FALIER (Faletro, Faledro), Vitale
Nacque a Venezia nella prima metà del sec. XI.
I Falier erano una delle più antiche famiglie veneziane: se ne trova traccia nel primo elenco delle nobili casate veneziane, redatto verso la metà del X secolo, che la colloca tra gli "antiquiores et nobiliores Veneticos". Il F., come molti altri membri della famiglia, portò il soprannome di "Dedoni" o "Dedonis": un documento ducale del 1094 porta la firma di "Giovanni Faletro Dedonis", consigliere del doge, e anche di "Dominicus Faletro Dedonis", "Dominicus Faletro" e "Costantin Faletro". Il soprannome doveva indicare uno dei rami della famiglia. Le cronache più antiche (Origo civitatum, Andrea Dandolo) affermano che Ordelaffo Falier, futuro doge, fosse figlio del Falier. Dai documenti coevi non si traggono molte informazioni sulla discendenza e le parentele del F.; la sola cosa certa è che egli ebbe una figlia, tenuta a battesimo dall'imperatore Enrico IV. Nulla di certo è stato tramandato sulla sua carriera antecedente al 1084; è probabile che egli fosse consiliarius, cioè intimo consigliere del doge (da Mosto, p. 54).
Nel 1084 il F. succedette a Domenico Silvo nella carica di doge. Gli ultimi anni del governo del suo predecessore erano stati contrassegnati da gravi crisi di politica interna ed estera: sotto la guida di Roberto il Guiscardo i Normanni avevano attaccato Bisanzio; Corfù venne occupata nel 1081, Durazzo fu assediata. I Veneziani si mossero in aiuto dell''mperatore bizantino Alessio I Comneno, e in principio conseguirono qualche successo, ma furono poi sconfitti nell'autunno 1084 dal Guiscardo con gravi perdite di uomini e navi. La responsabilità di questa disfatta fu attribuita al doge, che venne deposto e costretto a ritirarsi in un convento.
Il F. fu eletto doge probabilmente nel dicembre 1084. I gravi problemi che si trovò ad affrontare furono prima la guerra contro i Normanni e i rapporti di Venezia con Bisanzio, poi l'atteggiamento da assumere riguardo al conflitto che opponeva il papa all'imperatore d'Occidente: la cosiddetta lotta per le investiture. La guerra contro i Normanni terminò senza che il nuovo doge avesse mutato sostanzialmente la politica seguita dal suo predecessore. L'armata normanna fu colpita da un'epidemia: Boemondo, figlio dei Guiscardo, si era ammalato già nel dicembre 1084, lo stesso Guiscardo perì presso Cefalonia nel luglio 1085. Era così fallito l'attacco portato a Bisanzio dai Normanni, grazie soprattutto alla flotta veneziana.
A lungo termine le conseguenze furono un importante incremento del commercio e dell'economia veneziani. Come compenso per il soccorso portato nel 1081 e per l'impegno ad accorrere nuovamente in futuro, l'imperatore Alessio I già nel maggio 1082 aveva dovuto concedere ai Veneziani ampi diritti che ora, sotto il nuovo doge, cominciavano a divenire effettivi (per la controversia sulla data della crisobolla si veda Borsari, Crisobullo). In primo luogo l'imperatore aveva concesso al doge e ai suoi successori il titolo di "protosebastos". Domenico Silvo mantenne questo titolo anche dopo la sua deposizione, poiché il popolo veneziano poteva deporre il doge da esso eletto, ma non privarlo di un titolo concessogli dall'imperatore (Borsari). Così Silvo si definiva ancora nel 1086 "imperialis protosebastos". Dopo la sua elezione il F. inviò tre ambasciatori a Costantinopoli. Probabilmente ottenne la conferma della crisobolla già conferita al suo predecessore e il titolo di "protosebastos", come riportano i cronisti Andrea Dandolo e Anna Comnena: egli portava questo titolo già nel 1089, quando donò delle saline alla chiesa dei Ss. Secondo ed Erasmo, allora in ristrettezze economiche.
I vantaggi concessi dalla crisobolla del 1082 cominciarono a mostrare i primi effetti durante il governo del Falier. Con questo privilegio, gravido di conseguenze per la storia di Venezia, il basileios garantiva ai mercanti veneziani libertà di commercio in tutto l'Impero bizantino, compresa Costantinopoli. Inoltre egli assegnò loro tre scali nella capitale presso il Corno d'oro assieme a depositi ed officine nei dintorni, assicurò alle chiese del Ducato e al patriarca pagamenti in denaro e una serie di altri privilegi. Il F. donò pochi anni dopo i possedimenti di Costantinopoli ai monasteri veneziani di S. Nicolò e S. Giorgio Maggiore.
Andrea Dandolo riporta anche che il F. ricevette da Alessio I la signoria sulla Dalmazia e la Croazia, per cui questi aggiuse da quel momento al titolo di "dux Venetiarum atque Dalmaciae" le parole "et Chroatiae". Il regno di Croazia era crollato pochi anni prima dell'ascesa del F. al dogato; quando la Croazia fu invasa dagli Ungari, Venezia vide minacciati i propri interessi nelle città costiere. Sarebbe stato perciò giustificato il tentativo veneziano di ottenere da Bisanzio un riconoscimento alle proprie pretese. Il Lazzarini ha però dimostrato che il F. non porta il titolo "et Chroatiae" in nessuno dei documenti originali tramandati, mentre se ne avvalse il suo successore Michiel.
Durante la lotta per le investiture la Repubblica di Venezia aveva in principio mantenuto la sua neutralità. Gli interessi della città andarono però a cozzare con quelli del Papato nel conflitto per il controllo del mare Adriatico: Venezia infatti combatté al fianco dei Bizantini contro i Normanni, alleati del papa.
Sotto il doge F. si strinsero i legami con l'avversario del papa, Enrico IV. Nel marzo 1095 questi fece la sua comparsa a Padova, in giugno si trovava a Mestre, dove concesse un privilegio al monastero femminile veneziano di S. Zaccaria. Poco prima era divenuta badessa del monastero Maria Falier, parente del doge. Nel mese di maggio l'imperatore si fermò a Treviso, dove ricevette gli inviati del F., che a quanto pare lo invitarono a Venezia: egli vi tenne a battesimo una figlia del doge e, tornato a Treviso, rinnovò il patto con Venezia e confermò i privilegi della città. L'imperatore nelle frasi introduttive del patto usò parole lusinghiere nei confronti dei Veneziani e accennò anche agli stretti rapporti che aveva con il F., essendo il padrino di sua figlia. Enrico IV, scomunicato dal papa e trattenuto da una situazione estremamente difficile in Italia settentrionale, era alla ricerca di aiuti. Forse ciò potrebbe spiegare perché alla serie dei vecchi privilegi ne fosse stato aggiunto uno nuovo molto importante e ricco di conseguenze per i mercanti veneziani: alla città fu concesso il diritto di stoccare merci provenienti dall'Impero d'Occidente. Rimane degno di menzione che Venezia sotto il F. avesse allacciato, in quel particolare momento, legami così stretti con l'imperatore; inoltre non è casuale che proprio in quegli anni tumultuosi il F. abbia fatto risistemare la fortezza di Loreo, presso l'Adige, sul confine meridionale, difficile da difendere, riorganizzandone la difesa militare (1094).
Durante il suo governo fu portata a compimento la trasformazione della chiesa di S. Marco in una basilica con pianta a croce greca e cupola sul modello della chiesa dei Dodici apostoli di Costantinopoli. I lavori erano iniziati sotto il doge Domenico Contarini e continuati sotto Domenico Silvo. L'8 ott. 1094 le reliquie di s. Marco furono trasferite nella cripta della chiesa appena completata, la cui struttura architettonica da quel momento non sarebbe più mutata. Alcune leggende narrano di un precedente smarrimento delle reliquie e del loro ritrovamento accompagnato da miracoli.
In contrasto con i successi del primo periodo, gli ultimi anni del governo del F. furono contrassegnati da profonde crisi. I cronisti narrano di terremoti, tempeste, carestie e conseguenti sollevamenti popolari. Il F. morì durante questi disordini e fu seppellito il giorno di Natale, probabilmente nel 1096, nell'atrio di S. Marco.
L'anno della morte del F. è controverso. Il Cessi la colloca nel 1095 mentre le cronache riportano solo la durata del suo governo: undici anni e tre mesi secondo gli Annales Veneticibreves, undici anni e sette mesi e dieci giorni secondo l'Origocivitatum e dodici anni secondo il Dandolo.
Narrano della morte del F. alcune leggende sviluppatesi successivamente e di dubbia attendibilità, ciononostante sempre ripetute: il popolo veneziano al termine della carestia avrebbe profanato la sua tomba, ritenendolo responsabile della situazione, e avrebbero bersagliato la sua bara con tozzi di pane. Il sepolcro del F. è la più antica tomba ducale conservata a S. Marco; la sua forma attuale data probabilmente del sec. XIII.
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