visione
Sebbene sia da considerarsi voce assai importante nell'ambito della concezione di D., la parola ricorre appena 7 volte nella Vita Nuova, una nel Convivio e 10 (sempre nella forma con dieresi, ‛ visïon(e) ') nella Commedia. Tranne che in Vn XLII 1 Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, nelle altre attestazioni della Vita Nuova - che con v. si apre (III 3 pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, ne lo quale m'apparve una maravigliosa visione, 8 e 9; IV 1) e chiude (XLII 1, citato) e in cui la v. di Amore impone a D. di dire certe parole per rima (XII 9 e XIII 1; cfr. XII 7), cioè di essere poeta di Amore (v. C. Singleton, An Essay, on the ‛ Vita Nuova ', Cambridge, Mass., 1958) -, v. si riferisce esplicitamente a ciò che a D. è apparso in sogno e che, pertanto, trascende le vie del comune sapere.
Così anche in Pg IX 18 Ne l'ora... / che la mente nostra... / a le sue visïon quasi è divina [" divinatrice ", " indovina " ], / in sogno mi parea veder, e XIX 56. Le v. di cui in Pg XV 85 (mi parve in una visïone / estatica di sùbito esser tratto) e XVII 34 (surse in mia visïone una fanciulla), sebbene siano narrate come apparse durante la veglia, hanno tutte le caratteristiche del sogno (cfr. XV 119 Lo duca mio, che mi potea vedere / far sì com'om che dal sonno si slega, e 123; anche XVII 40 Come si frange il sonno).
Se è almeno da non escludersi che v. si riferisca a un sogno in Pd XXIII 50 come quei che si risente / di visïone oblita e che s'ingegna / indarno di ridurlasi a la mente, non altrettanto si può dire delle attestazioni di v. nell'esortazione di Cacciaguida, in XVII 128 rimossa ogne menzogna, / tutta tua visïon fa manifesta, e specialmente in XXXIII 62 quasi tutta cessa / mia visïone, e ancor mi distilla / nel core il dolce che nacque da essa, ove si tratta di una vera e propria v. mistica, ed è così definito il processo delle cognizioni che D. ha subito nel viaggio ultraterreno; v. VISIONE MISTICA.
In Pd III 7 v. è riferita all'apparizione di più facce a parlar pronte che D. crede riflesse in una superficie speculare, o ver per acque nitide e tranquille.
In due luoghi del XIV canto del Paradiso v. indica la facoltà beatificante di vedere Dio, cui corrisponde lo splendore dell'anima (v. 41 La sua chiarezza séguita l'ardore; / l'ardor la visïone), che, come quella, sarà maggiore dopo il giudizio universale (v. 49 la visïon crescer convene, / crescer l'ardor che di quella s'accende), quando, cioè, la nostra persona / più grata fia per esser tutta quanta (vv. 44-45): come di ‛ veduta ', ‛ vista ' e ‛ visio ' (cfr.), anche di v. si deve quindi distinguere, nonostante talune ambiguità contestuali, una funzione semantica oggettiva, concreta, da una soggettiva, processuale, in corrispondenza a due momenti di un sapere mirabilmente illuminante che è dato e si dà in modi che superano la ragione umana, nel sogno e in un'esperienza ultraterrena e profetica insieme.
Mentre in questi passi il contenuto della v. s'identifica con la verità rivelata, di cui la v. è sostanzialmente la metafora, in Cv III IX 9, invece, il problema dei rapporti tra v. e verità è condizionato dalle caratteristiche del ‛ mezzo ', perché soltanto se questo è sanza ogni colore, come l'acqua de la pupilla, la v. è verace, cioè cotale qual è la cosa visibile in se.