SCHIAPARELLI, Virginio Giovanni Battista.
– Nacque, primogenito di nove figli, a Savigliano, nell’attuale provincia di Cuneo, il 14 marzo 1835, da Antonino, titolare di una fornace di laterizi, e da Caterina Schiaparelli, entrambi originari di Occhieppo Inferiore, vicino Biella.
Compiuti gli studi elementari, fu avviato, grazie all’interessamento dello zio materno Luigi (futuro padre del celebre egittologo Ernesto), all’istruzione secondaria. Nel tempo libero, tuttavia, coltivava la sua passione per l’astronomia, di cui apprese i rudimenti grazie soprattutto a un dilettante, un operaio del padre, tale Giovanni Battista Miglietti.
Terminati, nel luglio del 1850, gli studi secondari, superò l’esame di ammissione alla classe di matematica della R. Università di Torino, dove, tra gli altri, ebbe per docenti Giovanni Plana (analisi infinitesimale), Carlo I. Giulio (meccanica razionale) e Luigi F. Menabrea (scienze delle costruzioni). L’11 agosto 1854 conseguì il titolo di ingegnere idraulico e architetto civile, con un tema di laurea su Un progetto di Bazar in istile gotico bizantino.
Durante gli studi universitari, strinse rapporti con un altro dilettante, don Paolo Dovo, parroco di S. Maria della Pieve in Savigliano, che lo introdusse all’osservazione telescopica. Dopo la laurea tentò, senza successo, di essere assunto in qualità di assistente presso l’osservatorio di Torino, del quale era direttore Plana. In attesa di un impiego, si sostenne impartendo lezioni private di matematica e, nel novembre del 1856, fu nominato professore di matematiche elementari nelle Scuole pubbliche ginnasiali di Porta Nuova di Torino.
Fermamente deciso a intraprendere la carriera di astronomo, riprese contatti con il suo ex docente, il senatore Giulio, cui inviò lo studio su una cometa osservata nel 1556, della quale, in vista di una possibile riapparizione (peraltro mai verificatasi), aveva elaborato delle effemeridi. Giulio apprezzò molto lo scritto e, nella prospettiva di dare un successore a Plana, coadiuvato da Menabrea e da Quintino Sella, convinse il ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Lanza, a inviare all’estero il giovane astronomo per perfezionarsi. Schiaparelli ottenne così un modesto sussidio e nel febbraio del 1857 poté recarsi a Berlino, dove studiò, tra gli altri, con Karl Weierstrass, Johann C. Poggendorff e Johann F. Encke, allievo di Karl Friedrich Gauss e titolare della cattedra di astronomia sferica, con il quale strinse da subito ottimi rapporti.
Ottenuto il prolungamento del sussidio, nel luglio del 1859 si recò presso l’osservatorio di Pulkovo, nei pressi di San Pietroburgo, dove, sotto la guida del direttore Otto W. von Struve e di Friedrich A. Winnecke, si esercitò nella pratica osservativa. Perdurando l’incertezza sul rinnovo del sussidio, Schiaparelli chiese a Sella di procurargli un impiego stabile a Torino. Questi propose il suo nome a Francesco Brioschi per sostituire Paolo Frisiani, considerato poco attivo e fervente austriacante, come secondo astronomo all’osservatorio di Brera. L’operazione andò in porto e il 6 novembre 1859 Schiaparelli venne nominato; prese servizio alla fine del giugno del 1860, di ritorno da Pulkovo.
Nei suoi primi anni a Brera si occupò prevalentemente di comete e di astronomia di posizione. Il 29 aprile 1861 scoprì il pianetino n. 69, poi battezzato Esperia, in onore del neo Stato unitario. La scoperta, che ebbe larga eco sulla stampa nazionale, gli procurò una certa popolarità presso il pubblico italiano e il titolo di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
L’8 settembre 1862, dopo la morte di Carlini, fu nominato, a soli 27 anni, direttore dell’osservatorio, carica che avrebbe tenuto per quasi quarant’anni. Seguì una lunga serie di incarichi: fu nominato membro della Commissione per il riordino degli osservatori italiani; l’anno seguente, gli fu affidata dal ministro della Pubblica Istruzione la riorganizzazione dell’osservatorio di Palermo e fu nominato professore straordinario di geodesia presso il R. Istituto tecnico superiore di Milano, incarico che lasciò nel 1868. Tornò all’insegnamento, per il quale non mostrò mai speciale predilezione, anni dopo, quando tenne a Pavia i corsi di astronomia descrittiva e di meccanica celeste (1875-76). Fece parte della delegazione italiana inviata alla prima Conferenza generale sulla misura dell’arco centrale europeo (Berlino 1864), e fu nominato membro della specifica Commissione italiana, istituita l’anno seguente.
Nel 1865 sposò la milanese Maria Comotti, figlia di un ingegnere, dalla quale ebbe cinque figli: Attilio, professore di lettere; Emilio, dottore in scienze agrarie; Ester, coniugata con l’ingegner Francesco Borletti; Eva, coniugata con il nobile Paolo Bassi; ed Emma.
Risalgono a quegli anni anche i suoi celebri studi sulle stelle cadenti, che condensò in cinque memorabili lettere indirizzate, tra il 25 agosto 1866 e il 2 febbraio 1867, a padre Angelo Secchi per essere pubblicate sul Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del Collegio Romano. Fu Schiaparelli a stabilire con certezza l’identità tra le traiettorie degli sciami meteorici e le orbite cometarie, spiegando così l’origine delle stelle cadenti, le quali «altro non sono che polvere o farina di comete» (G.V. Schiaparelli, Le stelle cadenti: tre letture, Milano 1873, p. 94), ovvero minutissime particelle che queste abbandonano lungo la propria orbita. Per i suoi lavori sulle stelle cadenti, la Società italiana delle scienze, detta dei XL, gli conferì la medaglia d’oro (1868) e, in quello stesso anno, vinse il premio Lalande dell’Academie des sciences di Parigi; nel 1872, la Royal astronomical Society gli assegnò la medaglia d’oro.
Nel febbraio del 1875 divenne finalmente operativo il rifrattore Merz da 8 pollici, che era giunto a Brera nel 1865. Con il nuovo strumento, inizialmente utilizzato nell’osservazione di stelle doppie, in occasione dell’opposizione del settembre-ottobre 1877, dette inizio a osservazioni sistematiche di Marte.
Il suo approccio alla descrizione del pianeta fu di natura rigorosamente cartografica: eseguì, infatti, svariate decine di accurate misure micrometriche per determinare dapprima l’esatta posizione dell’asse di rotazione e del polo australe del pianeta, e individuare poi, sul disco, alcuni punti fondamentali su cui costruire una rete cartografica di riferimento. La sua carta risultò molto più ricca di dettagli di ogni altra eseguita fino ad allora. Per designare le varie formazioni della superficie, introdusse una nomenclatura originale, tratta dalla geografia antica e dalla mitologia, ben presto accolta internazionalmente e destinata a sopravvivere fino ai giorni nostri.
Schiaparelli rilevò sulla superficie del pianeta la presenza di una fitta rete di sottili linee, lunghe centinaia o migliaia di chilometri, cui dette il nome di canali. Le successive osservazioni, eseguite nel 1879, ne rivelarono una quantità quasi doppia. La scoperta dei canali segnò l’avvio a un’accesa controversia scientifica, protrattasi per tre decenni e destinata, amplificata dalla stampa e dalle opere di divulgazione, a travalicare rapidamente i confini della ristretta cerchia degli specialisti. Il termine canale – peraltro introdotto da Secchi, che lo aveva però utilizzato per designare alcune ampie formazioni affatto diverse da quelle individuate da Schiaparelli – era tutt’altro che casuale. Le linee, infatti, apparivano di colore simile a quello delle aree scure della superficie del pianeta, ritenute bacini liquidi (mari e laghi), e attraversavano in ogni direzione le zone chiare, considerate invece regioni continentali. Esse, inoltre, non terminavano mai nel mezzo di un continente ma, al contrario, sembravano avere sempre inizio e fine in un mare o in un’altra linea o nell’intersezione di più linee. Ciò lo indusse a ritenere che si trattasse appunto di canali, che costituivano un vero e proprio reticolo idrografico attraverso il quale ingenti masse liquide, originate dallo scioglimento stagionale delle calotte polari, defluivano, attraverso i continenti, fino ai mari.
Già all’indomani della sua prima Memoria su Marte chiese che la specola fosse dotata di un telescopio più potente del modesto 8 pollici (operativo solo da poco più di tre anni), in grado di competere con quelli posseduti da molti osservatori esteri. Il 10 giugno 1878, Sella, che si era fatto interprete della richiesta, riuscì a ottenere dal Parlamento l’ingente somma di 250.000 lire per l’acquisto di un nuovo strumento. Le ottiche del telescopio, un rifrattore di 18 pollici (circa 49 cm) di apertura, furono commissionate alla ditta Merz, la stessa che aveva realizzato l’8 pollici, e la montatura alla ditta Repsold di Amburgo.
Nel 1882 Schiaparelli osservò un nuovo, sconcertante fenomeno, cui dette il nome di geminazione: la comparsa, al fianco di numerosi canali preesistenti, di un nuovo canale che correva parallelamente a quello originario. Il fenomeno sembrava interessare anche i laghi e avere andamento stagionale. Nel corso delle quattro successive opposizioni continuò a eseguire osservazioni del pianeta (a partire da quella del 1886, con il nuovo Merz-Repsold, operativo dall’anno precedente), che confermarono i fenomeni rilevati nelle precedenti campagne d’osservazione. Per ciascuna delle sette opposizioni complessivamente esaminate, redasse un voluminoso resoconto corredato di dettagliate mappe del pianeta. L’ultima di queste Memorie, pubblicate negli Atti della R. Accademia dei Lincei, relativa all’opposizione del 1890, fu letta nel 1910, pochi mesi prima della morte. Le sue scoperte su Marte scatenarono una vera e propria ‘caccia’ ai canali, che vide coinvolti, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, i migliori astronomi osservativi dell’epoca.
Tre articoli di carattere divulgativo, apparsi tra il 1893 e il 1909 sulla rivista Natura ed arte, testimoniano del fatto che Schiaparelli non cessò mai di credere nell’esistenza oggettiva dei canali, neppure quando, al volgere del nuovo secolo, vi erano ormai forti evidenze circa la natura puramente illusoria degli stessi.
Mai venne meno, in lui, l’idea che i canali e le loro geminazioni potessero essere la manifestazione di forme organiche vegetali se non addirittura l’opera di esseri intelligenti. Pur non negando, infatti, che il loro aspetto così geometricamente regolare potesse essere spiegato facendo esclusivo ricorso a processi naturali, l’ipotesi che i canali fossero imponenti manufatti di ingegneria idraulica «nulla include d’impossibile. Notisi però che in ogni caso non potrebbero essere opere di carattere permanente, essendo certo, che una stessa geminazione può cambiare di aspetto e di misura da una stagione all’altra. Si possono tuttavia assumere opere tali da cui una certa variabilità non sia esclusa, per esempio lavori estesi di coltura e di irrigazione su larga scala» (G.V. Schiaparelli, Il pianeta Marte, in Natura ed arte, II (1893), 5-6, pp. 393-404, 497-510, ora in Id., La vita sul pianeta Marte, a cura di P. Tucci et al., Milano 1998, pp. 45-77, in partic. p. 76). E ancora: «Quando [...] si ferma l’attenzione sopra le misteriose geminazioni e sulla straordinaria regolarità di forma ch’esse presentano, l’idea che da qualche parte almeno secondaria vi possa avere una razza di esseri intelligenti non può esser considerata come intieramente assurda» (La vita sul pianeta Marte, in Natura ed arte, IV (1895), 11, pp. 921-929, ora in Id., La vita sul pianeta Marte, cit., pp. 79-89, in partic. p. 86).
Dal giugno del 1885 al maggio del 1889 fu membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione e, come previsto dallo Statuto Albertino, in quanto membro da almeno sette anni della Regia Accademia delle scienze, il 26 gennaio 1889 fu nominato senatore del Regno, carica all’epoca vitalizia e non elettiva. Nel 1902, l’Astronomical Society of the Pacific lo insignì della medaglia Bruce, considerata una delle più alte onorificenze in campo astronomico.
Rimasto prematuramente vedovo nel giugno del 1893, nel 1900, con la vista ormai gravemente compromessa dai lunghi anni di osservazione telescopica (era affetto da una forte miopia, a causa della quale era stato riformato alla visita di leva), si ritirò a vita privata, lasciando la carica di direttore dell’osservatorio a Giovanni Celoria.
Colpito il 22 giugno 1910 da una trombosi cerebrale, che gli paralizzò gli arti destri e gli compromise quasi totalmente l’uso della parola, morì il mattino del 4 luglio 1910 nella sua abitazione milanese di via Fatebenefratelli n. 7.
A dispetto delle sue ultime volontà, i funerali furono celebrati in forma solenne a spese del Comune di Milano. È sepolto nella tomba di famiglia del cimitero Monumentale di Milano.
Sebbene dei ‘suoi’ canali, spazzati via dall’occhio impietoso delle sonde spaziali, oggi non resti che il ricordo, egli è senz’altro da annoverare tra i maggiori astronomi della seconda metà del XIX secolo. Autore di oltre 250 pubblicazioni, spaziò in tutti i rami dell’astronomia, con la sola eccezione dell’allora nascente astrofisica (sebbene, nel 1872, fosse entrato a far parte del comitato di redazione delle Memorie della Società degli spettroscopisti), di cui, in Italia, furono pionieri Angelo Secchi, con il quale intrattenne per lunghi anni una fitta corrispondenza ed ebbe stretti rapporti di collaborazione, e Pietro Tacchini. In campo planetario, oltre ai celeberrimi studi su Marte, compì osservazioni sistematiche di Urano, di Saturno e di Giove e dei suoi satelliti. Per i suoi studi sui periodi di rotazione di Venere e di Mercurio, del quale disegnò anche una mappa, nel 1890 vinse per la seconda volta il premio Lalande.
Diversamente da precedenti osservatori, che avevano suggerito per entrambi i pianeti un periodo di rotazione prossimo alle ventiquattr’ore, Schiaparelli giunse a concludere che, analogamente a quanto avviene per la Luna, la loro rotazione fosse sincrona con il periodo di rivoluzione (87,97 giorni per Mercurio e 224,70 giorni per Venere; sebbene, data l’evanescenza dei dettagli osservabili sul disco di quest’ultimo, non escludesse la possibilità che il suo periodo di rotazione potesse essere compreso tra i sei e i nove mesi). I valori da lui proposti rimasero i più accreditati fino alle prime osservazioni radar, eseguite negli anni Sessanta del secolo scorso, che rilevarono periodi di rotazione, poi confermati dalle sonde spaziali, di 58,65 giorni per Mercurio e di 243,69 giorni per Venere.
Nell’arco di cinque lustri, tra il 1875 e il 1900, eseguì quasi 12.000 osservazioni di sistemi binari, alcuni dei quali osservati con una frequenza di 10 o 15 volte all’anno. Si cimentò con la statistica stellare, affrontando i grandi temi della luminosità intrinseca e della distanza e distribuzione delle stelle fisse, alla base del dibattuto problema della forma e delle dimensioni dell’universo conosciuto. Si occupò di geodesia, di geofisica, di meteorologia e di matematica, anche nelle sue applicazioni alle scienze naturali.
Numerosi e originali anche i suoi contributi alla storia dell’astronomia, un campo di interesse che lo condusse, in età matura, allo studio del greco e delle lingue orientali antiche. Ricordiamo qui i suoi lavori sull’astronomia antico-testamentaria e dell’antico Oriente, le tre memorie sui precursori del sistema eliocentrico nel mondo greco e l’importante saggio su Le sfere omocentriche di Eudosso di Callippo e di Aristotele, pubblicato nel 1874 e tradotto in tedesco nel 1877, che resta a tutt’oggi il lavoro di riferimento sull’argomento. Avrebbe voluto che queste ricerche confluissero organicamente in una grande opera sulla storia dell’astronomia antica, a lungo meditata, ma che non fece in tempo a realizzare.
Oltre alle già citate medaglie e ai due premi Lalande, nel 1876 gli fu assegnata la Cothenius-Medaille della Deutsche Akademie der Naturforscher Leopoldina. Fu membro di numerosissime accademie e società scientifiche, italiane ed estere: socio della Società italiana delle scienze detta dei XL (1867); socio annuale della Società geografica italiana (1868); socio nazionale residente della Regia Accademia delle scienze di Torino (1870); socio corrispondente (1870) e poi socio nazionale (1875) per la Sezione scienze fisiche dell’Accademia dei Lincei; membro effettivo (1862) e poi membro effettivo pensionato (1875) dell’Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano, di cui, nel 1883, divenne vicepresidente e successivamente (1884-85) presidente; membro associato della Royal astronomical Society di Londra; membro corrispondente (1876) e poi membro ordinario (1898) della Società Reale di Napoli; corrispondente per la Sezione di astronomia (1896) e poi membro associato straniero (1902) dell’Academie des sciences di Parigi; socio corrispondente dell’Accademia Pontaniana di Napoli (1896); socio dell’Accademia della Crusca di Firenze (1907).
Oltre che del già ricordato titolo di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, fu insignito dei titoli di cavaliere dell’Ordine civile di Savoia, di commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia e di cavaliere dell’Orden pour le mérite für Wissenschaften und Künste. Sono intitolati al suo nome il pianetino n. 4062, un cratere lunare, un cratere di Marte e un dorsum di Mercurio. Nel 2016 è stato battezzato in suo onore l’EDM (Entry, Descent and landing Demonstrator Module) lander del programma spaziale Exomars. Nel 1974 l’Ungheria gli ha dedicato un francobollo del valore di 6 fiorini e, nel 2010, le Poste italiane ne hanno commemorato il centenario della morte con l’emissione di un francobollo del valore di 0,65 euro.
Fonti e Bibl.: La gran parte del materiale documentario (corrispondenza, disegni, diari di osservazioni ecc.) è conservata a Milano, presso l’Archivio storico dell’osservatorio di Brera, Fondo Schiaparelli (si veda anche il portale dedicato agli archivi storici degli osservatori astronomici italiani dell’Istituto nazionale di astrofisica, http://www. archivistorici.inaf.it/index.php, 15 gennaio 2018); materiale miscellaneo, relativo ai primi studi saviglianesi e alle celebrazioni post mortem, si trova a Savigliano (Cuneo), nel Museo civico A. Olmo, Fondi documentali, Fondo Schiaparelli, nn. 1405-25. G.V. Schiaparelli, Le opere, pubblicate per cura della Reale Specola di Brera, I-XI, Milano 1929-1943; G.V. Schiaparelli, A. Secchi: corrispondenza (1861-1878), a cura di L. Buffoni - A. Manara - P. Tucci, Milano 1991; G.V. Schiaparelli, Scritti sulla storia dell’astronomia antica, Bologna 1925-27 (2a ed., Milano 1997-1998, anche in https: //www.liberliber.it/online/autori/autori-s/giovanni-virginio-schiaparelli/, 15 gennaio 2018).
All’astronomo G.V. S.: omaggio, 30 giugno 1860 - 30 giugno 1900, Milano s.d.; G. Cossavella, L’astronomo G. S., Torino 1914; A. Bacciolini, Vita ed opere di G. S.: Discorso inaugurale della lapide e riferimenti all’odierno monumento in Savigliano, s.l. 1925; E. Bianchi, Discorso letto a Savigliano il 15 novembre 1925 per l’inaugurazione del monumento a G. S., Roma 1926; Inventario di archivio dell’osservatorio astronomico di Brera 1726-1917, a cura di A. Mandrino - G. Tagliaferri - P. Tucci, Milano 1987, pp. 154-187; G. S.: storico dell’astronomia e uomo di cultura, a cura di A. Panaino - G. Pellegrini, Milano 1999; A.M. Lombardi - A. Mandrino, G.V. S. e l’astronomia dell’Unità d’Italia, in Scienziati d’Italia: 150 anni di ricerca e innovazione, a cura di M. Cattaneo, Torino 2011, pp. 19-35.