MILLICO, Vito Giuseppe (detto il Moscovita). – Nacque a Terlizzi (presso Bari) il 19 genn. 1737 da Francesco e Angela Domenica Di Chirico. Non ci sono giunte notizie relative all’infanzia e alla giovinezza del M. e possiamo solo immaginare quali circostanze abbiano spinto i genitori, di umile estrazione e alle prese con una famiglia numerosa, a destinare il figlio allo studio del canto, acconsentendo che a tal fine gli fosse praticata l’evirazione in età prepuberale. Secondo quanto il M. stesso ricorda nella prefazione a La pietà d’amore (Napoli 1782)
, lasciò la famiglia in gioventù per trasferirsi a Napoli, dove ricevette una regolare istruzione musicale presso uno dei conservatori della città.
Conclusi gli studi, debuttò ventenne a Roma come contralto nel dramma per musica Il Creso di N. Jommelli (1757; teatro di Torre Argentina), riscuotendo un successo sufficiente a ottenere un rinnovo dell’ingaggio per l’anno seguente nel dramma giocoso La diavolessa di B. Galuppi. Il M., in questi primi anni di professione, ebbe a suo dire molti problemi vocali dovuti a una cattiva impostazione tecnica che solo col tempo riuscì a risolvere attraverso la formulazione autonoma d’un nuovo metodo di studio e il passaggio al registro di soprano.
Qualche anno più tardi si trasferì in Russia per collaborare con il compositore V. Manfredini, all’epoca direttore del teatro italiano a San Pietroburgo. Nel 1760 interpretò il ruolo del soprano Mirteo nella Semiramide riconosciuta di Manfredini, messa in scena nella residenza imperiale di Oranienbaum mentre, tra il 1762 e il 1763, fu alternativamente a San Pietroburgo e Mosca per partecipare alla produzione di alcune opere serie, sempre di Manfredini: La pace de gli eroi, L’Olimpiade e Carlo Magno. Presumibilmente rimase in Russia per alcuni anni ancora, ma senza essere valorizzato in ruoli di vero rilievo, forse perché legato a Manfredini che, a partire dal 1765, perse rapidamente il favore della corte in concomitanza con l’arrivo in Russia del giovane astro musicale Galuppi, suo antagonista.
Dal 1768 fu nuovamente in Italia per cantare a Palermo nel Demofoonte di Galuppi (teatro di S. Cecilia) e a Colorno, nei pressi di Parma, in Licida e Mopso di G. Colla. A partire da questi anni il M. riscosse progressivamente sempre maggiore successo, fino a diventare nel decennio seguente uno dei soprani italiani più apprezzati a livello internazionale. Nel carnevale del 1769, dopo aver impersonato il ruolo principale nel pasticcio in musica tratto da L’Antigono di Metastasio (Palermo, teatro di S. Cecilia), il M. continuò a lavorare intensamente in Italia. Nel novembre, in occasione dell’Adriano in Siria con musica di C. Monza e della Didone abbandonata di G. Insanguine a Napoli, l’allora impresario del teatro S. Carlo, G. Grossatesta, riuscì ad assicurarsi la partecipazione del M., impegnato in quel momento al teatro Alibert di Roma.
Nel frattempo, il 24 ag. 1769, il M. partecipò a Parma alla messa in scena nel teatro di corte de Le feste d’Apollo di Chr.W. Gluck su testo di R. de Calzabigi, in occasione dei festeggiamenti per le nozze tra il duca Ferdinando di Borbone e la figlia dell’imperatore austriaco arciduchessa Maria Amalia d’Asburgo Lorena.
Il M. interpretò Anfrisio nel Prologo e Orfeo in un estratto dell’opera originale Orfeo e Euridice, che andò a costituire il secondo atto dello spettacolo. Originariamente scritto per contralto (il primo Orfeo fu il celebre castrato G. Guadagni a Vienna nel 1762), il ruolo venne adattato da Gluck alla vocalità del M.: tra i due, compositore e cantante, si creò un sodalizio artistico e personale destinato a durare nel tempo nel segno d’una intima condivisione dei principî estetici della riforma dell’opera seria.
Nel maggio del 1770 Gluck chiamò il M. a Vienna per fargli interpretare una nuova versione completa di Orfeo e Euridice, affidandogli poi un ruolo da protagonista nella ripresa di Alceste (opera manifesto della riforma Gluck - Calzabigi) e nella prima esecuzione di Paride e Elena.
Tra il 1772 e il 1774 il M. si trasferì a Londra, presentandosi al pubblico del King’s Theatre Haymarket nell’ormai collaudato Orfeo e Euridice di Gluck e in diverse produzioni di A. Sacchini (Il Tamerlano, su libretto di G.G. Bottarelli, e i due pasticci Il Cid e Lucio Vero da A. Zeno). Reduce dall’esperienza pregevole di Vienna, il M. dovette nondimeno faticare per affermarsi a Londra dove, insieme con Sacchini, fu da principio furiosamente avversato dai fanatici ammiratori di G.F. Tenducci e Guadagni, M. Vento e P. Guglielmi. In seguito, pur facendo base a Londra, cantò nel 1772 anche a Milano (Armida di Sacchini su libretto di G. de Gamerra, e Il gran Tamerlano di J. Mysliveček, testo di A. Piovene), mentre tra la fine dell’anno e l’inizio del 1773 fece ritorno a Vienna per prendersi cura dell’educazione musicale di Marianna, nipote tredicenne di Gluck.
Durante il periodo londinese il M. cominciò a dedicarsi seriamente alla composizione pubblicando per la prima volta alcuni brani da camera. Presso l’editore Welker uscirono due raccolte di arie con accompagnamento di clavicembalo che riscossero un discreto successo (Solitario bosco ombroso la più celebre), diventando nel tempo un classico della musica da salotto. Il passaggio del M. in Inghilterra rimase immortalato nelle memorie di Fanny Burney, figlia dello storico Charles e amica del cantante, che ne lodò la composta dignità della modulazione vocale e l’intensità espressiva dell’azione drammatica, fedele ai principî naturalistici di D. Garrick. Un’impronta incisiva sul retaggio del gusto inglese venne indirettamente lasciata dal M. anche attraverso l’opera del didatta D. Corri, che nel suo The singer’s preceptor (London 1810, pp. 3 s.), importante metodo di canto, si ispirò allo stile sobrio del M., incentrato sull’uso consistente del portamento di voce e depurato da ogni funambolismo virtuosistico.
Il 1774 fu per il M. particolarmente denso d’impegni: partecipò agli ultimi spettacoli a Londra (i pasticci de L’Olimpiade e Perseo, rielaborazioni del testo di Bottarelli), fece una trasferta a Venezia, dove al teatro S. Benedetto cantò ne L’Olimpiade di P. Anfossi, e raggiunse infine Gluck a Parigi, a sua volta impegnato nella messa a punto della versione francese dell’Orphée et Eurydice.
Mentre erano in corso le prove dell’opera (protagonista il tenore J. De Gros, attore non eccelso), il M. eseguì l’intero spartito, alla terza revisione nel diverso registro di haut-contre, in forma privata il 5 giugno e il 3 luglio presso l’abitazione dell’abbé Morellet: al clavicembalo lo stesso Gluck con la nipote Marianna nel ruolo di Cupido ed Euridice. Evidentemente il M., intenso esecutore e attore poetico e delicato (cfr. Ch. Burney, A general history of music …, II, London 1782, p. 894) rappresentò a tal punto l’ideale drammatico di Gluck da farglielo preferire a De Gros nell’occasione di queste importanti anteprime dell’opera sottoposte al giudizio dell’élite intellettuale parigina, nonostante la notoria avversione del pubblico d’Oltralpe nei confronti dell’uso dei castrati a teatro.
L’anno successivo, il 1775, il M. tornò a frequentare i teatri italiani, ingaggiato dapprima al teatro della Pergola di Firenze dall’impresario A. Campigli per Il gran Cid di G. Paisiello e per Andromeda di G. Gazzaniga. Da Firenze si spostò a Venezia per esibirsi al teatro S. Benedetto in Demetrio di Guglielmi e in Demofoonte di Paisiello, trattenendosi fino a giugno per eseguire la cantata Venere al tempio (musica di Galuppi) in occasione delle nozze di Alvise e Giustiniana Pisani. A cavallo con l’anno 1776 cantò al teatro Ducale di Milano in Vologeso (musica di Guglielmi, rifacimento del Lucio Vero di Zeno) e poi ne La Merope (T. Traetta - A. Zeno). Sempre nel 1776, passò nuovamente da Firenze, dove riscosse particolare successo una sua accademia privata nella quale si accompagnò da solo all’arpa, strumento di cui era virtuoso. Infine, fu a Roma nel gennaio 1777 (teatro di Torre Argentina) con Ifigenia di G. Sarti, cui seguì Artaserse di Guglielmi.
Intorno al 1780 il M. si stabilì a Napoli, diradando sempre più le apparizioni pubbliche come esecutore. Si esibì ancora in alcune accademie offerte all’aristocrazia partenopea e, un’ultima volta, cantò nel 1783 nella cappella privata di don M. Pernotti la prima dell’oratorio di G. Manna Il trionfo di Maria Vergine Assunta in cielo ma, fondamentalmente, la scelta di ritirarsi a Napoli – all’epoca uno dei centri operistici più attivi a livello europeo – sembrò coincidere con l’abbandono definitivo del palcoscenico. Interamente dedicato alla composizione e all’insegnamento, il M. diventò, tra l’altro, maestro di contrappunto e composizione di L. Capotorti e di canto della futura lady Emma Hamilton.
Nel 1782 il M. scrisse il dramma per musica La pietà d’amore, eseguito per la prima volta a Napoli in forma di cantata a cinque voci al teatro dei Fiorentini e messo in scena l’anno seguente a Lisbona. Nuovamente rappresentato come esecuzione privata a Napoli nel 1784 a palazzo reale e nel palazzo dell’ambasciatore russo, il principe A.K. Razumovskij, oltre che, nello stesso anno, come accademia privata, a Padova.
Nella lettera dedicatoria sono contenute alcune annotazioni di carattere biografico utili a comprendere il personale percorso artistico del M., sia nel senso della ricerca espressiva sia dal punto di vista tecnico del rapporto con il proprio mezzo vocale. Destano particolare interesse gli enunciati programmatici dell’autore, aderenti ai principî dell’opera riformata così come espressi da Gluck e Calzabigi, e coerenti con quanto propugnato nelle nuove teorie sul teatro musicale proposte da letterati progressisti come A. Planelli (Dell’opera in musica, 1772, unico saggio del genere pubblicato a Napoli). Il M. insiste sulla centralità nell’opera del testo poetico che la musica ha il compito di mettere in risalto attraverso la semplicità dell’idea melodica e dell’esecuzione, resa scevra d’ogni intenzione virtuosistica. L’intenzione dichiarata fu quella di incoraggiare il mondo musicale ad applicarsi a un nuovo modo di canto con l’obiettivo di rendere il vero sentimento delle parole e avvicinare così la musica alla forza della poesia.
La pietà d’amore è dedicata ad A. Lucchesi-Palli principe di Campofranco, mecenate del M. nonché autore del libretto e di altri due testi musicati dal M. in precedenza (Il pianto di Erminia, cantata a voce sola in morte della principessa Marianna, e Angelica e Medoro, cantata a quattro musicata con D. Cimarosa).
A Napoli il M. rientrò in contatto con Calzabigi, anch’egli definitivamente trasferito in città a partire dal 1780. Tra i due si rinsaldò l’antico sodalizio e negli anni che seguirono, tra il 1783 e il 1784, scrissero insieme la tragedia in musica Ipermestra o Le Danaidi e il componimento drammatico Gli Elisi, o sia L’ombre de gli eroi. Della rappresentazione napoletana dell’Ipermestra calzabigiana, riservata a un selezionato numero di spettatori – tra i quali spiccarono i nomi del re di Svezia Gustavo III e del principe Razumovskij, riferisce lo stesso Calzabigi nella celebre «lettre» al Mércure de France del 1784.
Si è congetturato a lungo sul tipo di ruolo svolto dal M. nell’organizzazione della serata: forse ne fu addirittura il promotore, in una certa misura, considerando da un lato come il suo precedente servizio presso la zarina lo potesse potenzialmente rendere particolarmente vicino al principe russo e, dall’altro, come la sua più che probabile appartenenza alla massoneria lo avrebbe potuto motivare nell’impresa di compiacere un confratello di grado elevato come il sovrano scandinavo. Per quanto suggestiva, i documenti non forniscono tuttavia sufficienti prove a suffragio di tale ipotesi. Ciononostante, va rilevato come dall’Orfeo a Parma nel 1769 fino alla messa in musica della massonica Ipermestra, il M. sembrò essersi legato sempre più consapevolmente al milieu massonico che contraddistinse i sostenitori del rinnovamento del teatro musicale. Inoltre, riguardo alla franca visibilità delle sue frequentazioni politiche, non va trascurata l’emblematica testimonianza iconografica che lo vide immortalato in un quadro del 1794 di F. Lapegna che ritrae il patriota repubblicano F.S. Salfi con alcuni amici giacobini, tra cui appunto il M. stesso.
Il pubblico napoletano sembrò gradire l’arte del M. in maniera discordante: lo stile sobrio e asciutto del M. e di Calzabigi non riuscì a incontrare il gusto esuberante dei napoletani più tradizionalisti, ma il M. seppe guadagnarsi l’ammirazione degli esponenti più elevati dell’élite intellettuale della città partenopea, in grado d’apprezzare la raffinatezza del suo stile musicale. Tra questi F.S. De Rogati, illustre giurista con la passione della poesia e della musica, indubbiamente tra le persone più influenti che il M. frequentò intimamente fin dal suo arrivo in città.
Nel 1786 compose alcune parti dell’oratorio La figlia di Jefte (quaresima, teatro del Fondo) organizzato e centonato dal conte G. Lucchesi, figlio di Antonino principe di Campofranco, con il quale il M. aveva precedentemente collaborato. Nello stesso anno andò in scena il dramma per musica La Zelinda (Napoli, teatro del Fondo). Il 27 giugno 1786 il M. fu nominato maestro di canto delle infante con lo stipendio di 50 ducati mensili, mentre nel dicembre del 1787 venne assunto come soprano della Reale Cappella con 30 ducati al mese. Nel 1791 scrisse The princess of Tarent, un’opera buffa in forma di pasticcio (pubblicata a Londra) e nel 1797 L’avventura benefica, su libretto di G.S. Poli. Si trattò dell’ultima creazione del M., che nello stesso 1797 perse completamente la vista. Nonostante la cecità, continuò a lavorare a lungo, onorando i suoi incarichi di maestro di canto delle altezze reali e di maestro della Reale Camera e della Reale Cappella palatina. Nell’ultimo periodo si occupò soprattutto di insegnare a suonare l’arpa alla principessa reale Maria Cristina, mentre a questa attività affiancava quella filantropica di maestro di musica di ragazzi indigenti di talento. Nel 1802 decise di ritirarsi, avanzando la richiesta di una pensione pari allo stipendio pieno per tutti gli incarichi di sua competenza e, in virtù dell’elevata considerazione dei suoi meriti artistici, tale grazia gli venne eccezionalmente concessa.
Il M. morì a Napoli il 2 ott. 1802.
Fu seppellito per sua volontà nella chiesa dell’Ecce Homo ai Banchi nuovi legata alla Congregazione dei musici di S. Cecilia (di cui era benefattore). Il M. lasciò in eredità ai familiari un ragguardevole patrimonio consistente in beni immobili, oltre a contanti, gioielli e argenteria, negando espressamente nel testamento la volontà di lasciare alcuna beneficenza a istituzioni ecclesiastiche.
Oltre alle composizioni citate, il M. diede alle stampe alcune piccole composizioni che conobbero una discreta diffusione: Nonna, per far dormire i bambini, Napoli (circa 1792); A fourth set of six canzonets with accompaniment for pedal, or small harp, pianoforte or harpsichord, London (s.d.); 30 canzoni per canto, arpa e pianoforte (s.l. né d.). Inoltre, vanno ricordati numerosi brani giunti a noi in copia manoscritta: diverse raccolte di arie (tra cui canzoni, barcarole, notturni) con accompagnamento d’arpa, di cembalo, o in trascrizione per piccoli organici strumentali, un Salve Regina a voce sola con più strumenti, Scale e solfeggi per soprano, le cantate La morte di Clorinda, La nutrice di Ubald, 12 canzonette per pianoforte e violino (databili al 1777), 2 sonatine per arpa e una raccolta di brani per clavicembalo (confluiti nella raccolta a stampa dei Musical Trifles, London 1791), oltre a un Inno del patriarca s. Giuseppe.
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L. Grasso Caprioli