visione mistica
Nelle opere di D. ci s'imbatte spesso in sogni che presagiscono il futuro e in visioni che, per il modo in cui sono descritte, hanno il carattere di fenomeni mistici. Degli autori che si sono occupati di tali fenomeni, alcuni dicono trattarsi di eventi di ordine puramente naturale, mentre altri li interpretano, almeno parzialmente, come eventi di ordine soprannaturale o mistico. La psicologia moderna ci ha reso maggiormente circospetti nello spiegare fenomeni del genere, in quanto ne ha dimostrate le radici naturali e i riflessi che tutto quanto riguarda la mistica ha, necessariamente, sull'ordine naturale.
Cenni storici. - La teologia scolastica al tempo di D. era giunta a formulare una chiara distinzione tra le grazie mistiche propriamente dette, le quali conducono sempre a una maggiore perfezione della carità umana (" gratiae gratum facientes "), e i carismi - tra cui il più elevato è la profezia - che sono donati in vista del bene della Chiesa (" gratiae gratis datae ") e che sono, per così dire, indipendenti dalla personale perfezione di chi li riceve. Tale chiara distinzione, oltre che costituire il risultato di un certo timore nei confronti dell'invasamento profetico che aveva caratterizzato la Chiesa cristiana sin dai tempi della crisi montanista alla fine del II secolo, fu anche dovuta all'influenza esercitata dall'ellenismo, essenzialmente intellettualistico, sulla mistica cristiana divenuta, per questa via, a-carismatica.
La teologia mistica cristiana pervenne, è vero, a ‛ spiegare ' i carismi e a integrarli nel proprio sistema; purtuttavia movimenti carismatici e profetici, anche se ormai ai margini della Chiesa, continuarono a sorgere: il monachesimo antico fu un caso, l'esplosione carismatica del XII secolo un altro. Ildegarda di Bingen, Gioacchino da Fiore e gli spirituali francescani non erano ignoti a D., e se l'influenza diretta degli aristotelici arabi e del teologo ebreo Maimonide (m. 1204) sul poeta è controversa, egli per lo meno dovette subirla per il tramite dei teologi scolastici. Da Maimonide, ad esempio, Tommaso riprese le cinque forme di rivelazione (" visio ", " oraculum ", " somnium ", " phantasia " e " sensus ") e, così pure, la definizione delle ultime tre come " casus a prophetia ", cioè cascami, frutti troppo presto caduti. Altra dottrina era quella relativa all'esistenza di una profezia ‛ impropriamente detta ', denominata " instinctus " a cui è ravvicinabile, con tutta probabilità, la visione poetica. I teologi parlavano ancora di profezia ‛ diminuita ', nel caso di apparizioni durante il sonno, malattia o simili, quando cioè uno dei sensi assorbe nella sua attività quella di tutti gli altri.
Tutto ciò sta a dimostrare che, anche in assenza della nozione di subconscio e dei suoi effetti a livello di conoscenza cosciente, teologi, filosofi e medici del tempo di D. erano tuttavia avvertiti della complessità dei fenomeni mistici e carismatici, e del loro ripercuotersi sulla struttura psichica dell'uomo. Comunque, tutti i teologi tenevano per fermo che un positivo intervento di Dio o del suo Spirito era richiesto per ordinare i doni naturali, o parzialmente soprannaturali, in funzione del bene propriamente soprannaturale e della mistica vera e propria.
Dato che profezie e sogni, visioni e fenomeni analoghi possono essere fenomeni di ordine naturale, in questo caso il subconscio o l'intuizione, spesso poetica, può aprirsi una via sino alla coscienza dell'uomo, esteriorizzandosi in descrizioni dall'andamento, in più di un caso, poetico. Di mistica nel senso cristiano del termine, si può parlare solo nel caso in cui lo Spirito di Dio prende possesso dell'uomo, manifestandogli ciò che, per natura, sarebbe incapace di conoscere. Ciò può accadere sia durante il sonno, mediante un sogno, sia durante la veglia, mediante immagini o rivelazioni di natura intellettiva, sia, infine, in uno stato estatico, durante il quale l'uomo è sollevato al di sopra delle sue capacità conoscitive e agisce passivamente, più o meno indipendentemente da esse. Occorre tuttavia notare - e di ciò i teologi si sono sempre resi conto - che tutti i fenomeni soprannaturali si manifestano, in forma indistinta, già in un'intuizione di fede che, pur rimanendo soprannaturale, tuttavia non è entrata ancora in uno stato propriamente mistico. In questo caso si tratta di una conoscenza di fede, di una conoscenza cioè, anche se già soprannaturale, acquisita. Di mistica nel senso cristiano del termine, si può parlare solo nel caso in cui si dia un'esperienza in qualche modo amorosa di Dio, infusa per opera dello Spirito Santo. In tale esperienza amorosa e infusa, l'uomo gratificato dei doni mistici non è attivo, ma è bensì passivo e recettivo. In altri termini: ciò che si verifica nel mistico è un passaggio dalla percezione della presenza di Dio, mediante la fede, a un'esperienza di Dio, spesso generica e confusa, ma avvertita sempre e comunque come nuova. Ma siccome, d'altra parte, tale esperienza non si verifica mai al di fuori dell'uomo, ne consegue un suo ripercuotersi sulla psiche umana.
Dante e la dottrina mistica del tempo. - È in siffatto contesto storico e teologico che va posta l'esperienza di Dante. Egli aveva letto e riletto le profezie e le apocalissi che s'incontrano nella Bibbia, e aveva conosciuto gli oracoli orfici e sibillini dell'antichità pagana. È quasi altrettanto certo che egli attinse al profetismo ‛ selvaggio ' di origine irlandese e germanica. Personaggi come Maimonide e gli aristotelici arabi, anche se D. non ebbe modo di conoscerli direttamente, avevano posto questioni alle quali i teologi del suo tempo avevano sentito il bisogno di rispondere e che D. conobbe. L'ondata di profetismo del XII secolo, quella di una Ildegarda di Bingen, quella di un Gioacchino da Fiore, quella degli spirituali francescani, ebbe, senza alcun dubbio, un'influenza su di lui. Neppure è escluso che D. s'ispirasse direttamente a Platone, in particolare al Simposio (cfr. R. Resti, D. e la filosofia dell'amore, Bologna 1935; ma v. PLATONE). Malgrado l'influenza del tomismo, l'agostinismo e il neoplatonismo fornirono a D. il quadro speculativo entro cui sistemare la sua dottrina mistica; è per questa via che la Commedia adottò (ad es. in Pd XXXIII) la dottrina agostiniana delle tre specie di conoscenza soprannaturale: " visio corporalis, visio spiritualis seu imaginaria, visio intellectualis " (cfr. C. Calcaterra, S. Agostino nelle opere di D. e di Petrarca, in S. Agostino. Pubblicazione commemorativa del 15 centenario della sua morte, Milano 1931, 432-440). Allo stesso modo, in D. ci sono numerose tracce di ispirazione bonaventuriana (cfr. E. Jallonghi, Il misticismo bonaventuriano nella D.C., Città di Castello 1935). E, infine, s. Bernardo che guida D. sino al termine della sua ascesa spirituale, e di cui il poeta aveva letto le opere, è scelto come mistagogo, proprio in quanto fu colui che 'n questo mondo, / contemplando, gustò di quella pace (Pd XXXI 110-111). Ancora più che per la sua dottrina, D. scelse Bernardo per la sua esperienza di mistico: quel contemplante / libero officio di dottore assunse (XXXII 1-2).
D., quindi, fu ben al corrente delle dottrine mistiche del suo tempo e si può ben dire che fu in lui, soprattutto nella Commedia, che tale teologia mistica trovò espressione poetica. Già prima abbiamo ricordato come i teologi medievali avessero ben compreso la vicinanza tra intuizione poetica e intuizione mistica e profetica, allorché definirono la prima come ‛ profetismo impropriamente detto ' o considerarono la ‛ fantasia ' e l'esperienza dei sensi come " casus a prophetia " . Non deve pertanto meravigliarci che si sia ravvisata in D. una dottrina mistica dai tratti ben netti e di elevata qualità (O. Graf, Die D.C. als Zeugnis des Glaubens, Friburgo s. B. 1965, soprattutto pp. 453-475; A. Ariaens, Met D. naar God, Soesterberg 1955).
La questione del profetismo dantesco. - Il problema se D. ebbe o meno un'esperienza mistica personale è stato oggetto di discussioni (cfr. H. Ostlender, D.s Mystik, in " Deutsches Dante Jahrbuch " XXVIII [1949] 65-98; G. Petrocchi, L'esperienza religiosa di D., in Dante, a c. di U. Parricchi, Roma 1965, 131-135; e v. oltre).
Quanto ai sogni riferiti in Vn III 3-7 e XII 3-8 è quasi certo che D. stesso credeva al loro carattere profetico (cfr. C. Speroni, D.'s Prophetic Morning-Dreams, in " Studies in Philology " XLV [1948] 50-59). Questa personale convinzione non basta tuttavia a eludere il problema; si potrebbe pensare a un riaffiorare di complessi rimossi oppure a una reinterpretazione di quanto era stato vagamente percepito nel sogno, ed è a questo che le molteplici spiegazioni di D. stesso farebbero spontaneamente pensare.
Nella Commedia D. racconta più volte di sogni che l'avrebbero illuminato su quanto era accaduto. In casi del genere si tratta indubbiamente di un procedimento letterario ispirato alla Bibbia o a resoconti dal tono apocalittico. L'influenza dei racconti di Giuseppe nella Genesi (40 e 41) e della profezia di Daniele è più di una volta innegabile. Tuttavia l'intera ascensione della Commedia sta a denotare un'esperienza spirituale indubitabile, così come le visioni propriamente dette (in particolare quelle di Pd XXIII 25-45, XXX 46-60 e, soprattutto, XXXIII 139-145) presuppongono un'esperienza mistica pressoché certa, nel senso proprio del termine. Malgrado ciò sembra prudente attenersi al giudizio di O. Graf (op. cit., p. 473) il quale, pur essendo portato a credere a un'esperienza mistica personale di D., conclude dicendo: " Nessuno sarebbe in grado di affermarlo con certezza, ma neppure con certezza di negarlo ".
La questione, tutto sommato, è però secondaria: il merito di D. fu di aver saputo fondere e trasmettere in forma poetica - la più atta a esprimerne l'essenziale data la sua connessione con la mistica - tutta intera l'‛ ascesa spirituale ' della sua epoca e dei secoli che la precedettero.
Quanto all'interpretazione della Commedia come visione profetica va detto che l'antica esegesi del poema non poteva non conformarsi alla lettera finale della Vita Nuova (apparve a me una mirabile visione, XLII 1) e alle immagini della visio in somniis di cui al proemio e al prologo del poema (o mente che scrivesti ciò ch'io vidi, If II 8), ed è da ritenere col Nardi (cit. in bibl.) che il clima religioso dell'epoca e la consuetudine di lettura dei testi mistici inducessero nei primi lettori l'impressione, anzi la certezza, che D. fosse stato oggetto di una vera estasi mistica. La lettura della Commedia quale verace visio mystica si fa particolarmente sicura nelle chiose di Guido da Pisa, ma (sempre per seguire il Nardi) i commentatori sarebbero trascorsi da un'interpretazione letterale ad altra allegorica per cercare di salvare D. dall'accusa di eresia (dopo il Vernani, soprattutto, e in particolare con le glosse di Pietro e di Benvenuto).
Questa linea esegetica dura sino al Foscolo, che ebbe a combattere tenacemente contro i giudizi del Tiraboschi, del Bettinelli e di altri settecentisti, per i quali " come è noto ad ognuno, [la Commedia] è la descrizione di una visione in cui [D.] finge di essere stato condotto a vedere l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso ", e svolse una sua teoria sulle " illusioni " di D. poeta e profeta destinata a influenzare molta parte della critica dantesca dell'Ottocento, ma, respinta dal Croce, non penetrò nell'esegesi del nostro secolo se non nella pugnace opinio del Nardi e in qualche cenno del Cosmo e del Pietrobono: la Commedia come " finzione verace ", come " vera visione profetica, apparsagli dopo le accese meditazioni sull'Eneide e sulle visioni profetiche e apocalittiche della Bibbia " (soggiunge il Nardi, Saggi e note..., p. 144: " E se visioni e rivelazioni ebbero S. Francesco e i suoi compagni, perché non poteva averne Dante?... Né, d'altra parte, è necessario che il lettore moderno pensi e creda quel che Dante ha pensato e creduto della sua vicenda, bensì che egli intenda e giustifichi storicamente quel modo di pensare e di sentire, senza ritenerlo demenza "). Tuttavia non conviene confondere la consapevolezza interiore di D. di ergersi a profeta ‛ rivelatore ' di una novella età con la coscienza di un personale status mistico, sia pure in somniis, che gli abbia concesso la visione dell'oltretomba: " Dante non è che raramente in quella condizione dello spirito che si designa come apatia; egli non è passivo oggetto dell'azione totale e libera di Dio che nella visione dell'Empireo, anche narrativamente concepita come una visione da lontano " (Petrocchi).
Per tale motivo si deve oggi ritenere prevalente la tesi della visio come fictio poetica, la quale trovava i precedenti nelle ‛ finzioni ' per l'appunto dell'Eneide e faceva coincidere le res dell'escatologia cristiana e, se si vuole, musulmana, con i verba della narrazione letteraria: poema mistico, dunque, non resoconto di un vero raptus, e poema concepito con la " vigile coscienza di costruire una fictio poetica e di impegnarsi in questo sforzo costruttivo " (Sapegno). E infatti solo all'interno della fictio è possibile distinguere il ripudio che D. attua delle invenzioni pure e semplici del poeta a favore dell'allegoria dei teologi (v. ALLEGORIA; commedia: Allegoria, e bibl. relativa; cfr. anche SELVA; viaggio).
Bibl. - Oltre le opere citate nel corso della voce sono da vedere: M. Barbi, Razionalismo e misticismo in D., in " Studi d. " XVII (1933) 5-44; XXI (1937) 5-91; B. Nardi, D. e la cultura medievale, Bari 1942, 258-334; ibid. 1949, 336-416; G. Salinari, Che cosa è la D.C.?, in " Cultura Neolatina " III (1943) 167-174; Dictionnaire de spiritualité, III, Parigi 1953, art. Contemplation, in partic. coll. 1989, 2171 ss.; Die Deutsche Thomas Ausgabe. Summa Theologica, XXIII, Heidelberg-Monaco 1954, 253-410 (a c. di H. Urs Von Balthasar); É. Gilson, La " mirabile visione " di D., in " Il Veltro " IX (1965) 543-556; G. Padoan, La " mirabile visione " di D., in Atti del Convegno di studi su D. e Roma, Firenze 1965, 283-314; B. Nardi, Saggi e note di critica dantesca, Milano-Napoli 1966, 176 ss. (ma anche 120, 136-138, 144-146); F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 154-156, 177-178; G. Petrocchi, Itinerari danteschi, Bari 1969, 14-17, 28-31.