VIOLANTE BEATRICE di Baviera
VIOLANTE BEATRICE di Baviera. – Nacque a Monaco di Baviera il 23 gennaio 1673 da Ferdinando Maria Wittelsbach, duca di Baviera ed elettore del Sacro Romano Impero, e dalla principessa Adelaide Enrichetta di Savoia.
Fu l’ultima di quattro fratelli, con cui rimase in affettuosa corrispondenza per tutta la vita.
Il più giovane, Clemente Gaetano Giuseppe, sarebbe diventato il futuro elettore e arcivescovo di Colonia e la primogenita Maria Anna Cristina la futura delfina di Francia. I giovani Wittelsbach erano imparentati con la Casa granducale di Toscana, essendo la loro bisnonna la regina di Francia Maria de’ Medici.
Violante si formò nel clima vivace della corte bavarese, a contatto con la cultura italiana che la madre Adelaide di Savoia aveva importato tramite l’opera di numerosi architetti, musicisti e coreografi italiani attivi a Monaco. Morta la madre quando aveva tre anni, Violante perse il padre pochi anni dopo e all’età di sei anni era orfana di entrambi i genitori. Rimase affidata alle cure della baronessa Federica Simeoni, moglie del chirurgo torinese trasferitosi alla corte di Adelaide. Una delle rare testimonianze dell’infanzia di Violante è un ritratto del pittore francese Pierre Mignard, che la ritrae, bimba di pochi mesi, mentre gioca con un cagnolino. Anche la corrispondenza della madre non si sofferma sull’infanzia di Violante tranne che per qualche accenno. A Monaco la principessa ricevette lezioni di italiano, spagnolo, francese e la sua attitudine all’apprendimento delle lingue la incoraggiò a imparare il turco dagli schiavi ottomani battezzati presenti a corte e da una schiava convertita che poi portò con sé a Firenze. A corte aveva imparato un po’ di italiano dalla governante Simeoni e dal gesuita G.L. Montonaro anch’egli giunto da Vercelli al seguito di Adelaide. Tra gli insegnamenti della formazione bavarese c’erano anche il latino e i classici oltre alle regole del cerimoniale e all’etichetta di corte. Violante fu un’appassionata musicista e suonatrice di liuto; danzava sotto la guida di maestri tedeschi e francesi e partecipava alle battute di caccia insieme ai fratelli, fiera della sua abilità di cavallerizza.
Nel 1688 fu siglato il contratto di matrimonio fra il gran principe Ferdinando de’ Medici, erede al trono di Toscana, e Violante. Le nozze erano caldeggiate da Luigi XIV, suocero della sorella della principessa. Le trattative matrimoniali si erano tuttavia protratte a lungo dopo il fallimento di un precedente tentativo con la casa di Braganza concluso, dopo un decennio di sforzi diplomatici, con un nulla di fatto sia per il rifiuto di Ferdinando di trasferirsi in Portogallo, sia per le richieste di don Pedro, che mirava ad annettere il Granducato di Toscana alla Corona portoghese nel caso in cui l’infanta e Ferdinando fossero divenuti reali del Portogallo. Nella paralisi diplomatica che seguì, papa Innocenzo XI propose a Cosimo III, tramite lettera del cardinale Alderano Cybo, di unire Ferdinando a Violante Beatrice, sorella dell’elettore di Baviera Massimiliano Emanuele. Il contesto internazionale lasciava presagire lo scoppio di una guerra fra Francia e Impero e il granduca si affrettò a concretizzare i propositi matrimoniali prendendo in considerazione l’offerta papale. La giovane Wittelsbach non aveva ancora compiuto quindici anni. Cresciuta in una corte cattolicissima e in una dinastia che, per la sua prolificità, era considerata «il serbatoio dell’Impero» – ugualmente gradita ai Borbone e agli Asburgo – Violante rappresentava il modello ideale di sposa con cui Cosimo III sperava di risollevare le sorti del Granducato e risolvere la questione della sua successione. Inoltre, la possibilità di allearsi con la Baviera, roccaforte papale negli Stati protestanti della Germania, ben si accordava con lo zelo religioso del granduca a cui le imprese di Massimiliano Emanuele, paladino della Cristianità contro i Turchi che assediavano Vienna, parvero un utile elemento di propaganda politico-religiosa sullo scacchiere internazionale.
Cosimo doveva tuttavia venire a patti con il rifiuto opposto dal figlio Ferdinando al matrimonio, dopo lo scacco portoghese. Grande animatore della scena artistica, mecenate, collezionista e appassionato musicista, Ferdinando, ormai giunto all’età di venticinque anni, mal si adattava all’idea di rinunciare alla libertà di cui godeva. Nonostante l’educazione religiosa ricevuta, il principe, molto vicino alla madre Marguerite Louise d’Orléans con cui intratteneva una corrispondenza segreta, era in netto dissenso con il padre e con lo stile morigerato e conservatore della corte fiorentina. Circondato di favoriti, non faceva mistero del suo attaccamento al cantante Giuseppe Petrillo. Solo dietro il permesso accordato dal padre di un viaggio a Venezia, Ferdinando cedette ai progetti matrimoniali di Cosimo che iniziò perciò a intavolare trattative con la corte di Monaco, ottenuta anche l’approvazione di Francia e Impero alle nozze.
Da più di cinquant’anni tra il Granducato di Toscana e la Baviera pendeva una importante vertenza finanziaria. Nel 1634 il granduca Ferdinando II de’ Medici aveva investito una forte somma, 300.000 ungheri d’oro per conto dell’elettore Massimiliano nel Monte di Pietà di Firenze, fallito nel 1645. Sostenendo di aver agito in buona fede, Ferdinando si era rifiutato di rimborsare l’elettore. Dopo un lungo braccio di ferro, si trovò una soluzione all’annosa controversia e Massimiliano Emanuele ottenne la restituzione della somma tramite l’accreditamento nel conteggio della dote della sposa. Appianando le differenze e negoziando un’intesa sull’appannaggio e il vedovile di Violante, le due parti conclusero gli accordi matrimoniali. Tramite la mediazione della sorella, l’elettore mirava anche a rafforzare i rapporti con il Vaticano e ad assicurarsi per il futuro il controllo dei benefici ecclesiastici nelle terre tedesche. Nell’«Instrumento de patti dotali firmati in Monaco li 24 maggio 1688» la dote della principessa era fissata in 100.000 talleri in contanti e in uguale valore in gioielli. Sempre in gioielli il granduca s’impegnò ad aggiungere un dono di 50.000 ungheri, uniformandosi a quanto versato dalla corte di Francia per il matrimonio di Maria Anna Cristina di Baviera con il delfino Luigi nel 1680. L’appannaggio annuo che la corte toscana doveva passare alla principessa Violante era di 20.000 ungheri, compresi i frutti dotali. In caso di morte del principe Ferdinando, il granduca avrebbe restituito alla vedova 200.000 talleri, se Violante avesse rinunciato ai gioielli della dote; 100.000 se preferiva tenerli. Se invece Violante avesse deciso di rimanere a Firenze, il granduca s’impegnava a versarle gli interessi del 5% sulla dote più l’appannaggio annuo di 20.000 ungheri.
La scelta delle nozze con la giovane Wittelsbach aveva soddisfatto anche le élites del Granducato. Il suo lignaggio avrebbe reinserito i Medici nel contesto internazionale da cui erano stati emarginati dopo il fallimento del matrimonio di Cosimo III, l’abbandono di Marguerite Louise d’Orléans e il suo rientro in Francia. Il granduca designò i senatori Alessandro Segni, cronista ufficiale delle nozze, Roberto Pandolfini, Carlo Ginori e Filippo da Verrazzano per preparare il cerimoniale di accoglienza della sposa a Firenze.
Il 20 novembre 1688 si celebrò a Monaco il matrimonio per procura, alla presenza dei quattro gentiluomini fiorentini inviati dal granduca. Il 25 novembre Violante lasciò la sua città, giungendo in Toscana dopo un viaggio durato circa un mese. A San Piero a Sieve, in Mugello, incontrò il marito. Ferdinando l’accolse senza entusiasmo, a differenza di Cosimo III che le tributò un’accoglienza sontuosa. La mattina del 9 gennaio 1689 ebbe luogo l’ingresso ufficiale a Firenze della futura granduchessa di Toscana. In una giornata di freddo glaciale, i fiorentini videro sfilare il corteo per le vie della città dopo la sua incoronazione, avvenuta alla porta S. Gallo entro un ‘teatro’ appositamente costruito su disegno dell’architetto granducale Giovan Battista Foggini. In S. Maria del Fiore ebbe poi luogo la cerimonia religiosa. Il matrimonio fra Ferdinando e Violante fu festeggiato anche con uno spettacolo scritto e messo in scena per l’occasione il 29 gennaio al teatro della Pergola, completamente rinnovato per volere del gran principe.
Il matrimonio con Violante non cambiò sostanzialmente la vita di Ferdinando i cui interessi artistici e musicali si distribuivano fra le residenze di Poggio a Caiano, Pratolino, la villa dell’Imperiale e l’amata città di Livorno. Le occasioni comuni con la moglie erano rare, anche se la condivisa passione per il teatro e la musica creò ben presto non solo un legame intellettuale solido fra i due sposi, ma anche una collaborazione nel sistema spettacolare di corte e nella mercatura teatrale dove Violante assunse soprattutto la funzione di protettrice di artiste e cantanti. Non sono molte le tracce lasciate dalla sua committenza artistica durante la vita matrimoniale. Più interessata all’artigianato e alle arti minori che alla pittura, la principessa esercitò una funzione più attiva solo dopo la morte del marito, quando alla sua corte affluiranno artisti e giovani talenti di area toscana.
L’inserimento della principessa Wittelsbach nella corte fiorentina avvenne in un sostanziale isolamento dal personale che avrebbe desiderato portare con sé dalla Baviera. Dopo un lungo braccio di ferro, le venne concessa una schiava turca e una fanciulla da camera tedesca, ma non un medico personale, né un cuoco o un confessore. Il ricordo dei numerosi cortigiani francesi che avevano compromesso l’adattamento di Marguerite Louise d’Orléans alla corte fiorentina era ancora vivo e, per volere di Cosimo, Violante fu affidata a gentiluomini e dame provenienti dall’aristocrazia fiorentina e senese, fra cui il maestro di camera, marchese Piero Capponi, redattore del diario di etichetta della giovane sposa, la maestra di camera Vittoria Bichi Piccolomini e il conte Jacopo Guidi, primo segretario alla corte fiorentina e poi in quella senese. La piccola corte fiorentina della principessa, ristretta a una decina di dame e gentiluomini di camera stanziali e servita da personale che risiedeva in città, era inglobata al primo piano di palazzo Pitti e faceva dunque parte della household principesca. I carteggi di Violante rivelano che funzionò da luogo di aggregazione di nobili di ambo i sessi che aspiravano a esservi accettati come paggi e dame. Una fitta corrispondenza segnala l’ammissione dei giovani dell’aristocrazia non solo fiorentina e toscana, ma delle città dello Stato pontificio, delle corti padane e dell’entroterra veneziano.
Generalmente, all’entrata a corte seguiva, al termine del servizio, il matrimonio con esponenti delle élites fiorentine e degli Stati del Centro-Nord della penisola. Le nozze, predisposte da Violante attraverso attenti sondaggi con la parentela dei candidati, miravano a smussare situazioni difficili, a scoraggiare ambizioni eccessive, a premiare con una ‘dote di corte’ la formazione di una coppia altolocata, ma priva di risorse. In rari casi, la principessa elargiva un ufficio modesto per avviare una giovane coppia a un futuro onorevole.
Come era usanza nelle accademie letterarie, Violante attribuì nomi di fantasia alle sue dame che conosciamo grazie ai componimenti poetici di Marco Antonio Mozzi, Sonetti sopra i nomi dati ad alcune Dame Fiorentine della Ser. Principessa Violante. Nelle sue stanze a palazzo Pitti insieme alle dame di corte metteva in scena e recitava commedie, a volte composte da lei stessa, e balli ‘figurati’ di cui s’improvvisava coreografa. Amava l’improvvisazione poetica e si fece protettrice di personaggi come il senese Bernardino Perfetti e Domenica Mazzetti, una contadina analfabeta di Legnaia, nota come ‘la villanella’, che animava gli intrattenimenti musicali e poetici a palazzo Pitti e nella villa di Lappeggi. Violante apprezzava in particolare Perfetti e nel 1725 ne promosse il riconoscimento presso papa Clemente XI come poeta laureato in Campidoglio. Il legame della corte di Violante con la socialità accademica e la società aristocratica era incrementato dalla sua partecipazione alle Accademie femminili del Cimento (Livorno), delle Assicurate (Siena) e dell’Arcadia (Roma).
Deludendo le aspettative del suocero granduca, che sperava così di risolvere l’impellente questione della sua successione, dall’unione di Violante e Ferdinando non nacquero figli. Dopo un periodo di drammatico declino dovuto alla sifilide contratta in un viaggio a Venezia nel 1696, il principe morì il 30 ottobre 1713. Lontana ormai da anni dalla corte bavarese, dove forse non si sarebbe trovata a proprio agio, Violante rimase a Firenze ritirandosi per qualche tempo nel monastero delle carmelitane scalze di S. Teresa.
Nel 1716 rientrò a Firenze Anna Maria Luisa, figlia prediletta del granduca e vedova dell’elettore palatino Giovanni Carlo Guglielmo I. Forse per evitare la compresenza a corte delle due cognate vedove, nel 1717 Cosimo III nominò Violante governatrice di Siena. Il suo insediamento nell’aprile di quell’anno come governatrice della città e Stato di Siena avvenne in un contesto complesso, in cui diversi attori sociali rivendicavano uno spazio e un ruolo di prestigio: la governatrice nei confronti del suocero granduca e dei poteri locali, l’aristocrazia cittadina, che sperava di stabilire un rapporto duraturo con la principessa e di risollevare il decoro della città anche a livello internazionale, e infine i ceti popolari che videro aprirsi nuovi spazi di visibilità. Le celebrazioni in onore di Violante sono descritte in un numero consistente di relazioni inedite e a stampa, che sottolineano per la prima volta l’immissione del ceto popolare delle contrade nella cerimonia. In questa attiva partecipazione al cerimoniale, le contrade ebbero un importante momento di legittimazione.
Assunta la nuova carica, Violante organizzò la sua corte composta di circa novantasei servitori, alloggiata nel palazzo del governatore di Siena, dove andò a risiedere. Il suo carteggio mette in luce il ventaglio delle sue competenze, prima di tutto, nella conferma e nell’approvazione dei candidati alle cariche da ricoprire: le cattedre vacanti dello Studio, il provveditore del Monte dei Paschi, il rettore dell’ospedale di S. Maria della Scala, i giusdicenti delle comunità dello Stato, i medici condotti, i cerusici, i maestri, i predicatori e cappellani, oltre alla concessione della grazia ai condannati. La nomina diretta le spettava solo per le cariche ad interim, in attesa della conferma definitiva di competenza del granduca. Scambi di lettere e doni di reliquie punteggiano i rapporti di Violante con le alte gerarchie ecclesiastiche e con le badesse dei monasteri. La governatrice seguì con attenzione la monacazione di serve, pupille, figlie delle dame e delle gentildonne del suo seguito. A Siena e nel suo Stato esercitò un’azione capillare di controllo e disciplinamento dei costumi. Decoro personale, funzione politica e pratica di governo furono strettamente connessi. L’accento è posto sulla continuità degli ordinamenti del passato, nel rispetto per la sobrietà repubblicana e gli usi locali. Eppure, con il passare degli anni e il progressivo allontanamento della governatrice dalla città a cui preferiva la villa di Lappeggi (centro di spettacoli e commedie) e i soggiorni romani, la tensione con le magistrature senesi e la Consulta – la cui convocazione diventò sempre più irregolare – emerge con forza dalle carte. Il governatorato di Violante fu una delusione per il ceto dirigente locale, che lamentò soprattutto la lontananza della governatrice dalla città. Tuttavia, due provvedimenti approvati durante il suo governo sono ancora oggi in vigore e consegnano una memoria positiva della principessa: il Regolamento del Palio (1721) che stabiliva le regole dello svolgimento della corsa e il numero di contrade – non più di dieci – che potevano parteciparvi e il Bando sui confini delle contrade (1730) che assegnava un territorio definito a ognuna delle diciassette contrade, impedendo che se ne potessero costituire di nuove.
Violante non nascondeva la speranza di una successione bavarese sul trono toscano e, forse proprio questo progetto fu alla base della sua decisione di restare in Toscana dopo la morte di Ferdinando. Ne sono spia le molte lettere scritte al fratello Massimiliano Emanuele e il sostegno ai tre nipoti presso le gerarchie vaticane. Trascorse a Roma il giubileo del 1725 alloggiata a palazzo Madama, che trasformò in centro di socialità artistica e mondana. Papa Benedetto XIII le riservò un trattamento di assoluto riguardo, invitandola all’interno della basilica di S. Pietro per tutta la durata del Concilio Vaticano e offrendole in dono la rosa d’oro, un simbolo destinato a re e regine per premiare le virtù e il sostegno offerto alla Chiesa di Roma. Nel 1727 presenziò a Viterbo alla consacrazione del nipote Clemente Augusto, fatto vescovo da Benedetto XIII.
Dopo un’infezione ai bronchi durata per qualche mese, il 30 maggio 1731 Violante morì a Firenze per «malattia polmonare». Secondo le disposizioni testamentarie, il cerusico Munich estrasse il cuore dal cadavere. Imbalsamato, fu sepolto nella cappella di S. Lorenzo «a pié del sepolcro del Serenissimo Principe Ferdinando». Con una cerimonia semplice e sobria, il corpo fu sepolto nel monastero di S. Teresa in Borgo la Croce.
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