visual design
<vìʃiuël diʃàin> locuz. sost. ingl., usata in it. al masch. – Locuzione attualmente preferita a graphic design, o grafica, e che segnala un’estensione disciplinare alla progettazione di tutti gli artefatti, non più solo scrittori, ma in generale destinati a una fruizione visiva. Analogamente, la locuzione comunicazione visiva non designa più una specifica professionalità progettuale, ma un campo sterminato della produzione e della fruizione di oggetti, programmi, beni e servizi della comunicazione, dell’emissione e della ricezione dei messaggi, comprendendo inoltre strategie, tecniche, materiali che contribuiscono alla loro realizzazione. Il dibattito critico dell’ultimo decennio appare dunque convergere su di un ambito disciplinare ancora più ampio quale il design della comunicazione visiva o, meglio, il design della comunicazione o, nella locuzione anglofona, communication design, ovvero «la progettazione di artefatti comunicativi, in particolare di tipo visivo, svolta da operatori specializzati in presenza di precisi vincoli produttivi e con obiettivi più nettamente tesi agli aspetti di tipo funzionale, legati alla risoluzione di specifici problemi posti da specifiche committenze, pubbliche o private» (G. Lussu, Design della comunicazione, Enciclopedia Treccani del XXI secolo, 2011). Dal punto di vista storico, la parola grafica significa «il tracciare» e quindi, nel suo porsi quale attività pertinente alla raffigurazione, si richiama al laboratorio pre- e protostorico della nascita della scrittura (G. Anceschi, Monogrammi e figure. Teorie e storie della progettazione di artefatti comunicativi, 1981). Il corrispettivo anglofono graphic compare invece nel 17° sec. in senso metaforico quale «vividly descriptive» e non più nel senso obsoleto del «draw with pencil or pen», per acquisire, nel 20° sec., il significato di «characterized by diagrams». La locuzione graphic design, ovvero la disciplina entro cui opera il graphic designer, fu utilizzata per la prima volta nel 1922, nel saggio New kind of printing calls for new design, scritto dall’illustratore americano W.A. Dwiggins per definire una serie di discipline artistiche che si concentrano sulla comunicazione visiva (R. Kinross, Graphic design, 2011). In Italia il dibattito teso a includere la grafica nelle discipline del design, e quindi ad assumerne la locuzione anglofona, si sviluppa negli anni Ottanta del 20° sec. attraverso una serie di convegni e studi, come il saggio di R. De Fusco La grafica è design (1985), pubblicato sul numero zero della rivista Grafica, nella sezione dedicata alla ricerca di una definizione aggiornata del termine. In tale saggio, De Fusco fa risalire la nascita del disegno industriale all’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg, indicando nel libro il primo esempio di artefatto riproducibile in serie, e sancendo in tal modo il graphic design quale definizione dell’attività sistemica del progettare un artefatto di comunicazione, seguendo le quattro fasi del processo ideativo e produttivo di progettazione, produzione, vendita e consumo. Fanno capo al v. d. i progetti relativi alle merci comunicative e ai sistemi grafici, di tipo notazionale, scrittorio, raffigurativo. Kinross ha infine sottolineato la capacità del graphic design di applicare una propria consapevolezza estetica ad artefatti di uso ordinario e, per tale motivo, portatori di una forte carica sociale.