NEGRI, Virginia
NEGRI, Virginia (in religione Paola Antonia). – Nacque nel 1508, ultimogenita di Lazzaro e di Elisabetta Doria, probabilmente a Castellanza nella pieve di Olgiate Olona (Varese), dove il padre era maestro di scuola.
Verso il 1520 la famiglia si trasferì a Milano nei pressi del monastero agostiniano di S. Marta, allora centro delle visioni profetiche di Arcangela Panigarola. L’estensore delle Rivelazioni di questa, il sacerdote ravennate Giovanni Antonio Bellotti, fu forse il confessore della giovane Negri. Intorno al 1529 ella conobbe il domenicano Battista Carioni da Crema, direttore spirituale della contessa di Guastalla Ludovica Torelli, e di lì a poco entrò a far parte del gruppo di fanciulle che la contessa andava raccogliendo nei pressi di S. Ambrogio, primo nucleo del futuro Ordine delle angeliche. Nel gennaio 1535 la nobildonna ottenne dal papa Paolo III l’autorizzazione a fondare un monastero femminile sotto la regola agostiniana.La sua storia sino alla metà del Cinquecento fu strettamente intrecciata a quella dell’Ordine maschile dei barnabiti, fondato nel 1533 da Giacomo Antonio Morigia e Bartolomeo Ferrari, entrambi milanesi, e dal cremonese Antonio Maria Zaccaria, futuro santo, che alla morte di Battista da Crema nel 1534 ne ereditò il ruolo di direttore spirituale e confessore della contessa. Nell’ottobre 1535 la nobildonna e le giovani (tra queste, oltre a Negri, anche due sue sorelle) si trasferirono in una zona malfamata verso porta Romana dove vennero fondati il monastero delle angeliche e la chiesa di S. Paolo converso. E ‘paolini’ o ‘guastallini’ – con riferimento al messaggio spirituale di s. Paolo e a colei che con il suo appoggio politico e finanziario aveva permesso la nascita delle due comunità nella Milano di Carlo V – furono inizialmente chiamati i barnabiti e le angeliche, allora protagonisti di teatrali e provocatorie manifestazioni di automortificazione nelle strade cittadine con cui mettevano in pratica la radicale ascesi nella ricerca della perfezione delineata da Battista da Crema.
Il 27 febbraio 1536 Negri fu tra le prime sei giovani a prendere il velo con il nome di Paola Antonia; il 25 gennaio 1537 fece la professione, il 4 marzo fu nominata maestra delle novizie. Da allora e per i successivi quindici anni la ‘divina madre maestra’ pur non ricoprendo mai la carica di priora esercitò un potere indiscusso e sacrale entro le due comunità.
Tale potere – riconosciutole dallo stesso Zaccaria (morto nel 1539) – derivava agli occhi dei suoi seguaci dal grado supremo raggiunto dalla monaca in quell’anomica ricerca della santità finalizzata all’unione tra volontà umana e divina che, secondo le dottrine di Battista da Crema, si conseguiva attraverso la vittoria su se stessi e il totale annullamento della volontà. Umiliazioni durissime, spericolata ricerca della tentazione per mettersi alla prova, determinazione a distruggere persino la propria reputazione di santità agli occhi del mondo alimentavano comportamenti talvolta scandalosi che, tuttavia, non potevano essere giudicati da autorità esterne perché a qualificarli era l’‘intenzione’, ossia la conformità a una volontà superiore conosciuta esclusivamente attraverso un’esperienza individuale e incomunicabile.
In base a queste premesse Negri governò ogni aspetto della vita delle due comunità religiose, entro le quali l’obbedienza alla sua figura carismatica divenne totale. Presiedeva le riunioni capitolari durante le quali barnabiti e angeliche prostrati a terra erano soliti confessare minutamente i loro peccati di superbia ricevendo da lei durissimi ‘rimedi’; decideva l’ammissione di nuove reclute che poi avrebbero preso i voti nelle sue mani; distribuiva le cariche e i compiti entro le due congregazioni.
Il monastero delle angeliche divenne allora un luogo variamente popolato e assiduamente frequentato da vedove, nobildonne e principesse tra le quali Isabella di Capua, moglie di Ferrante Gonzaga governatore dello Stato di Milano, ma anche da autorevoli esponenti della Chiesa milanese come Giovanni Maria Tosi, vicario generale dell’arcivescovo, e il domenicano Melchiorre Crivelli, inquisitore generale dello Stato di Milano, che era solito presenziare le riunioni capitolari dell’ordine maschile a fianco di Negri. Negli anni Quaranta al monastero si recavano per ricevere guida spirituale e consigli, oltre che per stipulare atti notarili di ogni genere con la supervisione di Negri, anche prestigiosi esponenti del patriziato cittadino e della nobiltà feudale lombarda, in gran parte affiliati al Collegio dei maritati sorto presso i barnabiti intorno alla comune devozione per la ‘divina madre’. Tra questi, il senatore e poi cardinale Francesco Sfondrati, padre del futuro papa Gregorio XIV, che nel monastero aveva la sorella vedova Giulia e tre figlie; Gabrio Casati, poi membro del Consiglio d’Italia e presidente del Senato; Giovanni Ludovico Gonzaga conte di Novellara; il conte Giovanni Ambrogio Taegi, poi fondatore del Collegio per nobili; Baldassarre Medici d’Ossona e Bernardino Omodei.
Nel luglio 1537, insieme con Torelli e Zaccaria, Negri si trovava a Vicenza per organizzare l’istituto delle convertite di S. Maria Maddalena. L’espansione nelle città venete proseguì con l’insediamento nell’agosto 1543 (poco prima della morte del vescovo Gian Matteo Giberti) presso gli ospedali della Pietà e della Misercordia di Verona, e poi a Venezia agli inizi del 1544 all’ospedale dei Derelitti. Gli esigui drappelli inviati da Milano per gestire queste istituzioni caritative non costituirono tuttavia l’unico aspetto della penetrazione dei paolini nei domini della Repubblica. Le lettere di Negri inviate ai seguaci veneti in quegli anni mostrano come uomini e donne appartenenti ai ceti dirigenti delle città suddite e al patriziato veneziano furono soggiogati dalla ‘divina madre’, diventando anch’essi «amatori della croce» (Bonora, 1998, p. 431). Alle fitte relazioni epistolari si accompagnarono le periodiche visite della monaca nello Stato veneto e il reclutamento di sudditi della Repubblica nelle due case religiose milanesi.
Il 9 febbraio 1551 il consiglio dei Dieci emanò un bando (subito trasmesso anche a Verona e a Vicenza) che ingiungeva ai paolini di lasciare lo Stato entro pochi giorni. Alle origini del repentino provvedimento c’era la «troppa autorità» attribuita a quella «capo et maestra della congregatione», «donna milanese di 36 anni o 37» che aveva «il titolo di ‘divina’, et dicono che ha il spirito santo, et l’hanno per santificata et impeccabile» la quale, davanti ai sacerdoti prostrati ai suoi piedi, «li dava, li toleva la licentia di celebrare et insegnava et interpretava le Scritture» (ibid., pp. 481, 484). La gravità del bando non fu colta subito a Milano, dove era diffusa la certezza di avere a che fare con un disegno di Dio volto a far conoscere al mondo la ‘divina madre’, cosicché nella tarda primavera del 1551 si decise di preparare per le stampe un’edizione latina delle lettere di Negri e di inviare a Roma due confratelli per chiedere al papa di intercedere a favore della riammissione dei religiosi nei domini della Repubblica di Venezia. I padri Gian Pietro Besozzi e Paolo Melso, giunti in curia nel dicembre 1551 per perorare la causa dei paolini, furono però arrestati, torturati e sottoposti a un processo inquisitoriale nei primi mesi del 1552 al termine del quale, con breve apostolico del 29 luglio, il cardinale inquisitore Juan Álvarez de Toledo fu nominato protettore delle due congregazioni, le dottrine di Battista da Crema condannate come eretiche, Negri accusata di comportamenti scandalosi e di abusi. Fu inoltre disposto l’invio di un visitatore apostolico domenicano che, giunto a Milano in ottobre, emanò nuove costituzioni, separò barnabiti e angeliche, impose a queste ultime la clausura e segregò Negri nel convento francescano di S. Chiara.
Contro il nuovo stato di cose imposto dall’Inquisizione seguirono resistenze e ribellioni, nonché i tentativi di fuga di quanti, avendo preso i voti nelle mani della ‘divina madre’, ne contestavano ora la validità rifiutandosi di restare in un ordine la cui fisionomia era stata radicalmente ridisegnata dalle autorità romane. Enormi difficoltà economiche si abbatterono su barnabiti e angeliche allorché i devoti di Negri (tra i quali la stessa contessa Torelli) revocarono lasciti e donazioni.
Nel dicembre 1554, grazie alla protezione dei suoi seguaci, Negri, gravemente malata, ottenne dal Senato milanese il permesso di lasciare il monastero di clausura in cui era stata confinata. Il 22 marzo successivo l’inquisitore di Milano Bonaventura Castiglioni le intimò di rientrare a S. Chiara su ordine del cardinale de Toledo. Trasportata in lettiga, fu respinta dalle clarisse a causa della malattia, come attesta un documento notarile fatto pervenire dai suoi devoti a Castiglioni.
Morì fuori dal monastero il 4 aprile 1555, assistita dall’ex angelica Elisabetta Godi.
Nel gennaio 1564 l’inquisitore di Milano su ordine del cardinale del Sant’Ufficio Michele Ghislieri intimò la sospensione della stampa di un volume di Lettere spirituali di Negri che i suoi seguaci, grazie ad autorevoli appoggi, erano riusciti qualche mese prima a sottoporre alle correzioni della commissione tridentina incaricata della redazione del nuovo Indice dei libri proibiti, ottenendo l’autorizzazione alla pubblicazione. Ne seguì a Milano un processo inquisitoriale per stabilire la paternità delle lettere, che risultarono redatte a suo tempo dal barnabita Gian Pietro Besozzi per ordine di Negri e trascritte dalle angeliche Sfondrati. Nel 1576 ex barnabiti fedeli a Negri riuscirono infine a pubblicare a Roma con licenza del maestro del sacro palazzo Paolo Costabili una corposa raccolta di lettere della monaca, preceduta da una biografia che ne disegnava un profilo di edificante virtù e obbedienza consono al mutato clima controriformistico.
Una tortuosa vicenda censoria scandita da proibizioni e correzioni da parte delle autorità ecclesiastiche, da autocensure e nicodemitiche rielaborazioni effettuate dell’autore ebbero anche le raccolte di versi in celebrazione di Negri (pubblicate nel 1554, 1557, 1569 e 1570) redatte dal minore osservante Antonio Pagani, campione della Controriforma vicentina, morto nel 1589 in odore di santità, che nel 1552 era fuggito dalla casa milanese dei barnabiti, tra i quali aveva preso i voti con il nome di Marc’Antonio.
Fonti e Bibl.: Le lettere manoscritte di Negri sono in Roma, Arch. storico dei barnabiti, L.B.1.1-4; Ibid., Biblioteca Vallicelliana, I 25, Lettere spirituali della ven. serva di Dio angelica Paula Antonia de Negri milanese. Rivedute, esaminate, corrette et approvate dal padre Giacomo Laínez … nell’anno MDLXIII; O.M. Premoli, Storia dei barnabiti nel Cinquecento, Roma 1913, ad ind.; A. Erba, N. (Paule-Antoinette), in Dictionnaire de spiritualité, XI, Paris 1981, coll. 87-89; A. Erba - A. Gentili, Angelica P.A. Negri. Lettere spirituali 1538-1551, Roma 1985; A. Erba, Il «caso» di P.A. N. nel Cinquecento italiano, in Women and menin spiritual culture XIV-XVII centuries. A meeting of South and North, a cura di E. Schulte van Kessel, The Hague 1986, pp. 192-212; G. Cagni, N. o Besozzi? Come nacque la «vexata quaestio» della paternita’ delle «Lettere spirituali» dell’angelica P.A. N., in Barnabiti studi, VI (1989), pp.177-217; M. Firpo, P.A. N. monaca angelica (1508-1555), ibid. VII (1991), pp. 7-66 (senza note anche in Rinascimento al femminile, a cura di O. Niccoli, Roma-Bari 1991, pp. 35-82); E. Bonora, I conflitti della Controriforma. Santità e obbedienza nell’esperienza religiosa dei primi barnabiti, Firenze 1998, ad ind.; R. Bacchiddu, Marco Antonio Pagani fra P.A. N. e Deianira Valmarana, in Archivio italiano per la storia della pietà, XIII (2000), pp. 48-107; E. Bonora, Nei labirinti della censura libraria cinquecentesca: Antonio Pagani (1526-1589) e le «Rime spirituali», in Per Marino Berengo. Studi degli allievi, a cura di L. Antonielli - C. Capra - M. Infelise, Milano 2000, pp. 114-136; R. Bacchiddu, in Dizionario storico dell’Inquisizione, a cura di A. Prosperi, II, Pisa 2010, pp. 1110 s.