Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le concezioni del corpo che connotano l’alto Medioevo inevitabilmente segnano anche l’esperienza del danzare. La condanna e la mortificazione della carne, ma anche la sua glorificazione e la sua elevazione, sono tensioni laceranti, impresse su un corpo che, orfano di spazi teatrali ormai in rovina, continua a esporsi nelle pubbliche piazze o all’interno delle chiese attraverso un agire ora scomposto e terrorizzato ora sublimato e sereno, che rende palese e contribuisce a diffondere una simbolizzazione del gesto saldamente consolidata in vari ambiti del comportamento e della riflessione propri dell’epoca.
Nell’alto Medioevo si elaborano e si strutturano modalità di pensiero e di comportamento che danno forma alla cultura occidentale in alcuni dei suoi aspetti connotanti: così è per gli atteggiamenti nei confronti del corpo. Come nota Jacques Le Goff nel suo libro Il corpo nel Medioevo, è in questo periodo che si impianta quell’elemento fondamentale della nostra identità collettiva costituito dal cristianesimo, tormentato dal problema del corpo, glorificato e represso, esaltato e nello stesso tempo respinto.
È vero che le prime dottrine cristiane si pongono in evidente continuità con lo stoicismo antico per quanto riguarda una certa austerità nella cura del corpo, incluso l’approccio alla sessualità, e nell’indagine introspettiva, come rilevano ad esempio Michel Foucault nella sua Storia della sessualità (1976) e Paul Veyne in La società romana (2004). D’altra parte, l’ammirazione per la cultura erudita del tardo impero, in cui probabilmente si formano anche i Padri della Chiesa, come Ambrogio e Agostino , non impedisce ai neoconvertiti di allontanarsi e di rigettare questa stessa cultura. Si determina così una frattura che è anche affermazione di un nuovo modo di intendere l’essere umano e che trova un’ideologia forte – nonché adeguate strutture sociali e modalità di pensiero – con l’istituzionalizzazione della religione cristiana.
Il Medioevo, secondo Le Goff, è il tempo in cui le lacrime sono un dono, il sangue e lo sperma un tabù, il riso è messo al bando, il sogno viene represso, la stigmate si imprime sulle carni dei prescelti; è il tempo della peste, a partire dalla metà del VI secolo, e della lebbra, a partire dal VII secolo; è il tempo in cui i morti si mescolano ai viventi, con il cimitero al centro dello spazio urbano; è il tempo dei mostri, dei corpi dalle parti ipertrofiche, deformate, mutile o dislocate, dei corpi ibridati con animali, piante o corpi di diverso sesso. Il cristianesimo, tramite i suoi strumenti secolari, lavora invece proprio per eliminare questi aspetti, per rendere il corpo liscio e impermeabile, privo di irregolarità, aperture o protuberanze, in un processo che cerca di separare dimensione corporea e dimensione sacra, quasi a voler escludere la possibilità di accedere a quest’ultima attraverso percorsi che non siano inseriti nella convalidata via della liturgia ecclesiastica. L’ideale ascetico fonda il monachesimo, che a sua volta lo istituzionalizza: la rinuncia al piacere e la lotta contro le tentazioni vengono riconosciute e praticate come mezzi per liberare l’anima dalla prigione del corpo. Così il digiuno – o comunque le interdizioni relative ad alcuni alimenti – e le sofferenze autoinflitte vengono cadenzati nel corso dell’anno secondo un preciso calendario ed estesi ai laici a partire dalla riforma monastica dell’XI secolo, anche se in realtà sono praticati già in precedenza. Con la riforma gregoriana, poi, il controllo del corpo trionfa includendo fermamente la sessualità, di cui si definiscono tempi e modi sia in ambito laico – all’esterno e all’interno del matrimonio – sia in ambito clericale.
Nel contempo, i Padri della Chiesa celebrano la bellezza e la bontà del corpo, creato a immagine e somiglianza di Dio e destinato ad accogliere il figlio stesso di Dio. Ambrogio, nell’Hexaemeron, loda le membra destinate ad essere animate dal soffio divino, Agostino nel De genesi ad litteram (401-415 ca.) nota la singolare prestanza del corpo umano nel suo insieme, Cassiodoro nel De anima (ante 554) afferma la capacità che il volto possiede di comunicare all’esterno pensieri e sentimenti. In seguito, come nota Alessandro Ghisalberti nel suo saggio Il pensiero medievale di fronte al corpo (1983), nell’alto Medioevo è riscontrabile una tendenza a cercare di superare la concezione del corpo come carcere per accogliere quella del corpo come tempio dell’anima; il corpo non viene dunque visto semplicemente come schiavo da dominare, ma assurge alla dignità di compagno dell’anima.
Nella cultura cristiana, in sostanza, il corpo non ha un’autonomia riconosciuta, ma viene compreso soltanto in relazione all’anima. Interno ed esterno, dentro e fuori, sono saldati da strette relazioni e da analogie esplicative. I Padri del deserto di Siria e di Egitto, dal III al V secolo, intendono ricostruire la personalità umana agendo sul corpo, considerato quindi un tramite tra umano e divino. Del resto, l’intrinseca connessione di anima e corpo viene affermata, da un punto di vista filosofico, negli scritti di filosofia naturale di Aristotele – in particolare nel De anima – letti con reverenza e assimilati in profondità a partire dalla metà del secolo XII, e viene poi spiegata dai filosofi del secolo successivo nel quadro di una visione unitaria dell’uomo, pur nelle notevoli divergenze di interpretazione della psicologia aristotelica.
Posta la fondamentale unione tra anima e corpo, che secondo Jean-Claude Schmitt costituisce il principio chiave di tutta l’antropologia medievale e che informa antropomorficamente la concezione del mondo in tutti i suoi aspetti, il gesto viene considerato come manifestazione visibile di un’invisibile anima e come strumento utile a disciplinare e a elevare la stessa anima.
La civiltà medievale è stata infatti definita come “civiltà del gesto”. I gesti consolidano le relazioni sociali: permettono la trasmissione dei poteri politici o religiosi, rafforzano i giuramenti, affermano l’appartenenza a uno degli ordines in cui è divisa la società, confermano le gerarchie, regolano conflitti, caricano di senso anche varie azioni della vita quotidiana.
A giudizio dei Padri della Chiesa, il corpo va regolato e contenuto anche attraverso gesti opportunamente codificati, corretti, ragionati, in particolare per quanto riguarda i movimenti, gli atteggiamenti e le posizioni consoni a uomini di chiesa, a chi riveste cariche importanti, alle donne appartenenti alle classi agiate. Il monachesimo occidentale, che si costituisce intorno al VI secolo, fissa regole concrete che disciplinano il corpo indicando con chiarezza, in testi come la Regola del Maestro e la Regola di san Benedetto, pratiche, comportamenti e posizioni corretti o inadeguati. Ma accanto a questo gesticolare ascetico si può rintracciare un gesticolare santo che esalta i movimenti ampi e rapidi del corpo, il canto, la musica strumentale e la danza, come mostra, in un cofanetto d’avorio realizzato intorno al 1100, una raffigurazione in cui Cristo, racchiuso in una mandorla mistica sostenuta da quattro angeli, si slancia con energica foga verso la mano di Dio protesa sopra di lui. Il corpo dell’uomo medievale si fa gesto significante in molteplici occasioni, come attesta la ricca iconografia che in epoca carolingia, tra VII e XI secolo, accompagna, ad esempio, i manoscritti più e più volte riprodotti delle commedie di Terenzio o che impreziosisce il celebre Salterio di Utrecht (IX sec.), i cui disegni, liberi da rigidi confini rispetto al testo, delineano figure umane mobili e frementi. In seguito, nelle miniature ottoniane ricche di oro e di colore dell’XI secolo, il movimento si fisserà in una ieraticità statica e solenne.
Già degli autori pagani del V secolo, come Macrobio, vedono il gesto in indissolubile connessione con la musica, collocata nel quadrivium, in compagnia delle altre scienze esatte (aritmetica, geometria, astronomia). Così, secondo Platone e i filosofi neoplatonici il movimento del corpo deve essere retto dalla stessa armonia numerica che informa il moto degli astri, da un ritmo che è alla base della musica e del canto. A parere di Marziano Capella il movimento va razionalmente regolato, attraverso l’arte, per uniformarlo all’armonico ritmo dell’universo, di cui il corpo umano è metafora (analogamente, peraltro, esso è metafora della Chiesa, dello Stato, della città). Tuttavia, chi si esibisce in pubblico viene spesso descritto nel proprio sconveniente gesticolare, come afferma Isidoro di Siviglia che, nell’Institutionum Disciplinae, depreca “le contorsioni dei mimi e i gesti dei buffoni che corrono qua e là”. Così sarà anche in seguito nei testi teorici e normativi riguardanti i gesti, dove la gesticulatio negativa ed eccessiva dell’istrione viene opposta al gestus positivo e moderato del buon oratore e del buon cristiano. Soltanto a partire dal XII secolo l’immagine del giullare tende talvolta ad accogliere in sé inusuali aspetti positivi, progressivamente confermati dall’affermarsi di una cultura urbana connotata da valori autonomi rispetto a quelli monastici.
È inevitabile che le visioni del corpo affermatesi nel Medioevo segnino, di conseguenza, anche la danza, che, smembrati gli spazi teatrali dell’Antichità, ormai in abbandono, viene praticata nelle pubbliche piazze o all’interno delle chiese, nelle aie di campagna o nel chiuso delle abitazioni dei potenti, esibizione di sé di fronte a chi guarda, ma anche esperienza di sé, espressione di moti interiori, celebrazione di riti, affermazione di relazioni sociali.
Come ha sottolineato ancora una volta Le Goff, nel Medioevo “il corpo è luogo di un paradosso”, poiché è sede del peccato ma può essere strumento di redenzione e di salvezza, come racconta il corpo martirizzato e glorificato di Gesù. Allo stesso modo la danza – che nel corpo trova strumento e sostanza imprescindibile – oscilla tra due modelli biblici antagonisti e polarizzanti: quello pio del re David di fronte a Dio e quello malvagio di Salomè al banchetto di Erode. L’ambivalenza nei confronti del corpo e gli ambivalenti valori in esso rintracciati informano anche la danza, che, anzi, proprio grazie a questo suo peculiare carattere, ha il potere di rendere esplicite le connessioni intrinsecamente umane tra alto e basso, immateriale e materiale, fondandosi su un infinito deposito di segni, sovrabbondanti rispetto alle capacità sistematizzanti del sapere razionale.