CALAMELLI, Virgilio (detto Virgiliotto, alias Merchadett)
Figlio di un figulo, Giovanni da Calamello (castello della Val d'Amone nella signoria di Faenza), appare la prima volta quale testimonio in un atto notarile dell'ottobre del 1531 (Grigioni, 1934, p. 50). Già privo di padre, abitava nella cappella di S. Vitale, il quartiere più noto degli orciaioli faentini. Dal 1535 al 1540 il C. strinse società per l'arte vasaria con il cognato Pier Agostino Valladori: i due soci, oltre che a Faenza, avevano depositi di merce a Bologna e a Ferrara (Grigioni, 1934, p. 51). Nell'ottobre del 1540, per la fiera dell'Assunzione, insieme con Sebastiano Gulmanelli e in rappresentanza dei figuli faentini vendentes vasa fictilia in Bologna, il C. si impegnava a pagare l'obbedienza pretesa dalla Società dei fabbri (Sighinolfi, p. 80, senza indicazione del doc.). Con decreto del 24 sett. 1546 il Senato bolognese, desiderando attirare figuli faentini per introdurre l'arte a Bologna, gli concedeva la cittadinanza, in considerazione della particolare e riconosciuta perizia "in fingendis sive formandis conficiendisque fictilibus vasis nuncupatis de Maiolica" di diverso colore e forma "et pulcherrime compositis cum albedine quadam miro artificio superfusa quam ornatissimis", esentandolo dal pagamento delle gabelle delle poste e dei mulini (Sighinolfi, p. 81). L'anno 1555 troviamo il C. in società con Antonio di Fenzolo Laganini (Grigioni, 1934, p. 89), società che si sciolse nel dicembre del 1556; gli inventari delle botteghe di Faenza site nelle cappelle di S. Tommaso e di S. Sebastiano, redatti nell'occasione, oltre che registrare le attrezzature e molto lavoro in corso ed a finito, rivelano l'esistenza di depositi di merce a Lugo, a Ferrara, a Ravenna e a Rimini, e commissioni di servizi da tavola per monsignor Alberico degli Alberici di Bologna e don Luigi d'Este di Ferrara (Ballardini, 1918, pp. 37-39; Grigioini, 1934, pp. 143-151).
Sposato a Elisabetta di Baldassare Dalle Palle - altra grande famiglia di vasai con membri della quale, come peraltro con quelli di numerose altre in Faenza, manteneva rapporti d'affari - il C. ebbe due figli: Gian Battista Baldassare Marco, battezzato il 9 ott. 1550, che ritroviamo censito nel catasto del 1575, e Baldassare alias Domenico, battezzato il 3 dic. 1552 (Grigioni, 1934, p. 88 s.). Come era uso, il C. accolse nella sua casa e nella bottega anche un trovatello del locale brefotrofio, ma senza fortuna. Con quel benefico istituto conduceva rapporti d'affari: era forse già infermo quando la moglie Elisabetta, l'anno 1566, fece acquisto di legna per le fornaci a mezzo di don Pino Bettisi che, il C. ancora vivente, ne affittò poi la bottega e la condusse insieme con la sua. Lo rivela la sigla di Virgiliotto su di un piatto datato 1575, cinque anni dopo la scomparsa del maestro, che morì prima del 26 ott. 1570.
Il cavalier Cipriano Piccolpasso di Casteldurante ricorda con meraviglia di aver veduto nella bottega del C. in Faenza un raro color rosso "bello quanto un cinabro" e ne dà la ricetta. Il Demmin segnala un piatto, nella collezione Fould, con la raffigurazione di Apolloe Marsia, dipinto da un Nicolò da Fano nella bottega di Virgiliotto.
Il C. appartiene al gruppo dei maestri faentini, quali i Pirotti, il Mezzarisa, i Dalle Palle, gli Utili, i Corona, i Manara, il Bettisi, i Dal Pane, il Gulmanelli, ecc., che, intorno alla metà del sec. XVI, attuarono la rivoluzione detta dei "bianchi". Abbandonarono cioè, del tutto o in parte, gli ornati astratti o figurati "a storie" ricchi di policromia e sovente tracciati su smalti colorati, per una nuova maniera che consisteva nel rafforzare e rendere più coprente e vellutato lo smalto bianco, lasciato in gran parte scoperto a valorizzare la forma del recipiente, spesso modellata, o del pezzo plastico; la decorazione ridotta a una figuretta o a uno stemma, talvolta accompagnati da una lieve coroncina all'orlo, e tracciati in modo sommario e vibrante che ricorda la pittura "compendiaria", della tarda romanità, nei soli colori turchino, giallo, arancione. Tale rapida maniera di lavoro ebbe grande fortuna e si diffuse non soltanto nelle botteghe di Faenza, dove ebbe vita per tutta la seconda metà del sec. XVI e lungo l'intero XVII, ma anche in altre regioni d'Italia e oltr'Alpe, in Francia, Svizzera, Baviera, Austria, Ungheria, Europa centrale, Olanda, contribuendo alla diffusione della fama della città, il cui nome venne adottato ad indicare il genere di prodotto (Faenza = faïence)anche quando non eseguito nelle botteghe faentine.
Le opere uscite dalla bottega del C., decorate o no, sono contrassegnate spesso dalla sigla VR AF, tracciata in turchino o in giallo, che troviamo tanto su pezzi dipinti alla vecchia maniera (come una fruttiera abborchiata con la raffigurazione di S. Francesco che riceve le stigmate nella collezione Dutuit al Petit Palais diParigi, il grande piatto con Marco Curzio che si getta nella voragine, già nel Kunstgewerbemuseum di Berlino, il grande piatto con l'Allegoria della chiesa trionfante al Victoria and Albert Museum di Londra) quanto, e più di frequente, su pezzi "bianchi" e con decorazione "compendiaria" (come i grandi piatti con Mosèche fa scaturire le acque al Museo estense di Modena, al Museo ceramico di Sèvres e in una collezione privata di Firenze).
Oltre che nei musei citati, una cinquantina di opere siglate del C. e della bottega possono vedersi al Museo internazionale delle ceramiche di Faenza, al Landesmuseum di Innsbruck, al Museo delle arti decorative di Budapest e in molte collezioni private.
Fonti e Bibl.: C. Grigioni, Documenti… I C. maiolicari…, in Faenza, XXII(1934), pp. 50-54, 88-90, 143-153; C. Piccolpasso, Itre libri dell'arte del vasaio [1555-56], Roma 1857, pp. 48 s.; A. Demmin, Guide de l'amateur de faïences et porcelaines…, Paris 1863, p. 220; A. Darcel, Notice des faïences peintes italiennes…, Paris 1864, p. 65; H. Delange, Recueil de faiences ital. des XV, XVI et XVII siècles, Paris 1869, pp. 6, 9 tav. 89; A. Jacquemart, Histoire de la céramique…, Paris 1873, p. 297; E. Delange, Appendice al Passeri. Istoria delle pitture in maiolica…, Pesaro 1879, I, p. 270; C. Malagola, Memorie stor. sulle maioliche di Faenza, Bologna 1880, pp. 145-147, 232 s., 281, 299, 507; F. Argnani, Ilrinascimento delle ceramiche maiolicate in Faenza, Faenza 1898, I, pp. 235, 273; Collection Auguste Dutuit. Majoliques italiennes…, Paris 1889, p. 6, tav. XII; G. Ballardini, Note intorno ai pittori di faenze della seconda metà del Cinquecento, in Rass. d'arte, n.s., III (1916), I, pp. 63-72; L. Sighinolfi, Per la storia dell'arte ceramica, in Faenza, IV, (1916), pp. 80 s.; G. Ballardini, Note su Virgiliotto da Faenza, ibid., VI(1918), pp. 34-40; Id., Sopra Virgiliotto e "Don Pino" Bettisi e le loro marche di fabbrica, ibid., XIV(1926), pp. 40-42; G. Liverani, A Cesare quel che è di Cesare. Ancora a proposito di Maestro Virgiliotto, ibid., pp.69-72; G. Ballardini, Alcuni aspetti della maiolica faentina nella seconda metà del Cinquecento, ibid., XVII(1929), pp. 86 ss., Id., Le ceramiche di Faenza, Roma 1933, tavv. 15-16; B. Rackhani, Victoria and Albert Museum, Guide to Italian maiolica, London 1933, pp. 34-36; L. Zauli Naldi, Plastiche maiolicate faentine…, in Faenza, XXIV(1936), pp. 75 ss., tav. XV; C. Grigioni, La bottega del vasaio del bel tempo, Faenza 1937, pp. 7, 12 s., 19, 29-31, 36 s.; G. Ballardini, La maiolica italiana, Firenze 1938, pp. 54, 63; G. Gennari, Due maioliche faentine del tipo dei "bianchi" e di stile "compendiario" tardo, in Faenza, XXVI(1938), pp. 128 ss., tav. XXVI; A. Minghetti, Ceramisti, Milano 1939, p. 93 (con bibl.); B. Rackham, Victoria and Albert Museum Catalogue of Italian maiolica, London 1940, I, pp. 312, 345, 355; II, figg. 150, 165; G. Gennari, Un piatto di casa Pirota e una fruttiera dell'officina di Virgiliotto C. in una raccolta privata…, in Faenza, XXIX(1941), p. 58, tav. XVI; G. Liverani, La suppellettile in maiolica di una antica casa ital., ibid., XXX(1942), p. 21, tav. IX; J. Chompret, Repertoire de la majolique italienne, Paris 1949, I, pp. 84 s., 87; II, figg. 573-575, 597; G. Cora, Cavalli e maioliche italiane, in Faenza, XXXVII(1951), p. 31; L. Zauli Naldi, Un secolo di plastiche compendiarie faentine, ibid., pp.67 ss.; G. Ballardini, Intorno ad un aspettodello"stile compendiario" della maiolica faentina, in Beitrage für G. Schwarzenski, Berlin-Chicago, s.d. (ma 1957), pp. 175, 180; G. Morazzoni, Tre pezzi eccez. di maiolica faentina, in Faenza, XXXVIII(1952), p. 131, tavv. XXXIX-XLII; G. Gennari, Virgiliotto C. e la sua bottega, in Faenza, XLII (1956), pp. 57-60; G. Liverani, La maiolica ital. sino alla comparsa della porcellana europea, Milano 1957, p. 46; J. Vydrova, Italien. Majolika in tschechoslovakis Sammlungen, Praha 1960, p. 24; B. Krisztinkovich, Su di uno stemma Este-Ungheria, in Faenza, XLVII(1961), p. 21; J. Giacomotti, La maiolique de la Renaissance, Paris 1961, pp. 86, 143; M. Bellini-G. Conti, Maioliche ital. del Rinascimento, Milano 1964, p. 85 (testo e illustr. del contrassegno); G. Liverani, Un principio di industrializzazione nel Cinquecento…, in Rass. della istruz. artistica, genn.-marzo 1967, p. 37.