PALADINI, Vinicio
PALADINI, Vinicio. – Nacque a Mosca il 21 giugno 1902 da Ugo e da Paolina Amosoff.
Nel 1903 si trasferì a Roma con la famiglia. Dal 1921 frequentò Anton Giulio Bragaglia e l’ambiente gravitante attorno alla sua Casa d’arte di Roma (Lista, 1988, p. 9). Nel 1922 fu presente, tra le altre, alla mostra futurista che si tenne in occasione del 2e Kongres voor Moderne Kunst di Anversa (Van den Bossche, 2011, p. 145). Curò, inoltre, insieme all’amico Ivo Pannaggi, la messa in scena del Ballo meccanico futurista, che si svolse nella Casa d’arte Bragaglia il 2 giugno 1922 (Crispolti, 1980, pp. 237 s.).
Nello stesso anno prese parte all’Esposizione d’arte italiana futurista di Bologna presso il teatro Modernissimo, all’Esposizione futurista internazionale al Winter Club di Torino e alla I Esposizione futurista di Macerata nel Palazzo del Convitto nazionale (Id., 2010, pp. 186, 189 s., 197 s.).
Secondo la critica, le opere del periodo (tutte disperse) sono influenzate alternativamente dal futurismo di Giacomo Balla o dalla metafisica di Giorgio De Chirico (Lista, 1988, p. 9).
Sempre nel 1922 firmò, con Ivo Pannaggi, il Manifesto dell’arte meccanica futurista su La nuova Lacerba (20 giugno 1922, p. 7).
In questo scritto si sosteneva che l’operaio potesse diventare il fulcro di una rivoluzione estetica e politica: attraverso un utilizzo «creativo» della macchina poteva cessare di esserne sottomesso e diventarne padrone.
Paladini fu uno dei primi, in Italia, a interessarsi alle avanguardie sovietiche (Crispolti, 1980, p. 164) e anche le sue simpatie politiche erano bolsceviche, come ben testimoniano gli articoli pubblicati sul giornale Avanguardia (23 aprile 1922; Lista, 1988, pp. 12-20).
Nel 1923 aderì al manifesto I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani. Manifesto al governo fascista, ma quando lesse ne Il Futurismo (marzo 1923) la premessa politica al testo di Filippo Tommaso Marinetti, in cui dichiarava che l’ «avvento del fascismo al potere» costituiva la «realizzazione del programma minimo futurista», inviò una lettera alla rivista Rovente (marzo 1923, p. 24), prendendo le distanze da Marinetti e Prampolini. Precisò che la sua adesione riguardava esclusivamente il primo paragrafo del manifesto (dove aveva apposto la firma), in cui si esprimeva essenzialmente la «difesa dei giovani artisti novatori», dichiarandosi invece estraneo a qualsiasi atteggiamento politico espresso negli altri paragrafi del documento (ibid., p. 29).
Nel 1923 tenne una personale alla Casa d’arte Bragaglia (Crispolti, 2010, p. 207); l’anno seguente partecipò all’Internationale Ausstellung neuer Theatertechnik al Konzerthaus di Vienna (Lista, 1988, pp. 22, 32) ed espose alla Première Zenit Exposition Internationale de l’Art Nouveau di Belgrado, organizzata da Liubomir Mitzitch (Crispolti, 2010, p. 221; Crescentini, 1980, p. 611).
Fra il 1924 e il 1925 si recò a Parigi, dove visitò l’Exposition Internationale des Arts Décoratifs del 1925 (Lista, 1988, pp. 33, 58). Sempre nel 1925 pubblicò Arte nella Russia dei Soviets (Roma) e partecipò, presso Palazzo Madama, a Torino, alla mostra organizzata dai sindacati artistici futuristi (Crispolti, 2010, p. 231). Nel 1926 espose all’International Exhibition of Modern Art al Brooklyn Museum di New York e alla XV Biennale di Venezia (Lista, 1988, pp. 67 s.).
Con una serie di articoli su Prager Presse (fra il 1925 e il 1927) auspicava un’arte che, al contrario di quella futurista, coniugasse passato e futuro e in cui fosse protagonista anche l’inconscio (Martinelli, 1992, pp. 55-57), come nel dadaismo e nel surrealismo.
Alla fine del 1926 Paladini, con l’aiuto di alcuni amici, come Dino Terra, Elena Ferrari e Umberto Barbaro, lanciò un volantino ‘immaginista’ e, pochi mesi dopo, nella copertina del I numero de La ruota dentata (Febbraio 1927) pubblicò il manifesto Prima rivelazione dell’immaginismo (Lista, 1988, pp. 44 s., tavv. 22 s.), accanto a un fotomontaggio dove sono palesi le influenze del dadaismo tedesco.
Nel testo del manifesto compaiono molte caratteristiche tipiche del movimento dadaista: l’insofferenza per le consuete regole dell’aritmetica, l’esaltazione del non-senso, la volontà di stupire con neologismi, metafore, associazioni di parole appartenenti a sfere semantiche normalmente distanti fra loro.
Nel 1927 partecipò a varie manifestazioni internazionali (ibid., pp. 49-51), fra le quali la Grande mostra di pittura futurista alla Casa del fascio di Bologna e l’International Exhibition of Modern Art, a The Anderson Galleries di New York (Crispolti, 2010, pp. 262 s.). Nel 1928 prese parte alla I Esposizione italiana di architettura razionale presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma (poi anche alla II edizione del 1931), esponendo vari progetti, fra i quali Casetta al mare. Fregene (coll. priv.; ripr. ibid., pp. 287 s.), che mostrano le influenze dell’architettura di Adolf Loos e di Le Corbusier. In questi anni pubblicò una serie di articoli, in riviste italiane e cecoslovacche, sul movimento razionalista (Martinelli, 1992, pp. 60-63) e nel 1929 mise in scena, presso il Teatro degli Indipendenti di Bragaglia, Il labirinto, un’opera teatrale immaginista (Lista, 1988, pp. 51 s.).
Nel 1930 Paladini si laureò in architettura a Roma e lo stesso anno partecipò alla Mostra di architettura razionale alla Galleria di Roma a Palazzo Coppedè, diretta da Pier Maria Bardi (V. P., 1958). Nel 1931 realizzò la scenografia del film La segretaria privata di Goffredo Alessandrini.
In questi anni continuava a sostenere il M.I.A.R. (Movimento italiano per l’architettura razionale), al quale si era avvicinato durante l’università, arrivando a esercitare un’influenza ‘razionalista’ anche sulle opere del suo collega Ivo Pannaggi (Di Genova, 1996, pp. 26 n. 26, 31 n. 44, 147 n. 29). Negli anni Trenta, parallelamente all’attività di architetto, praticò una pittura figurativa con forti contrasti luministici (da Paladini stesso definita ‘seicentesca’), dove comparivano nudi e statue classiche mutile (ibid., p. 30 n. 35). Continuava con costanza anche a lavorare come grafico, realizzando soprattutto copertine di riviste e libri, attraverso le tecniche del fotomontaggio e del collage, con esiti che talvolta coniugavano costruttivismo ed elementi surrealisti: si vedano Sex appeal (in Quadrivio, n. 8, dicembre 1933) e Gioventù di Marinetti (Occidente, 1934, n. 6; entrambe ripr. in Scudiero, 1997, p. 87, tav. XXXIX)
Nel 1932 partecipò alla mostra Nove giovani scenografi milanesi in cerca di un palcoscenico italiano, organizzata da Bragaglia nei locali della galleria Il Milione a Milano (Crispolti, 2010, pp. 499, 501). Nel 1933 partecipò alla I Mostra del sindacato nazionale fascista di belle arti al Palazzo del Parterre di S. Gallo a Firenze (ibid., p. 531) e tenne un’esposizione personale alla Casa d’arte di Bragaglia a Roma (Crescentini 1980, p. 612). Nello stesso anno, secondo i ricordi dell’artista, partecipò a un’esposizione sindacale alla galleria Sabatello di Roma (Paladini, Elenco delle mostre , 1965), da identificare con l’asta che si tenne in quell’anno presso tale galleria. Nel 1935 prese parte alla II Quadriennale di Palazzo delle Esposizioni a Roma e all’Expositción de escenotecnica italiana presso la Dirección national de bellas artes a Buenos Aires (Crispolti, 2010, pp. 625 s.). Fra il 1935 e il 1937 visse e lavorò prevalentemente a New York, dedicandosi alla realizzazione di locali commerciali e al design (Sanzin, 1997, p. 12): nel 1936 si stabilì per alcuni mesi a Parigi e ritornò a Roma alla fine del 1937.
Nel 1938, anno in cui realizzò la scenografia del film L’ultima nemica di Umberto Barbaro, espose i suoi lavori di scenografie teatrali e di scenotecnica cinematografica presso il teatro delle Arti di Roma, in occasione della rappresentazione del dramma Capitano Ulisse di Alberto Savinio, per il quale Paladini aveva progettato le scene (Lista, 1988, p. 60).
Fra il 1938 e il 1953 tornò nuovamente a lavorare stabilmente a New York: fra le realizzazioni di questi anni, si segnala la sede della LAI (Linee aeree italiane) del 1951, uno spazio ancora basato sull’ortogonalità dell’architettura razionalista, senza uso di decorazioni ornamentali, con qualche moderato inserimento di essenziali profili lineari sinusoidali (ripr. in V. P., 1997, pp. 98 s., tav. XLV n. 364).
Alla sua formazione razionalista negli anni Cinquanta si sovrappone, in alcuni lavori, un chiaro riferimento all’architettura giapponese, mediata attraverso le opere di Frank Lloyd Wright: si vedano i Progetti di villino per il mare (ripr. in V. P., 1997, tav. XLVI, n. 385/a-e).
Tornato in Italia nel 1953 si dedicò alla professione di architetto: fra le sue realizzazioni si ricordano il Quartiere INA Casa (1957-62) a Conegliano Veneto (Treviso), in collaborazione con un gruppo di architetti diretti da Mario Ridolfi (Sanzin, 1997, p. 14). A partire dagli anni Cinquanta ripropose, analogamente ad altri futuristi, i lavori eseguiti negli anni Venti, partecipando al revival futurista (Lista, 1988, p. 60) e a varie mostre, fra le quali la Prima rassegna di arti figurative di Roma e del Lazio (1958), tenuta a Palazzo delle Esposizioni a Roma e Appunti sul futurismo a Macerata (1963), presso la Pinacoteca comunale.
Nel 1965 voleva che fosse organizzata un’esposizione retrospettiva delle sue opere e di quelle di Pannaggi presso la Quadriennale di Palazzo delle Esposizioni, per cercare di reinserirsi, secondo le sue parole, nell’ambiente della pittura, dopo esserne rimasto fuori per molti anni (Paladini, 7 gennaio 1965).
Morì a Roma il 30 dicembre 1971.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Biblioteca della Quadriennale (ArBiQ), b. Paladini Vinicio: V. Paladini, Elenco delle mostre principali (1965, dattiloscritto con bibliografia); Id., Lettera a F. Bellonzi, Roma 2 gennaio 1965; F. Bellonzi, Lettera a V. P., Roma 7 gennaio 1965; Ibid., Collezione permanente Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M., Architettura arte moderna, Fondo Vinicio Paladini, ‹http://www.aamgalleria.it/cfm-collezione.php?id=2095-Vinicio-Paladini›; V. P., in Galleria d’arte Palazzo delle Esposizioni (catal.), Roma 1958, pp. n.n.; M. Crescentini, V. P., in Ricostruzione futurista dell’universo (catal.), a cura di E. Crispolti, Torino 1980, pp. 611 s.; E. Crispolti, L’«arte meccanica» di V. P., ibid., p. 164; Id., La scenografia «meccanica» di Ivo Pannaggi, ibid., pp. 237 s.; Id., V. P. scenografo, ibid., p. 240; Id., Gli «interni» di V. P., ibid., p. 288 e passim; G. Lista, Dal Futurismo all’immaginismo. V. P., Salerno 1988; R. Martinelli, V. P. e Praga. 1925-1931…, in Ricerche di storia dell’arte, XLVII (1992), pp. 53-63; G. Di Genova, Storia dell’arte italiana del 900 per generazioni. Generazione primo decennio, Bologna 1996, pp. 23-32, 71, 74 e ad ind.; V. P. futurista immaginista…, Gussago 1997; P. Sanzin, V. P. architetto, ibid., pp. 10-15; M. Scudiero, V. P. fotomonteur futurista, ibid., pp. 15-18; Nuovi archivi del futurismo. Cataloghi di esposizioni, a cura di E. Crispolti, Milano 2010, pp. 156 s. e ad ind.; G. Lista, Futurisme et Communisme en Italie: de Duilio Remondino à V. P., in Ligeia, XXIV (2011), 109-112, pp. 142-149 (con antologia di scritti di V. P., pp. 156-168); B. Van den Bossche, Ceci n’est pas un futuriste. L’impatto del futurismo in Belgio, in Shades of Futurism/futurismo in ombra, Atti del Convegno internazionale... Princeton... 2009, a cura di P. Frassica, Novara 2011, pp. 145, 154 s.