VALENTINI, Vincenzo
VALENTINI, Vincenzo. – Nacque a Civitavecchia il 7 gennaio 1764, secondogenito di Domenico (1731-?) e di Barbara Ambrogetti di Tolfa; dal loro matrimonio, contratto nel 1758, vennero alla luce altri due fratelli: Nicola (1761-1839) e Serafina.
La famiglia Valentini, originaria di Fossombrone, si era trasferita alla metà del XVIII secolo a Civitavecchia, dove Domenico divenne un affermato imprenditore fondando la ditta Case coloniali Valentini, tra le principali aziende di import ed export presenti su piazza, capace di sfruttare la forte crescita economica e commerciale conosciuta dal porto nella seconda metà del Settecento, grazie anche ai diversi provvedimenti per lo sviluppo dei commerci emanati da Benedetto XIV e dai suoi successori che ne consentirono l’inserimento all’interno delle principali rotte mercantili dell’epoca. Pochi mesi prima dell’istaurazione della Repubblica Romana (1798-99) e dell’inizio di quei mutamenti che avrebbero determinato dai primi anni del XIX secolo un parziale arretramento degli affari a Civitavecchia, Domenico Valentini decise di ampliare e diversificare le proprie attività, avviando nel 1797 lo «stabilimento di una Casa di Commercio in Roma [...] sotto la direzione del figlio Vincenzo» (Archivio di Stato di Roma, 30 Notai Capitolini, Ufficio 23, Giovanni Tassi, agosto-settembre 1844, b. 880, c. 383), mantenendo al primogenito Nicola la gestione della sede principale di Civitavecchia. Fu in questo modo che Vincenzo fece il suo ingresso nella piazza romana, inserendosi in pochi anni in una élite di commercianti e banchieri destinata a essere protagonista della vita economica dello Stato pontificio nella prima metà del XIX secolo. Malgrado, infatti, i diversi cambiamenti del contesto politico-istituzionale registrati nel volgere di pochi anni (dall’occupazione francese alla successiva Restaurazione), i Valentini riuscirono a consolidare il proprio posizionamento nel mercato del credito e finanziario. Nel 1811, la filiale romana dell’azienda, guidata da Vincenzo sotto la denominazione Ditta bancaria Domenico Valentini, stabilì la propria sede in via di Parione. Seppure il patrimonio familiare non risultasse ancora iscrivibile tra le grandi ricchezze private della capitale, la molteplicità di interessi di un banchiere in ascesa portò Vincenzo Valentini a essere nominato membro della prima Camera di commercio istituita a Roma nel dicembre del 1811, sotto la guida del prefetto Camille De Tournon, a seguito dell’entrata in vigore del codice di commercio francese; il fratello Nicola fu, allo stesso modo, nominato componente della Camera di commercio di Civitavecchia.
I cambiamenti conosciuti dallo Stato pontificio nell’età della Restaurazione non indebolirono la posizione di Valentini: nel 1823 era citato nelle cronache ufficiali tra i banchieri più influenti accanto a Torlonia, Lavaggi, De Rossi, Brancadori, Conti, Celani e altri ancora. Inoltre, seguendo e ampliando la tradizione di famiglia (Domenico era stato rappresentante commerciale del Regno di Polonia nell’allora provincia di Civitavecchia), Vincenzo divenne dal 1826 console generale del re di Prussia presso la S. Sede. Forte delle ricchezze accumulate e assumendo anche una modalità di gestione patrimoniale per diversi aspetti riconducibile a quella tradizionale delle più importanti famiglie patrizie capitoline, il 30 aprile 1827 Vincenzo acquistò dal marchese Lorenzo Imperiali dei principi di Francavilla il palazzo adiacente piazza Ss. Apostoli (noto ancora oggi come palazzo Valentini e divenuto nel 1873 sede della Provincia di Roma). La ristrutturazione dell’edificio – il cui acquisto fu iscritto nello stato patrimoniale privato del banchiere per l’ammontare di 50.000 scudi – lo portò a investire forti somme negli abbellimenti degli interni (19.023 scudi), in alcune collezioni artistiche (5.902 scudi per le statue e 1.600 per i quadri), nonché per l’abbattimento e il rifacimento di alcuni edifici sul lato prospiciente la colonna Traiana secondo il progetto degli architetti Filippo Navone e Giovanni Battista Benedetti; tali abbattimenti suscitarono alcuni contenziosi legali, risolti grazie anche all’intervento delle autorità pontificie. La ristrutturazione consentì di assegnare un’ala del palazzo alla ditta bancaria che da quel momento vi spostò la sua sede.
Negli anni Trenta dell’Ottocento, in coincidenza con la riorganizzazione dell’amministrazione pontificia e parallelamente alla ripresa degli investimenti finanziari pubblici e privati conosciuta nel mercato romano, partecipò – spesso come semplice investitore, altre volte con ruoli di maggiore protagonismo – ad alcune tra le principali iniziative dell’epoca quali, ad esempio, la Banca romana e la Cassa di risparmio di Roma. Assunse anche alcune funzioni di primo rilievo, direttamente derivanti dalle gerarchie vaticane. L’11 giugno 1831 papa Gregorio XVI lo indicò (insieme a Vincenzo Pianciani, Giulio Rospigliosi e Alessandro Torlonia) nella congregazione della Cassa di ammortizzazione del debito pubblico, istituzione progettata originariamente da Pio VII nel 1816, ma che ora assumeva l’obiettivo di contribuire al risanamento delle casse dello Stato – impoverite dall’impegno militare profuso per contrastare i moti nelle province – e al monitoraggio sull’emissione di un nuovo consolidato. Un mese dopo fu nominato, ancora da papa Gregorio XVI, primo presidente della nuova Camera di commercio di Roma, istituita l’8 luglio 1831 al termine di una lunga gestazione: il progetto originario presentato nel 1825 dalla Congregazione economica – focalizzato in particolare sulla regolamentazione del mercato borsistico – era stato, infatti, abbandonato e sostituito da un nuovo testo che, anche in risposta agli eventi politici ed economici di quell’anno e sulla spinta delle richieste provenienti dal ceto mercantile, recuperava molte delle competenze consultive precedentemente assegnate alle camere napoleoniche, garantendo inoltre uno stretto collegamento tra la segreteria della Camera e i tribunali di commercio. In attesa di reperire una sede adatta, la prima riunione del Consiglio, presieduto dallo stesso Valentini, si svolse nel palazzo di famiglia il 27 luglio 1831. Non sono chiari i motivi del suo mancato rinnovo al termine del triennio di presidenza, a pochi mesi dalla promulgazione – nel gennaio del 1835 – di una nuova legge di riforma del ruolo e della struttura (oltre che del nome) dell’istituto; quello stesso periodo fu comunque contraddistinto anche da alcuni contrasti sorti tra Valentini e diversi esponenti della piazza finanziaria e delle gerarchie vaticane. Di rilievo, infatti, la decisione presa da Vincenzo di dimettersi dal Consiglio di reggenza della Banca romana l’8 novembre 1834, in contrasto con la gestione dell’istituto che, a suo dire, rischiava di pregiudicare gli investimenti degli azionisti. Una scelta di fronte alla quale la S. Sede si limitò – almeno ufficialmente – a prendere atto, come dimostrato dalla risposta («Il Governo, indifferente su questo particolare, attende di conoscere il nome del successore che gli sarà dato») data alla comunicazione con cui il commissario del governo presso la Banca romana, Pietro Odescalchi, informava il segretario per gli Affari esteri della S. Sede, cardinale Tommaso Bernetti, delle dimissioni di Valentini, definendolo al contempo un «gran speculatore bancario» e sottolineando come della sua rinuncia avessero «menata gran festa tutti i signori della Banca» (Archivio di Stato di Roma, Camerale II, Banca romana, b. 1, f. 13).
Morì a Roma il 13 maggio 1842.
Essendo celibe, la successione vide protagonisti i nipoti (figli del matrimonio contratto dal fratello Nicola con Firminia Guglielmotti): Gioacchino (1798-1864), G. Domenico (?-1873), Giovanni (?-1874), Vittoria e Anna (1808-1847). Malgrado Vincenzo si fosse sostanzialmente concentrato sugli affari romani della ditta di famiglia, la divisione testamentaria – complice anche la scomparsa del fratello Nicola – confermò la scelta originaria di Domenico di considerare il banco romano come parte di un’unica società con la sede centrale di Civitavecchia. Contribuì in tal senso anche la volontà di Vincenzo di istituire un fedecommesso (valutabile, insieme a tutte le altre proprietà della famiglia Valentini, per diverse centinaia di migliaia di scudi) a favore del nipote Gioacchino e della sua linea ereditaria, con caratteristiche e vincoli per molti aspetti riconducibili alle più tradizionali forme di perpetuazione del potere e della ricchezza delle famiglie nobiliari romane. Scomparso il suo principale protagonista, le attività del Banco Valentini cessarono presumibilmente nei primi anni Cinquanta del XIX secolo, anche a seguito dei mutamenti economici e istituzionali susseguenti il 1848 e l’inizio del pontificato di Pio IX.
È sepolto nella basilica dei Ss. XII Apostoli in Roma.
Fonti e Bibl.: Fonti archivistiche sul suo ruolo in Camera di commercio: Roma, Archivio storico Camera di commercio, Fondo preunitario, 1831-1870, Titolo II, Nomine e incarichi della Camera, b. 4, art. 1; informazioni sulla prima convocazione del Consiglio, con estratti del suo discorso, in Giornale del Regno delle Due Sicilie, 9 agosto 1831; notizie bibliografiche in M. Martinelli, Le origini della Camera di commercio di Roma, Roma 2007, ad indicem. Fonti sulle sue dimissioni dal Consiglio di reggenza della Banca romana in Archivio di Stato di Roma, Camerale II, Banca romana, b. 1, f. 13. Notizie biografiche sulla famiglia Valentini, con riferimento al ruolo svolto a Civitavecchia, in V. Vitalini Sacconi, Gente, personaggi e tradizioni a Civitavecchia dal Seicento all’Ottocento, II, Civitavecchia, 1982, ad indicem. Documentazione sulla costituzione della ditta Valentini a Roma, in Archivio di Stato di Roma, 30 Notai Capitolini, Ufficio 23, Giovanni Tassi, agosto-settembre 1844, b. 880, c. 383. Sull’attività bancaria di Domenico Valentini cfr. J. Martinet, Annuario politico, statistico, topografico e commerciale del Dipartimento di Roma per l’anno 1811, Roma 1811, p. 124; C. Belloni, Dizionario storico dei banchieri italiani, Firenze 1951, pp. 223-224. Sulle ricchezze private a Roma in età napoleonica si veda L. Laudanna, Le grandi ricchezze private di Roma agli inizi dell’Ottocento, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 1989, vol. 2, pp. 104-152 e le fonti in Archivio di Stato di Roma, ivi indicate. Sulle cariche assunte presso la S. Sede e in rappresentanza degli Stati esteri dai diversi membri della famiglia cfr. Notizie per l’anno, Roma 1826-1842; Diario romano, Roma, 25 giugno 1831, pp. 1-3; Motu proprio della Santità di nostro Signore Papa Gregorio XVI in data 11 giugno 1831, Roma 1831. L’atto di acquisto di palazzo Valentini è conservato in Archivio di Stato di Roma, 30 Notai capitolini, Ufficio 24, Giovanni Tassi, 30 aprile 1827, b. 742, cc. 641-660. Notizie bibliografiche in B. Amendolea - L. Indrio, Il Palazzo Bonelli, dai Valentini alla seconda guerra mondiale. Storia di un palazzo e delle sue collezioni, in Palazzo Valentini. Storia di un palazzo e di una istituzione, a cura di B. Amendolea - L. Indrio, Roma 2005, pp. 39-74; M.C. Cola, Palazzo Valentini a Roma. La committenza Zambeccari, Boncompagni, Bonelli tra Cinquecento e Settecento, Roma 2012. Informazioni sulle ristrutturazioni effettuate e sulle problematiche suscitate, anche legali, in Archivio di Stato di Roma, 30 Notai Capitolini, Ufficio 23, Giovanni Tassi, agosto-settembre 1844, b. 880, c. 385 e Camerlengato II, Titolo IV, b. 218. Notizie bibliografiche in B. Amendolea - L. Indrio, Il Palazzo Bonelli, dai Valentini alla seconda guerra mondiale, cit., pp. 47-49. Sulla collezione artistica cfr. L. Bonaparte, Catalogo di scelte antichità etrusche trovate negli scavi del principe di Canino 1828-29, Viterbo 1829; B. Amendolea - F. Longobardo, Le collezioni di antichità e arte, in Palazzo Valentini. Storia di un palazzo e di una istituzione, cit., pp. 75-118. Sul ruolo dei banchieri privati, tra cui Valentini, a Roma nel primo trentennio dell’Ottocento cfr. F. Bartoccini, Roma nell’Ottocento, Bologna 1985, p. 253; D. Felisini, Le finanze pontificie e i Rothschild. 1830-1870, Napoli 1990; R. D’Errico, Intermediazione privata e innovazione creditizia a Roma nella prima metà dell’Ottocento, in Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società, cultura, a cura di A.L. Bonella - A. Pompeo - M.I. Venzo, Roma 1997, pp. 475-511; D. Strangio, Il mercato primario del debito pubblico (1814-1846), ibid., pp. 427-450; R. D’Errico, Una gestione bancaria ottocentesca. La Cassa di risparmio di Roma dal 1836 al 1890, Napoli 1999; D. Felisini, “Quel capitalista per ricchezza principalissimo”. Alessandro Torlonia principe banchiere imprenditore nell’Ottocento romano, Soveria Mannelli 2004; D. Strangio, Debito pubblico e mercato finanziario a Roma e nello Stato pontificio tra XVIII e inizio XIX secolo: l’istituzione della Borsa di Roma, in Debito pubblico e mercati finanziari in Italia. Secoli XIII-XX, a cura di G. De Luca - A. Moioli, Milano 2007, pp. 251-270. Sulla trasmissione testamentaria cfr. la documentazione in Archivio di Stato di Roma, 30 Notai Capitolini, Ufficio 23, Giovanni Tassi, b. 864, 7 dicembre 1840; ibid., b. 870, maggio-luglio 1842 (anche in Roma, Archivio storico capitolino, Notai, sez. 16, prot. 171, anno 1842); sulla successione tra i coeredi in ASR, 30 Notai Capitolini, Ufficio 23, Giovanni Tassi, agosto-settembre 1844, b. 880; notizie anche in Palazzo Valentini. Storia di un palazzo e di una istituzione, cit., ad ind., con relative appendici; N. La Marca, La nobiltà romana e i suoi strumenti di perpetuazione del potere, Roma 2000, ad indicem.