VISIGOTI
Popolazione dei Germani orientali, appartenente alla gente dei Goti.
Dopo la sconfitta del 507 nella battaglia di Vouillé contro i Franchi, i V., che nel corso delle Migrazioni dei popoli avevano già subìto un cambiamento secolare dalle fasi del movimento e dello stanziamento (date significative: 378 vittoria presso Adrianopoli contro l'imperatore Valente; 410 sacco di Roma; 418 fondazione del regno di Tolosa, come foederati romani), della Gallia conservarono solamente la Narbonensis. Per il resto, essi si dovettero concentrare nella regione della Hispania dove già dal principio del sec. 5° avevano messo piede e che divenne per loro luogo di stanziamento definitivo (I Goti, 1994).Rapidamente i V. ariani presero anche in Hispania il comando della società; tuttavia la loro acculturazione romana, come anche la schiacciante superiorità numerica della popolazione locale ispano-romana permettono di affermare che in ambito artistico nell'attuale patrimonio della penisola iberica le specificità germaniche si limitano quasi esclusivamente alle monete (Chaves, Chaves, 1984) e ai corredi funerari dei V., dove esse si poterono conservare a lungo. In altre categorie di manufatti artistici non si nota assolutamente una frattura connessa con l'avvento dei V.; si riscontrano piuttosto - in ambito architettonico o nella scultura - gli effetti delle tradizioni paleocristiane, che fino al 600 non si erano mai interrotte (Schlunk, Hauschild, 1978).Nei decenni che precedettero il 600 cominciò la definizione territoriale (584, annessione del regno suebo nel Nord-Ovest della penisola; fino al 625 ca. contenimento graduale dei Bizantini, che alla fine mantennero il possesso delle sole isole Baleari) e si arrivò allo stabilirsi di un centro laico e religioso a Toledo, a un equilibrio interno, alla unità confessionale cattolica (587-589) e alla equiparazione di ispanoromani e V.; in tal modo furono gettate le basi di una comunità più omogenea che riguardava l'intera penisola (García Moreno, 1989). La monarchia, che fino alla fine si compose di soggetti di stirpe germanica - per es. Leovigildo (568/569-586) e Recesvindo (649-672) -, collaborò strettamente con la Chiesa, i cui rappresentanti episcopali più importanti furono, a Siviglia Leandro (m. nel 600 ca.) e suo fratello, l'erudito Isidoro di Siviglia (m. nel 636), a Saragozza Braulio (m. nel 651), a Braga Fruttuoso (m. nel 665 ca.) e a Toledo Ildefonso (m. nel 667).
Parallelamente a questo processo di quasi creazione di uno stato nazionale, cominciarono a diffondersi nel regno anche in ambito artistico nuove forme del tutto peculiari e inconfondibili. La produzione artistica del regno di Toledo, dalla seconda metà del sec. 6° fino al 711, è diventata famosa e conosciuta con il termine di arte visigota. Visto che la cultura del regno di Toledo mostrava poche caratteristiche germaniche, quanto piuttosto tratti di matrice romana o bizantina, il termine generalizzante di arte visigota appare in questo contesto poco adatto. Per la gran parte dei monumenti è preferibile usare definizioni più generiche: come 'del periodo visigoto' o più precisamente 'del maturo o tardo periodo visigoto' o 'del regno visigoto di Toledo'.Il regno cadde nel 711-714 con l'invasione islamica, ma nell'ambito della popolazione cristiana, rimasta sempre in numero consistente, la produzione artistica non si interruppe, anche se con caratteri segnati da nuovi influssi (v. Asturie; Mozarabica, Arte). Tuttavia su una precedente ipotesi critica (Camón Aznar, 1950; Puig i Cadafalch, 1961), nuovamente ripresa da alcuni studiosi, è stata formulata un'audace proposta, secondo la quale la massa dei monumenti finora ascritti al sec. 7°, comprese le chiese con blocchi di pietra squadrati ancora esistenti, debba essere datata ai secoli successivi il 711 (Ferreira de Almeida, 1993; Caballero Zoreda, 1994-1995; 1997; 2000; Real, 1995; 2000); non condivide questa posizione Arbeiter (2000). Come elementi fondanti sono chiamati in causa determinati caratteri, particolarmente nell'arte plastica, ipotizzando un canale di passaggio omayyade, arrivato dalla Siria fino ad al-Andalus. Il dibattito sull'argomento è ancora in atto (Visigodos y Omeyas, 2000); tuttavia solo una parte assai limitata del patrimonio architettonico e plastico in questione potrebbe essere datata a un momento successivo il 711 e una porzione ancora inferiore potrebbe testimoniare influssi autenticamente islamici.Da assegnare con sicurezza al popolo visigoto sono quei monumenti a esso direttamente legati, cioè le necropoli concentrate all'interno della regione pirenaica. Gli elementi dell'abbigliamento dei sepolti - fibule metalliche o fibbie di cinture ornate - permettono di individuare con chiarezza la tradizione germanica o mitteleuropea presente nel sec. 5° e ancora nel 6° (Ripoll López, 1994). Di particolare pregio estetico sono le piastrine di guarnizione delle fibbie di cinture, di norma rettangolari e dotate di ricca ornamentazione. I manufatti, complessi dal punto di vista artistico, sono riccamente decorati per l'intera superficie con cloisons riempiti di pasta vitrea, frammenti di vetro o pietre preziose. Da ricordare sono anche le fibule ad aquila e quelle dell'abito femminile, con la terminazione superiore semicircolare, che spesso presenta motivi ornamentali di vario tipo. Le iscrizioni tombali - raramente arricchite da motivi decorativi - attestano inoltre molti nomi di origine germanica. Vanno poi ricordati gli edifici religiosi, i cui scarsi resti sono stati scoperti presso le necropoli di Ventosilla y Tejadilla (prov. Segovia; Molinero Pérez, 1953) e di Herrera de Pisuerga (prov. Palencia).
Visigota è inoltre la chiesa di Recopoli, fondata dall'ultimo sovrano ariano Leovigildo (Olmo Enciso, 1988; 2000): questa città sorse in quella fase di sovvertimento che sfociò nel regno di Toledo, centro questo allora ancora in crescita, ubicato a km 100 da Recopoli, risalendo il Tago. Mentre Toledo, anche se testimoniata dalle fonti (Puertas Tricas, 1975), è rimasta, dal punto di vista urbanistico, sostanzialmente sconosciuta, la città di Recopoli, poi abbandonata, è invece archeologicamente ben documentata: è stato così possibile ricostruire la presenza, all'interno di una cinta muraria, di quartieri residenziali, tra cui un complesso regio, collocato su un'altura lungo il Tago; la chiesa constava di una navata, affiancata su tre lati da vani simili a corridoi, con ambienti laterali nella zona orientale e un'abside di profilo, esternamente rettangolare e all'interno a semicerchio oltrepassato.Le città molto più antiche e sensibilmente più grandi (Toledo, Siviglia, Mérida, Tarragona) sono oggetto di molti interrogativi dal punto di vista urbanistico e storico-artistico: in Spagna e in Portogallo non si sono conservati edifici di culto di epoca paleocristiana o visigota; i luoghi di culto citati nelle fonti sono andati perduti a causa delle distruzioni e delle superfetazioni più tarde islamiche e cristiane. Per le chiese urbane si conoscono pochi resti emersi dagli scavi archeologici: parti della cattedrale paleocristiana di Barcellona, due strutture nell'ambito della necropoli occidentale di Tarragona e tre appartenenti alla città di Ampurias, nonché una basilica con absidi contrapposte a Mértola, in Portogallo (Schlunk, Hauschild, 1978; Arbeiter, 1997); all'epoca di passaggio al regno di Toledo sono riferibili un sacello cruciforme a carattere sepolcrale, annesso alla cattedrale di Valencia (Soriano Sánchez, 1994; 1995; Cripta arqueológica, 1998), e le chiese martiriali nell'anfiteatro di Tarragona (L'anfiteatre, 1990) e a Mérida (v.). Ancora in fase di studio sono gli scavi presso le chiese di Begastri (prov. Murcia) ed El Tolmo de Minateda (prov. Albacete).
Alcuni monumenti testimoniano ancora la produzione artistica del sec. 7°, cioè del periodo del regno di Toledo; si tratta di edifici sorti solamente nell'Ovest e nel Nord della penisola, ma il ricco patrimonio dell'arte plastica, diffuso molto più ampiamente sul territorio, lascia supporre che nel corso di questo secolo si fosse determinato su tutto il paese un linguaggio comune e formalmente caratterizzato: ciò vale sia per l'altipiano a N sia per la regione di Córdova, per Beja come per Tarragona e dintorni, o anche per la capitale Toledo, dove però il centinaio di rilievi in pietra rinvenuti (Zamorano Herrera, 1974; Storch de Gracia y Asensio, 1986) non è riferibile a nessuna precisa struttura.
Il panorama d'insieme che oggi è ricostruibile grazie alle architetture e agli edifici, per lo più religiosi, dell'epoca del regno di Toledo è dunque relativamente poco rappresentativo, perché si tratta di impianti di piccole dimensioni a carattere rurale e per lo più monastico.La chiesa di Recopoli, indagata archeologicamente, anche se fondazione regia, non presenta una grande qualità nell'apparecchio murario. Allo stesso modo, nelle regioni sudoccidentali della penisola, alcune coeve chiese rurali di impianto cruciforme mostrano ancora l'impiego di materiale povero e frammentario allettato con spessi strati di malta, secondo i modi dell'architettura iberica tardoantica o al più tardi degli anni intorno al 600: si tratta della chiesa di Montinho das Laranjeiras - presso Alcoutim, in Portogallo (Justino Maciel, 1996, pp. 91-100, 261-263), con un mosaico pavimentale di più arcaica tradizione - e di quelle di Mosteiros, in Portogallo (Alfenim, Lima, 1995), e Valdecebadar de Olivenza (prov. Badajoz; Ulbert, 1973), ambedue provviste di absidi a ferro di cavallo. Simile muratura caratterizzava la basilica di Mijangos (prov. Burgos; Lecanda, 2000), con absidi contrapposte, importante nuova scoperta. Analoga tecnica edilizia configura il São Gião de Nazaré, in Portogallo, monumento dalla cronologia ancora discussa (Schlunk, 1971).
Per il resto, le strutture superstiti del sec. 7° sono realizzate quasi sempre con ottima tecnica in blocchi di pietra squadrati, allettati a secco (Hauschild, 1972; Kingsley, 1980); ciò costituì un importante presupposto per la diffusione del rilievo plastico.Notevoli impulsi per questa produzione artistica, in particolare per la lavorazione della pietra con finalità architettoniche e plastiche, dovettero essere introdotti, durante la seconda metà del sec. 6°, attraverso Mérida, centro alla guida della Lusitania ispanica sudoccidentale e con notevoli aperture verso il mondo bizantino (Arbeiter, 1996; Feld, 1996; Hauschild, 1996), grazie sia ai traffici commerciali verso l'Oriente sia alla presenza di vescovi come Paolo (m. nel 560) e Fedele (m. nel 571) che erano 'greci'. Poco più tardi a Mérida sono menzionati come abiti liturgici clamidi in seta, come pure uno xenodochio per accogliere pellegrini e malati, mentre alcune iscrizioni in lingua greca attestano connessioni con il mondo di Bisanzio, così come la mensa a sigma di Casa Herrera (Mérida, Coll. visigoda del Convento de Santa Clara) e l'abito bizantino con una spilla d'oro con iscrizione in greco, scoperto nel corredo tombale di una donna visigota a El Turuñuelo. Allo stesso modo, è probabile che il fiorire a Mérida, nell'avanzato sec. 6°, di una nuova arte plastica, ricca di esempi e di esiti successivi (Cruz Villalón, 1985), e il quasi coevo svilupparsi dell'architettura con pietra viva ben squadrata in Lusitania siano da far risalire a influssi di matrice bizantina. Fedele diede l'avvio al rinnovamento della chiesa memoriale, meta dei pellegrini del culto della martire locale Eulalia; dell'edificio si è conservata solamente una parte di struttura munita di torri (Caballero Zoreda, Mateos Cruz, 1992; 1993; Mateos Cruz, 1999). Essa fu costruita in blocchi di pietra di spoglio di epoca romana, secondo una prassi che si diffuse anche nelle piccole chiese rurali della Lusitania, dove si assiste appunto alla messa in opera di materiale da taglio di reimpiego; ne sono esempi i complessi del sec. 7° di Portera (solo la volta del quadrato del presbiterio), Santa Lucía del Trampal, presso Alcuéscar (prov. Cáceres; grandi porzioni delle pareti e le volte a botte) e San Miguel de los Fresnos (l'intero spiccato dell'interno dell'abside circolare con una copertura a calotta; Berrocal Rangel, Caso Amador, 1991). Gli edifici, tutti nella regione di Mérida, mostrano come la prassi costruttiva con grandi blocchi a secco abbia fatto declinare la tecnica dell'opus incertum.L'importante chiesa monastica di Santa Lucía del Trampal (Caballero Zoreda, 1991; Caballero Zoreda, Sáez Lara, 1999), scoperta nel 1980 e ampiamente conservata, merita particolare attenzione anche per la sua singolare disposizione: alla zona occidentale a tre navate - quelle laterali molto strette - fa seguito un angusto passaggio a 'collo di bottiglia' che si apre su un grande transetto, diviso in sette campate, di cui la seconda, la quarta e la sesta sostenevano torrette e si aprono su ambienti orientali rettangolari, tra loro indipendenti (una rara 'pianta a tridente'), che ospitavano mense, delle quali solo quella centrale era certamente a carattere eucaristico. Tutti e tre gli ambienti del capocroce della chiesa erano separati, tramite coppie di transenne, dal transetto, davanti al quale nel 'collo di bottiglia' si trovavano due ulteriori linee di separazione: si è di fronte a una separazione molto rigorosa della zona del transetto. Quest'ultimo, anche per il suo accesso separato, dovette essere utilizzato come coro isolato per i confratelli o le consorelle. Esso corrisponde alla liturgia che in Hispania venne mantenuta fino al sec. 11°, citata come visigota o mozarabica, secondo la quale, nelle chiese con più di un sacerdote, i chierici che non celebravano avevano la loro postazione chiusa su entrambi i lati rispetto alla comunità di fedeli e, rispetto alla zona dell'altare, si trovavano in un proprio coro separato al di qua della zona sacra dell'altare. La zona dell'altare si mostra sempre come l'ambiente più a E e di norma come un rettangolo allungato (Schlunk, 1971; Godoy Fernández, 1995; Bango Torviso, 1997).Nell'estesa area di Mérida è finora noto solo un monumento che mostra il livello raggiunto, anche nelle chiese rurali, dalla tecnica del reimpiego, accompagnata dalla lavorazione ex novo di blocchi di pietra; si tratta dei resti della chiesa di Vera Cruz de Marmelar, in Portogallo (Schlunk, Hauschild, 1978, p. 212ss., tav. 114), risalenti al sec. 7°, dove tra i blocchi levigati della muratura vennero inseriti motivi decorativi plastici.Direttamente legate a Vera Cruz de Marmelar sono alcune chiese non lusitane del Nord, già da lungo tempo conosciute come della tarda epoca visigota, come San Juan Bautista de Baños de Cerrato (v.; prov. Palencia), San Pedro de la Nave (prov. Zamora) o Santa María de Quintanilla de las Viñas (v.; prov. Burgos), maturi esempi chiave di questo gruppo di edifici in blocchi di pietra squadrati, in opus quadratum, unico per quell'epoca nell'Europa occidentale.
La chiesa di San Juan Bautista de Baños de Cerrato (de Palol, 1988; Caballero Zoreda, Feijoo Martínez, 1998), fondata, secondo quanto riporta un'iscrizione ("Quam devotus ego rex Reccesvinthus / proprio de iure dicavi"), dal re Recesvindo nel 652 o nel 661, offre il più importante punto di riferimento cronologico per la storia delle architetture di epoca tardovisigota. Dopo aver attraversato un piccolo vestibolo, si ha accesso a un corpo longitudinale diviso in tre navate con archi sorretti da colonne di marmo di epoca romana. La puntuale disposizione basilicale è molto rara nel corso del sec. 7° e i tre singoli ambienti rettangolari disposti verso E, 'a tridente', erano senza confronti fino al momento della scoperta di Santa Lucía del Trampal. Oggi mancano i due laterali e anche le pareti del corpo longitudinale sono state rifatte. L'unica volta conservatasi, quella sopra l'altare, ha andamento a ferro di cavallo, come tutti gli archi. La qualità degli otto capitelli corinzi realizzati per l'edificio spazia da pezzi semplici nella zona ovest fino alla coppia quasi classica davanti all'ambiente dell'altare (Hauschild, 1990, p. 29s.). Accanto alle fasce decorative puramente ornamentali e alle croci apotropaiche compaiono sulle mensole dell'iscrizione uccelli fortemente stilizzati che sono stati messi a confronto con il motivo dell'aquila di tradizione germanica, ma sono stati anche interpretati come colombe, le quali - insieme alle conchiglie e alle ruote solari (forse allusioni celesti) delle stesse mensole - possono alludere al tema del battesimo (Barroso Cabrera, Morin de Pablos, 1996a).San Pedro de la Nave (Regueras Grande, 1996; Barroso Cabrera, Morin de Pablos, 1997; Caballero Zoreda, Arce, 1997) offre allo stesso modo le migliori possibilità di studiare gli elementi chiave di questo gruppo, già sviluppatisi negli esempi lusitani: l'utilizzo di blocchi di pietra viva squadrati fino nelle volte; la scansione orizzontale ottenuta con l'impiego di fregi a rilievo; gli archi a ferro di cavallo; il sanctuarium altaris allungato, di pianta rettangolare (Cerrillo Martín de Cáceres, 1994). La chiesa monastica rappresenta un maturo e fortunato punto di legame tra la basilica ad arcate su pilastri e la chiesa con impianto cruciforme, in cui la parte basilicale era utilizzata come spazio per i laici. Quando essa fu spostata, negli anni 1930-1932, in occasione della realizzazione di un lago artificiale, si poté stabilire che le pareti erano composte da blocchi di pietra squadrati disposti con grande precisione a secco e che talvolta essi erano legati tramite cavicchi di legno. Il monumento possiede, al pari di Santa María de Quintanilla de las Viñas, gli esempi più belli di fregi scolpiti e le più importanti testimonianze di rilievi figurativi dell'intera Hispania di epoca visigota. Sono soprattutto questo tangibile progresso e l'improvvisa ricchezza che suggeriscono per entrambe le chiese una datazione negli ultimi anni del regno di Toledo. San Pedro de la Nave mostra, nell'incrocio, un intero programma iconografico con Daniele nella fossa dei leoni, il Sacrificio di Isacco e i simboli degli evangelisti, quattro apostoli e busti talvolta nimbati.Santa María de Quintanilla de las Viñas si componeva, secondo quanto testimoniano gli scavi, di un gruppo di ambienti di accesso, un corpo longitudinale probabilmente basilicale, transetto non continuo provvisto di ambienti laterali e zona dell'altare; in tal modo il transetto veniva utilizzato come coro per i membri della comunità monastica. Il sanctuarium altaris quadrato aveva una copertura a volta a crociera o a cupola in tufo. Solo il transetto e il sanctuarium altaris si sono conservati con svariati caratteri di matrice paleobizantina. La decorazione all'esterno, non conclusa, mostra fregi di straordinaria ricchezza: tralci di foglie di ulivo, uccelli, alberelli, così come quadrupedi domestici e selvatici (tra cui il grifo), che alludono a diversi temi teologici; a questi si aggiungono tre monogrammi.All'interno, l'accesso alla zona dell'altare è sovrastato da un arco a ferro di cavallo con racemi abitati da uccelli. L'iscrizione di fondazione con il nome della committente Flammola compare su una delle quattro imposte-capitello che raffigurano i busti del Sole, della Luna e di due personaggi, tutti affiancati da figure alate-angeli. Altri busti del Salvatore benedicente e forse di due apostoli si trovano nella parte alta della parete orientale del transetto.Il piccolo edificio a pianta cruciforme di São Frutuoso de Montélios, nei pressi di Braga, in Portogallo (de Moura Coutinho, 1978; Schlunk, Hauschild, 1978, pp. 209-211, tav. 110-113), alterato da recenti pesanti restauri, funge da luogo di sepoltura del vescovo di Braga, Fruttuoso. Per parte dell'edificio, tuttavia, di recente è stata convincentemente ipotizzata una datazione solo al sec. 10° (Real, 1995, pp. 64-67, figg. 34s., 37, 41s.). L'edificio mostra un alto grado di raffinatezza nella concezione: ha bracci di uguale lunghezza e con terminazione esterna rettilinea, tre dei quali presentano all'interno andamento a ferro di cavallo nonché colonne libere che un tempo sostenevano le loro volte in miniatura e che ancora oggi hanno la funzione di separazione dal quadrato dell'incrocio. Archi ciechi sono collocati al di sopra nel quadrato d'incrocio, coperto da una cupola emisferica su pennacchi.Tra gli altri edifici religiosi, peraltro non di assoluta autografia visigota, sono da ricordare (Schlunk, Hauschild, 1978) la parte più antica della cripta della cattedrale di Palencia, le chiese in uso o in stato di rovina di impianto cruciforme di Santa Comba de Bande (prov. Ourense) e San Pedro de la Mata (prov. Toledo), la basilica di São Pedro de Balsemão, in Portogallo, e la chiesa 'a sala' di Santa María de Ventas Blancas (La Rioja).
Dibattuta è invece la cronologia del grande edificio cruciforme di Santa María de Melque (prov. Toledo; Caballero Zoreda, 1980; 1994-1995; 1997; Garen, 1992), struttura interamente voltata e culminante in una cupola sull'incrocio. All'inizio ne venne proposta una cronologia al sec. 9°, mentre ora la sua datazione oscilla tra la tarda età visigota e il principio dell'Emirato: in questo monumento si trovano infatti insieme elementi costruttivi tradizionali, come l'impianto a croce o l'impiego di blocchi di pietra squadrati, e particolari innovativi, quali il riempimento del muro con opus caementitium, gli archi a ferro di cavallo fortemente accentuati, la decorazione a stucco; inoltre sono presenti arrotondamenti murati in parecchi angoli, che ricordano il palazzo omayyade di Khirbat-al-Mafjar in Palestina, così come la forma di un racemo di acanto in stucco.Un particolare capitolo è rappresentato dalle chiese rupestri. Quella di Valdecanales (prov. Jaén; Hauschild, Schlunk, 1970; Vañó Silvestre, 1970), per la decorazione a conchiglie sulla facciata scabra, è ascritta al 7° secolo. Oggi - anche sulla base di testimonianze epigrafiche - appare accertato che anche alcune chiese rupestri del Nord, come San Pedro de Rocas (prov. Ourense), San Martín de Villarén (prov. Palencia) o un gruppo nella zona meridionale di Alava, conobbero il loro momento di fioritura nel 6° e 7° secolo. Gli impianti, che partono da una e arrivano fino a tre navate, non sono però tutti immediatamente riconoscibili come chiese (Azkarate Garai-Olaun, 1988; Monreal Jimeno, 1989).Da ricordare sono ancora due monumenti oggetto di scavi archeologici di qualche anno fa: lo xenodochio di Mérida (Mateos Cruz, 1995) e un edificio non a carattere religioso, ovvero la presunta Villa di Pla de Natal (prov. Valencia; Juan Navarro, Pastor Cubillo, 1989a; 1989b), una struttura fortemente simmetrica con pregiati rilievi decorativi del 7° secolo.La scultura si limita in questa fase al rilievo. Nell'ambito della produzione in pietra tra l'avanzato sec. 6° e l'8° (Ulbert, 1971; Hoppe, 2000), di cui solo una minima parte si trova ancora in situ, Mérida (Coll. visigoda del Convento de Santa Clara; Cruz Villalón, 1985), Toledo (Mus. de los Concilios y de la Cultura Visigoda; Zamorano Herrera, 1974; Storch de Gracia y Asensio, 1986), Córdova (Mus. Arqueológico Prov.) e Beja (Núcleo visigótico, 1993) possiedono oggi i complessi più significativi. Di preferenza i supporti dei rilievi erano transenne decorate su un solo lato o su entrambi, assai di rado anche a traforo, e inoltre montanti di recinzioni, nicchie (Hoppe, 1987; Cruz Villalón, Cerrillo Martín de Cáceres, 1988), lastre con nicchie piatte (Barroso Cabrera, Morin de Pablos, 1996b), stipiti dell'altare, fregi a parete, pilastri o addirittura colonne, zoccoli, imposte e capitelli.Dal punto di vista della tecnica, erano utilizzati l'intaglio e il rilievo su due piani. Con molta probabilità le opere scolpite in pietra, quanto meno all'interno degli edifici, erano dipinte. I temi possono essere a carattere puramente ornamentale, simbolico o figurativo. Al primo gruppo appartengono quelli con cerchi e fasce sovrapposte, il motivo a pelte, rosette, stelle oppure a cordoncino. Dal repertorio fitomorfo derivano motivi, nella maggior parte dei casi, molto stilizzati di foglie, fiori, alberelli e i frequentissimi tralci di vite. Tra gli animali i più diffusi sono gli uccelli, ma compaiono anche quadrupedi come cervi, agnelli, tori, leoni e leopardi, a cui si aggiungono i pesci e anche figure favolose come il grifo e una sorta di ippocampo. Parecchi tra i motivi citati hanno un evidente significato simbolico. Prediletti erano l'albero della vita (Barroso Cabrera, Morin de Pablos, 1993), il motivo della decorazione della conchiglia, nella zona di Mérida il cristogramma con l'alfa e l'omega, decorato da pietre preziose (Cerrillo Martín de Cáceres, 1974). La croce compare di preferenza e con quasi assoluta regolarità sugli stipiti dell'altare.Rilievi con figure umane si incontrano solo a partire dal sec. 7° in casi isolati: sulla lastra con due personaggi a Narbona (Mus. Lapidaire, Eglise Lamourguier); nella probabile scena di Battesimo a Las Tamujas (prov. Toledo; Toledo, Mus. de los Concilios y de la Cultura Visigoda) - esempi entrambi studiati da Barroso Cabrera, Morin de Pablos (1994) -; sul capitello con gli evangelisti di Córdova (Mus. Arqueológico Prov.); nel sostegno con un volto a Siviglia (Mus. Arqueológico Prov.); sulla mensa d'altare con un angelo ad Almonaster la Real (prov. Huelva; Almonaster, Ermita); negli esempi della coll. privata di Montánchez (prov. Cáceres; Cerrillo Martín de Cáceres, 1972-1973); nelle figure in piedi di Escalona (prov. Toledo; Toledo, Mus. de los Concilios y de la Cultura Visigoda); a questi si aggiungono il famoso pilastro con le quattro raffigurazioni di Miracoli del Nuovo Testamento (Toledo, San Salvador; Schlunk, 1970), come pure - in qualità di punti di massimo valore e come unici esempi conservatisi fino a oggi in contesti monumentali - i programmi figurativi di San Pedro de la Nave e di Santa María de Quintanilla de las Viñas. Si ha notizia anche di alcune figure umane disegnate su lastre di ardesia (Santonja, Moreno, 1991-1992).Non sono documentati, per il regno di Toledo, manufatti artistici di altro genere: sebbene Isidoro di Siviglia (Etym., XIX, 11, 16) citi in maniera chiara pitture murali, esse sono del tutto scomparse. Unica testimonianza della miniatura è una raffigurazione dei Dodici venti, realizzata intorno al 700 nell'Oracional de Verona (Verona, Bibl. Capitolare, LXXXIX; I Goti, 1994, fig. IV.47). L'assenza quasi totale di mosaici e di sarcofagi decorati è da imputare a un autentico blocco della produzione.Al contrario, la toreutica del sec. 7° (Ferrandis Torres, 1963) è presente con molti esempi. In particolare ciò vale per l'oreficeria - in primo luogo grazie al fatto che il tesoro di Guarrazar (prov. di Toledo), trovato nel 1858 (Madrid, Mus. Arqueológico Nac.; Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny; de Palol, Ripoll López, 1988, pp. 262-267, 270-275), e quello di Torredonjimeno (prov. Jaén), emerso nel 1926 (Barcellona, Mus. Arqueológico; Cid, 1962), furono nascosti probabilmente in occasione dell'invasione degli Arabi, avvenuta nel 711. Accanto a croci leggere o di grande valore, devono essere ricordate le corone votive in oro, che venivano appese sopra gli altari; nel caso di Guarrazar, esse provengono con certezza da una o più importanti chiese di Toledo. Doni regali, la corona di Svinthila (621-631), perduta dal 1921, e quella di Recesvindo testimoniano non solo la ricchezza dei sovrani, ma anche l'alto livello artistico della corte di Toledo. L'esemplare di Recesvindo è un cerchio incernierato (diametro cm 21); tra le fasce di bordura, realizzate con la tecnica del cloisonné con almandini e granati, compaiono motivi di raccordo a traforo sottostanti a granati che chiudono zaffiri e collegano perle. La corona pende da quattro catene composte da elementi fogliati uscenti da calicetti in lamina d'oro con pendenti e da un cristallo di rocca tagliato a forma di capitello. Ulteriori pendenti al di sotto della corona mostrano le lettere disposte a cerchio e decorate a cloisonné, che compongono la frase " ✝ Recesvinthus rex offeret". Al di sotto della corona pende inoltre in aggiunta una croce evidentemente più antica, di importazione bizantina.Ulteriori oggetti di toreutica del sec. 7° sono in bronzo. Negli esempi di fibule e fibbie la qualità non è alta; le peculiarità di matrice germanica sono andate perdute per lasciare posto a quelle bizantine. Caratteristiche in questo ambito sono le fibbie di cinture in bronzo e a forma di linguetta, di tradizione mediterranea, che provenivano dal tardo sec. 6° e che conobbero il massimo momento di diffusione nella seconda metà del sec. 7° (Ripoll López, 1994). Esse potevano essere decorate da elementi ornamentali o simbolici o da figure animali.Da contesti liturgici provengono croci pendenti e molti oggetti di vasellame in bronzo (de Palol Salellas, 1950; 1990; Balmaseda Muncharaz, Papí Rodes, 1997), tra i quali è possibile distinguere una produzione locale da una d'importazione. Tra le brocche si riconoscono quelle ispaniche, che possono essere fuse o martellate, per i fondi saldati in un secondo momento; nell'ambito delle patene, si sviluppò in maggiore quantità una propria caratteristica ispanica con robusta forma di piatto e con maniglia, spesso perduta. Le decorazioni sono frequenti, come pure le iscrizioni, dove compaiono ripetuti più volte nomi di persona anche germanici. Le datazioni si attestano nella seconda metà del sec. 7° e dovrebbero essersi prolungate oltre il periodo visigoto nella zona delle Asturie.
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L'irruzione dei popoli barbari in ampie aree dell'Impero romano determinò l'affiorare di particolari emissioni monetarie decentrate. Queste furono prodotte frequentemente in zone in ribellione, venendosi a integrare pienamente nel sistema monetario romano.
Rientrano in questa prima fase le coniazioni visigote in argento e in bronzo di Máximo Tirano (409-411) a Barcellona e le silique di Narbona, coniate da Atalo (414-415), protetto del re visigoto Ataulfo. Oltre a queste emissioni indirette, i V. utilizzarono il numerario romano, anche se non lo coniavano ancora. Il passaggio all'emissione diretta sembra potersi collocare intorno agli anni 415-418, ovvero quando venne stabilito un patto di foedus con i Romani, e i V. si insediarono nella zona dell'Aquitania. Le prime coniazioni sono di solidi a nome dell'imperatore d'Occidente Flavio Onorio (395-423), che si differenziano dal prototipo solo per piccoli dettagli. Questa fase imitativa perdurò durante il sec. 5°, estendendosi ai modelli di Valentiniano III (425-455), Massimiano (457-461), Severo III (461-465) e anche di imperatori d'Oriente quali Zenone (474-475/476-491) o Basilisco (475-476). Alcune monete con l'apparente marchio di zecca RA - una ripresa della RV di Ravenna - sono state individuate come la possibile espressione delle emissioni del re Alarico (485-507), perché la scritta è stata interpretata come R(EX) A(LARICVS).A partire dal 509 ebbe inizio una seconda fase monetaria caratterizzata da un numerario maggiormente identificabile; ciò coincise con lo spostamento dei V. dall'Aquitania alla penisola iberica; il popolo visigoto tuttavia mantenne sotto il suo dominio la Gallia Narbonense. Le zecche vennero istituite, prima a Tolosa, successivamente a Narbona, Barcellona e Mérida. Le monete, malgrado fossero ancora di carattere imitativo, sono identificabili per l'unità di stile e per il loro sistematico rinvenimento nella penisola iberica. I modelli copiati appartengono agli imperatori Anastasio I (491-518), Giustino I (518-527), Giustiniano I (527-565) e Giustino II (565-587). Si coniarono ancora solidi d'oro, ma maggiormente i terzi di solido o tremissi, che divennero successivamente l'unico valore aureo circolante nell'ultima fase del regno visigoto.Le legende, degenerando, assunsero forme singolari, come la serie con CVRRV, per poi approssimarsi nell'ultima fase al nome del sovrano visigoto Leovigildo.Questa progressiva appropriazione, che ebbe inizio da alcuni tipi monetari e iscrizioni romane imperiali e diede l'avvio ad alcune produzioni sempre più caratterizzate, risulta anche nell'evoluzione stilistica. Nel dritto i busti divengono meno dettagliati, più lineari, geometrici, fino ad assumere una forma quadrangolare. Nel rovescio l'elegante personificazione femminile della vittoria perde le sue sembianze fino a trasformarsi in una figura grottesca che gli specialisti hanno convenuto nel designare come tipo langosta. Nel regno di Leovigildo, e più concretamente poco prima della fase di lotte tra il sovrano visigoto e il figlio ribelle Ermenegildo (579-584), si verificò il passaggio definitivo alla emissione di alcune serie monetarie auree che vennero aggiunte al sistema monetario bizantino dominante in quel periodo. Infatti la monetazione aurea visigota fu coniata durante il periodo di dominio nella penisola iberica, in pezzi da un terzo di solido bizantino. Tuttavia la frequente difficoltà che la monarchia visigota incontrò per ottenere l'oro necessario per le coniazioni si tradusse in alcune monete in lega con argento in forte percentuale.Nel periodo degli scontri bellici tra Leovigildo ed Ermenegildo le iscrizioni sulle monete di entrambi i contendenti associano al nome del rispettivo sovrano invocazioni alla regalità e alla sua legittimazione - INCLITVS REX, REGI A DEO VITA - e altre allusive alle vittorie ottenute: CVM DEO OBTINVIT (I)SPALI. I tipi predominanti sono l'effigie di profilo con busto quadrangolare nel dritto e la vittoria tipo langosta nel rovescio. Intorno al 580, Leovigildo sostituì alla vittoria una croce su gradini. Questa innovazione tuttavia fu solo un ulteriore riflesso della dipendenza tipologica dall'ambito imperiale, poiché proprio in quegli stessi anni l'imperatore Tiberio I (578-582) aveva introdotto definitivamente la croce nelle sue emissioni.Verso il 584, superata ormai la ribellione di Ermenegildo, Leovigildo adottò un terzo tipo monetario, con effigi di fronte in entrambe le facce, caratterizzato dall'estremo schematismo consueto alle emissioni visigote, che perdurò fino al regno di Chindasvinto (642-653).Leovigildo fu il creatore delle basi di un nuovo Stato visigoto, con capitale a Toledo, e il responsabile del consolidamento del sistema monetario, che venne a caratterizzarsi per la coniazione sistematica del tremisse d'oro. Tuttavia nel circolante si introdussero numerari di altre origini, tra cui monete d'oro bizantine, sveve e persino merovinge. Ciò era motivato dalla presenza di Svevi e di Bizantini in zone considerevoli della penisola iberica e dai contatti, sebbene frequentemente bellicosi, con i Merovingi dell'area franca.A partire da Leovigildo la moneta d'oro visigota reca inciso nel rovescio il nome della zecca, consentendo così di individuare i numerosi centri di emissione. Tuttavia per la maggior parte le zecche furono occasionali, poiché quelle che coniarono con regolarità risultano essere la metà del totale di quelle conosciute, riducendosi progressivamente in seguito.Parallelamente al tremisse aureo furono emesse anche piccole monete in rame o nummi, di modesto valore. Un solido d'oro equivaleva a 7.000 nummi, quindi il tremisse, o terzo di solido visigoto, equivaleva a 2.333 nummi oppure a 466 pezzi dei pentanumion (monete da 5 nummi). Questi ultimi furono i nominali più alti coniati in rame dai Visigoti.Il numerario di rame, di cui si è giunti a conoscenza solo recentemente, presenta caratteristiche tipologiche simili a quelle delle monete in oro: effigi schematiche, croce su gradini. La sua origine è incerta, ma sembra che fosse coniato già durante il regno di Leovigildo, considerato che alcune monete prodotte a Mérida recano nel dritto il busto quadrangolare tipico delle due prime serie emesse dal sovrano. Alcuni pezzi di questa zecca con l'iscrizione CIVITA consentono di supporre un'origine di carattere cittadino di queste emissioni. In generale le monete in rame presentano iniziali o monogrammi riferibili alla zecca; sono noti anche nummi di Ermenegildo, con l'esplicita iscrizione ERM.Il conio di monete in rame, che prese avvio da Mérida, si estese successivamente ad altre città come Siviglia e Córdova, senza giungere, se non negli ultimi anni della monarchia, nella capitale Toledo. Pertanto, allo stato attuale degli studi, non sembra che le monete in rame fossero coniate in forma generalizzata come quelle in oro. Si può ipotizzare una vasta circolazione di rame, alimentata in parte da numerari esterni o residui, come il vandalo o il bizantino, secondo quanto rivelano i rinvenimenti. Il sistema monetario dei V. non era dunque esclusivamente basato sull'oro, ma bimetallico (oro e rame) e non è da escludere una circolazione di monete d'argento provenienti da altri paesi.La monarchia visigota ebbe costanti difficoltà a mantenere la circolazione monetaria in oro necessaria, poiché non aveva attività estrattiva e il commercio era poco sviluppato. I pagamenti esteri e l'importazione di prodotti di lusso per le classi dominanti aggravarono questa carenza. Per tale motivo, nonostante la permeabilità ai numerari esteri, la circolazione monetaria in oro si limitò alle proprie emissioni e i tremissi d'oro tesero alla bassa lega. Così, se ai tempi di Leovigildo si attesta tra l'80% e il 90% di oro, questo livello non fu più raggiunto; verso il 640 la quantità media d'oro utilizzata si ferma intorno al 60%. Con Chindasvinto si cercò di ristabilire una percentuale più alta, vicina all'80%, che diminuì poi nuovamente fino a raggiungere livelli inferiori al 40%. Un ultimo tentativo di recupero, agli inizi del sec. 8°, non ebbe tempo di consolidarsi a causa dell'invasione musulmana.Il regno di Chindasvinto segnò l'inizio di alcune innovazioni tipologiche, tra cui la ricomparsa della croce su gradini nel rovescio e l'effigie posta di fronte o di profilo sul dritto. Ma le novità più rilevanti sono negli esemplari in cui il sovrano appare associato al suo successore. Così, durante i regni congiunti di Chindasvinto-Recesvinto (649-653) o di Egica-Vitiza (698-702), sulle monete sono raffigurati i nomi e le effigi dei due personaggi. Sul dritto i sovrani sono vicini, affrontati con una croce. Poiché i loro nomi sono iscritti su entrambe le facce, quello della zecca si dispone al centro del rovescio in forma di un monogramma cruciforme.Nell'ultima fase della monarchia visigota predominano i rovesci con la croce su gradini e i dritti con l'effigie di fronte o di profilo, sempre con il consueto schematismo e la semplificazione dei tratti che si riscontrano durante il periodo di emissione autonoma.
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