Visione
Nella visione è difficile distinguere tra ciò che realmente percepiamo e ciò che invece è semplice inferenza o interpretazione del nostro cervello. Già Plinio, nella sua Naturalis historia, aveva affermato che l'organo della vista non è l'occhio ma la mente. Anche la vecchia teoria che supponeva che nel nostro cervello si formassero sbiadite copie della realtà o addirittura rappresentazioni punto per punto di essa, vere immagini fotografiche, non può essere più sostenuta. La valutazione di alcune caratteristiche degli oggetti, per esempio del loro valore simbolico o estetico, dipende non soltanto dai dati sensoriali in entrata ma anche dalla conoscenza, dalla cultura, dallo stato d'animo dell'osservatore. La visione può essere considerata, quindi, un processo di interpretazione e di trasformazione di un mondo esterno, fisicamente esistente, in un nostro mondo percettivo. Sappiamo per certo che questo processo inizia nella retina, con l'eccitazione di milioni di recettori sensibili alla luce, ed esso ha le sue fasi conclusive probabilmente nella corteccia cerebrale. Il processo di trasformazione comprende la codificazione del segnale visivo in segnali neuroelettrici, la loro trasmissione lungo le vie nervose e la loro elaborazione nelle diverse stazioni visive, con selezione di quella parte dell'informazione che viene ritenuta più importante, e attenuazione o scarto delle altre, che vengono probabilmente considerate ridondanti.
È ampiamente accertato che l'intero sistema visivo, dalla retina alle cortecce associative superiori, partecipa alla percezione di ogni aspetto della realtà: forma, colore, movimento, profondità, ecc. Una proprietà caratteristica della visione è che l'analisi degli stimoli avviene in modo sempre più complesso man mano che si sale nella gerarchia di aree e centri nervosi: a ogni stadio successivo, le informazioni elaborate allo stadio precedente vengono arricchite e ricomposte in maniera nuova, al fine di consentire la percezione degli aspetti più complessi della visione, che sono senz'altro costituiti dal movimento e dalla tridimensionalità. Inoltre, nelle aree visive superiori, esistono cellule che sono capaci di rappresentare la percezione di stimoli assolutamente unici e fondamentali, come per esempio le facce dei cospecifici. A ulteriore dimostrazione della complessità di questo sistema sensoriale, va detto che lo sviluppo ontogenetico delle aree visive è molto lento. Le funzioni percettive emergono una dopo l'altra nel bambino piccolo, e le influenze genetiche svolgono un ruolo solo parziale: la visione può avvenire in modo armonioso soltanto dopo che l'influsso ambientale ha modellato la plasticità neuronale e stabilito con assoluta precisione la posizione di fibre nervose e sinapsi. In questa trattazione metteremo l'accento sui recenti risultati di neurofisiologia e psicofisica della visione che sembrano promettenti per sviluppi futuri.
L'anatomia del sistema visivo dei Vertebrati può essere schematizzata come segue. Nella retina, molti milioni di recettori trasformano il segnale luminoso in manifestazioni bioelettriche, le quali a loro volta danno origine ai messaggi visivi che, attraverso le cellule bipolari e quelle gangliari, vengono trasmessi ai centri nervosi. I fotorecettori dell'uomo, e di molti altri Vertebrati, sono di due tipi: i coni (6 milioni) e i bastoncelli (120 milioni), così chiamati da M.J.S. Schultze con riferimento alla forma della loro parte più distale contenente il pigmento. I bastoncelli sono più numerosi nella periferia della retina e assenti dalla sua zona centrale, la fovea, deputata alla visione fine dei dettagli delle forme. I coni e i bastoncelli differiscono sostanzialmente anche nelle loro connessioni con le altre cellule della retina. Nella fovea, dove sono presenti solo coni, le connessioni recettori-cellule bipolari-cellule gangliari presentano scarsa o nessuna integrazione, cioè uno o pochi coni convergono su una cellula bipolare e una o poche cellule bipolari convergono su una cellula gangliare. Il grado d'integrazione aumenta andando verso la periferia della retina, più ricca di bastoncelli, ove centinaia di recettori convergono su una cellula bipolare e decine di bipolari su una gangliare. È questo diverso grado di convergenza nell'organizzazione nervosa che specializza la periferia della retina, e quindi la visione bastoncellare, nella rivelazione di quantità di luce estremamente piccole (un singolo fotone). L'alto grado di convergenza comporta che tale regione presenti elevata eccitabilità ma bassa acuità visiva, intendendo con ciò la capacità di percepire un oggetto nello spazio come distinto da un altro a esso vicino. La fovea, invece, data l'organizzazione delle sue connessioni, presenta bassa sensibilità ma elevata acuità visiva; essa è anche specializzata nella visione dei colori. Per elevate luminanze fotopiche, i bastoncelli contribuiscono scarsamente o affatto al processo visivo, anche perché la trasmissione dei loro segnali viene inibita dall'attività dei coni.
I recettori, oltre a collegarsi alle cellule bipolari, sono in connessione tra loro, mediante le cellule orizzontali. A livello dello strato dei neuroni bipolari si trovano le cellule amacrine, che stabiliscono contatti tra loro, con le cellule bipolari e con quelle gangliari. Mediante studi di microscopia elettronica, si è visto che l'informazione visiva può arrivare alle cellule gangliari anche mediante la via recettore→cellula bipolare→cellula amacrina→cellula gangliare, ed è stato inoltre accertato che le cellule amacrine hanno contatti nei due sensi con quelle bipolari. La cellula amacrina, cioè, può ricevere ma anche inviare informazioni alla cellula bipolare. Ciò costituirebbe la base anatomica di un circuito di controllo dell'informazione che passa attraverso le cellule bipolari.
Da ciascuna retina dell'uomo partono circa 800.000 fibre, che sono costituite dagli assoni delle cellule gangliari e che formano il nervo ottico. Circa la metà di esse, e precisamente quelle provenienti dalla parte nasale delle due retine, si incrociano nel chiasma ottico e si mettono in comunicazione con un nucleo talamico dell'altro lato, il . Le fibre provenienti dalla parte temporale delle due retine non si incrociano e si mettono in comunicazione con il corpo genicolato dello stesso lato. Una parte delle fibre del nervo ottico si mette in comunicazione con una formazione nervosa del mesencefalo, il corpo quadrigemino superiore (collicolo superiore). Dal corpo genicolato partono fibre che vanno direttamente alla corteccia visiva. Dal corpo quadrigemino parte invece una via indiretta che raggiunge, almeno in alcuni Mammiferi, principalmente l'area visiva 18, dopo aver stazionato nel pulvinar del .
È stato dimostrato che ciascuna regione della retina dei Primati possiede cellule gangliari di tipo diverso: per semplicità esse vengono suddivise in due classi, denominate M e P, in riferimento sia alle loro dimensioni anatomiche sia agli strati del corpo genicolato laterale con i quali prendono contatto, detti appunto 'magnocellulari' e 'parvocellulari'. Le cellule M, che rappresentano circa il 10% di tutte le cellule gangliari, hanno corpo cellulare relativamente grande e ampia arborizzazione dendritica; le cellule P, che sono di gran lunga le più numerose, hanno invece un corpo cellulare più piccolo e un campo dendritico più ristretto. Le cellule M hanno di regola un campo recettivo più grande delle cellule P. Una caratteristica fondamentale delle cellule M della retina dei Primati è quella di non trasmettere il messaggio 'colore', o di essere poco sensibili a esso. Questo tipo di cellule non elabora in maniera differenziata i messaggi provenienti dai tre tipi di coni (specializzati nella percezione delle lunghezze d'onda brevi, medie e lunghe dello spettro visibile), ma si limita semplicemente a sommarne i segnali. Le cellule M sono più sensibili delle cellule P a stimoli in bianco e nero, possiedono un'elevata sensibilità al contrasto, e inviano i loro assoni solo ai due strati più ventrali (magnocellulari) del corpo genicolato laterale. Le cellule P, che dal punto di vista della funzione vengono collegate alla percezione della forma e del colore, trattano separatamente i messaggi provenienti dai tre tipi di coni e sono, quasi senza eccezione, opponenti al colore: esse ricevono cioè segnali di segno opposto ‒ eccitatorio o inibitorio ‒ dai diversi tipi di coni. Le cellule P inviano i loro assoni ai quattro strati più dorsali (parvocellulari) del corpo genicolato laterale.
La corteccia visiva possiede nell'uomo un numero enorme di cellule nervose, dell'ordine di un centinaio di milioni, che operano un'ulteriore elaborazione dei segnali luminosi. Le proiezioni retino-genicolo-corticali hanno una precisa organizzazione topologica: ogni specifica zona della retina proietta a una specifica zona del corpo genicolato e quindi della corteccia. La parte di retina che gode della più ampia rappresentazione corticale è la fovea. Quando si stabilì con certezza che le differenti parti della retina proiettano alle differenti parti della corteccia e del collicolo superiore in maniera ordinata, producendo vere e proprie mappe del mondo visivo, alcuni fisiologi e psicologi pensarono che probabilmente la funzione delle vie visive era quella di ricostruire un'immagine in termini elettrici sulla superficie del cervello. Tuttavia, anche solo su base strettamente logica, è evidente che tale ipotesi non può essere vera: basta ricordare, per esempio, che la mappa del cervello è bidimensionale, mentre lo spazio percettivo è tridimensionale e comprende altre dimensioni, come quella temporale e cromatica.
La corteccia visiva primaria è situata nella porzione occipitale del cervello ed è classicamente divisa in un'area cosiddetta 'striata', o area 17, dove la via genicolo-corticale proietta direttamente, e in due aree associative, le aree 18 e 19, dove l'informazione arriva o direttamente dalla corteccia striata o dalla via corpo quadrigemino superiore-pulvinar. Le vie magnocellulare e parvocellulare rimangono in gran parte separate anche a livello della corteccia. I neuroni degli strati magnocellulari del genicolato proiettano alla corteccia striata e di qui, attraverso l'area 18, alla cosiddetta 'area del movimento' (MT, Medial temporal). Quest'ultima è coinvolta particolarmente nell'analisi del movimento e della profondità, e proietta successivamente ad aree della che sono specializzate nell'analisi visivo-spaziale dell'informazione. Molti neuroni della via magnocellulare rispondono con brevi latenze, in maniera transitoria, e sono praticamente insensibili al colore: si pensa che essi siano specializzati nella visione degli oggetti in movimento e non di quelli immobili. Altre proprietà di questo sistema di neuroni ne indicherebbero un coinvolgimento nella visione della profondità, o terza dimensione, degli oggetti. Le cellule P della retina proiettano agli strati parvocellulari del genicolato e di qui alla corteccia striata, quindi alla corteccia 18 o V2, alla cosiddetta 'area del colore' (V4), e finalmente alla corteccia inferotemporale. Il sistema parvocellulare è suddiviso schematicamente in due sottosistemi, uno più specializzato nella visione delle forme e uno in quella dei colori: essi prendono il nome dalle loro stazioni corticali nell'area 17 e sono detti, rispettivamente, 'interblob' e 'blob'.
Il sistema magnocellulare e i due parvocellulari (blob e interblob) si incontrano a vari livelli: per esempio, sia i neuroni dell'area V4 sia quelli della MT proiettano alla corteccia parietale e anche a quella inferotemporale. Varie linee di ricerca recenti tendono a indicare un'ampia sovrapposizione fra i tre diversi sistemi, cosiddetti 'paralleli', che formano il sistema visivo. Un'importante suddivisione tra le funzioni dei sistemi parvocellulare e magnocellulare è quella suggerita da Mortimer Mishkin, il quale, studiando le conseguenze di lesioni prodotte sperimentalmente nella scimmia, è giunto alla conclusione che due sistemi diversi analizzino 'cosa' è l'oggetto e 'dove' si trova: appunto, il sistema what e il sistema where. Le due vie del sistema parvocellulare, blob e interblob, portano informazioni su colore e forma ‒ e quindi sul cosa dell'oggetto ‒ e terminano nella corteccia inferotemporale, un'area molto importante per la visione delle forme; l'informazione riguardante la localizzazione dell'oggetto nello spazio ‒ cioè il dove ‒ è elaborata probabilmente dal sistema magnocellulare che termina nella corteccia parietale posteriore, un'area importante per l'elaborazione dell'organizzazione spaziale degli oggetti.
Recenti studi di genetica molecolare hanno dimostrato che in una fase molto precoce dell'evoluzione delle specie animali si è formato un sistema primordiale di visione cromatica, costituito da due soli tipi di fotorecettori, sensibili rispettivamente alle lunghezze d'onda corte e a quelle medio-lunghe. Questo sistema permetteva di distinguere due regioni dello spettro, quella del blu e quella del giallo-rosso. Le scimmie del Vecchio Mondo sono gli unici animali con cui l'uomo condivide la caratteristica della visione tricromatica. Il sistema evolutivamente più recente, rosso-verde, permette di distinguere tra loro le tinte della gamma del verde, del giallo, dell'arancione e del rosso, il che non era possibile con il solo sistema blu-giallo, più primitivo.
Il sistema parvocellulare interblob, implicato probabilmente nella visione delle forme, proietta dalla corteccia V1 alla V2, quindi alla V4, e infine alla corteccia inferotemporale (IT). Essa occupa un'ampia porzione della corteccia dei Primati, all'incirca tra il 17 e il 18% della neocorteccia; le informazioni sulla visione vi convergono e vi si fondono con quelle riguardanti la memoria. Lesioni bilaterali di alcune zone di questa corteccia producono un disturbo chiamato 'prosopoagnosia', consistente nell'incapacità, parziale o totale, di riconoscere le facce. Lesioni di altre zone della stessa corteccia, in particolare della sua parte anteriore, causano alterazioni nella visione delle forme senza danneggiare altre funzioni, come l'acuità visiva o la percezione del movimento e del colore. Le aree corticali visive sono molto numerose: se ne individuano una trentina oltre a quelle della corteccia striata. Percezione e memoria visiva sono usualmente collegate a questa complessa rete di elaborazione corticale, e in particolare al complesso di connessioni che legano la corteccia striata e prestriata alla corteccia temporale, al lobo limbico e all'ippocampo. Abbiamo già accennato ad alcune proprietà caratteristiche della corteccia temporale; occorre però soffermarci su altre sue proprietà che sono state descritte recentemente e che indicano come la corteccia IT sia coinvolta nella percezione visiva e nella memoria visiva a lungo termine. Test neuropsicologici effettuati su pazienti con lesioni della corteccia IT, in particolare della sua parte anteriore, hanno evidenziato la presenza di deficit anche nel riconoscimento degli oggetti. Questi deficit della memoria visiva non sono correlati a lesioni dell'ippocampo; l'ipotesi più accreditata, in base ai risultati sperimentali, è che nell'ippocampo sia codificata la memoria a breve termine e nella parte anteriore della corteccia IT quella a lungo termine. Esperimenti di elettrofisiologia hanno permesso di dimostrare che nella parte posteriore della corteccia IT le cellule sono attivate da stimoli relativamente semplici, come strisce e cerchi, mentre i neuroni della parte anteriore, i cui campi recettivi sono molto ampi, arrivando fino a includere talvolta tutto il campo visivo, sono attivati da stimoli più complessi. Una quota di questi neuroni, che si aggira intorno al 10%, risponde con un'aumento della scarica solo a forme molto complesse come mani o volti; la maggior parte dei neuroni specializzati nella percezione del volto risponde alla visione frontale, un numero minore a quella di profilo. Le cellule che rispondono ai volti sono localizzate intorno al solco temporale superiore.
Una proprietà comune alle risposte di tutti i neuroni IT è che esse non variano con le dimensioni dell'oggetto, col suo orientamento e con la posizione nel campo visivo: ciò significa che queste cellule sono coinvolte nella percezione visiva dell'oggetto nel suo complesso e non, o non solo, nell'analisi dei suoi vari attributi. La risposta neuronale rimane la stessa se si sposta lo stimolo in parti diverse del campo recettivo, se lo si ruota, se lo si rende più piccolo o più grande, e perfino qualora se ne modifichi il colore. Alcuni hanno avanzato l'ipotesi che la parte anteriore della corteccia IT sia coinvolta nella percezione del 'prototipo' dell'oggetto. Esperimenti molto ingegnosi indicano che i neuroni della parte anteriore della corteccia IT sono coinvolti nella memoria visiva, come risulta dal fatto che rispondono nello stesso modo alle caratteristiche degli oggetti apprese e memorizzate in precedenza. Infatti, è possibile insegnare a una scimmia ad associare un certo stimolo a un altro, diverso per forma dal primo e presentato successivamente; tale associazione viene memorizzata dai neuroni IT che, anche molto tempo dopo l'apprendimento, rispondono sia al primo sia al secondo stimolo, benché le loro caratteristiche visive siano assai diverse.
I neuroni della corteccia IT non sono organizzati in colonne come, per esempio, quelli della corteccia striata, che presentano una specificità all'orientamento dello stimolo. Nella corteccia IT i neuroni che rispondono a stimoli visivi complessi tendono a essere vicini a quelli che rispondono a stimoli con caratteristiche simili, insieme ai quali formano quelli che vengono chiamati 'moduli' o clusters. È molto importante chiedersi come le attività delle varie colonne di orientamento o dei differenti moduli della corteccia temporale vengano unificate nel cervello, permettendo la percezione dell'oggetto o degli oggetti di una scena visiva nell'interezza dei suoi diversi attributi. Registrazioni elettrofisiologiche da parti anche distanti di varie aree della corteccia visiva hanno recentemente permesso di osservare che, alla presentazione di uno stimolo, i neuroni di differenti zone, in ambedue gli emisferi, presentano oscillazioni elettriche sincronizzate con una frequenza di 40-60 Hz. È stato dimostrato che neuroni spazialmente separati possono sincronizzare le loro scariche in un millisecondo dalla presentazione dello stimolo visivo. La sincronizzazione dipende dalla localizzazione dei neuroni nella corteccia e dalle caratteristiche dello stimolo: per esempio, neuroni dell'area striata che rispondono allo stesso orientamento dello stimolo, ma che sono situati a diversi millimetri di distanza, sincronizzano quasi istantaneamente le loro scariche. Tale fenomeno viene interpretato come un codice temporale che consente di riunire tra loro in una Gestalt le caratteristiche salienti di uno stimolo visivo.
L'area corticale che aumenta la sua attività in presenza di stimoli visivi in movimento è posta lontano dalla V4, che è l'area deputata all'elaborazione dei colori; rispetto a quest'ultima, essa è collocata più lateralmente e superiormente, alla giunzione tra corteccia occipitale e parietale. La visione delle forme non in movimento sembra essere proprietà, come abbiamo visto nella scimmia, della corteccia IT. L'area corticale V1 risulta sempre metabolicamente attivata qualunque sia il tipo di stimolo visivo; ciò è ovvio, se si ricorda che è dalla V1 che si dipartono tutte le vie verso le aree corticali più specializzate. Recentemente è stato anche dimostrato che l'immaginare uno stimolo visivo a occhi chiusi attiva metabolicamente le stesse aree striate ed extrastriate che vengono attivate dal medesimo stimolo percepito dal soggetto a occhi aperti. Questi risultati sull'elaborazione corticale dell'immaginazione visiva sono di particolare interesse, perché indicano che gli stimoli vengono elaborati dalle stesse aree corticali anche nel caso che non provengano direttamente dal mondo esterno ma dal magazzino della memoria; questo è risultato vero anche per l'area striata primaria.
Il sistema visivo dell'uomo alla nascita è molto immaturo, sia anatomicamente sia funzionalmente, e ha bisogno di alcuni anni per raggiungere un plateau definitivo di funzionamento. Occorre dire, però, che le diverse funzioni della visione possono avere tempi di maturazione anche molto diversi. Un problema relativo allo sviluppo del sistema nervoso è quello di distinguere il ruolo dei geni da quello dell'ambiente. Con poche eccezioni, concernenti riflessi relativamente semplici (per es., il riflesso pupillare) che dipendono totalmente da fattori genetici, la maggior parte delle funzioni del sistema visivo dipende dalle condizioni ambientali in cui l'animale o l'uomo vive, in particolare nel primo periodo postnatale. Gli studiosi sono abbastanza concordi nel ritenere che, nella maggioranza dei casi, a livello sia delle risposte del singolo neurone sia delle funzioni di tipo percettivo, l'impronta genetica sia fondamentale, e l'ambiente costituisca invece una conditio sine qua non per il perfezionamento della funzione: senza l'esperienza, le connessioni nervose e le funzioni visive che ne dipendono rimangono infatti grossolane. Un essere umano che non abbia avuto alcuna esperienza visiva nei primi anni della sua vita può sviluppare la visione della luce e del buio, ma soltanto una percezione molto approssimativa delle forme. Casi di deprivazione della visione si possono verificare, per esempio, in conseguenza di una cataratta congenita bilaterale (opacizzazione bilaterale del cristallino): se la cataratta non viene rimossa chirurgicamente in età precoce, e comunque molto prima dell'età scolare, si ha un arresto parziale ma irreversibile dello sviluppo visivo.
Ci limiteremo a ricordare a quali età cominciano a operare le funzioni connesse con le principali caratteristiche del sistema visivo. Sono necessari alcuni anni perché i coni raggiungano le loro dimensioni definitive e le cellule gangliari si spostino in posizione più eccentrica, lasciando libera la zona foveale. La del nervo ottico, processo importante per la conduzione degli impulsi nervosi, avviene nei primi 7 mesi di vita, ma occorrono 2-3 anni perché sia completata. Il corpo genicolato laterale è già sviluppato nei suoi sei strati alla nascita, anche se i neuroni sono di dimensioni più piccole rispetto a quelli adulti: i neuroni parvocellulari raggiungono la maturazione verso il settimo mese di vita, e i magnocellulari verso la fine del primo anno. Le conoscenze sullo sviluppo della corteccia non sono ancora dettagliate. La densità sinaptica aumenta notevolmente dal secondo all'ottavo mese di vita, dopo di che diminuisce alquanto, per stabilizzarsi verso l'undicesimo anno di età. Le modificazioni più evidenti della corteccia sono quelle che riguardano le colonne di dominanza oculare. Dagli studi sui Primati si sa che le fibre provenienti dai due occhi sono largamente sovrapposte alla nascita e si segregano solo successivamente. Nell'uomo, sembra che le colonne di dominanza oculare si formino nei primi 6 mesi di vita, ma che ancora al quarto mese siano poco definite.
Nell'infante, la curva di sensibilità al contrasto, che può essere valutata con metodi sia elettrofisiologici sia psicofisici, rivela una decisa immaturità a tutte le frequenze spaziali. Sia la sensibilità al contrasto sia l'acuità visiva aumentano molto velocemente nei primi 7-8 mesi di vita: tra i 2 e i 3 mesi, per esempio, l'acuità visiva del bambino è intorno a 5 cicli/grado, ed essa raggiunge verso i 6-7 mesi i 20 cicli/grado. Entrambe continuano poi ad aumentare molto lentamente (in particolare l'acuità visiva), per raggiungere valori simili a quelli dell'adulto verso il quinto-sesto anno di vita. La , cioè la percezione della terza dimensione, sembra emergere quasi improvvisamente tra il terzo e il quarto mese, per arrivare a 60° di arco intorno ai 6 mesi; i valori dell'adulto, di alcuni secondi di arco, sono raggiunti solo dopo alcuni anni.
Già a 3 mesi i bambini mostrano una preferenza per un oggetto che si muove, rispetto a uno fermo; la velocità minima che possono percepire a quest'età è dell'ordine di 3-5 gradi/sec. Al terzo mese di vita è già presente la visione tricromatica. I coni, nelle tre lunghezze d'onda (lunghe, medie e corte), hanno a quest'età proprietà di assorbimento probabilmente molto simili a quelle dell'adulto. In alcuni esperimenti di comportamento, basati sulle reazioni a uno stimolo ripetitivo (che genera abitudine), è stato osservato che i bambini di 4 mesi distinguono i colori, come gli adulti, in quattro ambiti di lunghezze d'onda, corrispondenti al blu, al verde, al giallo e al rosso. Altre caratteristiche della visione dei colori possono avere però una maturazione più tardiva: per esempio, a 4 mesi la discriminazione tra i colori richiede forti contrasti cromatici e stimoli di grandi dimensioni, e ciò indica che le caratteristiche spaziali della visione dei colori non sono ancora completamente sviluppate.
Mishkin 1983: Mishkin, Mortimer - Ungerleider, Leslie G. - Macko, Kathleen A., Object vision and spatial vision. Two cortical pathways, "Trends in neurosciences", 4, 1983, pp. 414-417.
Sacks 1995: Sacks, Oliver W., An anthropologist on Mars, New York, Knopf, 1995 (trad it.: Un antropologo su Marte, Milano, Adelphi, 1995).