VITALE da Bologna
(o di Aymo degli Equi)
Pittore bolognese, di cui si hanno notizie dal 1330 al 1359.
Il 7 marzo 1330 è attestato che V. riscosse il saldo per i lavori condotti nella cappella di Filippo Odofredi in S. Francesco a Bologna, mentre nel 1331 risulta iscritto per la prima volta nella 'venticinquina' di porta Stiera tra gli uomini abili alle armi appartenenti alla parrocchia di S. Maria Maggiore, dove figura ancora nel 1334, 1349, 1357, 1358 e 1359 (Pini, 1981). Altri documenti mostrano V. legato ai Francescani di Bologna lungo gli anni trenta del secolo: il 2 e il 3 agosto 1334 compare come teste in due atti stipulati presso il convento; l'11 novembre 1340 veniva pagato "pro toto complemento capelle sancti Laurentii" e il 9 dicembre successivo era pagato "pro picturis foresterie" (Rubbiani, 1886; Filippini, 1912). Il 14 agosto 1343, nella casa bolognese di Guido, vescovo di Ferrara, "Magister Vitallis pintor filius Aymi de Equis capelle S. Marie Maioris" prometteva di "facere et construere" quattro statue lignee raffiguranti la Vergine, l'Angelo annunziante, S. Giorgio e un santo vescovo (forse Maurelio), colorite in bianco e oro "ad modum figurarum marmorearum", da porre entro edicole alla colonna della Madonna nella cattedrale di Ferrara (Frati, 1911, p. 443).La scritta "Vitalis fecit hoc opus MCCCXLV", ora in parte guasta, si leggeva (Malvasia, 1678; Seroux d'Agincourt, 1835, tav. CXXVII) sulla Madonna dei Denti (Bologna, Mus. Civ. d'Arte industriale Davia Bargellini), già nell'omonimo oratorio contiguo alla chiesa di S. Apollonia di Mezzaratta. Il 5 maggio 1347, quando si fa riferimento alla sua casa in un procedimento penale, V. potrebbe essere stato ancora a Bologna, ma già il 28 giugno 1348 è documentato a Udine, dove presenziava a un testamento redatto in S. Francesco (Zuliani, 1972, p. 24). Dopo una nota dell'inoltrato 1348, in cui si registra un compenso al pittore "qui impentavit cuvam", altri pagamenti per la decorazione della cappella della Fraternita dei Fabbri nel duomo di Udine intestati a "magister Vitalis pictor" si registrano nel gennaio e nell'ottobre 1349; il 4 ottobre 1349 veniva restituito a un certo Bonaguida un debito contratto "pro soluctione picture capelle" (Joppi, 1894; Coletti, 1933, pp. 226-227; Gnudi, 1962b, p. 67). La data, mutila ma letta tradizionalmente 1351, è poi segnata nell'abside dell'abbazia di Pomposa (Brach, 1902). Il 6 luglio 1353 V. si impegnò con il priore di S. Salvatore a Bologna, Ranieri Ghisilieri, a eseguire "de manu propria" entro il Natale successivo "unam tabulam ad altari Sancti Thomae de Conturbia, constructi in dicta ecclexia santi Salvatoris, pulcram picturam decem figuriis et istoriis [...] pulcris et honorificis" (Frati, 1909). Il 2 luglio 1357 era presente alla stesura di un contratto in cui il pittore Balduccio di Francesco si impegnava a prestare la sua opera al vescovo Giovanni da Gallarate (Filippini, Zucchini, 1947); l'11 novembre 1357 vendeva in nome del figlio Francesco una casa lasciata dalla moglie Giovanna di Lorenzo merciaio (Filippini, Zucchini, 1947). Il 4 giugno 1359 era testimone, insieme ai pittori Berto di Guglielmo, Gregorio di Paolo da Venezia e Pietro Giacomo dalle Masegne, a un sindacato stipulato nel Capitolo dei frati dei Servi di Bologna per ordine del priore Andrea da Faenza. Il 31 luglio 1361 il figlio Francesco era già detto "quondam magistri Vitalis pictoris" (Filippini, Zucchini, 1947).Di V. si conoscono poche opere firmate: oltre alla citata Madonna dei Denti, va ricordata la Madonna dei Battuti bianchi di Ferrara (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca), e ancora l'acrostico del suo nome segnato sul dorso di un cavallo, allusivo al casato, che compare tanto nel S. Giorgio e il drago (Bologna, Pinacoteca Naz.) quanto in una fascia decorativa del ciclo di S. Maria dei Servi a Bologna.La ricostruzione offerta dagli studi moderni consente di ripercorrere l'attività del pittore nell'arco di un trentennio. Nato forse intorno al 1310 (Gnudi, 1962b), i suoi esordi sono legati al cantiere di S. Francesco a Bologna; ma dei lavori eseguiti per questa sede a partire dal 1330, che ne attestano un'ormai raggiunta maturità professionale, resta solo l'Ultima Cena e santi (Bologna, Pinacoteca Naz.), già nel refettorio della foresteria, riconducibile ai lavori per i quali V. percepì il pagamento complessivo nel 1340. Alcune opere su tavola chiariscono i modi della sua formazione in rapporto alla pittura contemporanea, che a partire dal 1330 ca. si apriva sempre più in direzione gotica (Volpe, 1980): all'attività del Maestro del 1333, dello pseudo-Dalmasio e degli artisti accumulati sotto il nome di pseudo-Jacopino di Francesco, V. era in grado di rispondere con la violenza espressiva della Crocifissione conservata a Filadelfia (Mus. of Art, Johnson Coll.) - alla quale si accosta quella di Lussemburgo (Mus. Nat. d'Histoire et d'Art, nr. inv. 1942.74.8; Boskovits, 1990) - e del citato S. Giorgio e il drago di Bologna, nonché, su un altro piano espressivo, con la fragile eleganza dell'Incoronazione della Vergine (Parigi, Louvre, inv. nr. R.F. 1996.19), già nella Coll. Stoclet a Bruxelles.In anni poco meno precoci dovrebbero trovare posto il 'massello' con la Madonna del Cucito (Bologna, Pinacoteca Naz.), proveniente forse dalla stessa S. Francesco - che testimonia come l'artista fosse al corrente della nuova iconografia avignonese della Madonna dell'Umiltà (D'Amico, 1982) -, nonché taluni affreschi rinvenuti di recente in S. Martino (forse un Giudizio universale), legati alla lezione dello pseudoJacopino (D'Amico, 1986). Forte di queste esperienze, V. appare in grado di fornire una sintesi tra il pathos irruente dell'autore dei polittici di S. Maria Nuova e della Badia (Bologna, Pinacoteca Naz.) - al quale va restituita la tavola con Storie di S. Caterina (Firenze, Fond. Longhi; Castagnoli, 1978, p. 84, tav. III) - e la capacità, propria del Maestro del 1333 e dello pseudo-Dalmasio, di racchiudere un movimento in una silhouette definitiva e autosufficiente, alla cui definizione concorre indubbiamente la conoscenza di oggetti di arte suntuaria.
Il carattere che più appartiene a V. e che lo distingue dai pittori precedenti è però la pastosità della pennellata, insieme alla capacità di restituire la morbida tenerezza degli incarnati. Si tratta di una prerogativa che emerge con chiarezza nel citato affresco proveniente dal refettorio della foresteria di S. Francesco, che pure la critica ha tentato di anticipare rispetto al 1340 del documento (Gnudi, 1962b, p. 26). Se la disposizione paratattica delle figure risente della pittura riminese, V. dimostra già un gusto ricercato e mondano che lo induce a connotare in senso affabile e cortese le figure dei santi e ad abbellire la superficie dell'affresco con inserzioni di vetri e di lamine metalliche. Gli stessi modi compaiono in una seconda versione dell'Incoronazione della Vergine (Budrio, Pinacoteca Civ. Inzaghi) e nella Madonna con il Bambino affrescata in S. Michele dei Leprosetti a Bologna.Sembra cadere nei primi anni quaranta la replicata attività di V. per Ferrara: un documento del 1343 informa della commissione da parte del vescovo Guido di quattro statue lignee per la cattedrale, a conferma della duttilità della sua bottega, mentre dall'oratorio dei Battuti bianchi di Ferrara proviene la citata tavola con la Madonna con il Bambino (non è convincente la proposta di assegnare a V. una Crocifissione staccata da quello stesso oratorio: Varese, 1976; 1987). Ma in questi medesimi anni deve cadere anche l'esecuzione di un breve ciclo di Storie di S. Maurelio, già in S. Stefano (Ferrara, Mus. di casa Romei), e un suo intervento, portato a termine dalla bottega, è stato individuato nella chiesetta di S. Maria di Savonuzzo presso Copparo (Volpe, 1998).I lavori condotti nella chiesa di S. Apollonia di Mezzaratta, dal 1949 conservati nella Pinacoteca Naz. di Bologna, costituiscono la prova della ormai raggiunta maturità di V. (nella parete di controfacciata: Annunciazione e Adorazione dei pastori, un miracolo della Vergine; nella parete sinistra: Battesimo di Cristo, Madonna con il Bambino): la data 1345 segnata sulla citata Madonna dei Denti, proveniente dall'oratorio adiacente che da essa aveva preso il nome, ma in origine forse sull'altare della stessa chiesa (Skerl Del Conte, 1993, p. 30), può costituire un punto di riferimento per l'intera decorazione (Gnudi, 1962b, pp. 64-66). V. dovette avviarla contemporaneamente dall'abside, perduta, e dalla controfacciata, per poi affidare agli allievi la continuazione delle pareti, dove in quella di sinistra torna però la sua mano nel Battesimo di Cristo e in una Madonna con il Bambino. Nella parete d'ingresso, l'impaginazione, priva di cesure architettoniche e di profondità come una pagina miniata, dà luogo a ondate concentriche, pervase da un brulichio instancabile; analogo doveva apparire, stando al resoconto di Malvasia (1678), il perduto presepe affrescato nel chiostro di S. Domenico. In ordine a uno stesso sentire, nel polittico dell'altare - avente al centro la Madonna dei Denti contornata da figurine di sante, tra cui Apollonia e Maddalena, già a Vienna (Coll. Lanckoronski), e ai lati varie tavole, tra cui le due con S. Pietro e i Ss. Antonio Abate e Giacomo (Bologna, Coll. Com. d'Arte) - il disinteresse per la simmetria professata dai toscani va di pari passo con la vivacità icastica delle espressioni e dei gesti e con la ricerca di affettate eleganze, esemplate sull'andamento arcuato degli avori francesi.Su questa strada di bizzarria gotica, sostanziata di osservazioni naturalistiche ma calata in un ordine formale di superiore astrazione, V. costruisce coerentemente il proprio linguaggio: cadono in questi anni anche le quattro Storie di S. Antonio Abate (Bologna, Pinacoteca Naz.), poste in origine ai lati di una perduta immagine del santo, firmata "Vitalis f(ecit)", già nella chiesa omonima annessa al Collegio Montalto, e il S. Ambrogio (Pesaro, Mus. Civ.), oltre a tavolette di carattere devozionale raffiguranti la Madonna con il Bambino (Bologna, coll. privata, già parte di una tavola più ampia; Forlì, Addolorata).Il successo incontrato dai suoi modi determinò il moltiplicarsi delle commissioni, alle quali V. fece fronte ricorrendo a una bottega docile nello svolgere le sue invenzioni, seppure incapace di riflettere fino in fondo il grado fantastico della sua immaginazione. Un momento importante per l'organizzazione della bottega è costituito dai lavori di Udine (1348-1350), dove V. potrebbe essere stato chiamato su suggerimento di Guido de' Guisi da Reggio, vescovo di Concordia Sagittaria e vicario di Bertrando di Saint-Geniés, patriarca di Aquileia dal 1334 (Rizzi, 1962), o, più facilmente, dai Francescani, con i quali era in rapporto già nel giugno 1348 (Zuliani, 1996). Quest'ultima notizia accresce la possibilità di riferire a V. un lacerto di affresco posto all'inizio della parete destra della chiesa di S. Francesco, raffigurante una scena di Compianto (Santini, 1991).
L'impresa di più vasta risonanza tra quelle affidategli a Udine è peraltro costituita dalla decorazione della cappella maggiore del duomo, che Bertrando, risoltosi a trasferire la sede del patriarcato da Aquileia a Udine, aveva consacrato nel 1335 e fatto oggetto di particolari cure, intensificatesi dopo il terremoto del 1348 (in una lettera a Guglielmo, decano di Aquileia, lo stesso Bertrando ricorda che la "capella ecclesiae Sancte Marie de Utino cum pictura constitit nobis plusquam quantringentis marchis"; Gioseffi, 1982, p. 44).In seguito ai rifacimenti avviati nel 1709, l'unica parte sopravvissuta, perché protetta dagli stalli del coro e rinvenuta nel 1968, è la fascia inferiore (strappata nel 1970); ma l'intera organizzazione figurativa è recuperabile attraverso il ciclo che decora la cappella maggiore del duomo di Spilimbergo, derivato dagli stessi cartoni ed eseguito forse entro il 1358 (Zuliani, 1985, p. 128): vi figuravano storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, rispettivamente sulla parete destra e sinistra, mentre nella parete di fondo trovavano luogo l'Incoronazione della Vergine e la Crocifissione. Più che dalla trascrizione di Spilimbergo e da un altro piccolo affresco (Udine, Mus. Civ.), l'aspetto di quest'ultima è recuperabile attraverso una Crocifissione su tavola (Madrid, Mus. Thyssen Bornemisza), il cui forte sviluppo in verticale ricorda lo spazio con cui V. aveva dovuto misurarsi nella parete di fondo del duomo udinese, forata da due finestre (Casadio, 1990, p. 65).
Gli affreschi superstiti si caratterizzano per l'accentuazione abnorme del movimento, che disarticola le membra dei personaggi come in un assurdo balletto di automi, e per lo stravolgimento espressivo delle fisionomie, segnate da passioni impetuose; ma talora il racconto si concede pause descrittive di felice naturalezza, come nel roseo nudo di Susanna o negli abbigliamenti eleganti degli aristocratici partecipanti al Ritorno di Tobiolo. Si tratta di caratteri proposti con un'urgenza espressiva talora sconcertante, che ha impedito l'immediato riconoscimento dell'autografia del ciclo, affermata da Skerl Del Conte (1975), contro il diverso parere di Flores d'Arcais (1978).Rispetto alla coerenza esecutiva raggiunta nella cappella maggiore, gli affreschi nella cappella a sinistra di quest'ultima, commissionati dalla Fraternita dei Fabbri tra il 1348 e il 1349 e fino a poco tempo fa unico punto di riferimento per la ricostruzione della fase udinese dell'artista, mostrano una fattura corsiva e allentata, addebitabile alla bottega. Perduta in seguito ai rimaneggiamenti settecenteschi la parete sinistra (alcune scene che vi trovavano posto sono forse riecheggiate nel poco noto ciclo di S. Nicolò a Vuezzis, in Carnia), gli affreschi si svolgono attualmente nella parete di fondo (Pentecoste, frammentaria, e figure di santi) e in quella di destra (Storie di s. Nicola di Bari, di cui, prima dello scoprimento avvenuto nel 1961, era rimasta in vista la sola scena delle esequie), oltre che nel sottarco di ingresso (busti di santi).Gli allievi rimasti in quella regione continuarono a far riferimento alle idee di V. in opere che sono state talora ritenute dello stesso capobottega, come per es. la frammentaria Annunciazione nella cappella di S. Antonio dello stesso duomo udinese (Skerl Del Conte, 1987b), l'Assassinio di Tommaso Becket in S. Giorgio in Vado a Rualis (Skerl Del Conte, 1988) e la Madonna dell'Umiltà nella chiesa c.d. del Cristo (S. Maria degli Angeli) a Pordenone (Tambini, 1995).Al di là di questi episodi, va rimarcata la forza dell'eredità vitalesca in Friuli, legata probabilmente a un troncone della sua bottega colà stabilitosi e tale di fatto da informare la produzione pittorica locale fino all'inizio del 15° secolo.Anche nell'abbazia di Pomposa, dove V. data 1351 gli affreschi nell'abside (Cristo in gloria e santi, Storie di s. Eustachio), ben diversa è la fattura delle parti autografe rispetto a quelle degli aiuti all'opera nella navata (Storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, Storie dell'Apocalisse) e nella parete d'ingresso (Giudizio universale). Nelle Storie di s. Eustachio, pur impoverite nella materia dallo strappo cui furono sottoposte nei primi anni Sessanta, V. si mostra in grado di rinnovare i propri codici figurativi, facendo ricorso a un'immaginazione che anticipa il tono 'cortese' della pittura di fine secolo (Longhi, 1973a).Nel polittico eseguito nel 1353 per l'altare di S. Tommaso Becket in S. Salvatore a Bologna, si apprezzano la qualità ricercata della carpenteria, modellata su esempi veneziani, e la sottigliezza dei passaggi descrittivi, insieme al ricco complemento di ornati. L'animosità dei movimenti, ricondotti a sottili eleganze lineari, si rinviene nella Risurrezione (Bologna, Pinacoteca Naz.), proveniente da un arcosolio nel chiostro di S. Francesco, del 1352 (D'Amico, Medica, 1986, p. 129), mentre nel massello con la testa di Cristo crocifisso (Bologna, S. Martino) e nell'affresco con la Trinità (Bologna, S. Maria dei Servi) l'immagine si ricompone con ieratica solennità.A questo grado di immaginazione, fedele a un ideale di gotica bellezza (Volpe, 1980), si rifanno le ultime opere su tavola interamente autografe: la Madonna con il Bambino e angeli (Milano, Mus. Poldi Pezzoli), la Madonna con il Bambino e un cardinale presentato da un santo vescovo (Viterbo, Mus. Civ.), il Cristo in pietà tra i ss. Benedetto e Cristoforo (Bologna, Pinacoteca Naz.); la collaborazione di un aiuto, forse il giovane Simone di Filippo, si avverte nel dittico con l'Adorazione dei Magi e Cristo in pietà e santi (Edimburgo, Nat. Gall. of Scotland; Firenze, Fond. Longhi). Ma è poi negli affreschi con Storie della Maddalena, nella chiesa bolognese dei Servi, sui quali è di recente ricomparsa la sua sigla, che il ritaglio delle forme, la qualità del colore e la profusione dei materiali preziosi inseriti nell'intonaco concorrono a una sontuosità da cappella palatina. Per la cronologia di quest'ultima impresa si può fare riferimento al documento che vede presente V. a un atto stipulato entro la chiesa nel 1359.
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