GUIDI, Virgilio
Nacque a Roma il 4 apr. 1891, primo di nove figli, da Guido Costantino e da Caterina Rischia. La sua inclinazione artistica si sviluppò già nell'ambito familiare a contatto con il padre, scultore e poeta, e il nonno, architetto e decoratore. Nel 1904 si iscrisse all'istituto tecnico dedicandosi con particolare passione al disegno e alla geometria, mentre di sera frequentava la Scuola libera di pittura. Nel 1907, abbandonato l'istituto tecnico, andò a bottega dal restauratore e decoratore G. Capranesi, ricoprendovi incarichi di responsabilità e decorando importanti palazzi romani. Vi lavorò fino al 1911, anno in cui si iscrisse all'Accademia di belle arti, seguendo il corso di pittura tenuto da G.A. Sartorio.
I rapporti con il maestro furono da subito assai tesi, per motivi di scelte estetiche e stilistiche, tanto che dopo soli due anni il G. abbandonò anche l'Accademia. In questo periodo egli si dedicò allo studio dei maestri del passato: fra gli altri, Giotto, Piero Della Francesca, il Correggio, J.-B.-S. Chardin e G. Courbet. Ma la sua attenzione si rivolse anche all'arte contemporanea: fu particolarmente influenzato dai risultati espressivi raggiunti da P. Cézanne e H. Matisse (i cui dipinti ebbe modo di vedere nel 1914 alla mostra della Società amatori e cultori di belle arti di Roma) e anche, nell'ambito culturale romano, dal cromatismo di A. Spadini. A partire dal 1915 e fino al 1924 il G. occupò per brevi periodi uno degli studi per artisti di villa Strohl-Fern a Roma; e qui, durante l'ultimo soggiorno, conobbe la sua futura moglie, la scultrice Adriana Bernardi. Sempre nel 1915 il G. fece la sua prima apparizione a una mostra ufficiale importante, partecipando alla III Esposizione internazionale d'arte della Secessione romana. Necessità economiche lo costrinsero, nel 1916, ad accettare un impiego come disegnatore al genio civile e a tornare, nel 1919, a bottega da Capranesi; nonostante tutto, continuò a dipingere ritratti e paesaggi portando avanti le ricerche sul rapporto spazio-luce, che fu nodo centrale e costante di tutta la sua produzione pittorica.
Nel 1922 entrò a far parte della cerchia di artisti e letterati che nella capitale frequentava la terza saletta del caffè Aragno, dove conobbe il poeta V. Cardarelli, con il quale instaurò una duratura amicizia, e approfondì il rapporto di stima reciproca con Spadini, tanto che nel 1925, alla morte del pittore, la vedova Pasqualina volle che fosse il G. a occuparne lo studio, all'uccelliera di villa Borghese. Sempre nel 1922 espose alla XIII Biennale di Venezia Madre che si leva (1921: Venezia, collezione privata).
Nel 1923 il G. dipinse uno dei suoi quadri più famosi, Il tram (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), in cui, servendosi di un'impostazione ancora classica, ritrasse l'interno della vettura inondando la scena di una luce quasi irreale che pareva bloccare le figure in una sorta di fissità metafisica, rendendo così monumentale l'intera composizione. Fu proprio grazie a quest'opera, esposta nel 1924 alla XIV Biennale di Venezia, che il pittore raggiunse un definitivo riconoscimento da parte della critica. Il successo gli diede la possibilità di dedicarsi unicamente alla propria arte e di partecipare con regolarità alle più importanti esposizioni collettive ufficiali: le Biennali veneziane (dove gli furono dedicate anche sale personali nel 1940, nel 1954 e nel 1964), le Quadriennali romane, le Sindacali di Padova e Roma e altre ancora (per un elenco dettagliato delle mostre, pubbliche e private, alle quali partecipò in Italia e all'estero vedi Bizzotto - Marangon -Toniato, pp. 1683-1690).
Già dagli anni romani la ricerca pittorica del G. prese a seguire una propria necessità di indagine e di conoscenza del reale, che portò l'artista a servirsi talvolta dei linguaggi formali elaborati dai vari movimenti pittorici che si susseguirono a partire dal secondo decennio del ventesimo secolo. Il G. fu tra gli esponenti di Valori plastici, Novecento (partecipando alle due mostre del Novecento italiano nel 1926 e nel 1929) e più tardi del Movimento spaziale ideato da L. Fontana (il G. fu tra i firmatari del IV Manifesto dell'arte spaziale nel 1951), ma la sua posizione rimase sostanzialmente solitaria, critica e mai di adesione programmatica assoluta ai dettami estetici di questi o di altri gruppi o correnti, anche se fu sempre portatore di significativi contributi personali alle nuove ricerche pittoriche.
Nel 1927 succedette a E. Tito nella cattedra di pittura all'Accademia di belle arti di Venezia; ma qui incontrò subito una forte ostilità da parte dei colleghi, che lo ostacolarono anche nel libero svolgimento della didattica, finché il G., per avere un proprio spazio culturale, occupò nel 1930, insieme con alcuni allievi, la villa di Stra.
Nel febbraio del 1928 sposò Adriana Bernardi, e nel novembre dello stesso anno nacque la figlia Maria Vittoria. Nei quadri di questo periodo tornò più volte il tema intimista della moglie incinta ritratta in varie pose e atteggiamenti, accanto a opere quali la Giudecca (Venezia, collezione R. Camerino), in cui si ritrova uno dei primi esempi di quella luce spaziale che caratterizzò la produzione degli anni veneziani, con il progressivo dissolversi delle forme nell'atmosfera rarefatta della città lagunare.
Il 1931 vide ampliarsi ulteriormente l'orizzonte del G. che iniziò a frequentare l'ambiente milanese della galleria Il Milione, tornò a Roma per visitare con Cardarelli lo studio di Gino Bonichi (Scipione) e si recò in Francia, dove realizzò tra l'altro le due versioni di Notre-Dame (entrambe oggi in collezione privata a Roma), che furono esposte l'anno successivo alla III Mostra del Sindacato a Roma. Contemporaneamente approfondì lo studio dell'impressionismo e dei pittori francesi coevi e avviò la sua riflessione sulla teoria dei colori di J.W. von Goethe. Nel 1932 tenne la sua prima mostra personale a Firenze, presso la sala d'arte La Nazione.
Nel 1935 iniziò il periodo bolognese del G. che, non tollerando più l'ostilità dell'ambiente culturale veneziano, accettò di insegnare all'Accademia di belle arti del capoluogo emiliano, seguito da numerosi suoi allievi. A Bologna rimase fino al 1944, quando tornò stabilmente a Venezia. Questa fase fu considerata di passaggio dall'artista, ma non per questo poco significativa, perché il G. portò avanti nei paesaggi e nelle figure di quegli anni, in cui entrò in contatto diretto anche con l'arte di G. Morandi, le ricerche sulla luce spaziale iniziate a Venezia.
Nel 1937 venne pubblicata a New York la prima monografia sul G., scritta dalla giornalista americana di origine russa Nedda Arnova. L'Arnova compare nel Ritratto di americana (Roma, Galleria comunale d'arte moderna e contemporanea) databile agli anni 1934-35 ed esposto, insieme con altri dipinti, nella sala personale dedicata al G. dalla II Quadriennale d'arte nazionale di Roma del 1935. In tale occasione il G. fu premiato insieme con G. Severini.
Gli anni Quaranta costituirono un momento importante nella carriera artistica del G.: nel 1942 cominciò a dedicarsi sistematicamente alla poesia, anche se la sua prima raccolta di versi, Spazi dell'esistenza, fu pubblicata solo nel 1959 da Rebellato a Padova. A essa fecero seguito, sempre presso lo stesso editore, Poesie (1968), 1959 poesie 1971 (1971), L'ingiuria delle nubi (1973) e L'età improbabile (1979). La raccolta La ragione di essere (1967) fu pubblicata a Roma; mentre Poesie-Gedichte (1977) vide la luce a Tubinga. Nel 1946 prese avvio la sua attività grafica con la sperimentazione della tecnica litografica.
In questi stessi anni il G. iniziò a sviluppare sistematicamente i grandi cicli, con i quali indagò reiteratamente uno stesso nucleo soggetto-composizione, continuando a seguire il filo conduttore di tutta la sua arte: la luce. La ripetizione di uno stesso tema, oltre a dimostrare la ricchezza di soluzioni formali cui il G. seppe giungere, fu forse anche una risposta a quella ricerca di unità nel molteplice e a quell'ansia di esperienza e di verità, che sempre lo spinsero a non accontentarsi dei risultati raggiunti e a cercare nuovi traguardi espressivi. I grandi cicli sviluppati tra gli anni Quaranta e Cinquanta - dalle "Visite" alle "Marine" (che costituirono una nuova riflessione sull'opera di P. Mondrian), alle "Figure nello spazio" - videro il pittore allontanarsi progressivamente dall'arte figurativa e in questo cammino verso l'astrazione si compì l'ultima trasformazione della luce nell'opera guidiana: la luce "meridiana" del periodo romano, divenuta "spaziale" a Venezia, si sostanziò allora come "cosmica".
Oltre ai cicli già citati, si possono ancora ricordare "Cielo antico", che avrebbe dovuto trovare completamento nel ciclo "Cielo moderno", mai realizzato; e le "Angosce" (1949-53), cariche di un'ansia esistenziale che traspariva attraverso l'evidenza di una gestualità più concitata, che le accomunava peraltro ai "Giudizi" (1950-54) e ancora ai "Tumulti", che con le loro valenze cromatico-segniche rappresentarono un personale avvicinamento al linguaggio informale. Seguirono le "Riflessioni del tempo" e le "Architetture umane" (dette anche "Presenze" o "Condizione attuale"), che ebbero ulteriori sviluppi tra il 1960 e il 1962 nelle "Architetture cosmiche" con le quali il G. abbandonò l'arte figurativa. Il ritorno alla figura si ebbe intorno alla metà degli anni Sessanta nei cicli "Occhi" e "Prigioniera", in cui l'artista, influenzato anche dalla pop art, portò in un primo piano assoluto l'immagine definita attraverso i pochi particolari utili a renderla riconoscibile.
Nel 1972 il G. fu invitato a Recanati in occasione delle celebrazioni leopardiane, che si aprirono in quell'anno proprio con la poesia guidiana; e durante quel viaggio l'artista, impressionato dal paesaggio marchigiano, elaborò il ciclo dei "Grandi alberi" che segnò un ritorno alla natura, pur non essendoci nulla di naturalistico nella resa delle grandi piante che occupano l'intera tela, dove restano ancora protagonisti la luce, lo spazio e il colore. Altri cicli seguirono nel corso degli anni Settanta quali "Geometrie spaziali" o ancora gli "Incontri" e "Figure agitate", con cui l'artista giunse a una sintesi cromatica di bianco su bianco.
Nel 1983 il G. concluse il suo ultimo ma significativo ciclo "L'uomo e il cielo", iniziato già nel 1980 ed esposto ancora a Venezia, presso la galleria Il Traghetto. E a Venezia il G. morì il 7 genn. 1984.
Negli ultimi anni della sua vita il pittore volle che un cospicuo numero di suoi dipinti andasse ad arricchire il patrimonio artistico di due delle città che lo avevano ospitato, perché vi rimanesse una testimonianza significativa di una fase importante del suo percorso creativo: nel 1974, trentacinque dipinti realizzati tra il 1957 e lo stesso 1974 e undici opere grafiche furono donati alla Galleria d'arte moderna di Bologna e, nel 1980, ottanta dipinti databili fra il 1950 e il 1975 al Comune di Venezia: con questi si inaugurò il Museo Guidi a palazzo Fortuny (spostato nel 1991 nella chiesa di S. Giovanni Novo, è oggi chiuso).
Un'ultima notazione merita la corposa produzione di testi critici e teorici con i quali il G. diede lucida testimonianza di tutta la propria vicenda artistica e umana, come nel saggio di presentazione della sua sala nel catalogo della I Quadriennale nazionale d'arte di Roma del 1931 o nel testo pubblicato nel volume Pittura d'oggi nel 1954 (con testi e riproduzioni, oltre che del G., di F. Casorati, R. Barilli, M. Maccari, D. Purificato, M. Campigli, M. Mafai).
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