VIRTUS
V. rappresenta la somma di quelle doti virili che portarono alla grandezza di Roma. Essa è perfecta et ad summum perducta natura (Cic., Leg., i, 8, 25); rende l'uomo simile agli dèi (ibid.). A differenza della greca ἀρετή, V., presso i Romani, rappresenta l'attività del grande uomo di stato e dell'ardito soldato, il comes virtutis (Liv., xxii, 6o, 12), al quale è aperta la "via del cielo" (Cic., De re publ., vi, 16) e al quale i proprî meriti dischiudono la porta dell'eternità (Hor., Carm., iii, 2, 21 ss.).
Nell'anno 205 a. C. era stato consacrato a V. un tempio davanti alla Porta Capena, nelle immediate vicinanze di quello a Honos. Dal 17 a. C. si svolsero regolarmente dinanzi ai loro sacrari, non lontano dal tempio di Marte, delle parate di cavalleria. Il Senato onorò Cesare Augusto con uno scudo aureo, il cl(zpeus) v(irtutis), come suona l'iscrizione incisa sul clipeo rappresentato nelle monete.
Ha così inizio la marcia trionfale di V. sui conî. La prima figurazione compare sotto Nerone: in armatura da guerra, con lancia e gladio, V. pone il piede destro sull'elmo del nemico abbattuto. Questo prototipo subirà molteplici variazioni nel corso del tempo; V. viene rappresentata anche seduta; le vengono conferiti nuovi attributi: lo scudo sul quale si appoggia, la corazza conquistata, sulla quale troneggia, simboli di campagne e di vittorie, il ramo di ulivo in seguo di pace. Essa è associata alla Fortuna e alla Vittoria (virtuti et felicitati) ma il suo significato non muta, anzi, le varianti completandola, rinvigoriscono il suo essere quale sorgente di energie animatrici dell'Augusto di turno. Questa sua immutabilità ha pure un altro motivo. La rappresentazione di V. si avvicina in modo straordinario a quello di Roma (v. roma, Sez. H), tanto che mancando le iscrizioni, si distinguono difficilmente l'una dall'altra, nel qual caso vengon chiamate Roma-Virtus; entrambe, sentite in modo analogo, portano l'epiteto di aeterna.
È proprio questa coincidenza a rivelare il senso più profondo del linguaggio figurativo delle monete: soltanto Roma aeterna, che tutto comprende e tutto abbraccia, conferisce uno scopo alla V. agente attraverso l'imperatore. In quanto è associato a Roma, il sovrano diventa un autentico comes virtutis e deo similis. Rapporto questo che si comprende solo seguendo le numerose composizioni e le loro varianti intitolate virtus Aug.: vivaci scene di battaglia, disposizioni strategiche, per esempio il passaggio del Danubio, celebri vittorie affermano la V. del sovrano, che porta ormai egli stesso gli attributi di Roma-V. e che, come Roma, s'intitola invictus. A questa V., specie sotto il regno degli "imperatori soldati" partecipa decisamente anche il milite combattente. In tal modo, con le iscrizioni virtus militum, equitum, exercitus, raggiunge gli stessi attributi bellici di Roma, della V. e dell'imperatore.
Sinanche le grandi divinità ufficiali entrano nell'orbita della V., specie Marte, il cui tempio si ergeva vicino ai sacrarî di Honos e V., e lo stesso Giove, il "padre degli dèi", la cui immagine si vede una volta circondata dalle parole Iovis virtuti; l'imperatore ne porta spesso la statuetta della Vittoria o la riceve da un soldato. L'eroe poi, venerato durante tutta l'antichità e, a Roma, particolarmente sotto Traiano quale σωτήρ, Ercole, rappresentato sulle monete durante le sue "fatiche", incarna senz'altro la V. imperiale. Talvolta poi gli imperatori si considerano come "l'incarnazione" di V., assumendo la parola V. tra i loro titoli che ne circondano l'immagine sul diritto della moneta, nell'intento d'incorporarne la forza insieme con la parola.
In scultura è naturale la sua presenza in scene a carattere storico e compare quindi in rappresentazioni di trionfo alla testa del carro del vincitore (rilievo dell'Arco di Tito; rilievo di Marco Aurelio da Efeso) o in scene di reditus (rilievo adrianeo del Palazzo dei Conservatori). Particolarmente interessanti due rilievi dell'Arco di Traiano a Benevento (presentazione delle reclute; presentazione di veterani) in cui il consueto abbigliamento è variato dalla sostituzione dell'elmo con una corona turrita cinta di quercia, inoltre nel secondo dei rilievi citati essa reca in mano un vessillo con cinque aquile (con vessillo era rappresentata anche nella colonna di Magonza).
Dall'età di Adriano V., nel consueto abbigliamento, fa la sua apparizione in rilievi con scene di caccia (specie sarcofagi) quale compagna del più importante dei cacciatori rappresentato a cavallo in atto di trafiggere leoni o cinghiali. Il costume dovette derivare dalla passione venatoria di Adriano, che con V. forse si fece rappresentare quale cacciatore e che, nelle monete accoppiò la leggenda: virtus avg al tipo del cacciatore a cavallo.
Bibl.: S. W. Stevenson, Dictionary of Romain Coins, Londra 1889, pp. 879-890; A. von Domaszewski, Abhandlung. zur röm. Religion, Lipsia-Berlino 1900, p. 96; F. Gnecchi, Personificazioni allegoriche sulle monete romane imperiali, in Riv. It. Numism., 1905, p. 41 ss.; P. L. Strack, Reichsprägung, Traian, Stoccarda 1931, p. 174 ss.; Ant. Pius, pp. 53-63. Monete con V.: numeri secondo M(attingly) S(ydenham); fra parentesi Cohen2: Augusto 244 (290); Nerone 26 (219); Galba 25 (340); 97 (336); Vespasiano 355 (641); Domiziano 199 (317); 246 (646); Traiano 202 (401); 268 (653); Adriano 614 (1465); Ant. Pio (1173); 118 (186); M. Aurelio 1047 (1000); 1249 (1004); Commodo 41 (965); 160 (966); 242 (955); Sett. Severo 24 (571); 146 (763); 788 (538); Caracalla 112 (464); 155 (105); 466 (673); Sev. Alessandro 90 (363); 220 (579); 627 (592); Gordiano III 95 (404); 327 (395); Filippo 151 (239); Decius 8 (123); Valeriano I 136 (273); 268 (272); Gallieno 332 (1238); 593 (1263); 674 (1530); Claudio II 225 (361); Aureliano 99 (278); 184 (284); Probo 304 (852); 446 (847; 803 (866); Floriano 23 (92); Postumo 252 (432); Diocleziano 103 (526); Mass. Erculeo 497 (561); 500 (591); J. A. Hild, in Dict. Ant., V, pp. 926-27; G. Wissowa, in Roscher, VI, 1924-37, c. 336-47, s. v.; M. Grant, Roman Imperial Money, Roma-Edimburgo 1954, pp. 29, 151, 173, 225, 268.
(† W. Koehler)