda in Tozzi la singolare «felicità di variare lo stile in ogni genere di composizioni» (ibid., p. 171).
Per il teatro della Munizione, sostenuto dal senato messinese, il compositore aveva già musicato nel 1657 il dramma eroico Il ratto d’Elena di Bernardo Morando (Piacenza 1646, con musiche di Simpliciano Olivi), rimaneggiato da Vincenzo Montana, nella Fucina accademico Imperfetto. Del libretto, stampato a Messina, è noto un unico esemplare, mutilo, comprendente il solo primo ottavo (Palermo, Biblioteca comunale, CXXXVI.A.96.2 bis; Bianconi - Walker, 1975); la dedicatoria a Francesco Marquett, duca di Belviso e giudice nel Tribunale del concistoro e nella Regia Gran corte del regno di Sicilia, è datata 16 aprile e firmata dallo stesso Tozzi. Tra gli interpreti vi furono il castrato romano Giovanni Marquett (Elena), il soprano pistoiese Raffaele Mellini (Paride), il soprano messinese Antonino Celona (Momo, Menelao, Plutone), il tenore messinese Pietro Maurizio (il paggio Agerone), il contralto eugubino Fabio Timotelli (Poesia, la nutrice Clenice), il napoletano Antonio Costanzo (Musica, il paggio Erosildo, Giunone), il contralto romano Mattia Gerardi (Pallade, Discordia), tutti musici della cappella del duomo. Le macchine, «superbe per la vaghezza, meravigliose per la celerità del moto», furono di Carlo Faraone, patrizio messinese, che «diede l’architettura alle scene, la bellezza alle mutationi, lo spirito all’inventioni con istupor di tutto il teatro» (Palermo, Biblioteca comunale, CXXXVI.A.96.2 bis, p. 8).
Al senato messinese dedicò Il primo libro de’ concenti ecclesiastici a due, tre, quattro e cinque voci, stampato a Roma nel 1662 (la lettera dedicatoria, datata 16 marzo 1661, è indirizzata ai senatori Andrea Patti, Marcello Cirino, Antonio Ruffo, Francesco Sergi, Pietro Gregori, Giovanni Agostino Duci): sono venticinque brani, caratterizzati dalla concatenazione di sezioni dai tempi e metri contrastanti. Nel 1664, «nel teatro del detto illustrissimo senato», fu cantato L’Annibale in Capua; il libretto dice «posto in musica dal signor Vincenzo Tozzi». Il melodramma, di Nicolò Beregan, era andato in scena a Venezia tre anni prima con musica di Pietro Andrea Ziani: in assenza di una partitura riconducibile all'allestimento messinese, è impossibile appurare se Tozzi abbia ricomposto ex novo l’intero dramma o se abbia rimaneggiato quella di Ziani. All’allestimento di Messina presero parte i già citati Mellini (Annibale), Marquett (Emilia), Maurizio (Bomilcare), Gerardi (Dalisa) e Timotelli (Argillo, Alcea), nonché il romano Francesco Mattioli (Artanisba), il pistoiese Bartolomeo Melani (Floro), Giacomo Augusta (Pacuvio), il messinese Francesco Morabito (Maherbale) e il napoletano Giovan Battista Bellini. Il libretto (l’unico esemplare noto è a Lucca, Biblioteca statale, E.IX.a.32), con dedica del 10 novembre a Giuseppe Alifia, barone della Baglia di Messina, reca un falso impressum maltese: in realtà fu stampato nella città peloritana (Lipari, 2001, p. 121) e l'opera non fu rappresentata a Malta, come invece è stato sostenuto (Azzopardi, 1988, p. 65; Bruni, 2013, p. 128; col che cade anche l’ipotesi di un periodo di attività di Tozzi nella cattedrale di Mdina, non comprovata peraltro dai documenti del ricco archivio maltese). La ristampa del libretto ‘maltese’ per un Annibale in Capua fatto a Napoli nel 1671 non reca nomi di musicisti: il testo del dramma corrispondendo sostanzialmente all’originale veneziano, non è possibile accertare se a Napoli si cantò l’opera di Ziani oppure, in parte o in toto, la musica di Tozzi.
Presumibilmente tra fine 1672 e inizio 1673, in occasione della visita di Claude Lamoral, principe di Ligne e viceré di Sicilia (1670-74), giunto in città per sedare i primi tumulti che sarebbero poi sfociati nella più turbolenta rivolta antispagnola (1674-79), il teatro della Munizione allestì a spese del senato due opere, Dori ed Eliogabalo, con musica di Tozzi. Si sarà trattato del rifacimento dei fortunati melodrammi rispettivamente di Giovanni Filippo Apolloni, debuttato a Innsbruck nel 1657 con musica di Antonio Cesti e poi nel corso dei decenni successivi ripreso con modifiche anche a Firenze, Venezia, Roma e Napoli, e di Aurelio Aureli, andato in scena a Venezia nel 1668 con musica di Giovanni Antonio Boretti e anch’esso diffusamente replicato negli anni Settanta. In entrambi i casi, in assenza dei rispettivi libretti, la documentazione d’archivio non consente di accertare l’entità dell’apporto di Tozzi, che pure è attestato da diversi pagamenti, per un totale di 40 onze per ciascuna opera (tali documenti, segnalati da Luciano Buono, giacciono ancora non inventariati nell’Archivio di Stato di Messina). Inoltre, non è possibile verificare se l’allestimento della Dori fosse in realtà la ripresa di un precedente spettacolo ricordato da Francesco Ventimiglia, principe di Belmonte ed erudito messinese, in una lettera del 18 settembre 1665 a Leone Allacci, dove insieme all’Annibale si menziona anche «La Dori, rappresentata e stampata in Messina nel 1664» (ed. in Lipari, 1990, pp. 173 s.).
Esercitò anche l'attività didattica, peraltro richiesta dall’ufficio ricoperto al duomo (Buono, 2019, p. 334), e fu in contatto con le istituzioni formative della città, in particolare gesuitiche: compose la musica di un dialogo (Le pompe trionfali della Eucaristia, Messina 1671) e di un’azione sacra (Il sacrificio incruento dell’Eucharistia, Cosenza 1672) messi in scena per Carnevale dalla Congregazione de’ nobili nella casa professa dei gesuiti.
Mantenne presumibilmente l’incarico di maestro di cappella in duomo fino alla nomina del successore, che subentrò il 1o novembre 1675 (Chiatto, 2013, p. 145): si trattava del romano Paolo Lorenzani, voluto da Louis-Victor de Rochechouart, duca di Vivonne e viceré di Sicilia (1675-78) per nomina di Luigi XIV. Presso la residenza del duca, «amantissimo della musica» ed egli stesso compositore e cantante dilettante, Tozzi aveva intrattenuto la corte facendo loro «sentire cose nuove e peregrine, al duca di genio e gran soddisfattione» (Cuneo, 1695-1703, 2001, I, p. 119). In quel periodo il duca di Vivonne era a capo dell’armata francese nell’occupazione di Messina, in seguito allo scoppio della rivolta antispagnola, infine soffocata dal nuovo viceré spagnolo Francisco de Benavides, conte di Santisteban: ne conseguì la soppressione dello Studio, delle accademie e delle congregazioni della città.
Morì a Messina, sessantatreenne, negli ultimi giorni di dicembre del 1675. Compare l’ultima volta in una cronaca relativa a un diverbio scoppiato in duomo il 21 dicembre tra il violinista Domenico Pandolfi e Marquett e sfociato nel ferimento a morte di quest’ultimo (Cuneo, 1695-1703, 2001, I, pp. 107-109).
La notorietà del compositore è comprovata da un sonetto celebrativo di Giovan Battista Mari (Crea, 2011, p. 428 nota 64); il curato messinese Giuseppe Cuneo lo giudicò «huomo virtuoso e singolare in tal professione, che pari potrà ritrovarsi ma non superiore, huomo assai stimato dentro e fuori Messina, per dolcezza delle compositioni in musica e per il suo raro talento, e con li virtuosi tutti, cantanti e instrumentisti, di non poca autorità» (Cuneo, 1695-1703, 2001, I, p. 107).
La musica di tutti i componimenti menzionati finora, salvo il mottetto del 1649 e i Concenti del 1662, non è sopravvissuta. Sono pervenute manoscritte, invece, diverse sue musiche perlopiù da chiesa, alcune delle quali rientrano nella tradizione policorale romana, come la messa a otto voci Gitene liete rime (tramandata da due copie: una parzialmente autografa, in Roma, Archivio musicale della Basilica di S. Giovanni in Laterano, ms. A.359, edita in G. Giorgi - V. Tozzi, Missae tres, a cura di L. Feininger, Roma 1963, pp. 91 ss.; un’altra settecentesca che qualificherebbe la composizione come «terza messa a otto» di Tozzi, in Roma, Archivio del Vicariato, Archivio capitolare della basilica di S. Maria in Trastevere, ms. 646), e i salmi a nove voci concertate Laudate pueri e Nisi Dominus (datati rispettivamente 1644 e 1646; Napoli, Archivio musicale della Congregazione dell’Oratorio, mss. 470. 1-2). Tra i lavori profani superstiti, vi sono alcune arie e madrigali a quattro o cinque voci, in un codice dell’Archivio Borromeo dell’Isola Bella (MS.Misc.01.04-10), contenente opere di provenienza romana (compaiono i nomi di Luigi Rossi, Carlo Caproli e Catalano). Un consistente corpus di trentadue opere è infine custodito a Malta nell’archivio del museo della cattedrale di Mdina (mss. 68-72, 74-99, 118): vi figurano composizioni di musica da chiesa, liturgica o devozionale, arie, madrigali profani e, infine, dialoghi pastorali in volgare destinati al periodo natalizio, il cui testo, approntato da Carlo Musarra, segretario senatorio, fu parzialmente dato alle stampe nelle Stravaganze liriche degli Accademici della Fucina (Napoli 1661; Buono, 2019, p. 334).
Francesco, figlio di Vincenzo, è noto a partire dal 1676 (Chiatto, 2013, p. 171): in quest’anno risulta organista nel duomo di Messina «con obligo di portare l’opere del fu don Vincenzo Tozzi suo padre» (Mauceri, 1926, pp. 264 ss.). Compose musica da chiesa, devozionale e d’occasione, della quale nulla sembra essere rimasto. Parecchie informazioni sulla sua produzione si desumono da fonti a stampa.
A partire dal 1677 risulta attivo in diverse case religiose, tra cui il convento di S. Placido Calonerò (Chiatto, 2013, p. 171) e i monasteri dello Spirito Santo (con il dialogo La verginità trionfante, Messina 1689, eseguito per la monacazione di Lavinia e Angela Loredan) e di S. Gregorio (compose la musica eseguita nel 1698 in occasione della visita della viceregina Teresa Marina de Ayala Toledo, e quella del dialogo di Antonio Forti, gesuita calatino, La caccia delle colombe, Messina 1702, eseguita per la monacazione di Vittoria e Felice Bonfiglio e Santacolomba; Cuneo, 1695-1703, 2001, II, p. 872; Chiatto, 2013, p. 173).
Nel 1688 è documentato come vicemaestro di cappella: così il libretto del dialogo per quattro voci e coro La Vittoria per giustizia (Roma 1688), eseguito nel monastero messinese di S. Barbara per la monacazione della nobildonna spagnola Maria Romeo; nel frontespizio risulta che Francesco era laureato, dato confermato anche dal libretto del Modulus (Messina 1693) musicato per la festa patronale della Madonna della Lettera, che lo qualifica «utriusque iuris doctor».
Compose la musica del dialogo per quattro voci e coro Amore e ossequio per l’acclamazione di Filippo V di Borbone, nuovo re «delle Spagne e delle Due Sicilie». L’opuscolo celebrativo (Messina 1701), disteso da Nicolò Maria Sclavo, ‘protopapa’ della chiesa greco-ortodossa messinese, reca un’antiporta allegorica di Antonio Filocamo e contiene la relazione dei festeggiamenti, i versi del dialogo e nove preziose incisioni del giovane Filippo Juvarra. L’apparato della festa prevedeva una sontuosa macchina e il teatro mostrava la statua del sovrano, ai cui lati erano posizionati «due chori di sceltissima musica e di moltissimi strumenti» (ibid., p. 55).
Ebbe contatti con l’Accademia della Clizia, per la quale musicò il dialogo a tre voci La vera fortuna (Messina 1703) del chierico regolare Andrea Minutolo, accademico Voglioso, eseguito per il compleanno del re. Nel 1720 assunse la direzione della cappella del duomo; in quell’anno, la sua serenata a quattro voci Il simulacro della gloria scolpito nel cuore di Messina fu eseguita in occasione dell’acclamazione dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo come re «dell’una e l’altra Sicilia» con il nome di Carlo III (il testo a stampa, che reca l’anno 1721, fu accluso alla relazione della festa, Le simpatie della città di Messina coll’aquila augusta, Messina 1720, che contiene incisioni di Juvarra, Paolo Filocamo e Francesco Arena).
Sono forse da attribuire a Francesco alcune delle brevi ariette su testo in dialetto siciliano (due in particolare recano il cognome «Tozzi»), tràdite da un codice conservato all’Archivio di Stato di Venezia (Miscellanea atti diversi manoscritti, b. 137, n. 2; una copia moderna è nella Biblioteca nazionale Marciana, ms. It., cl. IV, 1799 [=11562]; cfr. Arie a voce sola de diversi auttori, a cura di P.A. Rismondo, Middleton 2018, p. XVI nota 5).
La sua presenza al duomo è attestata fino al 1722. Attorno a quest’anno deve collocarsi la sua morte, avvenuta presumibilmente in Messina.
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Si ringrazia Luciano Buono per le notizie inedite gentilmente fornite.