VISCONTI, Giovanni Antonio Battista.
– Nacque a Vernazza, nelle Cinque Terre in Liguria, il 26 dicembre 1722 da Marco Antonio, di professione medico, e da Maria Leonardini.
Radicata da molte generazioni nella diocesi di Sarzana, già di Luni, la famiglia Visconti frequentava la capitale dello Stato pontificio; lo stesso Marco Antonio aveva praticato presso l’ospedale romano di S. Spirito.
Rimasto orfano di madre a soli tre anni, a quattordici perse anche il padre; la sorella minore Angela, nata il 13 dicembre 1724, fu affidata alla zia materna Margherita Leonardini, mentre di Giovanni Battista si occupò un prozio, suo omonimo, laureatosi in teologia a Roma e all’epoca arciprete a Vernazza, vicario foraneo ed esaminatore sinodale.
Quest’ultimo, affinché il pronipote potesse completare gli studi, lo inviò a Roma; nei primi anni del suo soggiorno (1737-42), il giovane alloggiò presso uno zio del padre, Antonio Maria, di professione «quadraro», ossia pittore, restauratore e mercante di quadri (Michel, 1968).
A Roma fin dal 1696-97, Antonio Maria era stato un allievo del genovese Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio, e alcuni eruditi riportano la notizia di un ritratto che questi gli avrebbe fatto. All’epoca dell’arrivo del nipote, Antonio Maria dimorava nei pressi della chiesa di S. Lorenzo in Damaso e, sposato con Lucia Saliceti, appartenente alla benestante famiglia romana con frequentazioni nell’Arcadia, era introdotto negli ambienti letterari della città. Questa circostanza, unita a una buona istruzione che il giovane Visconti aveva ricevuto già nel paese natale grazie a don Giambattista Bianchi, suo maestro di lingua latina e al quale il nostro fu sempre molto riconoscente, favorì il buon proseguimento della sua formazione.
Studiò retorica con padre Luigi Bubuni, il greco e l’ebraico con l’abate Gennaro Sisti, ma anche la filosofia, la fisica e le scienze matematiche, seguendo le lezioni alla Sapienza dei padri minimi Thomas Leseure e François Jacquier e del gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich. Presso l’Archiginnasio frequentò anche lezioni di botanica e di medicina. Già nel 1741 fu principe dell’Accademia de’ Varj, per la quale scriveva gli Annali, e gradualmente acquistò buona notorietà «per gli suoi eruditi e sodi componimenti che frequentemente fa sentire in Arcadia» (Novelle letterarie, XVI, Firenze 1755, n. 42, 17 ottobre 1755, col. 666). Fu predicatore in S. Giovanni dei Fiorentini e si distinse tra gli arcadi con il nome di Aberilmo Eginense, fu assiduo frequentatore della Sala Latina e anche affiliato delle Accademie degli Aborigeni, degli Infecondi, dei Forti e degli Umbri di Fuligno. Dal 1772 fu membro onorario dell’Accademia di San Luca e nel 1778 ricevette il diploma di aggregazione all’Accademia dell’antichità di Kassel, fondata da Federico II, langravio d’Assia-Kassel (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, BAV, Autografi Ferrajoli. Raccolta Visconti, AF.RV, c. 3249r; Vian, 1996, p. 212, n. 1745). Comprò inoltre un ufficio vacabile di scriptor apostolicus de majori grazie al quale poté presentare per ben quattro volte, a tre diversi pontefici, l’offerta dell’Epifania, accompagnata da una breve orazione in lingua latina indirizzata al santo padre.
Nel 1750 sposò Orsola Filonardi, appartenente alla nobile famiglia romana originaria di Bauco, attuale Boville Ernica, della diocesi di Veroli. I Filonardi potevano vantare tra i loro avi vescovi, arcivescovi e perfino cardinali, in particolare Ennio, nominato da Paolo III Farnese, e Filippo, nominato da Paolo V Borghese. Dal matrimonio nacquero sei figli, Matilde e Beatrice, monacate a Veroli (BAV, AF.RV. cc. 3737r, 3750rv, cfr. Vian, 1996, p. 243, n. 1984; BAV, Autografi Ferrajoli. Miscellanea Visconti, AF.MV, cc. 815rv, 816rv, cfr. Vian, 1996, p. 579, n. 4323), e quattro figli maschi: Ennio Quirino (v. la voce in questo Dizionario), Filippo Aurelio (1754-1831), Massimo, morto ancora bambino nel 1756, e Alessandro (1757-1835). Probabilmente grazie ai legami della famiglia della moglie con la Curia romana, nel 1766, per il tramite di monsignor Giuseppe Garampi – diplomatico pontificio, prefetto degli Archivi della basilica di S. Pietro e degli Archivi di Castel Sant’Angelo –, ottenne di divenire gentiluomo del neoeletto cardinale Giovanni Carlo Boschi, figura eminente all’epoca del pontificato di Clemente XIII. Tale ruolo, cui spettavano le attività di relazione con gli altri principi della Chiesa, circoscritti incarichi diplomatici e la possibilità di intrattenere rapporti con la famiglia pontificia, aprì ulteriori proficue possibilità alla carriera di Visconti.
Egli aveva maturato un precoce amore per le vestigia di Roma e nel corso degli anni aveva raccolto una discreta collezione di oggetti antichi: gemme, piccoli bronzi, marmi figurati e iscritti, ma soprattutto monete. L’anonimo autore della voce Gio. Battista Antonio Visconti nella Biografia degli italiani illustri del 1835 (si tratta in realtà del pronipote Pietro Ercole il cui manoscritto si conserva in BAV, Ferr., 936, cc. 1-3) informa che dapprima Visconti aveva acquistato da monsignor Giulio Cesare Lomellino un nucleo di antiche monete di età imperiale, in seguito egli acquisì la collezione «sceltissima, a gran prezzo riunita» dell’avvocato Lorenzo Bondacca. La passione per il collezionismo numismatico, non solo di epoca antica, che curava attraverso illustri acquisizioni, lo accompagnò tutta la vita: è ricordato spesso dai biografi l’esorbitante tributo di 500 scudi per ottenere una moneta in bronzo di Britannico. La sua padronanza nelle scienze antiquarie era nota nell’ambiente culturale romano e l’acquisita fama, soprattutto nella materia numismatica, emerge dalla lettura della corrispondenza conservataci (Vian, 1996). Eruditi, antiquari e prelati gli si rivolgevano di frequente per richiedere consulenze e pareri, sempre generosamente elargiti, ma anche attività di mediazione in occasione di compravendite. L’acquisto per la propria collezione di una pregevole «cista mistica di bronzo», ritrovata nella necropoli dell’antica Praeneste (un cofanetto destinato a contenere oggetti di uso personale, ora conservato nel Museo archeologico di Napoli, inv. 5666), fu occasione di confronto con Johann Joachim Winckelmann, che «restò persuaso» dalla dotta spiegazione fornita dall’antiquario (G.B. Visconti, Il Museo Pio-Clementino, I, Roma 1782, p. 81, nota a; BAV, Ferr., 484, c. 85). Tra i due dovevano esservi rapporti cordiali in nome di «quell’amicizia, che saldissima emerge dalla stima» (Gio. Battista Antonio Visconti, 1835, p. 479); in verità il nome di Visconti non ricorre di frequente nel ricco epistolario dello studioso tedesco, il quale però doveva nutrire sentimenti di fiducia tanto che, alla vigilia del fatale viaggio al di là delle Alpi, lo indicò come successore alla carica di commissario delle Antichità. Il biglietto, datato 9 aprile 1768, con il quale Winckelmann prendeva congedo dall’antiquario pregandolo di presentarsi al cardinale Camerlengo «il quale è inteso di tutto», pare fosse custodito in casa Visconti come la più sacra delle reliquie (J.J. Winckelmann, Lettere, a cura di M. Fancelli - J. Raspi Serra, III, Roma 2016, p. 459, n. 837It, p. 669).
Come è noto, l’8 giugno 1768 Winckelmann, sulla strada del ritorno verso Roma, venne brutalmente assassinato a Trieste e già il 30 giugno Clemente XIII insignì Visconti della prestigiosa carica che lo avrebbe definitivamente consacrato (Chracas, Diario ordinario, n. 7459, 2 luglio 1768, p. 18). Sulle prime non tutti furono favorevoli, è nota per esempio la posizione di Anton Raphael Mengs che sosteneva piuttosto Giovanni Battista Piranesi e, appresa la nomina di Visconti, espresse il suo disappunto, soprattutto per l’esiguità della produzione letteraria del nuovo commissario, di certo non paragonabile a quella del predecessore (Anton Raphael Mengs Briefe an Raimondo Ghelli und Anton Maron, a cura di H. von Einem, in Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften in Göttingen. Philologisch-Historische Klasse, 1973, vol. 82, pp. 44, n. 6, 46, n. 8). Nonostante alcune iniziali critiche, Visconti seppe interpretare nel migliore dei modi il nuovo ambito ruolo, ripagando oltremodo la fiducia in lui riposta, tanto che Gaetano Moroni avrebbe scritto che egli portò «il commissariato al massimo splendore» (Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XV, Venezia 1842, s.v. Commissario, e Commissariato delle Antichità Romane, p. 86). Tale fama si deve soprattutto all’impresa del Museo Pio Clementino nella quale egli profuse considerevoli energie e tutto il suo talento. Nel 1770 Clemente XIV Ganganelli, sostenuto dal tesoriere Giovan Angelo Braschi, futuro Pio VI, promosse l’acquisto di numerose sculture antiche: i monumentali candelabri Barberini, un cospicuo nucleo della collezione appartenuta a Francesco Fusconi, archiatra di Paolo III, e una selezione di sculture della collezione Mattei, operata proprio da Visconti. In un primo momento si pensò di sistemare le nuove sculture nelle gallerie della Biblioteca Vaticana, ma la consistenza degli acquisti impose di individuare uno spazio alternativo; la scelta cadde sul palazzetto del Belvedere, dove fin dal XVI secolo dimoravano alcune celeberrime sculture antiche. La loggia del palazzetto e alcuni ambienti contigui vennero così adattati dall’architetto Alessandro Dori. Con l’avvento di Pio VI al soglio pontificio, nel febbraio del 1775, il progetto, grazie anche all’impulso dell’instancabile Visconti, assunse più vaste proporzioni con la costruzione di nuove fabbriche che raccordavano il palazzetto quattrocentesco con le gallerie superiori del corridore occidentale di Donato Bramante. Come è noto, i lavori del Museo Pio Clementino si protrassero fino al 1793; alla morte di Dori, nel 1772, subentrò l’architetto Michelangelo Simonetti e infine Giuseppe Camporese. Il commissario Visconti fu impegnato a tutto campo nell’impresa: selezionava le sculture presso gli ateliers degli scultori e le botteghe degli antiquari con i quali trattava direttamente il prezzo d’acquisto, prelevava le migliori opere che emergevano dagli scavi condotti nello Stato pontificio, sceglieva gli allestimenti, componeva le numerose iscrizioni dedicatorie in latino, suggerendo perfino le forme architettoniche delle nuove fabbriche e i programmi figurativi delle decorazioni pittoriche (per i conti relativi al Museo Pio Clementino cfr. Archivio di Stato di Roma, ASR, Camerale II, Conti d’impresa, bb. 37-43; Camerale II, Antichità e Belle Arti, bb. 16-31; ASV, SPA, Computisteria, bb. 403, 410, 409; Archivio storico dei Musei Vaticani, bb. II-III; per gli allestimenti cfr. BAV, Ferr., 974, c. 17; per la scelta dei soggetti dei cicli pittorici, in particolare della Sala delle Muse, cfr. BAV, Ferr., 910, c. 13). Fin dagli esordi dell’impresa Visconti manifestò grande sensibilità per i restauri delle sculture che personalmente sovrintese (BAV, Ferr., 881, c. 24, «elenco autografo dei ristauri e lavori esistenti in diversi studi»; per i rapporti che Visconti direttamente teneva con le varie maestranze si veda: ASV, SPA, Computisteria, b. 391 (1785), n. 9 – scambio con Francesco Antonio Franzoni; bb. 403, 410, 409). Il diligente esecutore fu dapprima Gaspare Sibilla, con il quale il nostro instaurò un legame sincero e profondo, tanto che la notizia della morte (24 maggio 1782) dello scultore «onoratissimo» fu un «fiero colpo» (BAV, AF.MV, c. 7361; Vian, 1996, p. 504, n. 3916). Gli successe Giovanni Pierantoni che, come il predecessore, continuò a osservare scrupolosamente le indicazioni che Visconti, sempre più coadiuvato con il trascorrere degli anni dal figlio Ennio Quirino, impartì secondo criteri filologici nel rispetto delle antiche iconografie.
Nonostante le vaste conoscenze antiquarie che anche i contemporanei gli riconobbero, Visconti non ha lasciato una produzione letteraria importante. Notevole fu la sua curiosità intellettuale – e interessante è la notizia della richiesta della licenza per poter leggere libri messi all’indice (BAV, Ferr., 936, c. 207) –, testimoniata dalla varietà di interessi che caratterizzavano la sua biblioteca, costituita, oltre che da numerosi testi classici, di antiquaria e di letteratura in genere, da libri di teologia, filosofia, estetica, ma anche da volumi di scienze naturali, matematica, astronomia e geografia (cfr. l’indice redatto dal figlio Ennio Quirino, BAV, Vat. lat., 10331). Si dilettava nel comporre testi poetici, anche di soggetto religioso, alcuni dei quali confluirono nelle raccolte delle accademie che frequentava, altri inediti sono conservati tra le carte di famiglia (BAV, AF.MV., cc. 11r-12r, 15r-16v, per i quali cfr. Vian, 1996, pp. 535 s., nn. 4084, 4087). Tra i componimenti sacri ebbero un discreto successo quelli da cantarsi in oratorio e posti in musica da D. Francesco Garzia, il Tobia e la Susanna, pubblicati con il nome di Alberilmo Eginense rispettivamente nel 1752 e nel 1754. Tra gli scritti di carattere antiquario si ricordano: la Lettera all’e.mo e r.mo Signor cardinale Guglielmo Pallotta pro-tesoriere generale (in Cancellieri, 1806, pp. 1-7; il testo originale, datato 24 marzo 1781, vergato da Ennio Quirino Visconti e firmato «Giambatista Visconti» si conserva presso ASR, Camerale II, Antichità e Belle Arti, f. 142, b. 4) e le notizie sul sepolcro degli Scipioni pubblicate a più riprese nella rivista Antologia romana (1778, vol. 5, pp. 305 s., 1782, vol. 8, pp. 244, 249-253, 257-262, 1782, vol. 9, pp. 187-193, 227; per l’elenco completo dei suoi scritti v. Cancellieri, 1806, pp. 67 s.).
Con breve del 4 agosto 1778 Visconti ricevette da Pio VI l’incarico di illustrare il Museo Pio Clementino. Nel 1782 usciva a Roma il primo volume (Il Museo Pio-Clementino descritto da Giambattista Visconti Prefetto delle Antichità di Roma, Tomo I dedicato alla Santità di Nostro Signore Pio Sesto Pontefice Massimo); ne seguirono altri sei, pubblicati tra il 1784 e il 1810 (anche se il settimo e ultimo volume reca impressa la data 1807, Gallo, 1994, p. 89, nota 37) dal figlio Ennio Quirino, che molto dovette contribuire anche alla stesura del primo firmato solo dal padre (Il Museo Pio-Clementino, II, Roma 1784, p. V). Il pregevole volume in folio era corredato da tavole che accuratamente illustravano ogni singolo reperto descritto; per la prima volta le sculture antiche rivestivano valore non solo per il loro aspetto estetico, ma divenivano ‘strumenti storici’ che i Visconti, padre e figlio, acquisita la lezione estetica di Winckelmann, utilizzavano per una ricostruzione delle vicende religiose, politiche e culturali del passato.
Visconti fu uomo amabile e rispettato ancora prima di rivestire il prestigioso incarico di commissario delle Antichità; generoso nel consigliare e leale con gli amici manifestò una costante e sincera fedeltà all’autorità pontificia (Sforza, 1923, pp. 27-29). Un grande dolore, che funestò gli ultimi anni della sua vita, fu la rottura con il figlio Ennio Quirino, ribellatosi al volere del padre che per lui avrebbe desiderato una brillante carriera ecclesiastica (interessante a tal riguardo è la fitta corrispondenza con la marchesa genovese Argentina Imperiale – per l’elenco delle lettere si veda Vian, 1996, pp. 243-245, nn. 1982-1985 –, che addirittura vagheggiava un pontificato per il giovane Visconti, cfr. lettera 28 giugno 1775, BAV, AF.RV., c. 3718rv). Fu un genitore molto sollecito nell’istruzione dei figli che amava coltivare sperimentando personali metodi pedagogici, in particolare nei confronti di Ennio Quirino che, fin da tenera età, aveva mostrato eccezionali doti di memoria, di oratoria e di capacità critica, spesso esaminate attraverso pubbliche prove alla presenza dei dotti del tempo (BAV, AF.MV, cc. 1r-8v, Esposizione del metodo con cui Ennio Quirino nella fanciullezza apprese diversi idiomi; per la trascrizione del manoscritto di Visconti cfr. Vian, 1996, pp. XXII-XXVII; per le notizie delle prodigiose prove sostenute da Ennio Quirino cfr. Novelle letterarie, cit., coll. 666-671, in cui si riporta una lettera scritta da Roma il 19 luglio 1755; Chracas, Diario ordinario, n. 7059, 2 ottobre 1762, p. 24; n. 7062, 9 ottobre 1762, pp. 2-5; n. 7365, 15 settembre 1764, pp. 11 s.).
Dopo lunga malattia morì a Roma il 2 settembre 1784, in vicolo de’ Baullari, dove dimorava dal 1770. Fin dal 1782, a causa del precario stato di salute aggravatosi proprio mentre si consumava la crisi con il primogenito, aveva ottenuto di essere coadiuvato negli incarichi pontifici dal figlio Filippo Aurelio che infatti gli sarebbe succeduto nel ruolo di commissario delle Antichità. La sera del 3 settembre, dopo solenni esequie, Visconti fu tumulato nel sepolcro Saliceti nella chiesa di S. Giovanni de’ Fiorentini.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, BAV, Ferr., 484 (contiene le Notizie famigliari per gli anni 1750-57, stese da Visconti, e le Notizie di Giovanni Battista Antonio Visconti. Commissario delle Antichità di Roma, stese dal figlio Filippo Aurelio; cfr. Vian, 1996, p. L); AF.RV, 7347-7367 (vi si conservano gli autografi di Visconti, per la maggior parte lettere ai familiari); altre lettere con illustri personalità dell’epoca sono in Ferr., 881, cc. 24, 86-107, 143, 153-154; 413, cc. 28, 34; 910, cc. 6, 10, 11, 13; Vat. lat., 10820, cc. 61, 97, 211.
F. Cancellieri, Dissertazioni epistolari di G.B. V. e F. Waquier de la Barthe sopra la statua del Discobolo scoperto nella Villa Palombara, Roma 1806, pp. 61-69; G. Labus, Notizie intorno la vita di Ennio Quirino Visconti, in Le opere di Ennio Quirino Visconti, Milano 1818, pp. XVII-XLVI; G. Corniani - S. Ticozzi, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, II, Milano 1823, pp. 598 s.; T.B. Éméric-David, Visconti Jean-Baptiste-Antoine, in Biographie universelle ancienne et moderne, XLIX, Paris 1827, pp. 249-251 (trad. it. Biografia universale antica e moderna, LXI, Venezia 1830, pp. 399-401); G.B. Spotorno, Il padre di Ennio Quirino Visconti, in Nuovo giornale ligustico, 1831, n. 1, pp. 23 s.; G.B.A. V., in Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII, e de’ contemporanei compilati da letterati italiani di ogni provincia, a cura di E. De Tipaldo, II, Venezia 1835, pp. 478-481 (il testo è pubblicato anche in L’Album. Giornale letterario e di belle arti, II, 12 settembre 1835, pp. 209-211); G. Scaniglia, A.G.B. V., in Elogi di liguri illustri, III, Genova 1846, pp. 54-58; G. Sforza, Scrittori di Lunigiana. Giambattista V., in Giornale storico della Lunigiana, VIII (1916), pp. 50-59; Id., Gli antenati di Ennio Quirino Visconti, in Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, LVII (1922), pp. 223-236; Id., Ennio Quirino Visconti e la sua famiglia, in Atti della Società ligure di storia patria, LI (1923), pp. 23-26; S. Ferri, Elogio degli aspetti positivi di E.Q. Visconti, in La critica d’arte, VII (1937), pp. 226-235; O. Michel, Giovanni Domenico Porta, in Mélanges d’archéologie et d’histoire. École française de Rome, 1968, vol. 80, pp. 288-292; S. Howard, An antiquarian handlist and the beginnings of the Pio-Clementino, in Eighteenth-century studies, VII (1973), 1, pp. 40-61; C. Pietrangeli, I Musei Vaticani. Cinque secoli di storia, Roma 1985, pp. 61-104; S. Howard, Antiquity restored. 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