Vitamine
Le vitamine (dall'inglese vitamine) sono sostanze di natura organica, contenute negli alimenti, indispensabili per il buon funzionamento, l'accrescimento e il mantenimento dell'organismo. Esse non hanno funzioni energetiche o strutturali, ma intervengono con compiti specifici in reazioni chiave del metabolismo, permettendone lo svolgimento. In aggiunta a questi ruoli, da tempo conosciuti, è inoltre emerso che almeno due di esse, la vitamina A e la vitamina D, sono capaci di interagire direttamente con il DNA, determinando la trascrizione delle informazioni geniche, motivo per cui, dal punto di vista del meccanismo d'azione, queste due sostanze vengono ormai considerate degli ormoni (v.).
l. Caratteristiche generali
Le vitamine sono nutrienti essenziali, devono cioè essere introdotte preformate con gli alimenti perché non possono essere prodotte dall'organismo a partire da precursori, come accade invece per altri nutrienti; uniche eccezioni sono rappresentate dalla vitamina D, che può essere sintetizzata a partire dal colesterolo, purché porzioni anche limitate della pelle, come quella di mani e viso, siano esposte alla componente ultravioletta della luce solare, e dalla niacina, che può essere sintetizzata a partire dall'aminoacido essenziale triptofano. A differenza di altri nutrienti, come aminoacidi (v.) e acidi grassi (v.), necessari in quantità misurabili in grammi al giorno, le vitamine sono richieste dall'organismo in quantità molto inferiori, nell'ordine dei milligrammi o microgrammi, concentrazioni nelle quali si trovano negli alimenti. Le vitamine non costituiscono un gruppo di sostanze chimicamente o funzionalmente omogenee, ma differiscono l'una dall'altra dal punto di vista della struttura chimica e dell'attività biologica. Il modo più usuale di classificarle è perciò quello di dividerle in vitamine idrosolubili, tiamina, riboflavina, niacina, vitamina B₆, folacina, vitamina B₁₂, acido ascorbico, biotina e acido pantotenico, e vitamine liposolubili, le vitamine A, D, E, K. Questa suddivisione permette di comprendere meglio come le vitamine vengono assorbite e trasportate nel sangue, come e dove vengono eventualmente immagazzinate e con quale facilità o difficoltà possono essere eliminate qualora siano introdotte in eccesso. La differente solubilità serve anche a identificare le fonti alimentari delle vitamine e ad adottare pratiche di conservazione o di preparazione e cottura degli alimenti capaci di minimizzarne le perdite (per es., le vitamine idrosolubili, passando facilmente nell'acqua di cottura degli alimenti, specie se questi sono tagliuzzati finemente, vengono perse con l'eliminazione di quest'ultima, e le vitamine liposolubili sono invece danneggiate dagli stessi fattori che provocano l'irrancidimento ossidativo dei grassi). All'interno dell'organismo, le vitamine idrosolubili sono assorbite facilmente, si distribuiscono liberamente nei liquidi intra- ed extracellulari e, superata una certa soglia, sono eliminate con le urine. In linea generale non sono accumulabili e non esercitano effetti tossici. Le vitamine liposolubili seguono le stesse modalità di assorbimento e di trasporto ematico dei lipidi; sono accumulabili nell'organismo e non vengono eliminate facilmente. A queste caratteristiche è legata la potenziale tossicità di vitamine come la A e la D.
Quasi tutte le vitamine idrosolubili funzionano come coenzimi, cioè la loro presenza è indispensabile per il funzionamento degli enzimi. Senza di esse le reazioni biochimiche fondamentali per la vita di tutti gli esseri viventi non potrebbero procedere. Il meccanismo d'azione delle vitamine liposolubili è invece legato a funzioni tipiche degli animali superiori (accrescimento e differenziamento dei tessuti, coagulazione del sangue, mantenimento della corretta concentrazione di calcio nel sangue). Per quanto riguarda la nomenclatura delle vitamine, la ragione di una certa confusione e ridondanza di termini è legata alla storia della ricerca. Negli anni Trenta del 20° secolo, E.V. McCollum, avendo individuato in alimenti come il latte la presenza di piccole quantità di sostanze, allora sconosciute, indispensabili per l'accrescimento e il buono stato di salute degli animali di laboratorio, riuscì a separare una frazione liposolubile e una frazione idrosolubile del latte, capaci di promuovere negli animali lo stesso effetto del latte intero: egli denominò le due frazioni, di cui ignorava la natura chimica, fattore liposolubile A e fattore idrosolubile B. Negli anni successivi, altri ricercatori dimostrarono che il fattore B era chimicamente un'amina: i due fattori A e B vennero quindi ribattezzati vitamina A e vitamina B. La vitamina B si dimostrò poi essere una miscela di due vitamine, che vennero differenziate con i nomi di vitamina B₁ e B₂; si scoprì poi che quella che si sarebbe dovuta chiamare vitamina B₃ era già conosciuta con il nome di acido nicotinico, e la stessa cosa avvenne per la vitamina B₅, nota come acido pantotenico; per altri membri della categoria B si dimostrò che non erano vitamine; vennero quindi lasciate cadere molte denominazioni di categoria B e rimasero in vigore solo B₁, B₂, B₆ e B₁₂. Le vitamine identificate successivamente furono indicate in sequenza con le lettere C, D, E, denominazione ancora oggi usata. Invece, la sostanza inizialmente chiamata vitamina F fu in seguito identificata con un acido grasso essenziale e non fu più considerata una vitamina; lo stesso avvenne per la G, che era stata già scoperta e denominata vitamina B₂. Quella che oggi chiamiamo biotina era precedentemente conosciuta con il nome di vitamina H. Da quel momento in poi non si rispettò più l'ordine di scoperta per assegnare la lettera alfabetica identificativa e la vitamina K, necessaria per la coagulazione del sangue, fu così chiamata dall'iniziale della parola danese koagulation, perché danese era il ricercatore che l'aveva scoperta. A complicare le cose, alcuni ricercatori cominciarono a denominare le vitamine in rapporto alla funzione che esse svolgevano, o alla malattia da carenza che curavano, o all'alimento in cui erano state identificate, o a qualche particolare della loro struttura chimica: la vitamina B₁ per es. è conosciuta anche con i nomi di cocarbossilasi, in quanto coenzima di un enzima allora chiamato carbossilasi, o aneurina, perché capace di prevenire o curare danni a carico del sistema nervoso prodotti dalla sua carenza nella dieta, o tiamina, per la presenza di zolfo nella sua molecola. Oggi si ritiene preferibile usare la denominazione che fa riferimento alla struttura delle vitamine, ormai conosciuta esattamente, o quella stabilita da un'apposita commissione scientifica per la nomenclatura. Molti sinonimi nell'uso corrente sono usati in modo intercambiabile.
Sempre in riferimento alla nomenclatura, appare inoltre opportuno notare che alcune denominazioni non sono indicative di un'unica sostanza: negli alimenti sono infatti presenti sostanze chimicamente correlate che nell'organismo si possono convertire l'una nell'altra, svolgendo la stessa attività vitaminica. Nella letteratura scientifica di lingua inglese questi composti vengono chiamati vitamers e il nome che li designa è considerato un descrittore generico di tutti i composti che svolgono la stessa attività: così, per es., il termine B₆ comprende 6 composti che hanno tutti attività vitaminica. Il mancato apporto di una vitamina nell'alimentazione corrente è praticamente impossibile, a meno che non si seguano pratiche alimentari aberranti; più comuni potrebbero essere apporti insufficienti per scelte alimentari monotone, restrizioni imposte da stati patologici, cattiva conservazione domestica degli alimenti o una loro scorretta preparazione o cottura. In effetti le vitamine sono tra i nutrienti più facilmente soggetti al deterioramento e alla perdita della loro attività biologica per effetto dell'esposizione all'ossigeno atmosferico, al calore, alla luce solare o alle radiazioni. L'assenza o la presenza insufficiente di una qualsiasi vitamina nella dieta induce sintomi inizialmente poco specifici: sensazione di malessere, mancanza d'appetito, facilità all'affaticamento, ritardo della crescita nei bambini, manifestazioni a carico della pelle e delle mucose. Solo quando la carenza è prolungata nel tempo i sintomi diventano distinguibili a livello clinico e si evidenzia la classica malattia da carenza vitaminica, regredibile dietro somministrazione della vitamina stessa. Le classiche malattie da carenza vitaminica, pellagra, scorbuto e beri-beri, sono quasi del tutto sparite nella loro forma endemica, anche se è probabile che possano riapparire, insieme ad altre forme di carenze nutrizionali, in circostanze di deprivazione alimentare, come quelle create dalle guerre. L'unica forma grave di carenza vitaminica tuttora esistente, soprattutto in paesi africani o asiatici, è quella da vitamina A, che nelle sue forme estreme porta a cecità totale. Talvolta, tuttavia, le carenze vitaminiche si possono manifestare non per mancanza delle stesse negli alimenti, ma per altre ragioni, come per es. difetti nell'assorbimento; tipico è il caso dell'anemia perniciosa, a volte provocata non da difetto di vitamina B₁₂ nella dieta, quanto piuttosto dalla mancanza di una proteina, secreta dalla mucosa gastrica, necessaria per l'assorbimento della vitamina stessa. Carenze di questo tipo sono chiamate secondarie, per differenziarle da quelle primarie, dovute ad assenza di vitamine nella dieta. Il fabbisogno di vitamine, oltre che dallo stato fisiologico dell'individuo, dipende anche dalla composizione globale della razione alimentare e da altri fattori, come il fumo, l'alcol, l'uso prolungato di farmaci e l'esposizione cronica a contaminanti ambientali. Studi epidemiologici fanno ritenere, per es., che i fumatori trarrebbero vantaggio da un maggior apporto di vitamina C, gli alcolisti da un maggior apporto di tiamina, e coloro che vivono in ambienti ad alto tasso di inquinamento ambientale, che potrebbe favorire certe forme di cancro, da un maggior apporto di beta-carotene, il quale, oltre a essere un precursore della vitamina A, ha anche effetti biologici propri.
a) Tiamina (vitamina B₁ ). Il termine tiamina ha ufficialmente sostituito quello di vitamina B₁. La tiamina è rapidamente assorbita e nel sangue circola a concentrazione molto bassa, legata a un'albumina: quando gli introiti sono elevati, la capacità legante dell'albumina giunge a saturazione e il sovrappiù di tiamina viene eliminato con le urine, come tale o dopo modificazione metabolica. La tiamina svolge il suo ruolo in forma fosforilata. Può essere esterificata con uno, due o tre gruppi fosforici. La forma attiva come coenzima è quella di tiamina difosfato (o pirofosfato), mentre la tiamina trifosfato ha un ruolo, non ben chiarito, nella conduzione dell'impulso nervoso. Le principali reazioni cui partecipa la tiamina difosfato fanno parte di importanti vie del metabolismo energetico tramite cui l'energia chimica degli alimenti, soprattutto quella introdotta sotto forma glucidica, è avviata alla trasformazione in energia biologicamente utilizzabile (ATP, Adenosine triphosphate). Ciò spiega perché il bisogno di tiamina sia correlato con l'introito energetico, in particolare con quello derivante dai carboidrati. La tiamina difosfato è inoltre coenzima della transchetolasi, un enzima della via ossidativa diretta del glucosio, mediante cui la cellula si rifornisce del ribosio necessario per la sintesi degli acidi nucleici e di altre molecole. Il bisogno fisiologico medio di questa vitamina è stato calcolato intorno a 1,2 mg al giorno per i maschi e 0,9 mg per le donne. Non esistendo immagazzinamento nei tessuti, eccetto la quantità presente come coenzima, le manifestazioni carenziali possono insorgere abbastanza rapidamente. Prima che si evidenzino forme cliniche di carenza, un insufficiente apporto alimentare di tiamina si può manifestare con sintomi non specifici, quali facile affaticamento, irritabilità, disturbi del sonno e della memoria, mancanza di appetito, costipazione. L'accumulo di acido piruvico nel sangue è un indice di carenza abbastanza avanzata; un segno più precoce è rappresentato da una minore attività dell'enzima transchetolasi, facilmente determinabile nei globuli bianchi del sangue. Le forme cliniche associate in modo specifico con la carenza di tiamina sono il beri-beri e la sindrome di Wernicke-Korsakoff.
b) Riboflavina (vitamina B₂). Il termine riboflavina, che ha sostituito ufficialmente quello di vitamina B₂, sta a indicare che la molecola è di colore giallo e contiene il ribitolo, un polialcol derivante dal ribosio. La riboflavina è facilmente assorbita e, se introdotta in quantità superiore ai bisogni, la parte non incorporata nelle forme coenzimatiche viene prontamente eliminata per via urinaria, come tale o dopo trasformazione metabolica. Questo fa sì che non si conoscano casi di tossicità dovuti a introiti eccessivi di questa vitamina. La riboflavina, una volta pervenuta nelle cellule dell'organismo, è incorporata in due tipi di molecole, chiamate FMN (flavina mononucleotide) e FAD (flavina adenina dinucleotide). Come tale essa funge da coenzima per numerosi enzimi che operano in reazioni di ossidoriduzione in tutte le aree del metabolismo. Ha inoltre un ruolo chiave nella catena respiratoria terminale, dove l'energia derivante dagli alimenti viene trasformata in energia direttamente utilizzabile dalla cellula (ATP). Come avviene per la tiamina, anche il bisogno di riboflavina è quindi correlato con l'introito energetico. Le forme coenzimatiche della riboflavina sono inoltre necessarie per la conversione della vitamina B₆ nella sua forma attiva, per la conversione dell'aminoacido triptofano nella vitamina niacina, per l'assorbimento del ferro e per la sua mobilizzazione dalle riserve. Una carenza di riboflavina si può quindi ripercuotere anche su aree metaboliche interessanti questi nutrienti. Il livello di assunzione giornaliero raccomandato per la popolazione adulta è fissato in 1,6 mg per i maschi e 1,3 mg per le donne. Benché la riboflavina sia coinvolta in tutte le aree del metabolismo, non si conoscono malattie con esiti mortali da carenza di questa vitamina, come accade per la tiamina o la niacina. Non è ben chiaro perché le carenze di tiamina e niacina possano avere ripercussioni tanto gravi e quella di riboflavina no. Le ragioni che generalmente si adducono sono che quest'ultima è abbastanza diffusa negli alimenti, cosicché la maggior parte delle diete è in grado di fornire almeno una quantità minima di vitamina; l'altra è che, in casi di carenza, la riboflavina è riutilizzata dall'organismo con grande efficienza, tanto che le quantità metabolizzate o escrete diventano trascurabili, o sono addirittura nulle. I segni clinici di carenza consistono in fessurazioni delle labbra (cheilosi) e degli angoli della bocca (stomatiti angolari), in un'alterazione dell'epitelio normale della lingua, che diventa rossa, secca e dolorante, e in certe forme di dermatiti che somigliano alla seborrea. In alcuni casi si possono anche manifestare congiuntiviti, con vascolarizzazione della cornea. Considerato che la riboflavina è essenziale anche per il funzionamento di altre vitamine, nonché per l'assorbimento del ferro, alcune manifestazioni di carenza attribuite alla riboflavina sono in realtà forme secondarie di carenza di questi altri nutrienti.
c) Niacina (vitamina PP). Il termine niacina indica genericamente due sostanze: l'acido nicotinico e la nicotinamide, aventi la stessa attività vitaminica. Il termine vitamina PP stava a indicare il ruolo di tale vitamina nel 'prevenire la pellagra'. La niacina non è una vitamina in senso stretto perché può essere sintetizzata a partire dall'aminoacido essenziale triptofano, con una serie di reazioni che avvengono nel fegato e richiedono anche l'intervento della vitamina B₆. Nel formulare i livelli raccomandati di niacina si tiene quindi conto anche della niacina di sintesi endogena. La somma di niacina preformata e di niacina sintetizzata dal triptofano è indicata come niacina equivalenti (NE) e il rapporto di equivalenza è stato determinato convenzionalmente in: 60 mg di triptofano = 1 mg di niacina = 1 mg NE. Il livello di assunzione raccomandato è di 18 mg di niacina equivalenti per i maschi e 14 mg per le donne. La niacina, una volta giunta nelle cellule dell'organismo, viene incorporata nella molecola di due fondamentali coenzimi: il nicotinamide adenina dinucleotide (NAD) e il nicotinamide adenina dinucleotide fosfato (NADP). Il primo è coinvolto in reazioni di trasduzione dell'energia (ossidoriduzioni) che interessano tutte le aree del metabolismo, e ha, al pari della riboflavina, un ruolo chiave nella catena respiratoria terminale. Ciò spiega perché anche il bisogno della niacina sia correlato con l'introito energetico. La niacina si trova negli alimenti quasi sempre in forma coenzimatica e può essere assorbita solo dopo intervento degli enzimi digestivi che la liberano dai suoi legami con altre molecole. In alcuni alimenti, come il mais, essa si trova però legata a composti dai quali non può essere scissa: la niacina così legata non può essere assorbita e perciò non è biodisponibile. In effetti la pellagra, malattia dovuta a carenza di niacina, era molto diffusa nelle campagne del Veneto proprio perché l'alimentazione dei contadini poveri era basata quasi esclusivamente sulla polenta che, oltre a contenere niacina in forma non disponibile, risulta anche carente di triptofano.
d) Vitamina B₆. Il termine vitamina B₆ è un descrittore generico con cui si designano collettivamente sei composti: il piridossale, la piridossamina, la piridossina (o piridossolo) e le loro forme fosforilate. I sei composti hanno la stessa attività vitaminica in quanto sono tutti convertibili nella forma metabolicamente attiva, quella di piridossal fosfato. La vitamina B₆ può essere presente negli alimenti in una o più delle sue forme. Per essere assorbita deve essere defosforilata, così da essere poi trasformata in piridossalfosfato nelle cellule dell'organismo. La vitamina che non sia legata come coenzima ai suoi vari enzimi viene eliminata con le urine, dopo aver subito una modificazione metabolica. Il piridossalfosfato agisce come coenzima in un ampio numero di reazioni riguardanti gli aminoacidi, tra cui di particolare importanza sono quelle che permettono la sintesi degli aminoacidi non essenziali (reazioni di transaminazione) e la trasformazione di alcuni aminoacidi in neurotrasmettitori cerebrali. Inoltre, ha un ruolo in alcune reazioni che interessano gli acidi grassi polinsaturi, i fosfolipidi e gli ormoni steroidei. In quest'ultimo caso il piridossalfosfato agisce modulando la struttura dei recettori degli ormoni steroidei per il DNA ed esercitando quindi una regolazione a monte degli effetti periferici di estrogeni, androgeni e cortisolo. Il fabbisogno fisiologico di vitamina B₆ è soddisfatto dall'introito di 1,5 mg al giorno per i maschi e 1,1 mg per le donne. Le forme cliniche di carenza sono estremamente rare, né peraltro si conoscono malattie specifiche da carenza di vitamina B₆, anche perché è ampiamente diffusa negli alimenti. I segni clinici consistono in disordini nervosi, dermatiti e in una forma di anemia.
e) Folacina (folato). Il termine folacina o folato è un descrittore generico per composti che hanno proprietà vitaminiche e struttura chimica simili a quelle dell'acido folico. L'acido folico propriamente detto (acido pteroilglutammico) contiene nella sua struttura una molecola di acido glutammico, ma negli alimenti si possono trovare forme con numerose molecole di acido glutammico attaccate a catena alla struttura principale. Per permettere l'assorbimento della vitamina, tutte le molecole di acido glutammico, eccetto una, devono essere staccate a opera di un enzima intestinale. Dato che alcuni alimenti contengono inibitori di questo enzima, la biodisponibilità dell'acido folico, cioè la quantità che viene assorbita e resa disponibile alle cellule dell'organismo, non supera in genere il 50% di quella presente negli alimenti. Il folato, dopo trasformazione nella sua forma attiva (acido tetraidrofolico), funziona metabolicamente come coenzima trasportatore di frammenti monocarboniosi da un composto all'altro, in reazioni che interessano il metabolismo degli aminoacidi e la sintesi degli acidi nucleici. Il meccanismo d'azione del folato è inoltre strettamente collegato con quello della vitamina B₁₂, la cui presenza è necessaria per impedire che esso rimanga bloccato in una forma metabolicamente inattiva. La carenza provoca una diminuzione della sintesi degli acidi nucleici e quindi influenza negativamente la duplicazione delle cellule che si rinnovano più rapidamente. I precursori dei globuli rossi, localizzati nel midollo osseo, sono tra le cellule più precocemente colpite. A esse viene impedito di continuare il normale processo di maturazione, cosicché nel sangue si riversano delle forme immature e non funzionali, chiamate megaloblasti. Il risultato finale è una forma di anemia detta appunto megaloblastica. La carenza di acido folico durante la gravidanza viene invece considerata fattore di rischio per la comparsa di gravi malformazioni a carico delle tube neurali dei nascituri (spina bifida). Per questo, in gravidanza, è consigliato di raddoppiare il livello di assunzione che, per gli adulti, è di 200 μg al giorno.
f) Vitamina B₁₂ (cobalamina). Il termine vitamina B₁₂ è un descrittore generico per un gruppo di grandi molecole caratterizzate da un nucleo contenente un atomo di cobalto, che possono essere convertite in due forme attive come coenzimi nell'organismo umano. L'assorbimento della vitamina B₁₂ è piuttosto complesso. La molecola deve essere prima liberata dalle combinazioni in cui si trova negli alimenti e questo avviene a opera dell'acido cloridrico presente nel succo gastrico. La vitamina deve poi legarsi a una glicoproteina secreta dallo stomaco, conosciuta un tempo con il nome di fattore intrinseco, in contrapposizione alla locuzione fattore estrinseco attribuita alla vitamina B₁₂. Successivamente, il complesso proteina-vitamina B₁₂ deve legarsi a un apposito recettore presente nell'intestino dove la vitamina viene finalmente assorbita. Il fatto che per assorbire la vitamina siano necessari sia l'acido cloridrico sia il fattore intrinseco comporta che alcuni casi di carenza, specialmente nelle persone anziane, siano dovuti ad acloridria conseguente ad atrofia della mucosa gastrica, oppure a mancata secrezione del fattore intrinseco, piuttosto che a carenza di vitamina nella dieta. Stesso problema si presenta in persone che abbiano subito operazioni di resezione gastrica. In altri casi il mancato assorbimento della vitamina è dovuto al fatto che l'organismo, non riconoscendo come propria la proteina secreta dallo stomaco, scatena contro di essa una reazione di tipo immunitario. Le manifestazioni carenziali sarebbero quindi secondarie a una vera e propria malattia autoimmune. La vitamina B₁₂, a differenza delle altre vitamine idrosolubili, viene immagazzinata nel fegato, costituendovi notevoli riserve: le eventuali malattie da carenza, dovute a mancata assunzione oppure a mancato assorbimento di questa vitamina, impiegano quindi molti anni prima di manifestarsi. Sono note due forme coenzimatiche della vitamina B₁₂. Nella prima, essa funziona come trasportatore del gruppo metile dall'acido metil- tetraidrofolico all'omocisteina. In mancanza di vitamina B₁₂ l'acido folico rimane intrappolato nella sua forma metilata e non può quindi assumere altre forme, tra cui quella determinante per la sintesi del DNA. Questo blocco si ripercuote negativamente sul processo della duplicazione cellulare, quindi sulla maturazione dei globuli rossi nel midollo osseo, provocando gli stessi effetti della carenza di acido folico. Anche altre cellule che si rinnovano rapidamente, come quelle della mucosa intestinale, risentono comunque negativamente della carenza di vitamina B₁₂ e/o di acido folico. Nella sua seconda forma coenzimatica, la vitamina B₁₂ è invece necessaria perché possa essere correttamente completata l'ossidazione degli acidi grassi a numero dispari di atomi di carbonio, presenti in certi alimenti. La vitamina B₁₂ svolge inoltre un ruolo molto importante nel mantenimento dell'integrità strutturale e funzionale del sistema nervoso, tanto che la sua carenza provoca i danni più gravi a carico di questo sistema. Il fabbisogno fisiologico medio di vitamina B₁₂ negli adulti risulta soddisfatto con 2 μg al giorno.
g) Acido ascorbico (vitamina C). L'acido ascorbico è una vitamina solo per la specie umana e pochi altri Vertebrati (e solo nella forma L-), perché molti animali sono capaci di sintetizzarla a partire dal glucosio. L'acido ascorbico è assorbito quasi del tutto, circola nel plasma allo stato libero e può essere messo in riserva in varie cellule corporee. Le riserve possono arrivare a 3 g totali, se le ingestioni giornaliere superano i 200 mg, mentre con diete che forniscono 60-100 mg di acido ascorbico al giorno la quantità totale in un adulto sano si aggira intorno ai 1500 mg; quando le ingestioni oltrepassano le capacità di immagazzinamento corporeo, l'acido ascorbico viene eliminato con le urine, in parte immodificato e in parte trasformato in acido ossalico. Nonostante sia la vitamina necessaria in maggior quantità, non è stato identificato per essa un unico e insostituibile ruolo metabolico, come è avvenuto invece per le altre vitamine idrosolubili. La sua proprietà biochimica meglio definita è quella di agire in qualità di cosubstrato in reazioni di idrossilazione che richiedono la presenza di ossigeno molecolare: un esempio tipico è fornito dalle reazioni di idrossilazione di aminoacidi come la prolina e la lisina, ai quali appare legata la corretta struttura delle molecole di collagene dei tessuti connettivi. Le reazioni di questo tipo per le quali si postula un intervento della vitamina C sono molteplici: sintesi della carnitina, necessaria per il trasporto degli acidi grassi nei mitocondri; idrossilazione della tirosina nella formazione di ormoni e neurotrasmettitori (catecolamine); altre idrossilazioni con coinvolgimento nel sistema delle ossigenasi miste microsomiali, dove l'acido ascorbico potrebbe agire come fonte di elettroni per la riduzione dell'ossigeno molecolare e per mantenere il ferro in stato ridotto. Al di là del suo intervento in reazioni specifiche si pensa che l'acido ascorbico agisca come riducente generico (antiossidante), soprattutto in rapporto a molecole idrosolubili. Esso è capace, per es., di ridurre il ferro ferrico a ferro ferroso, che favorisce l'assorbimento di questo minerale, purché i due nutrienti vengano ingeriti contemporaneamente. Secondo l'opinione prevalente, l'acido ascorbico fa quindi parte di quel gruppo di nutrienti antiossidativi che comprende anche i tocoferoli (vitamina E) e i carotenoidi, posti a difendere le strutture cellulari dai danni ossidativi indotti dai radicali liberi, ritenuti oggi responsabili di varie patologie, tra cui cancro, malattie cardiovascolari, formazione di cateratte, danni indotti dal fumo di sigaretta. Per tali motivi è stata attribuita all'acido ascorbico una possibile azione di prevenzione verso il comune raffreddore e le malattie infettive in genere. Questo ruolo fu ipotizzato da L.C. Pauling negli anni Ottanta del 20° secolo, ma fu accolto con scetticismo da parte della comunità scientifica, soprattutto perché le dosi ritenute necessarie per esercitare l'effetto sono molto elevate e perciò di tipo farmacologico e non nutrizionale. Considerate alcune incertezze e lacune conoscitive che ancora permangono circa lo specifico ruolo metabolico dell'acido ascorbico e i suoi eventuali interventi in ambiti non strettamente nutrizionali, non esiste un accordo generale sulla quantità di esso che è consigliabile introdurre giornalmente. I livelli di assunzione raccomandati sono, per gli adulti, di 60 mg al giorno. Con introiti compresi tra 70 e 100 mg le capacità corporee di metabolizzare l'acido ascorbico sono comunque saturate e ogni ulteriore quantità viene eliminata immodificata con le urine. La classica malattia da carenza di vitamina C è lo scorbuto, che ha potenziali esiti mortali ed è caratterizzata da gravi alterazioni strutturali del collagene, la principale proteina del tessuto connettivo.
h) Biotina. La biotina è una vitamina del gruppo B che funziona come coenzima in un piccolo numero di reazioni enzimatiche, tra cui quelle interessate alla trasformazione degli aminoacidi in glucosio (gluconeogenesi) e alla sintesi degli acidi grassi. È ampiamente distribuita negli alimenti e molto ben conservata nell'organismo. Non essendo stati effettuati in Italia studi sistematici per stabilire il bisogno fisiologico di biotina, non sono stati formulati per essa livelli di assunzione raccomandati. Manifestazioni carenziali possono essere indotte con diete sperimentali appositamente formulate, o provocate in pazienti sottoposti per mesi a nutrizione parenterale prolungata, non supplementata con tale vitamina.
i) Acido pantotenico. Questa vitamina del gruppo B entra a far parte della struttura di un coenzima, il coenzima A, con un ruolo centrale in molte vie metaboliche interessanti i carboidrati, gli aminoacidi, gli acidi grassi. L'acido pantotenico è ampiamente distribuito negli alimenti e non sono note malattie da carenza, eccetto la sindrome 'dei piedi brucianti' di cui soffrirono i prigionieri di guerra in Estremo Oriente. Essa fu attribuita a carenza di acido pantotenico, anche se probabilmente le carenze nutrizionali degli internati nei campi di concentramento erano multiple. Non essendo stati eseguiti studi sistematici per stabilire quale sia il bisogno fisiologico e i livelli assunti con la dieta in Italia, non ne sono stati formulati livelli di assunzione raccomandati.
a) Vitamina A. Il termine vitamina A è descrittivo di due gruppi di composti: la vitamina A propriamente detta, presente solo negli alimenti di origine animale, e i carotenoidi, pigmenti di color arancione, presenti nei vegetali. I carotenoidi sono numerosissimi, ma solo alcuni di essi, designati con il nome di provitamina A, possono essere trasformati nella forma vitaminicamente attiva. Il più importante di essi è il beta-carotene. La vitamina A, a sua volta, può essere attiva nella forma alcolica di retinolo, oppure nelle sue forme ossidate di retinaldeide e di acido retinoico. Esistono dei fattori di conversione per esprimere il contenuto dei carotenoidi in retinolo, e la somma dei due tipi di molecole è espressa in microgrammi di retinolo equivalenti (RE), per cui sono valide le seguenti corrispondenze: 1 μg di RE = 1 μg di retinolo; 1 μg di RE = 6 μg di beta-carotene; 1 μg di RE =12 μg di altri carotenoidi precursori di vitamina A. Oltre a essere precursori della vitamina A, i carotenoidi hanno un proprio ruolo come antiossidanti cellulari ed entrano a far parte di quel gruppo di nutrienti antiossidativi che proteggono l'organismo contro eventuali danni da radicali liberi. Parte dei caroteni è trasformata in vitamina A a livello della mucosa intestinale e parte assorbita come tale. La vitamina A e i caroteni rimasti immodificati vengono assorbiti e trasportati con le stesse modalità seguite da altre molecole lipidiche, per essere poi depositati la prima nel fegato, i secondi nel tessuto adiposo. La possibilità di immagazzinare nel fegato grandi quantità di vitamina A rende questa sostanza potenzialmente tossica, qualora sia ingerita per molto tempo in quantità eccessive. I caroteni al contrario, anche se ingeriti in eccesso, non risultano tossici, provocando al massimo una colorazione giallo-aranciata del tessuto adiposo sottocutaneo e quindi della pelle. Dal fegato la vitamina A è riversata in circolo e inviata ai tessuti bersaglio legata a una sua specifica proteina di trasporto, che si complessa a un'altra proteina cui è legato l'ormone tiroideo. La vitamina A ha molteplici ruoli metabolici, che esplica nelle sue varie forme strutturali, in modo diversificato a seconda del tessuto bersaglio. Considerata questa modalità d'azione e la sua capacità di modulare l'espressione genica, la vitamina A è oggi considerata un ormone (v.) esogeno, più che una vitamina. Nella forma di retinaldeide agisce nella retina, come parte del pigmento visivo che permette la trasformazione della luce in impulso nervoso. Questo ruolo, che è l'unico conosciuto nei suoi dettagli molecolari, viene però esplicato solo in quelle strutture della retina deputate alla visione in bianco e nero, permettendo un adattamento visivo alla luce crepuscolare o al passaggio da zone illuminate a zone semibuie. Nella forma di retinolo e di acido retinoico la vitamina A ha funzioni multiple, non ancora ben chiarite nei dettagli molecolari. Le aree principali di coinvolgimento sono il differenziamento delle cellule epiteliali e quindi il mantenimento morfologico e funzionale di mucose quali la congiuntivale e quelle dei tratti respiratorio, gastroenterico e urogenitale. Altre sfere d'influenza della vitamina A sono rappresentate dall'embriogenesi, dall'accrescimento e dalla riproduzione. Si tende oggi a ritenere che almeno alcuni dei molteplici ruoli attribuiti al retinolo e all'acido retinoico siano esplicati tramite interazione di queste molecole, o di loro metaboliti, con determinate sequenze del DNA, dove agirebbero modulando l'espressione genica di proteine di cruciale importanza nel metabolismo cellulare.
Il fabbisogno fisiologico di vitamina A è calcolato come pari a 700 µg di RE al giorno per gli adulti di sesso maschile e a 600 µg per quelli di sesso femminile. I segni più precoci di carenza riguardano la visione, con diminuita capacità di adattamento a discernere oggetti nella luce crepuscolare. Con il proseguire della carenza le mucose perdono le loro caratteristiche morfologiche e funzionali, subendo un processo di cheratinizzazione. La mucosa congiuntivale, in particolare, non risulta più ricoperta del suo strato protettivo di mucoproteine e assume un aspetto essiccato. Tale manifestazione carenziale prende il nome di xeroftalmia. In uno stadio successivo chiamato di cheratomalacia, la congiuntiva può rammollirsi e ulcerarsi inducendo un'estrusione del cristallino e quindi cecità irreversibile. Effetti negativi si hanno anche nelle mucose interne, come quelle dei tratti respiratorio, gastrointestinale e urogenitale, con possibilità di successive manifestazioni di natura precancerosa: per questa ragione è attribuito alla vitamina A un ruolo protettivo contro il manifestarsi di certi tipi di cancro. La carenza di vitamina A si ripercuote negativamente anche sull'accrescimento e sulla resistenza alle infezioni.
b) Vitamina D. Con il termine vitamina D si usa indicare le due forme principali di questa sostanza: la vitamina D₃, o colecalciferolo, e la vitamina D₂, o ergocalciferolo. Il colecalciferolo deriva dal colesterolo ed è di origine animale, mentre l'ergocalciferolo deriva dall'ergosterolo, che è uno steroide contenuto nei vegetali. La vitamina può essere sintetizzata nella pelle a partire da un derivato del colesterolo (7-deidrocolesterolo), che, sotto l'azione della componente ultravioletta della luce solare, viene trasformato in vitamina D, purché porzioni anche limitate della pelle, come quella del viso e delle mani, siano esposte alla luce. Anche l'ergosterolo può essere trasformato in vitamina D mediante esposizione a raggi ultravioletti e il procedimento viene praticato in alcuni paesi per arricchire gli alimenti con questa vitamina. La sintesi endogena della vitamina D dipende sia dall'intensità della luce ultravioletta sia dal grado di pigmentazione della pelle, nel senso che pelli maggiormente pigmentate lasciano penetrare una minor quantità di luce ultravioletta e ne limitano quindi la sintesi. La vitamina D introdotta con gli alimenti segue le stesse modalità di assorbimento e trasporto dei lipidi (v.) e viene immagazzinata nel fegato e nel tessuto adiposo. Per svolgere il suo ruolo metabolico deve essere attivata, prima nel fegato e poi nel rene. Nella sua forma attiva (1,25-diidrossicolecalciferolo) il ruolo della vitamina D consiste nel riportare alla norma il livello di calcio nel sangue, nel caso esso si allontani dai suoi valori prefissati. Questa condizione è essenziale perché muscoli e nervi funzionino correttamente. Quando il livello di calcio ematico diminuisce, la vitamina D promuove un maggior assorbimento di calcio alimentare nell'intestino, una mobilizzazione e un trasferimento dello stesso dal compartimento osseo al plasma, e un suo riassorbimento a livello renale. Viceversa, quando la calcemia è adeguata, l'azione della vitamina D è quella di favorire la deposizione di calcio nelle ossa. Il meccanismo d'azione molecolare è sostanzialmente simile a quello di un ormone steroideo, ivi compresa la capacità di interagire con il DNA promuovendone l'espressione genica. Al pari della vitamina A, anche la D è perciò oggi considerata un ormone. È difficile stabilire quale sia il bisogno fisiologico di vitamina D, dato che per la maggior parte viene fornita dalla sintesi endogena. Per questa ragione non vengono formulate raccomandazioni nutrizionali per le persone che siano normalmente esposte alla luce solare, anche per periodi limitati della giornata, oppure sono indicati valori che vanno da 0 a un massimo di 10 µg al giorno. Storicamente la carenza di vitamina D si manifestava nel periodo dell'accrescimento con il rachitismo - un'insufficiente deposizione di calcio nelle ossa, con conseguente prevalenza in esse della componente cartilaginea -, diffuso soprattutto nei bambini delle città industriali delle regioni nordiche, dove la scarsità di luce solare era aggravata dai problemi dell'inquinamento atmosferico e probabilmente da un consumo alimentare di calcio non adeguato. Negli adulti la malattia da carenza di vitamina D prende il nome di osteomalacia, caratterizzata da demineralizzazione delle ossa.
c) Vitamina E. Il termine vitamina E è un descrittore generico per due famiglie di composti, i tocoferoli e i tocotrienoli, dotati di attività vitaminica di differente potenza. Il più attivo è l'α-tocoferolo, ragione per cui l'attività di tutti i componenti del gruppo viene espressa in termini di mg di equivalenti di α-tocoferolo (mg TE), usando appropriati fattori di conversione. La vitamina E, essendo liposolubile, viene assorbita e trasportata con le stesse modalità seguite dai lipidi. La sua funzione è quella di agire come antiossidante, capace di proteggere gli acidi grassi polinsaturi delle membrane biologiche da eventuali danni provocati dai radicali liberi, che potrebbero alterarne la struttura e la funzionalità. Il bisogno fisiologico di vitamina E è difficile da stabilire, in quanto è legato alla quantità di acidi grassi polinsaturi che si introducono con la dieta. È generalmente accettato che occorrono circa 0,4 mg di TE per ogni grammo di acidi grassi polinsaturi consumati, quindi il bisogno di vitamina E dipende dalle abitudini alimentari prevalenti. Non si conoscono specifiche malattie da carenza di vitamina E nella popolazione. Le uniche eccezioni sono rappresentate da pazienti con gravi forme di malassorbimento dei grassi, o da quelli affetti da fibrosi cistica e da alcune forme croniche di malattie epatiche. In questi soggetti, che non riescono ad assorbire la vitamina E contenuta negli alimenti o a trasportarla in circolo, si possono manifestare gravi danni alle membrane dei nervi e dei muscoli, con manifestazioni di tipo neurologico. Altri individui a potenziale rischio di carenza sono i bambini prematuri che possono nascere con inadeguate riserve di questa vitamina. In tale caso le membrane dei globuli rossi diventano fragili, perché non protette dagli attacchi dei radicali liberi, e i neonati possono andare incontro ad anemia emolitica.
d) Vitamina K. Il termine vitamina K è un descrittore generico per un gruppo di composti, aventi una struttura di base di natura naftochinonica e catene laterali di varia lunghezza. I principali sono il fillochinone e il menachinone. Il primo, sintetizzato dalle piante, costituisce la principale fonte alimentare di questa vitamina, il secondo, sintetizzato dai batteri, può contribuire alla copertura del bisogno, ma in modo secondario. La vitamina K è ben assorbita nella parte alta dell'intestino e molto meno nel colon, ragion per cui è da mettere in dubbio che la flora batterica del colon possa costituire una fonte di questa vitamina per animali non coprofagici. Come tutte le vitamine liposolubili, la vitamina K segue le stesse modalità di assorbimento e trasporto dei lipidi. La vitamina K è essenziale per la normale coagulazione del sangue; essa interviene infatti nella finalizzazione della struttura della molecola di protrombina e di almeno altre cinque proteine coinvolte nel fenomeno della coagulazione (v.) sanguigna. Pur essendo questa la sfera d'azione principale e meglio conosciuta di questa vitamina, esistono altre proteine la cui sintesi dipende dalla presenza di vitamina K, come per es. l'osteocalcina nel tessuto osseo. Si ritiene che il bisogno fisiologico di vitamina K sia 1 µg per chilogrammo di peso corporeo al giorno. L'unica manifestazione di carenza conosciuta è una sindrome emorragica conseguente alla mancanza di fattori di coagulazione del sangue. In effetti la vitamina K fu identificata in seguito a ricerche tese a scoprire la causa di una sindrome emorragica osservata nel bestiame che si nutriva di un certo tipo di trifoglio, pianta risultata poi ricca di un antagonista naturale della vitamina, il dicumarolo. Il complesso degli studi portò all'identificazione della vitamina e all'elaborazione di un suo antagonista sintetico, la warfarina, usato clinicamente come anticoagulante e, commercialmente, come veleno per ratti e topi.
LARN: Livelli di assunzione raccomandati di energia e nutrienti per la popolazione italiana, Revisione 1996, a cura della Società italiana di nutrizione umana, Roma, 1997.
Nutrient and energy intakes for the European Community, Reports of the Scientific Committee for Food, Luxembourg, Office for official publications of the European Communities, 1993.