viso
Il vocabolo è presente in tutte le opere dantesche, con particolare frequenza nella Commedia. Ha due valori fondamentali: " vista " e " faccia " . Di solito la bipartizione del campo semantico è netta; tuttavia per un certo numero di casi sussiste la difficoltà di una precisa identificazione, anche dopo l'esame del contesto generale e delle relazioni interne fra la parola e gli altri elementi del narrato.
1. In primo luogo, il termine significa " vista ", sia come senso, sia come facoltà o atto del vedere (come il latino visus).
L'idea di " senso della vista " è prevalente in esempi quali solo col viso comprendiamo ciò, e non con altro senso (Cv III IX 6); Tu hai l'udir mortal sì come 'l viso (Pd XXI 61); mia ebbrezza / intrava per l'udire e per lo viso (XXVII 6): esempi nei quali è significativo il richiamo al senso dell'udito.
Più comunemente, pur con sottili mutamenti contestuali, v. sta per " facoltà visiva ", considerata ora nella sua virtualità ora nel suo atto.
Assume una coloritura tecnico-scientifica, di ascendenza scolastica, nel modulo spiriti del viso (Vn II 5, XI 2, XIV 5), proprio del linguaggio amoroso (come i moduli affini ‛ spirito della vita ', ‛ spiriti animali ', ‛ spiriti sensitivi ', indicanti le potenze psicofisiologiche che presiedono all'esistenza umana), usato per rappresentare oggettivamente l'organo e la facoltà della vista.
Tipica e ripetuta, durante l'ascesa all'Empireo, l'allusione di D. alla sua debolezza visiva innanzi allo splendore dei messi celesti, di Beatrice, delle anime sante, dello spettacolo paradisiaco: Che è quel, dolce padre, a che non posso / schermar lo viso tanto che mi vaglia, ecc. (Pg XV 26); Ma poi ch'al poco il viso riformossi (XXXII 13: perfetto il parallelismo con ‛ vista ' del verso precedente: la disposizion ch'a veder èe / ne li occhi pur testé dal sol percossi, / sanza la vista alquanto esser mi fée); ma quella folgorò nel mio sguardo / sì che da prima il viso non sofferse (Pd III 129); S'io ti fiammeggio... / sì che del viso tuo vinco il valore (V 3); per la viva luce trasparea / la lucente sustanza tanto chiara / nel viso mio, che non la sostenea (XXIII 33); Mentr'io dubbiava per lo viso spento (XXVI 1: era stato abbagliato dal ‛ foco ' di s. Giovanni). L'immagine di Pd XXX 25, sostenuta da un paragone tra il potere della vista e la luce del sole (come sole in viso che più trema), trova il suo precedente in un'altra similitudine cui il poeta era ricorso nella lirica dottrinale: Elle [le bellezze paradisiache della donna] soverchian lo nostro intelletto, / come raggio di sole un frale viso (Cv III Amor che ne la mente 60): la glossa precisa: dico come questo soverchiare è fatto, che è fatto per lo modo che soverchia lo sole lo fragile viso, non pur lo sano e forte (VIII 14).
Sempre con riferimento all'esercizio della facoltà visiva nei suoi successivi momenti e nelle sue varie modalità, l'esemplificazione ha modo di estendersi lungo un arco ben pronunciato: fatica del viso (Cv III VII 4); viso debilitato (IX 14); affaticare lo viso molto, a studio di leggere (IX 15); il nerbo / del viso (If IX 74: l'acume della vista; ma alcuni intendono " nervo visivo "); era men che notte e men che giorno, / sì che 'l viso m'andava innanzi poco (XXXI 11); disviticchia / col viso quel che vien sotto a quei sassi (Pg X 119); Qual savesse qual era la pastura / del viso mio ne l'aspetto beato (Pd XXI 20: il godimento nel contemplare l'aspetto di Beatrice; ma di alta efficacia è la ‛ iunctura ' pastura del viso, che comporta l'idea del placamento di un lungo digiuno); dal viso ti s'invola (XXII 69), e cfr. Rime CIII 15, CIV 82, Cv III III 13, Pg XVI 4, Pd XXIX 77.
Deriva probabilmente da un luogo tomistico il celebre paragone volto a spiegare come la prescienza divina delle cose contingenti non ne determini il libero svolgersi. Dice s. Tommaso: " dicendurn quod ea quae temporaliter in actum reducuntur, a nobis successive cognoscuntur in tempore, sed a Deo in aeternitate, quae est supra tempus... Sicut ille qui vadit per viam, non videt illos qui post eum veniunt: sed ille qui ab aliqua altitudine totam viam intuetur, simul videt omnes transeuntes per viam " (Sum. theol. I 14 13 ad 3). E D., mutando l'oggetto e la prospettiva della visione, ma conservandone l'intimo senso: La contingenza... / tutta è dipinta nel cospetto etterno; / necessità però quindi non prende / se non come dal viso in che si specchia / nave che per torrente giù discende (Pd XVII 41). Del resto anche Boezio, trattando lo stesso dibattutissimo problema, scrive: " Sicut scientia praesentium rerum nihil his quae fiunt ita praescientia futurarum nihil his quae ventura sunt necessitatis importat " (Cons. phil. V IV 20). Tuttavia nel passo citato v. può denotare specificamente l'occhio o la pupilla (l'esegesi è oscillante), giusta la particolareggiata descrizione del processo visivo contenuta nel Convivio, dove, tra l'altro, si legge che le cose visibili, o meglio le loro forme, entrano nell'occhio attraverso il mezzo diafano, cioè l'aria: E ne l'acqua ch'è ne la pupilla de l'occhio, questo discorso, che fa la forma visibile per lo mezzo, sì si compie, perché quell'acqua è terminata - quasi come specchio, che è vetro terminato con piombo -, sì che passar più non può (III IX 8). Così verrebbe chiarito il valore del rispecchiamento (dal viso in che si specchia). Ma per v. come " occhio " cfr. oltre.
In certe occasioni è più opportuno restringere la sfera semantica del vocabolo alla nozione di " sguardo " . Così nei sintagmi ‛ volgere o rivolgere il v. ' (Cv III V 15, Pg XXIV 68, Pd I 142, XV 32) e in quelli affini di ‛ tenere volto lo v. ' (Cv I VIII 14), ‛ ficcare o figgere lo v. ' (If IV 11 e X 34), ‛ dirizzare il v. ' (Pg IX 84) e in altri dei tipi seguenti: 'l viso mio a la terra si china (Rime dubbie XI 1); convien ch'al tuo viso si scovra (If XVI 123); fa che feggia / lo viso in te di quest'altri dannati (XVIII 76: " fa che lo sguardo dei dannati cada su di te "); " Fa che pinghe ", / mi disse, " il viso un poco più avante... " (XVIII 128); Come 'l viso mi scese in lor più basso (XX 10); 'l viso m'era a la marina torto (Pg IX 45, e v. Pd II 26 mirabil cosa / mi torse il viso a sé); i' mi mossi col viso, e vedea, ecc. (Pg X 49); di retro al mio parlar ten vien col viso / girando su per lo beato serto (Pd X 101); Col viso ritornai per tutte quante / le sette spere (XXII 133); 'l viso hai quivi / dov'ogne cosa dipinta si vede (XXIV 41); Lo viso mio seguiva i suoi sembianti (XXVII 73); Adima / il viso (XXVII 78); viso e amore avea tutto ad un segno (XXXI 27); 'l mio viso in lei tutto era messo (XXXIII 132). V. è certamente " sguardo ", per testimonianza dello stesso poeta, in Pd XXVII 96 mi volsi al suo viso ridente. / E la virtù che lo sguardo m'indulse, ecc.; Pg III 14 diedi 'l viso mio incontr'al poggio (" alzai lo sguardo al poggio ").
Ridondante, ma del parlar comune, Cv III III 13 chi guarda col viso, ecc.
Già alcune delle attestazioni sopra ricordate sono sul confine fra il territorio dei valori propri e quello dei valori figurati. Si colloca anch'esso lungo tale confine, ma tende chiaramente a un'espressività metaforica, l'esempio di Pd XXXIII 83 Oh abbondante grazia ond'io presunsi / ficcar lo viso per la luce etterna, che effettivamente rappresenta il penetrar della vista di D. nel vivo raggio divino, ma nello stesso tempo è simbolo dell'intuizione intellettuale con la quale D., al termine del suo itinerario gnoseologico, si solleva, per grazia, oltre i limiti umani, ai più ardui misteri della religione.
Con minor pregnanza, e in un sintagma già noto, v. è sinonimo di " vista intellettuale ", in Pd VII 34 Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona. Sulla stessa linea è attribuito alla Metafisica, in accordo con la personificazione, in Cv III XI 16.
Altri costrutti figurati comprendenti il vocabolo servono a designare coloro che ebbero fede in Cristo venuto (a lui volgendo " gli occhi dell'anima " [Casini-Barbi]): quei ch'a Cristo venuto ebber li visi (Pd XXXII 27); o ad esporre il concetto che amore non può disinteressarsi della salvezza di colui che ama, che chi ama, in altre parole, non può non volere il bene dell'oggetto amato: perché mai non può da la salute / amor del suo subietto volger viso, / da l'odio proprio son le cose tute (Pg XVII 107).
Si diceva prima che v. ha anche il significato di " occhi ". Questo significato è reso palese dal giro della frase o da qualche rapporto con tratti precedenti e seguenti del contesto. Così Rime dubbie XIV 2 Questa donna... / porta nel viso la vertù d'Amore, a parte l'ovvio rimando alla casistica amorosa dello Stil nuovo, riceve luce dai vv. 6 e 7 io vidi lo dolce signore / ne li occhi soi con tutto il su' valore; e Pg XXIII 7 Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto, si chiarisce al paragone con i versi iniziali del canto in cui il poeta raffigura sé stesso mentre ficca li occhi per la fronda verde (v. 1) e viene richiamato da Virgilio a opera più utile (e va da sé che a sua volta ‛ occhi ' è qui vicario di " sguardo "). Lo stesso sistema di rapporti vige in Pg XXXII 7 per forza mi fu vòlto il viso / ver' la sinistra, che si collega con i vv. 1 e 2 Tant'eran li occhi miei fissi e attenti / a disbramarsi la decenne sete. Inequivocabili i luoghi che connotano v. con l'idea del ‛ chiudersi ': Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso (If IX 55); si frange il sonno ove di butto / nova luce percuote il viso chiuso (Pg XVII 41); un punto vidi che raggiava lume / acuto sì, che 'l viso ch'elli affoca / chiuder conviensi per lo forte acume (Pd XXVIII 17); If XX 21 pensa per te stesso / com'io potea tener lo viso asciutto (" come potevo non piangere "). Del pari indubbio il senso dell'implorazione di frate Alberigo (levatemi dal viso i duri veli, If XXXIII 112), se si tengono presenti i vv. 97-99 le lagrime prime fanno groppo, / e sì come visiere di cristallo / rïempion sotto 'l ciglio tutto il coppo, e i vv. 148-149 Ma distendi oggimai in qua la mano; / aprimi li occhi (di conseguenza i vv. 127-128 E perché tu più volontier mi rade / le 'nventrïate lagrime dal volto dovranno essere interpretati estensivamente). Infine agli occhi di Beatrice in cui si riflette l'eterna bellezza di Dio si allude in Pd XVIII 17 'l piacere etterno, che diretto / raggiava in Bëatrice, dal bel viso / mi contentava col secondo aspetto: si vedano per una conferma i vv. 20-21 Volgiti e ascolta; / ché non pur ne' miei occhi è paradiso.
2. Il passaggio da v.- " vista " a v.- " faccia, volto " è giustificato secondo il Tommaseo dalla circostanza che l'organo della vista risiede nella faccia, o dall'altra circostanza che la vista si esercita maggiormente guardando appunto la faccia degli uomini. Ma tenendo presente il latino, è preferibile porre come originario mediatore fra le due accezioni il neutro visum, che con funzione attiva è il " sogno " o la " visione ", con funzione passiva " ciò che vien visto ", l' " aspetto " e quindi, nell'uomo, in modo privilegiato, il " volto " (si noti che i termini ‛ volto ' e ‛ faccia ' usati da D. in alternativa con v., hanno nelle sue opere minor numero di presenze).
Poiché la materia, secondo una nota dottrina aristotelica, individua la forma, D. afferma che nullo viso ad altro viso è simile (Cv III VIII 7); ne la faccia de l'uomo, infatti, dove l'anima più manifesta la sua opera, si riduce in atto l'ultima potenza de la materia (cioè la determinazione della materia immediatamente precedente la sua ultima e più alta attuazione) che è in tutti quasi dissimile.
A parte ciò, la straordinaria potenza pittorica di D. sa conferire alla rappresentazione dei v. le sfumature più diverse: ed ecco i visi di donne scapigliate e gli altri visi diversi e orribili a vedersi (Vn XXIII 4) che lo turbano nella sua ‛ erronea fantasia ' (ancora variata l'originaria figurazione poetica: visi di donne m'apparver crucciati, XXIII 22 41); ecco 'l viso abbrusciato di Brunetto Latini (If XV 27), i mille visi cagnazzi dei traditori della patria (XXXII 70), 'l viso non ‛ dipinto ' dell'onesta moglie di Bellincion Berti (Pd XV 114), i visi a carità suadi dei beati nella candida rosa (XXXI 49), e così via in una galleria che non conosce doppioni.
La diversità dei v., come in alcuni degli esempi riportati, dipende assai frequentemente dalla diversità delle situazioni interiori: Lo viso mostra lo color del core (Vn XV 5 5). Di qui la vasta gamma di attestazioni che riguarda l'impiego di v. come specchio ed espressione dei sentimenti: manifesto lo stato del cuore per essemplo del viso (XV 8, chiosa al verso or ora citato; e cfr. § 9); 'l mio disir dipinto / m'era nel viso, e 'l dimandar con ello (Pd IV 11); e, al negativo: avvegna che... / per la freddura ciascun sentimento / cessato avesse del mio viso stallo (If XXXIII 102). Così di volta in volta il v. può lasciar trasparire le passioni e i turbamenti d'amore (diverrò sì magro / de la persona, e 'l viso tanto afflitto, ecc., Rime LXVIII 19; io portava nel viso tante de le sue [di Amore] insegne, Vn IV 2; Per più fiate li occhi ci sospinse / quella lettura, e scolorocci il viso, If V 131), sino agli estremi ardori e alle letizie paradisiache (Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto, Pd XXIII 22); oppure può manifestare la vergogna (con tutta la vista [l'aspetto] vergognosa / ch'era nel viso mio giunta cotanto, Vn XXIII 19 19; dopo lo fallo nel viso loro vergogna si dipinge, Cv IV XIX 10), la pena e il turbamento (L'angoscia de le genti / ... nel viso mi dipigne / quella pietà, ecc., If IV 20), la riverenza (Di reverenza il viso e li atti addorna, Pg XII 82), il timore (Com' a l'annunzio di dogliosi danni / si turba il viso di colui ch'ascolta, XIV 68), l'impazienza (vidi due mostrar gran fretta / de l'animo, col viso, d'esser meco, If XXIII 83), la benignità e la mitezza (E 'l segnor mi parea, benigno e mite, / risponder lei con viso temperato, Pg XV 103), o altri sentimenti: ricigna il viso (Fiore XXVI 9, in atto d'irritazione e ostilità); col viso piano (IX 4, detto della ragione); col viso baldo (XVII 13); per ch'i' faccia il viso tristo (CIV 13); il viso suo umile e piano (CXLIV 3); con mal viso (Detto 289). E metteremo in codesto tipo di esempi anche Vn XXXI 13 48 spesse fiate pensando a la morte, / venemene un disio tanto soave, / che mi tramuta lo color nel viso, e Pg XXI 104 con viso che, tacendo, disse ‛ Taci '.
Conformemente ai dettami stilnovistici il vocabolo si arricchisce di suggestioni espressive e qualifiche particolari quando si riferisce al volto della donna amata (sia ella Beatrice o la Donna gentile o la pargoletta): Color d'amore e di pietà sembianti / non preser mai così mirabilmente / viso di donna (Vn XXXVI 4 3); il gran disio ch'io sento / fu nato per vertù del piacimento / che nel bel viso d'ogni bel s'accoglie (Rime XCI 42: il desiderio nacque per virtù di quella bellezza [piacimento] che si raccoglie nel bel v. " come sintesi di singole bellezze ", Pernicone); ricordando la gio' del dolce viso (LXVIII 27); viso vestito d'umilitade (Vn XI 1); Ell'ha nel viso la pietà sì scorta, ecc. (XXII 16 12, ripreso in XXII 17). Sulla stessa linea Rime LXXXVII 18, Vn XIX 12 51, XXVII 4 8, XXII 9 6, XXXVII 9 11, Pd XXX 28.
La tematica della virtù infusa dalla bellezza della donna nell'animo di chi la contempla, innamorato, è sottesa a Pg XXXI 36, luogo fra i più intensamente autobiografici dell'intera Commedia, come quello che tocca le radici del traviamento di D. e segna l'avvio della sua crisi morale e gnoseologica: Le presenti cose / col falso lor piacer volser miei passi, / tosto / che 'l vostro viso si nascose, che è metafora misuratissima per significare la morte della donna, sul prolungamento delle parole che Beatrice stessa aveva poco prima pronunciate: Alcun tempo il sostenni col mio volto: / mostrando li occhi giovanetti a lui, / meco il menava in dritta parte vòlto (Pg XXX 121-123; occhi e volto si uniscono nel recupero del motivo stilnovistico).
L'interpretazione più nota e più probabile data alle parole del conte Ugolino io scorsi / per quattro visi il mio aspetto stesso (If XXXIII 57, e v. prima al v. 48) parte dal riferimento al sogno comune avuto dai prigionieri: il padre, destatosi, scorge nel volto dei figli la stessa espressione di angoscia che doveva essere nel suo e si rende conto che anch'essi hanno ormai compreso quale destino li attenda. Il Porena perviene allo stesso risultato esegetico, ma dando a visi e aspetto il significato medesimo di " sguardo ": " ora si vede guardato dai figli con quello stesso suo sguardo, e non può più illudersi ".
Minore intensità semantica hanno le attestazioni che riguardano il v. semplicemente come parte del corpo, anche se in più di un caso, quando il campo poetico si accentra attorno al sostantivo, si avverte un più celere moto del sentimento, una vibrazione umana più sensibile: colli e visi umani (If XIII 13); Poi che nel viso a certi li occhi porsi (XVII 52); poi ch'ebber li visi a me eretti (XXXII 45); al viso mio s'affisar quelle / anime fortunate (Pg II 73); Perché ne' vostri visi guati, / non riconosco alcun (V 58, e si veda XXIII 43); chi nel viso de li uomini legge ‛ omo ' (XXIII 32); d'i nostri visi le postille (Pd III 13); d'un gran velo il viso avea velato (Fiore XXIV 3); ella guarda in viso (Detto 185); e quindi If XVII 117, XXX 54 ('l viso non risponde a la ventraia, cioè la misura, la grandezza del v. è sproporzionata rispetto al ventre); XXXII 53 e 78, Pg IV 108 e 113, XI 54, XIV 9, XVII 68, XXII 3, XXVI 29, XXXI 74, Fiore IX 14, XX 7, XLIV 8.
Prelude invece a una sequenza di alto valore liturgico, immersa in un'aura di sacro mistero, l'esortazione di Catone a Virgilio (di cui D. è l'oggetto), fa che tu costui ricinghe / d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso, / sì ch'ogne sucidume quindi stinghe (Pg I 96): invito a un lavacro di risurrezione che riscopra nel v. e nell'anima di D. il colore dell'innocenza.
Notissima e destinata a divenir proverbiale la locuzione a viso aperto nelle parole di Farinata: fu' io solo... / colui che la [Firenze] difesi a viso aperto (If X 93): " con aperta faccia e libera boce " glossa l'Ottimo, l'unico fra gli antichi che si soffermi a illustrare queste parole di Dante. I moderni, com'è giusto, insistono sull'arditezza e la risolutezza della posizione assunta da Farinata, e da lui solo, verso i ghibellini toscani al convegno di Empoli, sulla base, oltre che del contesto dantesco, del Villani (VI 81). In aggiunta il Porena ricorda un'usanza caratteristica, tramandata dalla letteratura cavalleresca: mentre di solito i cavalieri, per salvare un condannato a morte da loro ritenuto innocente, si presentavano a combattere nelle giostre con la visiera abbassata, in incognito, alcuni, più coraggiosi, entravano in lizza con la visiera alzata: a loro dovette probabilmente essere applicato in origine il modulo ‛ a v. aperto ', che poi assunse significato psicologico. In fondo, aggiunge il Porena, anche Farinata aveva qualcuno da salvare, Firenze, e lo faceva intrepidamente, esponendosi a tutte le responsabilità e le odiosità che potevano derivare dal suo atto (cfr. M. Porena, Parole di D.: " a viso aperto ", in " Lingua Nostra " XIII [1952] 124-125; A. Frugoni, Il canto X dell'Inferno, in Nuove Lett. 1280).
La locuzione che si trova in Pg XII 70 Or superbite, e via col viso altero, / figliuoli d'Eva, e non chinate il volto / sì che veggiate il vostro mal sentero, è chiaramente apparentata con la tradizionale raffigurazione del superbo che incede " a testa alta ". Chi invece sostiene che qui v. sia in funzione visiva (Casini-Barbi; Torraca, in alternativa con l'altra interpretazione), tesi ammissibile, mette in rilievo lo sguardo vanamente spavaldo e sprezzante di chi pure è infermo de la vista de la mente (Pg X 122). Ancora nel campo delle locuzioni, lodare o biasimare dinanzi al viso alcuno (Cv I II 11) o parlare dinanzi al viso de l'uditore (II XIII 14) è quanto dire che l'azione si compie " in presenza ", " al cospetto " delle persone interessate o del pubblico: nel caso quindi del rettorico, contemplato dalla seconda occorrenza citata, la formula allude a un discorso rivolto all'uditorio a viva voce e non affidato allo scritto.
Al v. della Sapienza personificata si fa riferimento in Cv III XIII 11.
3. Venendo ai casi ambigui, o ritenuti tali, tra i ‛ miracoli ' compiuti da Beatrice vengono annoverate le conseguenze del suo saluto: ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira, / e cui saluta fa tremar lo core, / sì che, bassando il viso, tutto smore (Vn XXI 2 5): il volgersi degli uomini sottintende naturalmente il guardare, e il saluto della donna potrebbe provocare l'abbassamento degli occhi, prima fissi su di lei; tuttavia non è da escludere, specie tenendo presente lo smore che sembra collegato a viso, l'ipotesi che il vocabolo corrisponda qui a " volto ". In sintagmi affini agisce la circostanza che l'abbassare il volto comporta normalmente anche l'abbassare lo sguardo, favorendo lo scambio dei significati.
In If V 110 Quand'io intesi quell'anime offense, / china' il viso, e tanto il tenni basso, / fin che 'l poeta, ecc., l'assorto pensiero di D. si accorda meglio con l'atteggiamento di chi tiene chino il capo e il volto, piuttosto che il solo sguardo. In Pg III 55 E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso / essaminava del cammin la mente, / e io mirava suso intorno al sasso, è chiara l'antitesi tra il guardare in giù di Virgilio e il mirare in su di D.: del resto è naturale che il poeta latino, nella sua funzione di guida, esaminando con la mente il cammino da intraprendere, scruti anche il terreno, fermo restando che il chinare gli occhi non esclude il chinare il volto, anzi lo richiede. Per quanto concerne Venedico Caccianemico che, sogguardato da D., celar si credette / bassando 'l viso (If XVIII 47), alla mossa che considereremmo più verosimile in chi intende nascondere agli altri i tratti del volto (cioè l'abbassarlo) fanno apparentemente contrasto le parole successive della terzina, O tu che l'occhio a terra gette (v. 48), da cui si dedurrebbe che il personaggio aveva abbassato soltanto lo sguardo: ma proprio questa attestazione rivela la bivalenza del modulo, che va interpretato in senso estensivo e coinvolge il moto degli occhi e il moto del capo.
L'amfibologia si estende a casi come volse 'l viso ver' me (If XVI 14) e volgi 'l viso (Pg III 104), anche se nel secondo luogo la giunta pon mente se di là mi vedesti unque (v. 105) impone l'intervento necessario della vista. Sembra in qualche modo anche risolvibile Pd VIII 96 S'io posso / mostrarti un vero, a quel che tu dimandi / terrai lo viso come tien lo dosso, per la relazione v.-dosso che richiama in prima linea il significato di " volto ": e s'intende che chi volge il " volto " verso la verità la " vede " nel suo vero aspetto. Non soccorrono invece sussidi testuali per Pg XXVIII 148 Io mi rivolsi 'n 'dietro allora tutto / a' miei poeti, e vidi che con riso / udito avëan l'ultimo costrutto; / poi a la bella donna torna' il viso: qui davvero le due accezioni concorrono e si fondono insieme.