VITA (XXXV, p. 458)
Origine della vita. - Il problema dell'origine della v. ha incominciato a richiamare l'attenzione degli scienziati solo nella seconda metà del secolo scorso. Perché ciò potesse avvenire era infatti necessario, prima di tutto, che si sgombrasse definitivamente il terreno dall'erronea credenza nella generazione spontanea. Ciò avvenne tra il 1860 e il 1876, essenzialmente per opera di L. Pasteur e di J. Tyndall, a conclusione di una linea di ricerche sperimentali aperta da F. Redi sin dal 1668 e portata poi avanti soprattutto da A. Vallisneri e da L. Spallanzani.
In quegli stessi anni, d'altra parte, si esauriva ormai un periodo nella storia della scienza, con la formulazione di tutte le idee generali fondamentali della biologia. Enunciata la teoria cellulare nel 1839 per opera di T. Schwann e M. J. Schleiden, nel 1858 R. Vichow giungeva alla conclusione che una cellula vivente non può derivare che da un'altra cellula preesistente. L'anno successivo, 1859, usciva l'opera più famosa di C. Darwin, On the origin of species, e con essa il fatto dell'evoluzione biologica entrava definitivamente a far parte del nostro patrimonio di conoscenze. Nel 1865, negli atti di una quasi ignota accademia scientifica dell'impero austro-ungarico, a Brunn in Moravia, veniva pubblicato il lavoro di G. Mendel, che, con una metodologia in grande anticipo sui tempi, individuava il filo conduttore per decifrare il confuso intrico dell'eredità biologica. Tutte le premesse necessarie erano quindi state poste per poter giungere a formulare la domanda di quando e come sia apparsa la v. sulla Terra. Tale domanda era del resto posta anche dai risultati della ricerca paleontologica, che aveva già messo in evidenza il progressivo ridursi del numero delle specie e la graduale diminuzione della complessità degli organismi, man mano che ci si spingeva sempre più lontano nel passato, fino a epoche in cui ogni apparente testimonianza di v. sparisce dagli strati sedimentari.
Tuttavia, anche se il problema dell'origine della v. fu ben chiaro per es. a Pasteur, ci vollero ancora molti anni prima che ci si rendesse veramente conto dell'estrema complessità di ogni cellula e del come non bastasse retrodatare nel tempo la generazione spontanea, limitandola a condizioni ambientali primitive, diverse da quelle di oggi. Ciò che vi era di assurdo nella credenza tradizionale dimostrata falsa da Pasteur e da Tyndall, non era infatti l'idea che, in ambiente opportuno, la v. possa sorgere spontaneamente, cioè per effetto di cause naturali fisico-chimiche, da materiali inorganici, ma che un tale processo possa aver luogo nel breve giro di ore o di giorni.
Una concezione diversa è stata, nella realtà, una conquista difficile: lenta e graduale per opera di una pubblicistica di opinione scientifica, per la maggior parte russa o tedesca. Essa venne alla fine proposta in modo chiaro, anche se solo plausibile nei particolari, in un breve, brillante scritto del giovane biochimico russo A.I. Oparin, nel 1924. In tale scritto, di appena una quarantina di pagine, il problema dell'origine della v. sulla Terra viene finalmente impostato in un modo nuovo e scientificamente valido. La comparsa della v. è vista come il risultato ultimo di un lungo processo, in cui le forze in gioco sono le forze fisico-chimiche ordinarie e che si sviluppa naturalmente dal processo di formazione e di evoluzione della Terra come corpo celeste. Tale processo viene analizzato in una serie di tappe o passi successivi, dalla materia inorganica ai primi veri e propri organismi viventi e riproducentisi, passi tutti largamente ipotetici (e oggi effettivamente non più ritenuti quelli da prendere in considerazione) ma resi plausibili da un primo tentativo di discussione e di costruzione di un edificio concettuale esente da incoerenze e contrad dizioni.
Le idee di Oparin non giunsero in Occidente che parecchi anni più tardi, quando idee simili erano già state proposte indipendentemente da J.B.S. Haldane in Inghilterra, nel 1929. L'analisi spettroscopica della luce delle stelle aveva dimostrato che l'elemento di gran lunga più abbondante nel cosmo è l'idrogeno, subito seguito dall'elio e solo a grande distanza da tutti gli altri elementi. Su 1000 atomi di ogni tipo, si ritiene che in media più di 923 siano atomi di idrogeno, più di 75 atomi di elio e meno di 2 siano atomi di altri elementi. Era pertanto naturale supporre che anche nella nebula primitiva da cui ha tratto origine il sistema solare, l'idrogeno fosse di gran lunga l'elemento prevalente e che, quindi, carbonio e azoto e la parte di ossigeno non legata al ferro e al silicio si presentassero essenzialmente in combinazione con l'idrogeno, nelle loro forme chimiche più ridotte, metano, ammoniaca e vapor d'acqua. In base a queste considerazioni Haldane avanzò l'ipotesi che l'atmosfera primitiva della Terra sia stata di composizione chimica molto diversa dall'atmosfera attuale: un'atmosfera chimicamente riducente. In un'atmosfera del genere bastano apporti estranei di energia libera relativamente modesti per provocare la sintesi di un gran numero di molecole diverse, che immagazzinino durevolmente sotto forma chimica parte di tale energia, anche se l'equilibrio termodinamico sarebbe raggiunto nuovamente solo con la loro completa riduzione a metano, ammoniaca e vapor d'acqua. Si può vedere facilmente che in atmosfera ossidante un processo del genere richiede molta più energia dall'esterno (per un fattore da due a cinque), mentre le sostanze che in tal modo si formano vengono poi riossidate con grande facilità. (Una semplice analogia chiarisce la natura del fatto: basta una debole agitazione per ottenere da un liquido a bassa tensione superficiale come l'acqua saponata, schiuma abbondante e persistente. Ma se la tensione superficiale aumenta del 50%, come nell'acqua pura, comunque il liquido venga sbattuto, non si riesce a ottenere che pochissime bolle, che immediatamente si rompono). Haldane suppose che la radiazione ultravioletta solare abbia così prodotto nell'atmosfera primitiva un gran numero di sostanze, che raccolte dalle precipitazioni atmosferiche nell'oceano, avrebbero ivi dato inizio a un'evoluzione chimica, terminante con la formazione dei primi organismi viventi.
Questa idea, appena delineata nel breve lavoro di Haldane, è ancora, sia pure con profonde modifiche, alla base di ciò che noi oggi sappiamo e pensiamo circa l'origine della v. sulla Terra. Sappiamo anzitutto che l'atmosfera terrestre primitiva non era certamente un residuo della nebula primordiale da cui si è originato il sistema solare. Se lo fosse stato, avrebbe contenuto una percentuale di gas nobili (elio, neo, argo, kripto, xeno) almeno pari a quella della loro abbondanza media nel cosmo, e siccome tali gas non formano composti chimici e non possono (soprattutto i più pesanti) sfuggire al campo gravitazionale della Terra, essi sarebbero ancora presenti nelle stesse quantità nell'atmosfera attuale. Le loro abbondanze nell'atmosfera sono invece inferiori, oggi, per fattori che vanno da 10 a 1014. Deve dunque esservi stata un'epoca in cui la Terra è rimasta priva di atmosfera e l'atmosfera primitiva dev'essere stata prodotta dal successivo degassamento del materiale condensato accumulato nel pianeta.
In secondo luogo, i geologi sono riusciti a trovare nei più antichi strati sedimentari, da loro individuati e studiati, le prove che l'atmosfera terrestre primitiva era veramente, come supposto da Haldane, un'atmosfera chimicamente riducente e che ha continuato a essere priva di ossigeno libero dall'epoca della formazione della crosta terrestre (4,6 miliardi di anni fa) fino a circa 1,8 miliardi di anni da oggi. Il fondamento su cui queste conclusioni si basano è costituito dal fatto che il materiale che viene continuamente eroso dalle zone superficiali e trasportato dalle acque dei fiumi a formare gli strati sedimentari subisce alterazioni chimiche molto diverse a seconda del carattere dell'atmosfera in cui si svolge il processo. In un'atmosfera ossidante come l'attuale, feldspati, solfuri e tutti i minerali metallici, all'infuori degli ossidi superiori, vengono attaccati chimicamente e trasformati appunto in ossidi nel più elevato stato di ossidazione. In particolare, le sabbie sono costituite pressoché esclusivamente da granuli di biossido di silicio. In un'atmosfera riducente, o per lo meno non ossidante, invece, feldspati, solfuri e ossidi inferiori sono stabili e si ritrovano come tali tra i granuli del materiale deposto nelle aree di sedimentazione. Da un lato, sono stati trovati strati sedimentari contenenti solfuri e feldspati e ossidi inferiori, negli antichi scudi continentali del Sudafrica, del Brasile e del Canada, e i metodi di datazione basati sulle radioattività naturali hanno permesso di stabilire che sono tutti più antichi di 1,8 miliardi di anni. D'altro lato, un po' in tutti i continenti si ritrovano strati sedimentari argillosi contenenti ferro nel più elevato stato di ossidazione, i cosiddetti red beds, sedimentazioni tipiche di un'atmosfera ossidante. Nessuno di essi è più antico di circa 1,4 miliardi di anni. L'ossigeno libero è comparso dunque nell'atmosfera cambiandone profondamente il carattere chimico in questo intervallo, tra 1,8 e 1,4 miliardi di anni a partire da oggi.
Oggi, sappiamo anche che la v. è comparsa sulla Terra almeno un miliardo e mezzo di anni prima del cambiamento di atmosfera e si ritiene che l'ossigeno atmosferico sia pressoché tutto di provenienza biologica, liberato dagli organismi che con la fotosintesi hanno imparato a utilizzare direttamente l'energia della radiazione solare e a estrarre idrogeno dall'acqua, per la sintesi dei carboidrati. Come si è giunti a retrodatare fino a 3,2 ÷ 3,4 miliardi di anni fa la comparsa della v. sulla Terra? Tutti i fossili della paleontologia classica appartengono a organismi già molto complessi, metazoi dotati, di regola, di parti dure come scheletri e conchiglie: le datazioni radioattive hanno dimostrato che le ere e i periodi geologici a cui essi appartengono si estendono complessivamente nel passato per non più di 600 milioni di anni. È tuttavia chiaro che i primi organismi apparsi sulla Terra dovevano essere molto più semplici, certamente unicellulari forse simili agli attuali batteri, e quindi anche molto più antichi. Testimonianze di forme di vita antichissime sono state effettivamente trovate, negli ultimi venticinque anni, nei più antichi strati sedimentari che si conoscano. Tali testimonianze sono di tre tipi diversi:
a) depositi calcarei, la cui particolare struttura rivela con sicurezza all'occhio esperto del geologo l'origine biologica (si tratta di materiale secreto da alghe unicellulari nel corso della loro vita). Tali i calcarei delle serie di Bulawayo nella Rhodesia del Sud, databili a 2,65 miliardi di anni.
b) fossili molecolari, cioè sostanze organiche la cui struttura molecolare complessa esclude ogni possibilità di sintesi abiologica, mentre la loro origine biologica tramite processi metabolici o degradativi è ben conosciuta e sicura. Tra questi, particolarmente importanti gl'idrocarburi a catena lineare o isoprenoidi (con esclusione quindi di tutti gl'isomeri a catena variamente ramificata, sempre presenti nelle sintesi abiologiche), che M. Calvin e il suo gruppo hanno seguito all'indietro nel tempo, fino alle serie di Onverwacht (Sudafrica) databili a più di 3,2 miliardi di anni.
c) veri e propri fossili di microorganismi e loro impronte, messe in evidenza nei più antichi depositi silicei mediante repliche esaminate al microscopio elettronico. I più importanti giacimenti sono quelli delle serie di Gunflint nell'Ontario (Canada), databili a circa 1,9 miliardi di anni e contenenti una microflora assai ricca e varia, e quelli delle già citate serie di Fig Tree e di Onverwacht nello Swaziland (Sudafrica), contenenti strutture organizzate assai più primitive, quasi certamente di origine biologica, interpretabili in base alla morfologia come alghe e batteri. Le più antiche di esse risalgono a 3,5 miliardi di anni.
In base a questi risultati si può dunque affermare che la v. dev'essere comparsa sulla Terra nel periodo compreso tra la formazione della crosta e circa 3,5 miliardi di anni fa. E, come abbiamo detto, un periodo nel quale l'atmosfera era riducente (o per lo meno non ossidante) e del quale non rimangono, per quanto oggi si sa, altre testimonianze.
Più arduo stabilire come la v. abbia avuto inizio. Anche a questo proposito sono stati tuttavia ottenuti notevoli risultati. Sembra anzitutto che si possa escludere l'ipotesi che la v. sia giunta sulla Terra da altri mondi, sotto forma di germi o spore che abbiano attraversato gli spazi siderali. Da un lato, ciò non farebbe che spostare il problema; dall'altro, spore o germi liberi nello spazio interplanetario non potrebbero sopravvivere all'irraggiamento dell'ultravioletto solare, né abbiamo esempi di meteoriti provenienti dall'esterno del sistema solare.
È poi assodato che praticamente tutti i precursori delle macromolecole biologicamente significative (proteme e acidi nucleici) possono facilmente sintetizzarsi per via abiologica, in condizioni ambientali le più varie e certamente in quelle presumibilmente realizzate sulla Terra primitiva. Tanto per fare un esempio, numerosi amminoacidi biologici sono stati trovati nel meteorite caduto il 28 settembre 1969 presso Murchison nello stato di Vittoria in Australia. Inoltre, si è verificata in laboratorio la fondatezza dell'ipotesi di Haldane, secondo cui l'evoluzione chimica prebiologica avrebbe avuto inizio per effetto di apporti esterni di energia libera all'atmosfera primitiva (ultravioletto solare, scariche elettriche nei temporali, radiazioni emesse da sostanze radioattive disperse, ecc.), con la sintesi abiologica di composti chimici vari che, raccolti e concentrati nell'oceano, avrebbero poi qui dato luogo alla formazione dei primi organismi. Nel 1953 L.S. Miller, nel laboratorio di H.C. Urey a Chicago, realizzò un modello sperimentale del sistema atmosfera primitiva-oceano e dopo aver mantenuto per un certo tempo una scarica elettrica nella miscela d'idrogeno, ammoniaca, metano e vapor d'acqua, che costituiva il suo modello di atmosfera, poté rivelare la presenza, nel liquido rappresentante l'oceano, di una quantità di composti di sintesi, tra cui tutti i principali amminoacidi biologici. Da quella prima esperienza, si è sviluppata una nuova branca di ricerca chimica, la cosiddetta chimica prebiologica, che è giunta come abbiamo detto alla conclusione che tutti i precursori delle macromolecole possono effettivamente essersi sintetizzati per la via supposta da Haldane. Ciò naturalmente non significa che le cose sulla Terra siano andate effettivamente così, ma semplicemente che vi è almeno un modo, una strada, per cui dal mondo inorganico si giunge, per effetto di cause naturali, alla soglia dei più semplici sistemi capaci di autoriproduzione. Come, da quello che è stato chiamato "il brodo primitivo", cioè da una miscela di precursori in soluzione, si sia passati al duplice sistema di polimeri lineari acidi nucleici-proteine e come questo sistema abbia potuto iniziare il ciclo riproduttivo, ancora non sappiamo.
Sono tuttavia stati individuati, o ipotizzati, vari processi che, in ambiente primitivo, possono aver determinato la sintesi delle macromolecole a partire dai precursori, assicurando il rifornimento di energia libera a ciò necessario.
Sono anche state avanzate parecchie ipotesi sul come si siano potute realizzare strutture tondeggianti delle dimensioni del micron, capaci di trasformarsi evolutivamente in proto-cellule. Oparin per es. ha chiamato in causa il ben noto fenomeno di smescolamento che ha luogo quando si mescolano in condizioni opportune soluzioni di due colloidi con carica opposta: si formano due fasi una delle quali costituita da minuscole goccioline disperse nell'altra fase (coacervati). S.W. Fox ha fatto vedere a sua volta che una miscela di amminoacidi riscaldata in ambiente anidro polimerizza spontaneamente e che, se il prodotto viene poi dilavato con acqua, si separano microsfere di materiale proteico aventi alcune caratteristiche simili a quelle richieste a strutture capaci di evolvere in proto-cellule. J. Bernal ha richiamato l'attenzione sulle argille, in quanto esse sono un materiale capace di adsorbire i monomeri facilitandone la polimerizzazione ordinata.
Infine M. Calvin ha dimostrato come le protocellule potrebbero aver tratto origine da sacche di materiale fosfolipidico, costituite per azione del vento da strati monomolecolari che spontaneamente si formano sulla superficie dell'acqua.
Per ciò che concerne infine gli stadi successivi del "montaggio" di un organismo, quelli in cui le macromolecole si aggregano tra loro a formare organelli e strutture biologiche di ogni tipo, sappiamo che quando le macromolecole specifiche siano disponibili, esse si aggregano spontaneamente nel modo voluto, ove le condizioni chimicofisiche del mezzo siano opportune. Tanto per fare un esempio, oggi sappiamo demolire un virus, separando l'uno dall'altro i vari tipi di macromolecole che ne compongono le particelle. Se, dopo aver fatto ciò, si mescolano nuovamente le sospensioni che contengono i diversi componenti, le particelle virali si riaggregano spontaneamente e le prove biologiche dimostrano che le particelle ricostituite sono infettanti e capaci di riprodursi esattamente come le particelle virali originarie.
Come si vede dunque l'intero arco del processo che porta dalle molecole gassose dell'atmosfera primitiva ai primi organismi è stato effettivamente indagato: il problema della comparsa della v. non è stato ancora risolto, è vero, ma oggi sappiamo, anche, che sistemi dotati delle proprietà degli organismi viventi non possono realizzarsi su base chimica diversa da quella dei sei elementi fondamentali della v., H, C, N, O, P, S, e che solo una struttura di polimeri lineari può realizzare quella praticamente illimitata varietà di combinazioni fisicamente equivalenti, che è necessaria perché l'evoluzione chimica possa trasformarsi in evoluzione biologica.
Bibl.: J. D. Bernal, The origin of life, Londra 1967; M. Calvin, Chemical evolution, Oxford 1969; D. H. Kenyon, G. Steinman, Biochemical predestination, New York 1969; M. G. Rutten, The origin of life by natural causes, Amserdam 1971; M. Ageno, L'origine della vita sulla Terra, Bologna 1971; L. Miller, L. E. Orgel, The origins of life on the earth, Englewood Cliff 1974.