BORROMEO, Vitaliano
Figlio di Ludovico e di Bona Longhignana, era fratello di Camillo e di Carlo. Anch'egli, come Camillo, si diede alla carriera militare negli anni in cui Francesco II Sforza governava il ducato di Milano, sotto la protezione di Carlo V.
Nel 1531 partecipò alla guerra condotta dallo Sforza, alleato con i confederati svizzeri, contro Gian Giacomo Medici, detto il Medeghino, il quale aveva tentato di occupare la Valtellina, affidata da Carlo V allo Sforza, mettendo così in allarme i Grigioni. La guerra durò dieci mesi ed ebbe un andamento piuttosto sfavorevole per gli sforzeschi. Soltanto in seguito a pressioni del papa e dell'imperatore il Medici accettò di lasciare le posizioni occupate in cambio del marchesato di Melegnano. Il B. fu nominato luogotenente della flottiglia sforzesca, alle dipendenze del colonnello Vistarino. Del cattivo andamento della guerra fu ritenuto responsabile anche lui, tanto che nel novembre del 1531 il duca propose ad Alessandro Bentivoglio, luogotenente dello Stato di Milano, di "cassare esso Borromeo" e di sostituirlo con il Vistarino. Nasceva quindi tra i due una pericolosa rivalità, aggravata dal fatto che il Vistarino pretendeva ormai il comando di tutta l'armata. L'influenza della famiglia Borromeo fu certamente determinante per la soluzione della vertenza: il Bentivoglio, deciso a liquidare il B. "non essendogli altro capo da mettere in loco del Vistarino", e gli Svizzeri, che non si fidavano di lui per i suoi legami di parentela col Medici, chiesero la sua destituzione, ma lo Sforza decise di non lasciar vincere "la pugna" al Vistarino. Il B. perse quindi il comando della flottiglia, ma conservò quello di molte navi intorno a Lecco.
Quando il ducato di Milano passò direttamente agli Asburgo, il de Leyva, governatore dello Stato, segnalò a Carlo V alcuni gentiluomini milanesi, tra i quali il B., desiderosi di segnalarsi al servizio imperiale e meritevoli di qualche ricompensa. Il de Leyva aveva d'altra parte un debito di riconoscenza con tutti i fratelli Borromeo, Carlo, Camillo e Vitaliano, che durante il difficile periodo in cui lo Stato di Milano aveva rischiato di cadere in mano francese avevano fatto dei loro feudi sul Lago Maggiore e delle terre di Arona una roccaforte imperiale, dalla quale giungevano aiuto e vettovaglie; tanto che in seguito dichiarò in un privilegio in favore della famiglia Borromeo, che per quanto le condizioni politiche apparissero quasi disperate "per opera, fatiche, diligenza et agiuti datoli dalli suddetti conti, essersi in gran parte rimediate e rimesse alla vittoria".
Nel 1532 il B. era colonnello di duemila fanti al servizio dell'imperatore, dividendo così con Filippo Torniello, Fabrizio Maramaldo ed altri il comando delle forze imperiali in Italia. Tuttavia poco tempo dopo, nel luglio del 1536, moriva sul campo di battaglia a Savigliano, vicino a Torino, "da una archibusata".
Fonti eBibl.: Archivio di Stato di Milano, Carteggio sforzesco, cart. 1434, 11-12, 14-15, 19 nov. 1531; Archivo General de Simancas, Estado, leg. 1247, ff. 27 ss.; leg. 1184, f. 105; P. Canetta, Albero genealogico storico-biografico della nobile famiglia Borromeo, copia del ms. originale, proprietà della famiglia Borromeo, p. 106;M. Sanuto, Diarii, LVI, Venezia 1901 col. 644; F. Calvi, Famiglie notabili milanesi, II, Milano 1881, tav. VI; I. Coppetti, La guerra del Medeghino contro Francesco II Sforza, in Arch. stor. lombardo, s. 6, VII (1930), pp. 152 ss.; F.Chabod, Lo Stato di Milano nell'Impero di Carlo V, Roma 1934, p. 19.