Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo una flessione fra X e XI secolo, la letteratura dell’aldilà riprende con vigore sviluppando lo schema consueto del viaggio dell’anima compiuto durante uno stato di morte apparente. Il genere ha ormai una struttura narrativa e una piena autonomia testuale, tanto che si giunge nel XII secolo a testi ampi e complessi, che in alcuni casi vengono volgarizzati in molte lingue e talvolta anche rielaborati in versioni poetiche. La struttura dell’oltremondo si precisa e si arricchisce di particolari, mentre emerge un’attenzione sempre maggiore per i luoghi e le forme delle pene purgatorie.
Alberico da Settefrati
Il fiume infernale
Visione di Alberico
Stando dunque nello stesso campo, vidi un gran fiume scaturire dall’inferno, ardente e di pece, nel cui mezzo era un ponte di ferro di molta lunghezza, per il quale ponte tanto più facilmente e velocemente passano le anime dei giusti, quanto più erano esenti da colpe. Per quelli poi che sono gravati dal peso dei peccati, quando sono giunti nel mezzo, si assottiglia talmente che la sua larghezza sembra ridursi a quella di un filo. Dalla quale difficoltà restando quelli impediti, precipitano dentro il medesimo fiume; e di nuovo levandosi e di nuovo cadendo, tanto tempo sono qui tormentati, finché cotti come delle carni e purgati, abbiano libera facoltà di passare il ponte. Poi seppi, grazie alle spiegazioni dell’apostolo, che questo ha il nome di purgatorio.
Visione di Tundalo
Muovonsi l’angelo e l’anima, vanno per una via, e vidono una besta molto grande e ismisurata da tutte l’altre che aveano vedute innanzi, la quale avea due piedi e due alie e lo collo lunghissimo, e lo becco e l’unghie avea di ferro; per la sua bocca usciva fiamma la quale mai non si puote spegnere. Questa bestia sedeva sopra uno lago tutto ghiacciato e divorava tutte l’anime che ella poteva trovare, e quando l’anime erano nel corpo della bestia erano tanto tormentate che quasi divenivano niente, e fatto questo sì le partoriva in sul lago ghiacciato e ritornavano nella forma loro, e da capo erano tormentate; diventavano pregne tutte l’anime che discendevano nel lago così i maschi come le femine, e pervenivano al tempo del partorire, e questo di che l’anime erano pregne si rodeva loro le budella e tutte le ’nteriora, come le vipere quando vengono al partorire. E così erano tormentate l’anime misere nell’onde di quel lago ghiacciato pieno di puzzo. E quando venivano al tempo del partorire, per gli grandi dolori che aveano si traevano sì grande strida e urla, che tutto lo ’nferno risonava, e partorivano serpenti; e non tanto per gli membri naturali onde la natura concede partorire, ma partorivano per le braccia, per lo petto, per le cosce, e per tutto il corpo uscivano quelli serpenti. Ma aveano, queste bestie che partorivano l’anime, capi ardenti di ferro e i loro becchi agutissimi, coi quali flagellavano l’anime che partorivano.
in G. Tardiola, I viaggiatori del Paradiso. Mistici, visionari, sognatori alla ricerca dell’Aldilà prima di Dante, Firenze, Le Lettere, 1993
Maria di Francia
Trattato sul Purgatorio di San Patrizio
Il Purgatorio di san Patrizio
“Questa”, gli dicono, “è la porta del paradiso celeste: qui entrano coloro i quali sono tra noi assunti in cielo; e non ti deve restare celato che, una volta al giorno, Dio ci pasce di cibo celeste. Ora che Dio ce lo dà, proverai gustandolo con noi quale e quanto delizioso sia quel cibo”. Appena finito di parlare, discese da cielo quasi una fiamma di fuoco, che coprì tutto quel luogo, e scendendo sul capo di ciascuno come divisa in raggi, entrò tuttavia completamente in ciascuno; ma tra gli altri discese anche sul soldato e vi entrò, da cui egli provò nel corpo e nel cuore una così grande dolcezza d’amore, che a stento per la grande soavità capì se fosse vivo o morto. Ma anche quell’istante fuggì rapidamente. “Questo”, gli dicono, “è quel famoso cibo con cui una volta al giorno, come ti abbiamo detto, siamo nutriti da Dio. Quelli poi tra noi che sono assunti in cielo godono di questo cibo infinitamente. Ma poiché ha ivisto ora una buona parte di quanto desideravi vedere, cioè la pace dei beati e i tormenti dei peccatori, è giunto il momento, fratello, che tu ritorni per la stessa via per la quale sei venuto; e se da questo momento sarai vissuto sobriamente e santamente, potrai essere certo non solo di questa pace, ma anche della dimora celeste”.
Maria di Francia, Il Purgatorio di san Patrizio, a cura di G. Lachin, Roma, Carocci, 2003
La letteratura dell’aldilà sviluppa nell’alto Medioevo lo schema narrativo secondo cui, durante una malattia o in uno stato di morte apparente, l’anima compie un viaggio – guidata da un angelo o da un santo – nel corso del quale è condotta a visitare i regni oltremondani; al risveglio il protagonista racconta agli astanti stupefatti il contenuto della propria visione.
Per la rappresentazione dell’aldilà si attua una selezione delle situazioni più dolorose e di quelle più piacevoli che si possono provare nella vita terrena e alle situazioni così selezionate si applica un processo retorico di intensificazione. La somiglianza delle pene infernali e dei gaudii paradisiaci a dolori e piaceri terreni li rende concepibili, ma la loro accentuazione iperbolica li mostra superiori a qualsiasi sensazione terrena. E sempre maggiore importanza assume ora l’attenzione per le pene purgatorie.
La letteratura visionaria dei secoli XI-XII appare in continuità con la produzione altomedievale. Sul piano quantitativo, all’esplosione fra VII e IX secolo fa seguito un diradamento tra il X e l’XI, ma si avrà una ripresa e poi un grande sviluppo nel XII. Per il X secolo si possono ricordare alcune visioni inserite da Flodoardo di Reims nelle sue opere storiografiche, mentre all’inizio dell’XI appartengono due visioni raccontate da Riccardo di Saint-Vanne poi raccolte nell’opera cronachistica di Ugo di Flavigny, tutti testi che mostrano la continuità del genere e che non presentano particolari novità.
Di notevole originalità è invece la Visione di Ansello (o Visione di Oddone), risalente alla prima metà dell’XI secolo, di area francese. Vi è rievocata, secondo le indicazioni dell’apocrifo Vangelo di Nicodemo, la discesa infernale di Cristo, che viene rivissuta nella nuova prospettiva delle pene purgatorie. Oddone infatti è condotto da Cristo disceso dalla croce agli inferi, dove Cristo chiama a sé le anime di coloro che hanno scontato la pena del fuoco purgatorio e le affida agli angeli che le portano in cielo.
Oltre che nell’area francese, anche in Inghilterra si ha una ripresa della tradizione visionaria. Simeone di Durham inserisce nella sua opera storiografica (Storia delle Chiesa di Durham) il resoconto di quattro visioni, tra cui la più ampia è la Visione di Orm. Qui si dà nuovamente spazio al tema dell’ascesa al cielo, che viene sviluppato in due brevi testi del XII secolo, la Visione di Giovanni di Saint-Laurent (di Liegi) e la Visione di Guntelmo. Nella prima, tuttavia, l’ascesa celeste si conclude con la contemplazione del paradiso, ma non viene descritto lo stato delle anime. Grande attenzione è prestata invece alla rappresentazione delle pene purgatorie, che sono di due tipi: un inferno temporaneo, dove le anime non hanno la certezza di giungere alla salvezza, e una zona di penitenza più leggera, allietata dalla luce e dalla speranza della beatitudine.
La Visione di Guntelmo racconta la visione di un novizio inglese, ma è stata scritta nel nord delle Francia verso la metà del XII secolo. Vi ha uno sviluppo particolare la visione del paradiso e di speciale interesse risulta l’ascesa al cielo per mezzo di una scala: l’anima di Guntelmo è guidata da san Benedetto verso il cielo, ma durante l’ascesa deve subire gli attacchi dei diavoli, che possono essere vinti con l’aiuto del santo. Il motivo è una rielaborazione della biblica scala di Giacobbe (Genesi, 28, 12), ma la scala svolge qui una funzione di prova, come il ponte in altre visioni.
Rispetto a queste visioni, in cui appare maggiormente sviluppato l’elemento simbolico, il XII secolo presenta alcuni testi particolarmente ampi, in cui è costante la struttura ascendente del percorso e ritorna l’attenzione alla condizione delle singole anime, descritta minuziosamente con funzione esemplare.
La Visione di Alberico è uno dei pochi testi di area italiana, scritto nell’abbazia benedettina di Montecassino nel 1121/1123. Il novizio Alberico, guidato da san Pietro e da due angeli, vede prima l’inferno, dove sono distinti una serie di luoghi dedicati alla punizione di diversi tipi di peccatori. In particolare si distinguono sette pene temporanee dalle pene eterne del basso inferno; poi un fiume di pece ardente che svolge una funzione purgatoria: sopra il fiume passa infatti un ponte, che i puri superano facilmente, mentre i peccatori non purificati non riescono ad attraversarlo ma cadono nel fiume dove restano fino a quando non sono purificati. Alberico può poi vedere un campo ampio e gradevole dove sono le anime dei giusti, al centro del quale si trova il paradiso, in cui però non possono entrare fino al giorno del giudizio. E anche i giusti sono suddivisi e classificati a seconda dei loro meriti. Quindi Alberico è condotto a visitare i sette cieli e giunge al cospetto del trono di Dio.
La Visione di Tundalo deve essere stata un vero best seller dell’epoca, perché ne restano ancora moltissimi manoscritti della redazione latina, databile alla metà del XII secolo, e in più volgarizzamenti in una quindicina di lingue. Il testo è stato scritto da un monaco irlandese e racconta della visione avuta da un cavaliere, Tundalo (o Tungdalo o Tnugdalo), nel 1148, come al solito durante uno stato di morte apparente. Tundalo è condotto da un angelo guardiano a visitare l’inferno e il paradiso. Durante la visita all’inferno, accuratamente suddiviso con diverse pene per i vari peccati, lo stesso Tundalo deve subire alcune punizioni. In particolare egli può vedere otto luoghi di tormento nell’inferno superiore, ma queste pene sono temporanee e quindi questo inferno “superiore” è in realtà una sorta di purgatorio, dove si trovano anime ancora non definitivamente dannate, che saranno giudicate nel Giorno del Giudizio. Solo il pozzo dell’inferno, dove si trova Lucifero, è sede di pene eterne per i peccatori che hanno disperato nella misericordia di Dio e non hanno creduto in Lui.
In seguito Tundalo si trova in una zona più luminosa e tranquilla, dove davanti a un grande muro sono le anime dei non troppo cattivi, che soffrono fame e sete penitenziali, e poi più avanti incontra in un luogo piacevole i non troppo buoni che sono già passati attraverso le pene purificatorie. Il paradiso presenta invece la forma di ampi campi separati da mura di metalli e pietre preziose e vi si possono riconoscere tre aree: una prima per i buoni cristiani coniugati; una seconda più elevata per i casti, i martiri e i monaci; una terza che ospita i santi e le nove schiere angeliche. Tundalo intrattiene dialoghi continui con l’angelo guida intorno a questioni dottrinali e alla natura dei luoghi visitati, dove incontra anche una serie di personaggi da lui conosciuti in vita.
All’interno dello schema noto, due grandi visioni della fine dell’ultimo decennio del secolo mostrano l’attenzione sempre maggiore nei confronti dei luoghi di pena temporanea, già evidente nella Visione di Tundalo. Sia la Visione di Godescalco (di area tedesca) che la Visione di un monaco di Eynsham (di area inglese) presentano infatti la descrizione solo delle pene purgatorie e del passaggio delle anime purgate verso il paradiso terrestre (dove attendono di essere ammesse alla beatitudine), mentre manca la descrizione sia dell’inferno inferiore sia del paradiso celeste. Sempre più accentuata appare poi l’attenzione per i casi individuali delle singole anime, presentati nei loro aspetti biografici in funzione esemplare.
Il ciclo delle visioni culmina e si esaurisce con la Visione di Turkillo, di area inglese e risalente ai primi anni del XIII secolo. Oltre a elementi già noti presenta un’insistenza particolare nei confronti della necessità che i viventi aiutino, attraverso messe e suffragi, le anime sottoposte alle pene purgatorie e quelle purgate ma ancora in attesa di essere ammesse al paradiso. Un elemento nuovo è la messa in scena del giudizio delle anime attraverso il peso, ma la vera novità è la rappresentazione di un inedito teatro infernale. In prossimità dell’inferno inferiore si trova infatti un grande teatro nel quale viene condotto anche Turkillo. Qui hanno luogo dei ludi teatrali organizzati dai diavoli: le anime dei peccatori sono costrette a mettere in scena una rappresentazione dei loro peccati e poi a subire pubblicamente terribili punizioni corrispondenti ai peccati. Il pubblico dello spettacolo è formato da diavoli che applaudono divertiti e dagli altri dannati seduti su sedili incandescenti.
Mentre tutti questi testi raccontano viaggi dell’anima, un testo irlandese offre il resoconto di un viaggio compiuto corporalmente nell’aldilà. Si tratta del Trattato sul Purgatorio di san Patrizio, scritto in latino dal monaco inglese Henricus di Saltrey dopo la metà del XII secolo e prima del 1185, di cui restano molti manoscritti e numerosi volgarizzamenti, fra cui spicca la versione in antico francese di Maria di Francia.
Secondo la leggenda, san Patrizio, l’evangelizzatore dell’Irlanda, avrebbe chiesto a Dio la rivelazione di un luogo attraverso cui fosse possibile vedere l’aldilà per convincere gli abitanti del Paese a convertirsi. Cristo gli mostra allora una grotta intorno alla quale Patrizio fa costruire un santuario: chi è ammesso alla grotta ha la visione delle sofferenze dei dannati e delle gioie dei beati e ottiene il perdono di tutti i peccati. Per questo la grotta viene chiamata Purgatorio di san Patrizio: il luogo si trova nell’isola Station Island nel Lough Derg (Lago Rosso) nel nord dell’Irlanda.
Dopo aver ricordato queste notizie preliminari, il testo racconta di un certo Owein, un cavaliere che decide di compiere questa esperienza penitenziale e durante il tempo trascorso nella grotta è condotto corporalmente a visitare l’aldilà. Dopo essere stato accolto da quindici religiosi che lo istruiscono è assalito da diavoli che lo portano a visitare nove luoghi di tormento, dove Owein subisce ogni pena fino al momento in cui invoca il nome di Gesù, come gli è stato prescritto all’inizio del viaggio. Poi deve superare un ponte stretto e scivoloso, sospeso su un fiume fetido e infuocato, ma invocando il nome di Gesù riesce ad attraversarlo e a giungere al paradiso terrestre, rappresentato con tutti gli elementi del luogo ameno. Qui può vedere anche la porta del paradiso celeste, in cui i beati saranno ammessi alla fine dei tempi, e che però, già ora, ogni giorno si apre lasciando fuoriuscire un cibo spirituale sotto forma di fiamma che si posa anche sopra Owein. Tornato alla superficie Owein compie un pellegrinaggio in Terrasanta, infine si fa monaco e vive santamente.