VINO (XXXV, p. 388; App. II, 11, p. 1115)
Industria. - Negli ultimi due decennî i progressi dell'industria enologica sono stati molteplici nei varî settori. Quanto alla raccolta dell'uva, non hanno avuto successo i tentativi fatti di creare un congegno per la raccolta meccanica, a causa delle condizioni stesse nelle quali l'uva viene a maturazione e che richiedono periodi spesso scaglionati, anche nella raccolta dello stesso vitigno, specie se di qualità. Si è anche sperimentato il trattamento termico delle uve prima della pigiatura allo scopo di favorire la termolisi delle bucce (cioè l'estrazione delle sostanze coloranti) e provocare una parziale termosterilizzazione dell'uva con eliminazione della parte più termolabile della flora batterica della buccia.
Nelle vinificazioni in bianco o in rosato è risultato di grande aiuto interporre nel ciclo di lavorazione mecccanica delle uve, tra la pigiatura e la torchiatura, gli sgrondatori o smostatori, che servono a separare il mosto-fiore dalle vinacce. La vinaccia vergine che esce dallo sgrondatore si può passare successivamente ai torchi continui o ai torchi idraulici (si possono usare anche torchi continui a pressione soffice, detti velocipresse). Le vinacce già passate alle presse vengono sgretolate e rimosse da speciali macchine, dette sgretolatori di vinacce, per ottenere eventualmente una resa ulteriore in liquido, da ulterìori pressature.
Passando alla fermentazione alcolica del mosto, ulteriori studî e applicazioni si sono realizzati per ottenere una migliore fermentazione con aggiunta di speciali lieviti selezionati, in speciali condizioni. Si è pensato, cioè, che l'aggiunta di un solo fermento specifico porti alla produzione di un dato gruppo di costituenti, ma non di tutto il complesso di sostanze che conferiscono al vino il suo caratteristico "bouquet". Di qui l'idea della fermentazione con associazione controllata di lieviti di varie specie e ceppi, o meglio ancora della fermentazione in associazione scalare, cioè l'aggiunta di varî lieviti, seminati, però, a distanza di 3-4 giorni l'uno dall'altro. Varie sono, poi, le nuove tecniche di vinificazione, a seconda dei varî tipi di vino e delle condizioni ambientali. Fra le vinificazioni speciali ricordiamo "la vinificazione superquattro", dovuta al Sémichon, che consiste in un processo di fermentazione continua dei mosti, portati preventivamente con tagli di vini vecchi e vini-mosti dell'annata a 4° di alcole, per eliminare automaticamente i microrganismi. Il processo delle vinerie di Barbet consiste praticamente nel fermentare, previa macerazione, il mosto reso muto con forti dosi di anidride solforosa, in modo da metterlo, poi, in fermentazione al momento opportuno, previa desolfitazione e aggiunta di lieviti selezionati. Per la vinificazione continua, è da ricordare il sistema a espulsione continua di vinaccia tipo argentino (Cremaschi) e il tino-botte automatico De Franceschi. Per la vinificazione degli spumanti, accanto al metodo classico della fermentazione in bottiglia (Champenois), si è affermato, per i vini aromatici tipo Asti, il metodo di fermentazione in autoclave (Charmat e Chaussepied) che è più rapido e semplice.
Grandi cambiamenti si sono avuti anche nella tecnica dell'elaborazione e della stabilizzazione dei vini. La tecnica della pastorizzazione, in questi ultimi decennî, ha seguito una profonda evoluzione. Infatti, mentre in un primo tempo era intesa a ottenere il solo invecchiamento artificiale del prodotto, a mezzo degli ormai superati pastorizzatori tubolari (nei quali non si potevano superare le temperature di 60-65 °C), attualmente la pastorizzazione si opera su vini già maturi, al fine di fissarli in uno stadio evolutivo ottimale, oppure sui vini giovani, da destinarsi al consumo a breve distanza di tempo dalla loro fermentazione. L'azione delle alte temperature è quindi, per gran parte, rivolta alla stabilizzazione biologica, colloidale ed enzimatica del vino. La tecnica odierna è, inoltre, orientata verso procedimenti che sfruttano le elevate temperature per tempi brevissimi, e che vanno sotto il nome di pastorizzazione-lampo (flash-pasteurisation). Diffusa è anche la pastorizzazione in bottiglia, che rappresenta il mezzo più razionale per conservare il prodotto, già limpido e pronto (specie se amabile), preservandolo dall'azione nociva dei lieviti e dei batterî. Nel 1960 si è anche realizzato l'imbottigliamento dei vini pastorizzati direttamente nei tini a una temperatura che è in funzione della gradazione alcolica del vino stesso (pastorizzazione ponderata).
La stabilizzazione chimica ad opera del freddo si realizza oggi con impianti abbinati a congegni a piastre di ricupero di frigorie in acciaio inossidabile. Circa i criterî nuovi applicati in questi ultimi anni nei dispositivi di refrigerazione, si è visto il progressivo evolversi delle apparecchiature verticali verso quelle orizzontali, allo scopo di rendere più perfetta, economica e uniforme l'azione delle basse temperature.
La richiesta del mercato di v. completamente limpidi e stabili ha portato alla ricerca di nuovi chiarificanti e stabilizzanti. Fra i prodotti ultimamente usati a questo scopo, ricordiamo il ferrocianuro di potassio, il fitato di calcio, sodio e potassio, i complessanti (come il sequestrene, l'acido rubeanico, l'acido metatartarico), tutti usati per l'eliminazione o il bloccaggio dei metalli pesanti e specialmente del ferro, che è la causa principale di molti comuni casi d'intorbidamenti e di alterazioni dei vini. Quasi tutti questi prodotti sono, però, riconosciuti ancora solo in alcuni Paesi e in via sperimentale sul piano legale, a causa delle loro possibili conseguenze igienico-sanitarie. Risulta, così, che solo taluni trattamenti fisici e chimico-fisici possono legalmente eliminare i gravi inconvenienti derivanti dalla presenza (enologicamente e quantitativamente incompatibile) di determinati metalli.
Si comprende, perciò, l'importanza che ha assunto nella tecnica enologica della stabilizzazione dei v. l'uso delle resine scambiatrici di ioni (App. II, ii, p. 684). Questa tecnica importante, in taluni Paesi entrata (sotto controllo quasi ufficiale) in scala sperimentale ma semindustriale, si rende utile per acidificare o disacidificare il vino o specialmente eliminare in parte cationi come il potassio, il calcio e il ferro, il cui eccesso pregiudica la stabilità dei vini. Praticamente possiamo considerare varie interessanti applicazioni della tecnica degli scambî ionici, corrispondenti a fasi industriali di utilità pratica, e cioè: nell'acidificazione, disacidificazione e desolfitazione dei v.; nella preparazione razionale di v. abboccati, di difficile biostabilità senza ricorrere all'uso di antifermentativi; nella preparazione di masse di v. comune rese così stabili senza ulteriori trattamenti; nella desolfitazione dei mosti muti da impiegarsi nella rifermentazione; nei trattamenti di mosto di uva per preparare concentrati di zuccheri d'uva neutri integrali (Garoglio), nell'intento di proporli come unico correttivo zuccherino di mosti o di v. in sostituzione del saccarosio.
Nella tecnica della preparazione di v. destinati ad essere venduti giovani, la filtrazione può essere eseguita dopo la refrigerazione e la pastorizzazione, ma è indispensabile avvenga come ultimo trattamento prima dell'imbottigliamento. I filtri (che, com'è noto, si dividono in filtri sgrossatori, filtri brillantatori e filtri sterilizzatori o ultrafiltri), si avvalgono spesso dell'uso della farina fossile e di altri coadiuvanti della filtrazione. La nuova tendenza è rivolta alla costruzione di filtri che possano essere usati sia come sgrossatori sia come brillantatori, variando la quantità e la qualità del coadiuvante, oppure sostituendo ai supporti filtranti e ai coadiuvanti piastre brillantatrici di diversi tipi.
Infatti, sono stati quasi del tutto abbandonati i tipi a sacco (olandesi e simili), mentre si impiegano quasi esclusivamente i filtri-pressa e quelli autolavatori. Per filtri sterilizzatori s'intendono quegli apparecchi che usano per mezzo filtrante piastre a porosità talmente fitta, da arrestare lieviti, microrganismi, ecc. Importante, dunque, è dare ai v. una minima ma sufficiente stabilità biologica; oltre ai mezzi finora descritti, si è invocato, specialmente nel caso dei v. venduti sfusi ed abboccati, l'uso di sostanze conservanti (oltre l'anidride solforosa, che ha un'azione molto limitata). Circa l'azione dei veri e proprî antisettici bisogna dire che il problema è della massima delicatezza, in quanto riguarda soprattutto lo studio dell'azione di accumulo sull'organismo, perché si tratta di usarli nel v., prodotto alimentare di consumo giornaliero. In ogni modo ricordiamo che i più adatti allo scopo sembrano essere l'acido paraossibenzoico e i suoi esteri (specie l'etilico, il propilico, il butilico), l'acido paraclorobenzoico, l'acido sorbico (già permesso in alcune nazioni), e alcuni antibiotici labili, con azione lievitostatica specifica, come la micostatina.
Circa, infine, la scelta del materiale da usare in cantina (minuterie, tubazioni, recipienti varî) si va sempre più estendendo l'impiego dell'acciaio inossidabile o delle materie plastiche sintetiche (politene); si attendono anche le prime applicazioni delle nuove resine tipo Moplen.
Naturalmente, col progredire della tecnica enologica, e col diffondersi di nuove sostanze aggiunte ai v. per la loro chiarificazione e stabilizzazione, nuovi metodi di analisi sono stati introdotti per avere un sicuro controllo della genuinità del prodotto. Nel 1958 sono usciti in Italia i nuovi Metodi ufficiali di analisi per i mosti, i vini e gli aceti. Fra questi sono compresi numerosi nuovi metodi di analisi, messi a punto in questi ultimi tempi, fra i quali interessanti per lo sviluppo preso nell'unificazione dei metodi di analisi (unificazione studiata a Parigi da una speciale e permanente sottocommissione internazionale a seguito della Convenzione internazionale per l'unificazione dei metodi di analisi ed apprezzamento dei v., conclusa a Parigi il 13 ottobre 1954) quelli che si riferiscono alla ricerca aspecifica degli antifermentativi (metodo biologico Garoglio-Stella), quelli della ricerca del saccarosio e del cotto, nonché quelli specifici dei varî costituenti secondarî dei vini.
Tutti questi metodi hanno permesso e permetteranno sempre più di avere giudizî probatorî, per stabilire i limiti dei v. genuini, importanti anche per l'unificazione delle legislazioni vitivinicole internazionali, tanto necessarie per favorire gli scambî commerciali fra i varî Paesi.
Bibl.: P.G. Garoglio, La nuova enologia, Firenze 1959; P. Jaulmes, Analyse des vins, 2ª ed., Montpellier 1953; J. Ribéreau-Gayon e E. Peynaud, Traité d'oenologie, Parigi 1960; G. Troost, Die Technologie des Weines, Stoccarda z. Z. Ludwigsburg 1953; E. Vogt, Weinchemie und Weinanalyse, Stoccarda z. Z. Ludwigsburg 1953; Metodi ufficiali di analisi per i mosti, i vini e gli aceti, Ministero dell'agricoltura e delle foreste, Roma 1958.
Produzione e commercio.
Superficie vitata, produzione di uva e di vino. - Nel decennio dal 1950 al 1959, il potenziale vitivinicolo mondiale si è incessantemente accresciuto (tab.1). Considerando i dati riferentisi a tutto il mondo, si hanno le seguenti percentuali di aumento tra la media 1948-49/ 1952-53 e la campagna 1959-60: per la superficie vitata il + 12,5%, per la produzione totale di uva il + 30,5%, per il totale dell'uva vinificata il + 25,9% e per la produzione del vino il + 29,6%. È da notare che queste forti percentuali di accrescimento dei varî elementi della vitivinicoltura mondiale non sono dovute a valori eccezionalmente elevati della campagna 1959-60, che è stata una campagna piuttosto normale. L'Europa, che è il continente eminentemente viticolo e più importante del mondo, presenta un debolissimo tasso d'accrescimento della superficie vitata (+ 1,5%), però uno di + 23,4% della produzione di uva, + 23,3% per l'uva vinificata e + 26,6% per la produzione di vino. Infatti, in varî paesi europei si procede alla lenta diminuzione della superficie vitata a causa delle frequenti crisi d'iperproduzione, in seguito al basso (o non crescente) consumo del vino. La limitazione della superficie si fa anche per impedire che la vite scivoli dai terreni di vocazione colturale, cioè quelli della collina, verso la pianura, con l'aumento dei rendimenti unitarî, ma contemporaneamente con l'abbassamento della qualità. L'elevato accrescimento della produzione di uva e del v. è dunque dovuto al forte incremento del rendimento unitario di uva per ettaro, e di v. per quintale di uva vinificata. Le estese migliorie della coltura della vite, come l'impiego di mezzi per la lotta antiparassitaria e di concimi chimici, la meccanizzazione che permette il moltiplicarsi dei trattamenti antiparassitarî, le ricerche genetiche che offrono ai viticoltori vitigni nuovi con rendimenti più regolari, hanno concorso all'aumento generale della resa.
Bisogna tener presente in via preliminare che non tutta l'uva prodotta viene anche vinificata. L'uva prodotta si suddivide in: a) uva da vino, che in gran parte viene vinificata e in minor parte consumata allo stato fresco; b) uva da tavola, che in gran parte viene consumata o esportata, e in minor parte vinificata; c) uva destinata all'essiccazione o alla produzione di succhi. Solo l'uva che effettivamente va al torchio è quella vinificata. Il confronto della produzione del v. si può quindi fare non con tutta la produzione d'uva, ma solo con l'uva effettivamente vinificata e solo riguardo ai continenti e ai paesi per i quali esistono dati statistici (o stime) per l'uva vinificata.
La posizione preminente dell'Europa nella viticoltura mondiale appare evidente dalla parte che la sua superficie vitata ha rispetto a quella del mondo e precisamente il 73,5% della superficie mondiale nella media e il 66,3% nella campagna 1959-60. Molto rilevante è anche la parte che ha la produzione europea di v. rispetto al totale mondiale: 74,3% nella media e 72,6% nella campagna 1959-60.
Il secondo continente per l'importanza della superficie vitata è l'Asia (senza la Cina continentale), che nella campagna 1959-60 figurava con 1.070.000 ha, ossia con il 10,8% rispetto alla superficie mondiale, principalmente per merito della Turchia. Anche per ciò che riguarda la produzione d'uva, l'Asia occupa il secondo posto tra i continenti, con 4.190.000 t d'uva nella campagna 1959-60, che rispetto alla produzione mondiale rappresentavano il 9,3%.
Il secondo posto (dopo l'Europa) per ciò che riguarda l'uva vinificata e la relativa produzione di v. compete all'Africa (specialmente per merito dell'Algeria) con 3.370.000 t d'uva vinificata e 2.590.000 t di v. prodotto nella campagna 1959-60. L'Africa è seguita da vicino dall'America Meridionale (per merito dell'Argentina) e dall'America Settentrionale e Centrale per merito degli S. U. A.
Il rendimento in v. dell'uva vinificata si può calcolare solo per l'Europa: nella media 1948-49/1952-53 si hanno 66 litri di v. per quintale di uva vinificata e 68 litri per la campagna 1959-60. Questi dati confermano i dati analoghi calcolati per l'Italia dal 1950 al 1960.
Passando al breve esame della posizione vitivinicola dei singoli paesi, Italia e Francia sono i due maggiori produttori del mondo e competitori per il primato mondiale. Negli ultimi quattro anni il primo posto nella vitivinicoltura mondiale non compete più alla Francia, bensì all'Italia. Infatti la superficie vitata di quest'ultima nella media 1948-49/1952-53 ha superato quella della Francia di ben 171.000 ha, mantenendosi a livelli più elevati anche nelle ultime quattro campagne 1956-57 a 1959-60. La produzione di uva e quella del v. della Francia hanno superato le corrispondenti dell'Italia solo nella media 1948-52, mentre nelle ultime quattro campagne di cui sopra esse erano rimaste al di sotto di quelle italiane. Solo se ai dati della Francia continentale per l'uva e il v. si aggiungono quelli corrispondenti dell'Algeria, la Francia supera l'Italia, tranne che per la campagna 1958-59
In Italia, negli ultimi dieci anni (1950-59), la superficie a coltivazione specializzata è aumentata del 12,3%, passando da 1.010.000 ha nel 1950 a1.134.000 ha nel 1959, mentre quella a coltivazione promiscua è diminuita del 9%, passando da 724.000 ha a 659.000 ha (ragguagliata alla superficie a coltivazione specializzata). In complesso le due categorie di superfici presentano un aumento del 3,4% tra il 1950 e il 1959, passando da 1.734.000 ha nel primo a 1.793.000 ha nel secondo estremo del detto periodo. La media decennale della superficie totale vitata dell'Italia risulta di 1.765.000 ha. Nello stesso periodo, la superficie totale (per uva da v. e da tavola) in Francia è oscillata di poco attorno alla media decennale che risulta di 1.489.000 ha, passando da 1.517.000 ha nel 1950 a 1.464.000 ha nel 1959, con una diminuzione del 3,5%.
Per ciò che riguarda la Francia, è da tener presente che la sua viticoltura è severamente controllata dalle autorità, in base a un catasto viticolo assai particolareggiato esteso a 25.000 comuni, con 1.500.000 aziende e circa 6.000.000 di parcelle e a due principî basilari: a) la qualità del prodotto deve essere salvata a ogni costo e se possibile migliorata; b) la superficie vitata non deve aumentare. Viene pertanto condotta una serrata campagna per l'estirpazione degli ibridi produttori diretti e dei vitigni che occupano aree in pianura. Con riguardo alla superficie vitata, il terzo posto nella graduatoria mondiale spetta alla Spagna con 1.595.000 ha nella media 1948-52 e 1.694.000 ha nella campagna 1959-60. In Spagna la viticoltura è particolarmente importante, occupando quasi il 10% della superficie totale coltivata del paese, essendo pertanto una coltura d'interesse nazionale. La relativa siccità del paese rende indispensabile questa coltura non facilmente sostituibile. Solo il grano esercita una certa pressione sulla vite. Le distruzioni della vite durante la guerra civile sono state completamente eliminate solo dopo 10 anni, e ora la superficie vitata supera quella del 1935 (prima della guerra civile). Per ciò che riguarda la produzione di uva, nella media, la Spagna è stata superata dagli S. U. A. con 2.701.000 t, contro 2.540.000 t della Spagna e, nella campagna 1959-60, il terzo posto competeva alla Turchia seguita dagli S. U. A. e solo dopo questi due seguiva la Spagna. In quanto alla produzione di v., il terzo posto è tenuto dalla Spagna, eccetto per la campagna 1959-60, quando questo paese venne superato dall'Algeria con 1.860.000 t di v., contro 1.728.000 t della Spagna. Per le campagne 1958-59 e 1959-60, l'URSS occupa il quarto posto. In questo paese la superficie vitata e il rendimento unitario sono in continuo aumento. Questo rapido sviluppo porta con sé nuovi problemi agrotecnici, in relazione alla varietà delle regioni viticole: basta pensare che l'80% della superficie vitata a vitigni euroasiatici ha bisogno di protezione invernale mediante il sotterramento dei ceppi e dei tralci. Inoltre, il fatto che il paese intende spingere al massimo la meccanizmzione della viticoltura per risparmiare manodopera e abbassare i costi di produzione, pur mantenendo la buona qualità del prodotto, crea problemi viticoli e enologici particolari da risolvere. L'URSS produce numerosi v. pregiati aventi nomi e caratteristiche ufficialmente protetti, originarî per lo più della Crimea. In dieci repubbliche sovietiche esistono stabilimenti per la fabbricazione dello champagne sovietico e degli spumanti. In connessione con la viticoltura sovietica è degno di rilievo il fervore d'iniziative in questo campo di tutto il blocco formato dall'URSS e dagli altri paesi vinicoli dell'Europa orientale: Albania, Ungheria, Romania e Cecoslovacchia. Questo gruppo di paesi, che nel 1958 disponeva congiuntamente di una superficie vitata di 1.403.000 ha, nel 1965 dovrebbe raggiungere il traguardo di 2.606.000 ha così da superare largamente l'insieme della superficie vitata della Francia e dell'Algeria. È prevista anche una specializzazione della viticoltura dei singoli paesi a seconda dei prodotti vinicoli più convenienti.
La Turchia, che unisce il continente asiatico all'Europa meridionale, situata fra i 360 e 420 di lat. N, col suo clima caldo, poco temperato, esercita da tempo immemorabile la coltura della vite specialmente lungo le coste del Mar di Marmara, dell'Egeo e del Mediterraneo (al sud), particolarmente adatte alla produzione di uva di ogni tipo. La regione vinicola dell'Egeo, con prevalente clima mediterraneo (estate calda e inverno dolce), assenza di piogge durante l'estate e i primi mesi autunnali), è per natura destinata alla produzione dell'uva secca di tipo Sultanina la cui essicazione di può effettuare al sole. Le provincie più importanti di questa regione sono Izmir e Manisa, dove si raccolgono annualmente da 350.000 t a 400.000 t di uva secca di tipo Sultanina. Le specialità della regione viticola mediterranea sono l'uva da tavola precoce e l'uva da succhi e secca, giacché la Turchia vinifica una minima parte dell'uva prodotta (circa il 2%).
In Algeria, all'arrivo dei Francesi (1830) la superficie vitata era appena di 2.000 ha, di 5.000 ha dopo trent'anni. Nel 1900 si arriva a 150.000 ha, a 222.000 nel 1928, a un massimo relativo di 400.000 ha nel 1935 e al massimo assoluto di 407.000 ha nel 1951. In seguito, la superficie vitata ha subìto una lenta diminuzione per attestarsi sui 367.000 ha nel 1959. Della superficie totale vitata generalmente più della metà appartiene alla regione di Orano, seguita dalla regione di Algeri e da quella di Costantina. Il consumo del v. è limitatissimo in seguito alla proibizione religiosa per i musulmani, e il 90% circa del v. prodotto viene spedito in Francia.
Un importante paese viticolo favorito dal suolo e dal clima è il Portogallo, la cui superficie vitata nell'ultimo trentennio ha toccato il suo massimo di 360.000 ha nel 1949 per scendere a un minimo di 257.000 ha nel 1952 e nuovamente salire lentamente fino al 1959 (321.000 ha). La qualità dell'uva è eccellente quasi dappertutto, e i v. sono di alta gradazione alcolica e generalmente dolci; una acidità elevata è eccezionale, anzi spesso i mosti devono essere acidificati; ogni anno le autorità stabiliscono la quantità dei v. di Porto, che devono essere preparati e conservati per l'invecchiamento. Le eccedenze vengono acquistate dalla Casa do Douro, che le vende in periodi successivi secondo la politica di qualità.
Fra i paesi del trattato di Montevideo o del Mercato Comune latino-americano (Argentina, Brasile, Cile, Messico, Paraguay, Perù e Uruguay) solo due hanno un'importanza viticola: l'Argentina (soprattutto provincia di Mendoza), con una produzione di v. di 1.583.000 t nel 1959, e il Cile, con 358.000 t nel 1957. Si è deciso recentemente di studiare e unificare le legislazioni dei varî paesi in materia, e dar inizio a una viticoltura unificata e così arrivare all'eliminazione dell'importazione di v. pregiati europei. La città di Mendoza, la capitale della vitivinicoltura argentina, è da poco sede di un Istituto di viticoltura.
Produzione mondiale di vino. - I paesi grandi produttori di v. sono relativamente pochi: quattro paesi europei: la Francia, l'Italia, la Spagna e il Portogallo, poi la Iugoslavia, che solo dopo il 1950 ha preso un intenso sviluppo, e l'URSS; due paesi americani, l'Argentina e gli S. U. A., e infine l'Algeria. La produzione di v. di questi nove paesi rappresentava, nella media prebellica 1934-38, l'83,8% della produzione mondiale e, nella campagna 1959-60, l'85,3%. Tra la media prebellica e la campagna 1959-60, tra tutti i grandi produttori di v., l'Italia ha conseguito il massimo aumento assoluto di 2.812.000 t, ciò che rappresenta un aumento del 73,5%. Aumenti rilevanti, sia in valore assoluto sia in percentuali, segnalano l'Argentina con un aumento di 904.000 t (+ 133,1%) e gli S. U. A. con uno di 542.000 t (+ 107,8%). Incrementi più modesti accusano poi l'URSS (+ 34% rispetto al 1934), il Portogallo (13,1%) e l'Algeria (+ 4%), mentre la Francia e la Spagna registrano diminuzioni di − 3,8% e di − 12,6%, rispettivamente. Va notato che la produzione del v. è estremamente instabile nei varî paesi. Diminuzioni, anche sostanziali, tra una campagna e la successiva, si verificano spesso per cause climatiche avverse, che poi provocano aumenti sproporzionati di prezzi del v. con effetti negativi sul consumo, se presso i produttori e stabilimenti di ammasso non ci sono scorte sufficienti degli anni precedenti. Similmente, un aumento eccessivo della produzione del v. da un anno all'altro o, peggio, produzioni abbondanti in due o più anni di seguito, provocano crisi di sovraproduzione con l'abbassamento dei prezzi. Né la sottrazione di quantitativi di v. da parte delle autorità riesce a ristabilire il mercato, perché il consumo del v., come è ben noto, è poco elastico e non assorbe le quantità in eccedenza anche a prezzi ribassati.
La parte della produzione di v. del continente europeo (senza l'URSS), nella media prebellica, costituiva il 78,0% della produzione mondiale, mentre nella media 1948-52 essa era scesa al 74,3%. Nelle sei campagne dal 1954 al 1959 questa percentuale ha oscillato tra il 68,4% nel 1957 (anno in cui la produzione francese scese del 35,6% rispetto all'anno precedente e quella italiana oel 32%) e il 75% nel 1955. In un non lontano avvenire, nell'attuale situazione dei grandi paesi produttori di v., potrà verificarsi un cambiamento anche notevole in seguito all'aumento della produzione dell'URSS, dell'Argentina e della Turchia se quest'ultimo paese si deciderà a vinificare quantitativi di uva più notevoli.
Produzione mondiale di uva secca. - Un'industria ausiliaria molto importante per la viticoltura è costituita dall'appassimento dell'uva. Se, si considera l'intensa propaganda per la riduzione del consumo del v., poi la concorrenza della birra e di altre bevande alle quali si sta abituando la generazione giovane, i viticoltori debbono provvedere in tempo utile per presentare il loro prodotto di base (l'uva) sotto forma più accettabile, ossia in forma di uva da tavola, secca e da succo. Il primo produttore di uva secca del mondo sono gli S. U. A., che destinano più della metà della loro produzione di uva all'appassimento. Rispetto alla media 1948-52, negli anni dal 1955 al 1959 si è delineata una lieve tendenza alla diminuzione in questo paese, ma nel 1959 la produzione era di solo 6,1% inferiore alla media. Il secondo produttore del mondo è la Turchia, la quale negli anni 1955-58 ha superato notevolmente la media del 1948-52, raggiungendo un massimo di 147.000 t nel 1958 (+ 16,7%). Il terzo produttore del mondo è la Grecia, la cui produzione di uva secca (per circa il 60% uva secca di Corinto e per il resto sultanina) in certi anni arriva a rappresentare il 24% della produzione mondiale e il 35% del commercio mondiale. Nelle campagne dal 1956 al 1959 la produzione greca di uva secca è stata in pieno sviluppo e nel 1959 essa superava la media 1948-52 di ben 22,i %.
Commercio mondiale del vino. - Dal confronto del volume del commercio di esportazione con quello della produzione mondiale di vino risulta che solo all'incirca il 10% della produzione di v. si esporta pur considerando che i dati del commercio comprendono generalmente anche il vermut. Ciò significa che globalmente il 90% della produzione mondiale viene consumato all'interno dei paesi di produzione. L'esportazione mondiale di vino da 2.000.000 di t nella media prebellica 1934-38 è scesa a 1.700.000 t nella media 1948-52 (- 15,5%). Negli anni dal 1956 al 1959, l'esportazione presenta una tendenza all'aumento (+ 14,7% nel 1958 rispetto al 1954) per poi scendere a 2.500.000 t nel 1959, ancora con un aumento del 25,4% rispetto alla media prebellica.
Il massimo esportatore del mondo è l'Algeria. Le sue esportazioni sono diminuite tra la media prebellica 1934-38 (1.288.000 t) e quella del 1948-52 del 17,9%, per riprendere in seguito e raggiungere il loro massimo di 1.666.000 t nel 1955 per situarsi poi nel 1959 su 1.314.000 t con un aumento del 2% rispetto alla media prebellica. Nel periodo dal 1954 al 1959, il grosso delle esportazioni algerine è stato destinato alla Francia che ne ha assorbito dal 97,1% (1956) fino al 98,4% (1958). La maggior parte delle esportazioni algerine è costituita da v. comuni spediti in fusti. La parte dell'esportazione algerina rispetto all'esportazione mondiale supera il 65% nella media prebellica, scende a 63% nella media 1948-52 per diminuire ancora di più in seguito fino al 53% nel 1959 (con un minimo eccezionale del 45% nel 1958).
La Francia occupa il secondo posto nell'esportazione mondiale del v. se si considera l'insieme dell'esportazione del v. propriamente detto e del vino alcolizzato (vin viné). Nella media prebellica 1934-38, il primo posto competeva alla Spagna, seguita dall'Italia. Nel 1959, l'esportazione di v. francese propriamente detto, che è stata di 172.000 t (per 39,3 miliardi di franchi), era distribuita come segue: in fusti 131.000 t (15,1 miliardi), ossia il 76,3% della quantità totale e il 38,5% del valore totale; in bottiglie. 16.000 t (9,4%) per un valore di 7,4 miliardi (18,7%); spumanti, 14.000 t (8,0%) per un valorc di 13,8 miliardi (35,2%); vini da liquori, mistelle, 1.000 t (0,5%) per un valore di 0,2 miliardi (0.5%); vermut, 10.000 t (5,8%) per un valore di 2.8 miliardi (7,1%). Nel 1959, i principali paesi importatori di v. francesi sono stati: la Germania Occideritale con 50.200 t, i territorî d'oltremare (45.200 t), il Belgio-Lussemburgo (22.000 t), la Svizzera (18.800 t), il Regno Unito (15.200 t) e gli S. U. A. (11.000 t).
Il terzo posto nell'esportazione mondiale spetta all'Italia, specialmente se si considera l'andamento generale del commercio, e particolarmente dal 1956 al 1959. Nel 1958, eccezionalmente, hanno superato le esportazioni italiane sia la Spagna, sia il Portogallo, che hanno saputo approfittare di un'eccezionale diminuzione delle disponibilità francesi, inviando verso questo paese ingenti quantità di vino. La Spagna ha esportato nel 1958 verso la Francia 183.000 t di v. in più di quanto aveva esportato nel 1957; il Portogallo 53.000 t in più del 1957. Anche la Grecia si è saputa inserire nell'esportazione verso la Francia con una quantità di ben 165.000 t nel 1958, contro quantità insignificanti nell'anno precedente.
Mentre nella media prebellica 1934-38 il 4° posto apparteneva alla Spagna con 144.000 t, seguita dalla Tunisia, nella media 1948-52 il 4° posto spettava al Portogallo, seguito dalla Spagna. In prospettiva storica, l'esportazione di v. della Spagna è in diminuzione. Dopo il massimo raggiunto nel 1928 (circa 600.000. t), quando ancora la Francia importava grosse quantità di vino spagnolo da taglio, in seguito l'esportazione si è ridotta gradatamente per oscillare, negli anni 1940-50 fra 40.000 t e 80.000 t. Attualmente l'esportazione è in lenta ripresa e la media 1953-57 è salita a 133.033 t per un valore complessivo di 66.734.000 pesetas-oro. La parte preponderante dell'esportazione spagnola, nella media suddetta, è costituita dai vini comuni con 75.153 t (56,5%). seguiti da vini di Malaga e simili con 34.008 t (25,6%) e poi dai vini Jerez (Xeres) con 19.158 t (14,4%). Questi ultimi, pur essendo solo al terzo posto per la quantità, sono al primo posto per il valore, con 31.108.000 pesetas-oro (46.6% del valore totale). La Spagna ha generalmente 3 grandi clienti, la Svizzera, la Germania Occidentale (specialmente per i vini generosi dolci) e il Regno Unito (particolarmente per i vini generosi secchi, con denominazione d'origine xères).
In Portogallo, nelle esportazioni di v. (157.970 t nel 1959) prevalgono: 82.060 t di v. comuni rossi, 40.860 t di v. comuni bianchi, 23.040 t di Porto. I principali clienti del Portogallo sono stati le Province d'oltremare (103.000 t), il Regno Unito (8.600 t), la Francia (6.200 t), Belgio-Lussemburgo (6.000 t), la Svizzera (5.100 t) e la Germania Occidentale (4.600 t). Per le 23.040 t di v. di Porto esportate nel 1959, i più importanti paesi acquirenti sono stati il Regno Unito con 7.450 t, la Francia con 5.000 t, il Belgio con 2.380 t; seguono numerosi altri paesi dell'Europa occidentale.
Il primo importatore mondiale di v. è la Francia; l'importazione francese presenta la seguente evoluzione rispetto all'importazione mondiale: nella media prebellica, essa è stata del 73,0% per scendere a 67,0% nella media 1948-51; dal 1954 al 1959 essa ha oscillato tra il 57,2% (1956) e il 68,7% (1955), mentre nel 1959 essa era del 60,9%. Praticamente, la totalità dei v. importati in Francia sono vini comuni in fusti, provenienti dai suoi principali fornitori, che sono l'Algeria (con l'81,9% delle importazioni francesi nel 1959), il Marocco (8,4%) e la Tunisia (7,4%). Tra gli altri fornitori il Portogallo presenta una certa stabilità nei suoi modesti invii verso la Francia (l'1% nel 1959). L'Italia esporta quantitativi insignificanti verso questo paese.
Il secondo importatore di v. nel mondo è la Germania Occidentale, che da 200.000 t importate nel 1954 è passata a 354.000 t (+ 77%) nel 1956 e a 341.000 t (+ 70,5% rispetto al 1954). Questo paese è anche un produttore di v. di media importanza, e la sua produzione, che presenta forti oscillazioni da un anno all'altro, influisce sull'ammontare delle importazioni.
Il grosso delle importazioni tedesche, costituito da vini per la distillazione, per la fabbricazione di vermut, di spumanti e di aceto, nel 1959 ammontò a 162.000 t per un valore di 87.287.000 DM. In questo gruppo d'importazioni, l'Italia occupa il primo posto con 57.000 t, seguita dalla Francia (56.000 t), dalla Iugoslavia (18.000 t). dall'Ungheria (12.000 t), dall'Austria e da Cipro. Il secondo gruppo d'importazioni è costituito dai v. rossi (62.000 t), nel quale è ancora prevalente il contributo dell'Italia con 22.000 t, seguita dalla Francia (21.500 t) e dalla Spagna (6.000 t). È da notare che l'importazione degli spumanti va aumentando continuamente dal 1953. Nel 1959, del totale di 604.000 bottiglie di spumanti per un valore di 3.532.000 DM, 571.000 provenivano dalla Francia, 22.000 dall'URSS e 9.000 dall'Italia. È degno di rilievo anche il fatto che la Germania occidentale esporta più spumante di quanto non ne importi: nel 1959, essa ha esportato 895.000 bottiglie di spumanti per un valore di 3.840.000 DM, con destinazioni il Regno Unito (259.000 bottiglie), la Svezia (141.000 bottiglie), gli S. U. A. (139.000 bottiglie), l'Italia (35.000 bottiglie), ecc.
Il terzo paese importatore di v. è la Svizzera, le cui importazioni di 104.000 t nel 1954 sono salite nel 1958 al massimo raggiunto nel periodo 1954-59 che fu di 139.000 t (+ 33,7% rispetto al 1954), per poi ridiscendere nel 1959 a 117.000 t (+ 12,5% rispetto al 1954). Il tipo di v. maggiormente importato è il v. naturale rosso con una gradazione alcolica fino a 13° inclusi, in fusti (103.000 t nel 1959). Dei v. in bottiglia. il vermut è il più richiesto. I fornitori della Svizzera sono l'Italia (44.100 t nel 1959), la Spagna (33.400 t), la Francia (17.700 t), l'Algeria (6.080 t). il Portogallo (5.000 t), la Iugoslavia (2.600 t) e la Grecia (2.300 t).
Il quarto paese importatore del mondo è il Regno Unito, le cui importazioni diminuirono dalla media prebellica 1934-38 alla media 1948-52 (− 37,8%), ma dal 1954 in poi esse aumentarono incessantemente, passando da 55.000 t nel 1954 a 81.000 t nel 1959 (+ 47,3%). La grande massa dei v. importati nel 1959 (come anche negli anni passati) era costituita da v. in fusto (93,9% del totale importato), seguito dallo champagne e v. spumanti (3,9%) importati dalla Francia, dalla Germania Occ. e dall'Italia e, infine, dai v. tranquilli in bottiglie (2,2%), importati dalla Francia, dall'Italia, dalla Germania Occ., dal Portogallo, dalla Spagna e altri. Dal totale di 81.000 t importate nel 1959, il 31,7% venne dalla Spagna, il 24,6% dalla Francia, il 10,0% dal Portogallo, il 9,6% dall'Unione Sudafricana, il 9,5% dall'Italia e il resto di 14,6% da altri paesi tra i quali l'Australia, la Germania Occ. e Cipro. Tra i paesi medî importatori sono da annoverare il Belgio-Lussemburgo e l'Angola.
Una particolare considerazione merita l'importazione di v. negli S. U. A., che, pur non importando quantità rilevanti, costituiscono il mercato più ambito dagli esportatori di tutto il mondo per la possibilità che questi hanno in tal modo di procurarsi una valuta forte. Le importazioni degli S. U. A. sono aumentate continuamente da 13.000 t nella media prebellica 1934-38 a 37.000 t nel 1959 (+ 184%). Quest'ultima quantità è composta per l'8,8% di champagne, per il 29,6% di vermut e per il resto di 61,6% di altri vini. La parte del valore dello champagne fu del 19,6% per un valore di 7.253.052 dollari, quella del vermut del solo 26,3% per un valore di 9.717.326 dollari e quella degli altri vini del 54,1% per un valore di 20.033.747 dollari. Cinque paesi forniscono la più grande parte del vino agli S. U. A.: l'Italia con 15.500 t (41,8% del totale nel 1959), la Francia con 12.400 t (34,4%), la Germania Occ. con 3.300 t (8,8%), la Spagna con 2.300 t (6,1%) e il Portogallo con 1.200 t (3,3%). Complessivamente, questi cinque paesi hanno fornito 33.700 t, ossia il 93,4% dell'importazione totale del 1959. I rimanenti fornitori, tra i quali i più importanti sono la Iugoslavia, l'Austria, l'Ungheria e il Cile, hanno fornito insieme 2.300 t, ossia il 6,6% del totale. Sempre per l'effetto del prezzo molto elevato dello champagne, del quale la Francia ha fornito agli S. U. A. più del sestuplo dell'Italia, il valore complessivo di tutti i v. esportati dalla Erancia è stato di 16,3 milioni di dollari, contro 11,6 milioni di dollari dell'Italia.
Vitivinicoltura italiana. - Superficie e produzione della vite. - Nel decennio 1950-59 (v. tab. 3) la superficie vitata in coltivazione specializzata è passata da 1.010.000 ha nel 1950 a 1.134.000 ha nel 1959, con un aumento del 12,3%. Nel 1960 si ebbe un ulteriore lieve aumento rispetto al 1959. La produzione di uva in coltivazione specializzata passò da 4.011.000 t nel 1950 a 6.952.000 t nel 1959 (+ 73,3%) per retrocedere a 5.749.000 t nel 1960, presentando ancora un aumento del 43,3% rispetto al 1950. I rendimenti unitarî sono eccezionalmente bassi negli anni dal 1950 al 1952 come conseguenza di tre annate molto sfavorevoli. I rendimenti unitarî aumentano sostanzialmente in seguito, sia per l'andamento stagionale favorevole, sia per i miglioramenti tecnici apportati alla viticultura. Esattamente opposto è il movimento della superficie a coltivazione promiscua: dal 1951 al 1960 essa è diminuita incessantemente, ed è passata dai 2.909.000 ha nel 1951 ai 2.579.000 ha nel 1960 (- 11,4%). La produzione di uva dovuta alla superficie a coltivazione promiscua non presenta una tendenza ben definita, essendo determinata dalla diminuzione continua della superficie e dai capricci della stagione. La produzione totale di uva, sotto l'influsso di movimenti opposti delle due categorie di superfici e delle variazioni stagionali, passa quasi regolarmente da una produzione magra a una abbondante, con differenze talvolta molto rilevanti. La produzione dell'uva da tavola è aumentata di continuo nel decennio considerato, partendo da un minimo di 196.000 t nel 1950 per toccare il massimo di 554.000 t nel 1958. La seconda parte della citata tab. 3 riferisce i dati della viticoltura per regioni, nel 1960.
Utilizzazione della produzione di uva. - Le due grandi categorie in cui può essere distribuita l'uva prodotta in Italia sono: uva da v. e uva da tavola. Nella media decennale 1950-59, l'uva da v. rappresentava il 96,1% e quella da tavola il 3,9% della produzione totale di uva. L'uva da tavola ha una tendenza all'aumento e nel 1958, quando essa raggiunse il suo massimo di 554.000 t, rappresentava il 5,2% della produzione di uva. La media decennale (1950-59) dell'uva per il consumo diretto (proveniente da uva da tavola e da uva da v.) è stata di 611.000 t. Nel 1959, l'uva per il consumo diretto era di 725.000 t, e nel corso degli anni 1950-60 essa era in evidente aumento. L'uva da tavola destinata all'appassimento, che nel 1950 era di 11.000 t, ha toccato il suo massimo assoluto nel 1951 con 13.000 t per poi diminuire quasi incessantemente e attestarsi sulle 3.000 t nel 1960. L'uva passa ottenuta conseguentemente è diminuita da 4.000 t nel 1950 a 1.000 t nel 1960. La media decennale 1950-59 dell'uva vinificata è stata di 7.863.000 t, contro 8.482.000 t, media di tutta la produzione di uva, ossia solo il 92,7% di quest'ultima. È stato calcolato anche il rendimento unitario di v., ottenuto dall'uva vinificata in litri di v. per un quintale di uva: le oscillazioni da un anno all'altro (ossia per vendemmie abbondanti o magre) sono molto modeste; la media decennale (1950-59) è di 67,7 litri di v. per quintale di uva. Riguardo a questo dato, i tecnici vinicoli osservano che nelle cantine moderne si possono ottenere 75-78 e anche 80 litri di v. per quintale di uva, però di qualità alquanto modesta.
Commercio del vino. - Come è stato già detto in precedenza, l'Italia è il terzo paese esportatore di v. nel mondo. Nel decennio 1950-59, le sue esportazioni di vino e vermut sono andate aumentando incessantemente, passando da 1.072.000 hl nel 1950 fino al massimo di 1.912.000 hl raggiunto nel 1957 (+ 78,4%), per ripiegare poi leggermente nel 1959 su 1.858.000 hl, con un aumento ancora di ben 73,4% sul 1950. Secondo la composizione dell'esportazione italiana nel 1959, il grosso delle esportazioni (69,1%) era costituito da "vini d'altra specie" (ossia vini comuni). seguiti dal vermut (15,8%), dai liquorosi (2,9%), dagli spumanti (1,4%) e da mosti e vini aromatizzati (10,8%). Il valore dell'esportazione indica un'espansione più forte a causa dell'aumento relativo del vermut che ha un valore unitario superiore agli altri vini, eccetto gli spumanti. Il valore totale dei vini esportati è aumentato da 11,0 miliardi di lire nel 1950 a ben 25,5 miliardi, massimo raggiunto nel 1958, per scendere a 24,2 miliardi nel 1959 (+ 120,2% rispetto al 1950). Nel 1959, il valore di un litro di spumante esportato risultava di 259 lire. Il valore dei "vini di altra specie", che costituivano peraltro la grande massa dei v. esportati, era di 102 lire al litro. L'importazione italiana di v. è minima rispetto all'esportazione (un 3,7% nella media decennale). Tuttavia è da osservare un aumento incessante del valore totale delle importazioni, che da 0,5 miliardi di lire nel 1950 è passato a 1,2 miliardi nel 1959, ciò che è dovuto esclusivamente a importazioni di v. sempre più pregiati, come risulta dai valori unitarî, che sono passati da 8.500 lire per hl nel 1950 a 28.200 lire nel 1959. Va notato che mentre nel 1959 un litro di spumante esportato valeva 483 lire, un litro importato ne valeva. 1.287 lire e, analogamente, mentre un litro di vermut esportato valeva 259 lire, uno importato ne valeva 408 lire. I principali paesi importatori di vini italiani sono: Austria, Belgio e Lussemburgo, Canada, Francia, Germania Occidentale, Gran Bretagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Venezuela.
L'uva fresca è per l'Italia un prodotto d'esportazione della massima importanza, sia per l'ingente valore che essa rappresenta, sia perché parzialmente può ovviare alle difficoltà d'esportazione del vino. Il suo raggio di penetrazione è tutta l'Europa occidentale, i paesi scandinavi compresi. I tre più importanti clienti sono la Germania Occ., la Svizzera e l'Austria, anche per il fatto della contiguità territoriale. La Svezia e il Regno Unito pure importano notevoli quantità di uva fresca. L'importanza di questo commercio è meglio messa in evidenza mettendo a confronto (cfr. tab. 5) i valori dell'esportazione di v. con quelli dell'esportazione di uva fresca, negli anni dal 1957 al 1959. Nel 1959, la Germania Occ. ha importato uva fresca per un valore di 7,9 miliardi di lire, la Svizzera e l'Austria per o,9 miliardi ciascuna e la Svezia per 0,5 miliardi.
La produzione di uva secca in Italia è andata continuamente declinando negli ultimi anni. Così, l'Italia è debitrice dell'estero per notevoli quantità di uva passa. La quantità massima importata dall'Italia nel periodo 1957-59 è quella del 1958 con 80.100 q, per un valore complessivo di 1,6 miliardi di lire, provenienti per la più gran parte dalla Turchia e dalla Grecia.
Bibl.: FAO, Annuarî di produzione e di commercio, Roma 1959-60; id., Monthly bulletin of agricultural economics and statistics, Roma, annate 1959-1961; Office international de la vigne et du vin (OIV), Mémento de l'O.I.V., Parigi 1960; id. IX Congrès intern. de la vigne et du vin, Algeri, 8-15 ottobre 1959, vol. IV (Economie viticole); Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, Principali vitigni da vino coltivati in Italia, I, Roma 1960; Accademia italiana della vite e del vino - Siena, Atti, 1949-60; Istituto centrale di statistica, Sommario di statistiche storiche italiane 1861-1955, Roma 1958; id., Annuario statistico dell'agricoltura italiana, 1947-50, Roma 1953; id., Annuario di statistica agraria, le annate 1954-1960; id., Statistica annuale del commercio con l'estero, le annate 1950-1959; Istituto nazionale di economia agraria, Annuario dell'agricoltura ital. vol. XIII: 1959, Roma-Milano 1960; Ente autonomo fiera del vino d'Italia, Asti, Atti del II congresso nazionale dei vini di regime, Milano 1953; P. G. Garoglio, La nuova enologia, trattato di enologia applicata alla tecnologia e all'analisi del vino, Firenze 1959; I. Cosmo, Per un assestamento della nostra viticoltura, estratto dagli Atti dell'Accad. ital. della vite e del vino, vol. X, Firenze 1958; N. Breviglieri, Lineamenti per un moderno indirizzo della viticoltura in Italia, prolusione per l'inaugurazione dell'11° anno accademico (1960) dell'Accademia Italiana della vite e del vino, Siena; G. B. Cerletti, Problemi e prospettive della viticoltura in Italia, a cura dell'Unione delle camere di commercio, industria e agricoltura, Roma 1961.