MAZZOCCHI, Virgilio
– Nacque a Civita Castellana nel 1597 da Ostilio (di famiglia popolare, ma bene attestata) e da Girolama di Marta e ricevette il battesimo il 22 luglio nella cattedrale della città. Studiò nel locale seminario, dove fu avviato alla vita ecclesiastica, ricevendo la tonsura il 9 maggio 1614. A quell’epoca aveva già mutato il nome di battesimo Virginio in Virgilio. Durante i soggiorni in patria del fratello maggiore Domenico il M. studiava musica con lui.
Il vescovo I. Fabiani lo destinò al servizio in cattedrale e quando creò un regolare servizio musicale nominò il M. maestro di cappella (24 ag. 1622). In questa carica restò per poco più di un anno; il 22 nov. 1623, quando al suo posto fu nominato M. Michelino, si era già trasferito a Roma, dove perfezionò la sua formazione musicale e iniziò l’attività compositiva. Insieme con Domenico (e forse per suo tramite) il M. comparve nell’antologia mottettistica Sacri affetti contesti curata da F. Sammaruco e pubblicata a Roma all’inizio del 1625; il suo Surge amica mea, per 3 soprani e basso continuo, mostra una solida preparazione contrappuntistica e un’efficace interpretazione del testo.
Queste qualità fanno pensare che all’epoca e fino al 1628 il M. abbia studiato non solo con il fratello, ma anche con un contrappuntista di stile severo, probabilmente con P. Agostini (di Vallerano in diocesi di Civita Castellana), dal 1626 maestro di cappella in S. Pietro. Nel corso del 1627 il M. fu nominato maestro di cappella nella chiesa del Gesù e del seminario romano (mancano riscontri documentari precisi ma il precedente maestro, A. Costantini, nel giugno di quell’anno era già assente); in questo suo primo incarico fu impegnato in due campi molto diversi: il servizio musicale sacro nella chiesa dei gesuiti (cui prendevano parte gli allievi del seminario) e le musiche per gli spettacoli carnevaleschi rappresentati nel seminario. Di certo il M. compose le musiche per il Crispus di B. Stefonio (febbraio 1628) e verosimilmente per altre due tragedie rappresentate nel 1628 e nel 1629. Durante il suo servizio al seminario, il vicino Collegio romano fu visitato dal cardinale Francesco Barberini, nipote del papa Urbano VIII; per l’occasione fu eseguito un componimento encomiastico composto dal M. (Chi mi raddoppia il giorno), di cui B. Schrammek (2001) ha rinvenuto la musica; il manoscritto reca una dedica firmata dal Mazzocchi. L’omaggio fu gradito (il favore del porporato sarà decisivo per la vita e la carriera del compositore). Si può datare la visita del cardinale Barberini al 1628, quando presenziò alla cerimonia di laurea del futuro cardinale F.A. Rapaccioli. Fu eseguita pure un’ode latina (Hesperia modulatio), presumibilmente anch’essa posta in musica dal Mazzocchi.
Dal 1628 al 1634 il M. fu anche maestro di cappella della chiesa di S. Antonio dei Portoghesi, dove con particolare solennità si celebrava la festa del santo titolare. Intanto era passato dal Gesù alla basilica di S. Giovanni in Laterano, dove prestò servizio dal giugno al settembre del 1629: morto ancora giovane Agostini, il M. fu nominato maestro della Cappella Giulia dal capitolo di S. Pietro in Vaticano (8 ott. 1629).
Nel prestigioso incarico rimase fino alla morte, proseguendo la prassi delle esecuzioni policorali introdotte da Agostini nelle maggiori feste della basilica, con uno splendore sonoro che stupì i contemporanei: nella festa dei Ss. Pietro e Paolo del 1637 giunse a collocare cantori e strumenti nella lanterna della cupola, soluzione ripetuta nel 1639 e nel 1644. L’effetto di un coro «d’eco», che dalla lontananza della cima del tempio rispondeva a quello che in Della musica dell’età nostra (1640) P. Della Valle chiamava «gran musicone» (Solerti, p. 172) composto da altri numerosi gruppi variamente dislocati, destò ammirazione e fu imitato da altri autori.
Oltre a quello di S. Pietro, il M. ebbe altri incarichi: maestro di cappella per le feste del Collegio inglese (dal 1632), maestro per le musiche eseguite all’oratorio del Ss. Crocifisso nelle quaresime del 1634 e del 1639, virtuoso al diretto servizio del cardinale Barberini (dal 1635), maestro di musica degli allievi del seminario di S. Pietro (dal 1637). Fu inoltre attivo per l’oratorio dei filippini alla chiesa Nuova e per molte altre chiese della città, in particolare per quelle legate al patronato del cardinale Barberini (S. Lorenzo in Damaso, S. Agata dei Goti, S. Giacomo alla Lungara, S. Chiara, S. Maria in Aquiro).
Queste sue diverse mansioni comportarono una feconda attività come autore di musica sacra e profana, teatrale e oratoriale, nonché come rinomato didatta. Al riguardo, di grande interesse è la testimonianza del suo allievo G.A. Angelini-Bontempi, futuro virtuoso di canto e compositore, che descrisse con cura il metodo e i contenuti della «scola» ricevuta da quel «professore insigne» (Historia musica, Perugia 1695, p. 170, cit. in Franchi, 2005, p. 74). A S. Pietro la posizione del M. si rafforzò quando il cardinale Barberini divenne arciprete della basilica; per la cerimonia di «possesso» furono eseguite musiche a 3 cori e 3 organi da lui composte (9 nov. 1633). Per volontà del cardinale fu istituito, nel 1637, il seminario di S. Pietro, con chierici adolescenti provenienti dal seminario romano destinati alle funzioni liturgiche e musicali della basilica, in una sede posta nelle sue vicinanze; il M. fu il loro insegnante e li utilizzò in molte esecuzioni anche al di fuori di S. Pietro; probabilmente compose le musiche per le loro recite latine in carnevale. Per il cardinale pose in musica drammi scritti da G. Rospigliosi (il futuro Clemente IX), allestiti da G.L. Bernini o dai suoi seguaci in splendide rappresentazioni in palazzo Barberini e nel vicino teatro di famiglia, alla Cancelleria o nel palazzo Rusticucci in Borgo. Di questa attività restano le partiture del S. Bonifatio, dramma musicale rappresentato alla Cancelleria nel febbraio 1638 da una compagnia di ragazzi, allievi del M. (tra essi Angelini-Bontempi), della commedia musicale Chi soffre speri (nella versione del 1639 con aggiunte di M. Marazzoli: quella originale del febbraio 1637 è andata perduta), dell’«attione in musica» S. Eustachio, rappresentata come intermedi al dramma latino Susanna nel febbraio 1643, dell’opera musicale L’innocenza difesa, detta anche La Genoinda, della quale restano solo tre arie (Cancelleria, 29 genn. 1641). Perdute sono le musiche di odi latine al Collegio romano (una a 6 cori con quantità di strumenti è ricordata da P. Della Valle), nonché quelle per le Troades di Seneca (palazzo Rusticucci, carnevale 1640, prologo e intermedi su testo di Rospigliosi), con i cori e i soliloquia dell’antica tragedia composti in uno stile inusitato per seguire la metrica del latino classico.
A queste sperimentazioni il M. era molto interessato, giacché nell’attività svolta per il cardinale Barberini egli fu in stretto contatto con il dotto teorico e umanista G.B. Doni, sostenitore della ripresa dei generi e dei modi dell’antica musica greca. Come suo fratello Domenico, il M. adottò in chiave espressiva il genere cromatico e sperimentò quello enarmonico, per il quale, secondo la testimonianza di Angelini-Bontempi, faceva praticare «una brevissima salita e discesa di voce», tecnica riservata ai «più esercitati e sperimentati cantori» (Historia musica, p. 170, cit. in Franchi, 2005, p. 73). La sperimentazione coinvolgeva gli strumenti, fossero essi il complesso di archi («viole») delle accademie tenute presso il cardinale Barberini oppure quelli appositamente costruiti; egli stesso suonava il cembalo «triarmonico», come fece nelle Troades, nonché dirigendo al Ss. Crocifisso l’Esther di Della Valle (2 apr. 1640). Se sue composizioni erano state pubblicate in antologie (una versione a 8 voci del Magnificat, «tutta concertata, e seguita», nei Salmi di F. Costantini stampati a Orvieto nel 1639; un’aria a 2 soprani nella Raccolta d’arie spirituali curata a Roma da V. Bianchi nel 1640), l’ormai maturo M. non aveva ancora dato alle stampe una raccolta tutta sua; lo fece con i Sacri flores, pubblicati a Roma nel 1640 e dedicati al capitolo di S. Pietro, comprendenti mottetti a 2-3 voci (uno a 4 voci dell’allievo M.A. Giroppi), destinati sia all’esecuzione sia alla didattica. Numerosi altri suoi mottetti apparvero in antologie degli anni seguenti; altri suoi lavori furono pubblicati postumi fino al 1664.
L’inchiesta contro i Barberini seguita alla morte di Urbano VIII (23 luglio 1644) e la fuga in Francia del cardinale Francesco (gennaio 1646) comportarono un calo notevole delle attività del M., al quale peraltro restava poco da vivere: recatosi a Civita Castellana con i suoi allievi per celebrare in musica la festa dei santi patroni il 16 sett. 1646, vi cadde improvvisamente malato.
Morì a Civita Castellana il 3 ott. 1646 e fu sepolto nella cattedrale. Il fratello Domenico, suo erede universale, gli fece porre una bella iscrizione commemorativa, con busto e stemma, tuttora esistenti nel portico della chiesa. Pochi giorni dopo i suoi libri di musica furono venduti a Roma.
Postume furono stampate a Roma nel 1648 due sue opere: i solenni Psalmi vespertini a cura del fratello e le Piae meditationes a cura del beneficiato di S. Pietro Q. Mozzani, che aveva istituito una pratica devota sulla Passione per i seminaristi della basilica, pratica di cui la raccolta conteneva le musiche. La massa delle composizioni del M. restò inedita. Nella conduzione della Cappella Giulia gli successe O. Benevoli, che ne proseguì lo stile policorale. Un ritratto del M., insieme con quelli di altri celebri compositori, pervenne all’organista B. Gaffi, i cui eredi lo tenevano in cucina alla metà del Settecento; invano cercò di acquistarlo il padre G. Martini. Le sue fattezze sono ricordate da Pitoni: «fu di costumi amabili, piccolo di statura e pieno di corpo».
Se per alcuni aspetti della sua produzione di musiche profane od oratoriali, tra cui l’interesse per i generi antichi secondo le idee di Doni, il M. è vicino al fratello Domenico, egli se ne discosta come figura professionale di maestro di cappella attivo soprattutto nel campo della musica sacra. Dotato di buona preparazione contrappuntistica, seppe rinnovare la tradizione polifonica romana sia adottando sistematicamente lo stile concertato (salvo che nelle liturgiche Piae meditationes, dove però fu già all’epoca aggiunto un basso continuo per l’organo, come si vede nell’esemplare oggi nell’Archivio storico del Vicariato di Roma), sia per le efficaci frequenti alternanze tra assoli e ripieni e i felici contrasti ritmici e dinamici. Alle esperienze di contrappunto imitato, cui probabilmente si era formato con Agostini, rimase sempre interessato, come suggerisce anche la stima per un polemico e poco amato compositore, R. Micheli, il quale in un suo lavoro (In honore del nome di Giesù e di Maria, Roma 1652, p. 3) ricordò le parole del M. in suo favore. La formazione contrappuntistica e la capacità di rinnovarne gli esiti musicali sono ricordate nel ben mirato giudizio espresso alcuni decenni dopo da G.O. Pitoni: «fu insigne compositore di armonie ecclesiastiche […] introdusse nelle chiese uno stile assai più vago del tempo passato e molto dilettevole di grosso e di concerto». Fra le composizioni sacre di maggior valore spiccano quelle edite nei postumi Psalmi del 1648 (in particolare i due Magnificat e il Beatus vir) e altri lavori policorali rimasti manoscritti (messe, salmi e mottetti), come il Beatum Franciscum a 4 cori, strumenti obbligati e basso continuo (Bologna, Museo internazionale e Biblioteca della musica, Q.45, cc. 73, 77). Ma il M. era ben capace di adottare uno stile semplice, sia per esigenze liturgiche sia nello stile monodico presente nelle opere teatrali, da camera e oratoriali. Se le composizioni legate al fascinoso mondo artistico barberiniano hanno attirato l’attenzione di molti, i recenti studi di Witzenmann e Schrammek hanno ribadito il maggior peso artistico della sua musica sacra. Del resto anche in essa, come in quella profana, l’autore non di rado condusse le proprie melodie secondo quelle che il fratello Domenico, nell’epigrafe funebre, chiamò «festivae formulae», mentre Pitoni parlerà di inni «giocondi et ariosi». Questo spirito, che lo rese grato ai numerosi allievi, si manifesta nei freschi e giocosi tratti madrigalistici dei componimenti profani, nei dolci e garbati andamenti delle ariette teatrali, negli spiritosi balli, tra cui Il gioco della civetta, fortunato intermedio del S. Bonifatio (1638), che fu ripreso da Domenico e dall’allievo Angelini-Bontempi.
Composizioni. Oltre a quelle già citate, furono editi l’oratorio Ego ille quondam, con il titolo Fumo è la nostra vita, nella raccolta Sacrae concertationes del fratello Domenico (Roma 1664), e numerosi componimenti sacri (mottetti, Magnificat a 8) e profani (arie, madrigali) in antologie romane degli anni 1625, 1639, 1640-43, 1645-47, 1649, 1652, 1659. Manoscritte restano molte composizioni sacre (messe, salmi, litanie, inni, antifone, mottetti) a 2-20 voci e basso continuo conservate nella Biblioteca apostolica Vaticana e in altri istituti romani (Biblioteca Casanatense, Biblioteca del Conservatorio di S. Cecilia, Archivio del Capitolo di S. Giovanni in Laterano), a Trento (Biblioteca del Castello del Buon Consiglio, Fondo Feininger) e a Bologna (Museo internazionale e Biblioteca della musica); alcune composizioni profane da camera sono conservate nel Museo di Bologna, nella Biblioteca Estense universitaria di Modena, nella Biblioteca apostolica Vaticana, nella Biblioteca Casanatense, nell’Archivio dei Filippini di Roma e nella Harvard University di Cambridge, MA; due capricci a due voci strumentali sono conservati nella Biblioteca Corsiniana di Roma (Musica, S.10). Perdute, oltre a quelle già citate, sono le musiche per prologhi e intermedi di drammi rappresentati nel seminario romano, nel seminario di S. Pietro e altrove, quelle per odi latine al Collegio romano, quelle per l’oratorio del Ss. Crocifisso, nonché quattro oratori italiani ricordati in un inventario dei filippini di Bologna (Mischiati) e molta musica sacra per il Gesù, per S. Pietro (ben 174 composizioni ricordate nel 1694 in un inventario della cappella Giulia: Schrammek, 2001, p. 322) e altre chiese.
Per le fonti, per il catalogo analitico delle opere e per ulteriore bibliografia si rinvia a Schrammek, 2001.
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