VALGRISI, Vincenzo
– Di origine lionese – il suo nome era Vincent Vaugris – «Petri filius», come si ricava da alcuni documenti, nacque probabilmente verso il 1510 in una famiglia apparentatasi con alcuni stampatori tedeschi nella città transalpina.
Le prime testimonianze riguardanti Valgrisi risalgono al 1527 e si riferiscono al suo ruolo in difesa degli interessi della famiglia e dei soci al momento del decesso improvviso del fratello Jean, nel cui deposito parigino erano stati ritrovati libri proibiti poi requisiti dal capitolo di Saint-Benoît, chiesa tradizionalmente legata al commercio librario. Trasferitosi a Basilea, Jean fu infatti un tassello importante dell’attività di un gruppo di librai che avevano bottega a Parigi e a Lione all’insegna di l’Écu de Bâle, vicini alla Riforma e attivi per Lutero e la sua cerchia.
Il 12 settembre 1532, Valgrisi acquistò la bottega veneziana «alla testa d’Erasmo» in società con il libraio parmense Andrea fu Agostino, di cui aveva sposato la figlia Eugenia. Dei diciassette figli nati dalla loro unione, al momento della redazione del testamento, stilato nell’aprile del 1566, erano in vita due femmine – Diana, moglie di Giordano Ziletti, e Felicita, che ne sposerà il nipote, Francesco – e sei maschi, tra cui il primogenito, Giorgio, e il cadetto, Felice, che erediteranno l’azienda paterna. In una supplica del 1567, legata alla sua richiesta del privilegio di cittadinanza veneziana – che non ottenne mai – Valgrisi dichiarava di avere cinquantasette anni e di abitare a Venezia da trentasei, nella parrocchia di San Zulian, che, secondo la testimonianza del piovano in occasione del processo intentatogli dall’Inquisizione nel 1570, frequentava da buon cattolico e in cui si era impegnato più volte in qualità di gastaldo.
L’attività editoriale di Valgrisi è attestata a Venezia dal 1539 al 1572 e, contemporaneamente, a Roma dal 1549 al 1551. Il suo indirizzo commerciale recitava «Al segno d’Erasmo in Merceria presso l’horologio di San Marco» fino al 1559, quando fu obbligato dal S. Uffizio a sopprimere il riferimento al nome di Erasmo dall’insegna per adottare quello al Tau (cioè la lettera greca tau), presente nella sua marca, o più semplicemente la formula «Ex [o In] officina Valgrisiana». Nei primi anni d’attività, egli sembra affidarsi ai torchi di altre aziende e non disporre ancora della sua marca tipografica – un serpente attorcigliato su una croce in forma di Tau retto da due mani che fuoriescono dalle nuvole – che invece comparve regolarmente sui frontespizi, declinata in formati diversi, a partire dal 1543. Se alcune edizioni sono frutto di associazioni puntuali con colleghi, tra cui Paolo Manuzio, o stampate per suo conto da altri tipografi, vere e proprie società furono strette con Baldassarre Costantini e poi con i suoi eredi, e con Enea Vico. Durante il periodo di attività a Roma, in cui furono stampate una decina di edizioni, l’impresa era gestita dal genero, Giovanbattista Ziletti.
Il catalogo di Valgrisi consta di oltre trecentocinquanta edizioni, quasi equamente ripartite tra titoli in latino e in volgare; più di duecento quelli originali, opera di circa centocinquanta autori, per la maggior parte presenti con un titolo o due e, a parte qualche eccezione, come nel caso di Ludovico Ariosto e di Pietro Andrea Mattioli, quasi mai ristampati; dal 1554 la media annua si stabilizzò intorno alle dieci edizioni, con alcuni picchi produttivi di oltre quindici edizioni; i formati spaziano dal in folio al in ventiquattresimo, ma con una netta prevalenza degli in ottavo.
Otto i principali campi disciplinari: medicina e farmacopea, letteratura, trattatistica, filosofia, storia, religione, diritto, geografia e astronomia. I titoli dei primi due campi, che, calcolati insieme, rappresentano un terzo della produzione totale, spaziano dalle ultime novità di autori italiani alle prime edizioni di importanti e recentissime novità parigine stampate in Italia, insieme a commenti dei più noti professionisti del settore ai testi di Galeno e Ippocrate. Valgrisi, che dal 1554 in poi, pur senza rinunciare ai profitti di classici e volgarizzamenti, fece dell’editoria medico-botanica il suo interesse prevalente, fu tra i primi a Venezia ad accorgersi che la contemporanea materia medica e la nuova botanica potevano dare alimento a un nuovo e redditizio filone editoriale, proprio come stava avvenendo in Germania e in Francia. I Discorsi sull’opera del Dioscoride di Mattioli, pubblicati a partire dal 1548 in versione latina e italiana – oltre a un’edizione in ceco e a una in tedesco fatte stampare a Praga a sua istanza –, continuamente aggiornati e splendidamente illustrati da migliaia di xilografie, rappresentò per Valgrisi l’impresa editoriale più ardita e pionieristica della sua carriera, ripagata da un clamoroso successo e dalla vendita di più di trentaduemila copie.
Tra i testi di letteratura, oltre a Francesco Petrarca nell’edizione di Alessandro Vellutello, sono da ricordare le edizioni curate da Girolamo Ruscelli, il collaboratore più assiduo della tipografia valgrisina, e impreziosite da splendide xilografie del Decameron e dell’Orlando furioso, di quest’ultimo, in tre diversi formati, e le edizioni degli Apophthegmata e dei Colloquia erasmiani, tradotti dal riformato Pietro Lauro, dedicate entrambe a Renata di Francia, le sole pubblicate a sud delle Alpi.
Inteso nella sua globalità, e fatte salve alcune edizioni di autori classici, punti di riferimento irrinunciabili nei vari ambiti disciplinari, il catalogo di Valgrisi si può dire composto principalmente da autori ‘nuovi’, contemporanei, anche se talvolta impegnati nel commento, traduzione o volgarizzamento di opere antiche, e di un solo vero best-seller: Mattioli, di cui ebbe gli onori e gli oneri dell’esclusiva. Nessuna particolare ‘svolta’ cronologica: se un’alternanza può individuarsi, è quella, costante, fra titoli ‘sicuri’ (edizioni di ‘classici’ antichi e moderni o di autori contemporanei di sicuro successo), e altri più sperimentali e rischiosi nel campo della letteratura e della trattatistica.
Particolarmente curato l’aspetto materiale: la carta è di qualità e il materiale tipografico di pregio, tra cui meritano di essere segnalate le serie d’iniziali figurate e ‘parlanti’ e i corredi illustrativi. Oltre alle già citate illustrazioni xilografiche ad accompagnare i titoli di Giovanni Boccaccio, Ariosto e Mattioli, si aggiungano quelle per il trattato di chirurgia di Jean Tagault (1544), per i Simolachri, historie, e figure de la morte (1545), pregevoli copie della serie Danza macabra di Hans Holbein già stampata a Lione, per l’Opera di Galeno (1562), l’Alamanna di Antonio Oliviero (1567), e le tavole calcografiche per Le imagini delle donne auguste di Enea Vico (1557), la traduzione italiana di Girolamo Ruscelli (1561) e per quella latina di Willibald Pirckheimer (1562) della Geografia di Tolomeo, e per la prima edizione illustrata del trattato di Vincenzo Cartari (1571).
Nel 1549 gli fu affidata la pubblicazione del primo Catalogo italiano dei libri proibiti fatto stampare dall’autorità laica a Venezia, promosso dal nunzio Giovanni Della Casa ma fermamente osteggiato dal Senato che finì per ottenerne l’abrogazione e probabilmente la distruzione degli esemplari (ne sopravvive solo uno, nella Biblioteca nazionale Marciana di Venezia). Un nuovo Indice romano fu promulgato nel 1559: i librai veneziani, tra cui Valgrisi, dapprima decisi a ignorarne le proibizioni, furono costretti a capitolare e furono condannati a preghiere ed elemosine.
Negli atti del processo, Valgrisi dichiara di essere attivo come libraio da circa ventisette anni e di possedere altre botteghe a Macerata, Foligno, Recanati, Lanciano, Padova, Francoforte e Bologna. Quest’ultima filiale era gestita da suo fratello Guglielmo e da Giovanni Alessi, che ne divenne in seguito contitolare, e frequentata da Achille Aldrovandi con cui Valgrisi era in ottimi rapporti personali, procacciandogli libri e fungendo da tramite epistolare con lo speziale veronese Francesco Calzolari.
Durante le perquisizioni seguite alla promulgazione dell’Indice tridentino del 1564, nel magazzino di Valgrisi a San Zanipolo furono ritrovati 1277 volumi proibiti, tra cui numerosi tomi francesi e tedeschi e 400 copie dei Simolachri, historie et figure della morte, contenenti la Medicina dell’anima del luterano Urbanus Rhegius, pubblicati da Valgrisi con regolare privilegio nel 1545, di cui 300 occultate dietro una copertina con il falso titolo delle Epistole di Cicerone. Seguì un nuovo processo, ma anche in questo caso la condanna fu mite, limitata a una multa.
Valgrisi morì a Venezia nel corso del 1573, prima del 13 novembre, data di apertura del suo testamento.
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