BRANCA, Vittore
Nacque a Savona il 9 luglio 1913 da Antonio, ingegnere, direttore del centro di studi dell’ILVA di Priamar, e da Lucia Branca, figlia dello scultore Giulio, sua lontana cugina.
Nonostante l’affetto per la città natale, Branca non si considerò mai ligure: rimase sempre invece piuttosto legato alle radici lombardo-piemontesi della famiglia, originaria della sponda occidentale del Lago Maggiore, con lontani vincoli di parentela col sacerdote, geologo e letterato ottocentesco Antonio Stoppani. Sicché i luoghi d’infanzia, cui rimase affezionato per tutta la vita, nella temperie di quel cattolicesimo romantico e risorgimentale lombardo con il quale si sentiva strettamente e profondamente connesso, furono i medesimi nei quali a lungo aveva soggiornato Alessandro Manzoni presso la casa della seconda moglie Teresa Borri e che erano stati frequentati anche da Antonio Rosmini, Giulio Carcano, Cesare Correnti e Antonio Fogazzaro.
Rimasto presto orfano, Branca frequentò a Savona il ginnasio comunale scolopio e quindi il liceo classico statale Gabriello Chiabrera, ricevendone una formazione culturale e morale che avrebbe riconosciuto di fondamentale importanza. Nell’ottobre 1931 sostenne con successo l’esame d’ammissione alla Scuola normale superiore di Pisa: si presentò alla Commissione esaminatrice presieduta da Giovanni Gentile (e della quale facevano parte, tra gli altri, Giorgio Pasquali e Attilio Momigliano), ostentando il distintivo dell’Azione cattolica, i circoli giovanili della quale erano stati soppressi proprio quell’anno nel corso della crisi tra Chiesa e regime. In quel contesto, l'atteggiamento di Branca rischiava di apparire provocatorio: pure, fu evidentemente apprezzato da Gentile.
Nel 1932 prese parte al primo convegno della FUCI (Federazione degli universitari cattolici italiani) – di cui era militante – ed entrò in contatto con Giovanni Battista Montini (poi papa Paolo VI), con il quale restò sempre in affettuosi rapporti, collaborando assiduamente anche alla rivista Studium. La sua decisa militanza, in quelli che furono gli anni del «rappezzamento del 1931 della Conciliazione e del Concordato, il colpo mancino che aveva spezzato l’opposizione cattolica» (Protagonisti nel Novecento…, 2004, p. 123), gli attirò l’ostilità dei colleghi schierati su posizioni fasciste più intransigenti, sino a fargli rischiare nel 1933, con altri sette normalistii (chiamati per il loro coraggio gli 'Otto Santi', con riferimento a un episodio della storia di Firenze del 1375-78), l’espulsione dalla scuola, che fu scongiurata solo dall'autorevole intervento di Gentile (cfr. Il fascista Gentile tra ideologia e verità, in Corriere della sera, 24 luglio 2000) il quale si oppose al segretario federale del PNF (Partito nazionale fascista) e al prefetto. Nonostante le intimidazioni e riaffermando il suo impegno, nel 1935 Branca curò insieme con Fausto Montanari il primo volume degli Annali della Fuci (ed. Studium) e nel 1936, da solo, il secondo. Con Gentile, Branca strinse presto relazioni di stima e di rispetto: si può dire di reciproco affetto se non proprio di vera amicizia (cfr. P. Simoncelli, La Normale di Pisa. Tensioni e consensi: 1928-1938, Milano 1998, ad ind.).
Condotti studi intensi e severi sotto la guida soprattutto di Momigliano e di Mario Casella, si laureò nell’Università di Pisa nel 1935 discutendo una tesi sulla storia della critica boccacciana che gli valse il massimo dei voti, lode e diritto di pubblicazione. Vinta quindi una borsa nazionale di perfezionamento nel 1936, dopo il diploma conseguito nel corso superiore di letteratura medievale dell’Università di Salisburgo, affrontò il concorso a cattedre di italiano e latino nei licei di Stato, classificandosi primo. Si stabilì allora, nel 1937, a Firenze dove, giovandosi del magistero di Michele Barbi e di Luigi Foscolo Benedetto, intraprese la carriera d’insegnante avviando nel contempo, insieme con Gianfranco Contini, la sua collaborazione al Centro di filologia italiana dell’Accademia della Crusca – tenacemente promosso da Gentile e Barbi, e diretto da Foscolo Benedetto – dove gli fu assegnata la cura dell’Edizione nazionale delle opere di Giovanni Boccaccio. Il suo impegno, insieme con le prime pubblicazioni scientifiche, gli valse nel 1940 un premio dell’Accademia d’Italia. Nel 1942 risultò primo classificato all’unanimità nel concorso per libera docenza in letteratura italiana.
Si era frattanto sposato, il 25 luglio 1938, con la veneziana Olga Montagner: a questa lunga e felice unione, dalla quale nacquero quattro figli (Simona, Daniela, Donata e Ludovico), si dovette più tardi il radicamento di Branca nella città che avrebbe finito con il considerare profondamente la 'sua', Venezia.
Mentre portava avanti il lavoro di studioso e di docente, si andava occupando con serietà della difficile situazione civica e morale. L’alleanza italo-tedesca, l’adesione del regime a una prospettiva razzista e antisemita, infine la guerra, che dopo i primi incerti mesi volgeva decisamente al peggio per le armi italiane e dunque obbligava a prender netta ancorché prudente posizione dinanzi alla crisi del fascismo ormai alle porte, consigliarono Branca, già persuaso che l’impegno negli studi e la ricerca scientifica non potessero andar disgiunti dalla tensione morale e quindi, soprattutto in momenti come quelli, dalla politica, a indirizzare in un senso eminentemente civico i suoi stessi interessi. A Firenze, con il prestigioso libraio-editore Le Monnier, seppe animare e dare un senso preciso alla «Collezione in Ventiquattresimo», riproponendovi nel 1941 il Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria con l’introduzione di Piero Calamandrei, e alla «Biblioteca Nazionale», pubblicandovi nel 1943 le Note autobiografiche di Giuseppe Mazzini.
Era giunta appunto in quell’anno l'ora di riorganizzare le fila dei movimenti di opposizione. Così era anche per quello cattolico, nonostante il prudente riserbo della Chiesa: nel luglio 1943 Branca collaborò alla stesura del Codice di Camaldoli, manifesto degli intellettuali cattolici impegnati in politica, terminato proprio due giorni prima di quella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio che avrebbe posto fine all’esperienza mussoliniana di governo.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, si trovò a vivere e a lavorare nella Firenze formalmente soggetta al governo della Repubblica sociale italiana e occupata dai tedeschi (tuttavia, il ministro dell’Istruzione Biggini assicurò tutti coloro che si erano rifiutati di prestare giuramento di fedeltà che non ci sarebbe stata repressione: e mantenne la promessa). Grazie alla sua amicizia con Montini entrò in contatto con Alcide De Gasperi, allora rifugiato in Vaticano, e conseguì un ruolo di responsabilità nella direzione del Comitato nazionale di liberazione per la Toscana (CNLT) come rappresentante della Democrazia cristiana, il nuovo partito cattolico clandestinamente fondato nel 1942 da vecchi esponenti del Partito popolare sturziano e da membri dell’Azione cattolica. Nel contesto di quel nuovo, preciso impegno politico, presto tradottosi anche in termini di coordinamento militare, egli condivise la sua esperienza con personaggi quali Adone Zoli, Carlo Ludovico Ragghianti, Carlo Francovich.
Nella difficile primavera del 1944 Gentile – il quale da poco, il 9 marzo, aveva pronunziato quel discorso di rimprovero ai giovani renitenti alla leva militare di Salò che forse più di altre cose gli sarebbe stato fatale – lo convocò a Palazzo Serristori, sede dell’Accademia d’Italia della quale era presidente, per invitarlo con insistenza a collaborare con qualche articolo alla rivista Nuova Antologia. Nonostante gli venissero richiesti interventi incentrati sulla storia e sulla letteratura, tale collaborazione avrebbe obiettivamente assunto il carattere di una scelta di campo in contraddizione con la militanza nel CNLT: Branca rifiutò quindi fermamente, usando anche espressioni rispettose ma dure nei confronti del vecchio maestro. Avrebbe più tardi rievocato più volte senza rimorsi, ma con imbarazzo e dolore, come non senza commozione si legge nel citato articolo Il fascista Gentile tra ideologia e verità: tanto più che, pochi giorni dopo quel colloquio, il 15 aprile, Gentile cadde sotto i colpi di un commando gappista.
Branca proseguì la sua attività in seno al CNLT, mentre fungeva da redattore dei giornali clandestini cattolici Il Popolo e La Punta, che ebbero vita avventurosa come del resto il ciclostilato Bollettino del Comitato toscano di liberazione nazionale. Fu inoltre tra i firmatari responsabili dell’appello all’insurrezione popolare che l’11 agosto accompagnò l’ingresso in Firenze delle truppe angloamericane e, in riconoscimento dei suoi meriti di partigiano combattente, fu insignito della medaglia d’oro del CNLT.
Nei mesi successivi alla liberazione di Firenze, Branca fu condirettore con Carlo Levi e Ranuccio Bianchi Bandinelli del quotidiano La Nazione del popolo – nome provvisorio del giornale La Nazione – in cui furono coinvolti tutti i cinque partiti animatori della Resistenza e che poté giovarsi della collaborazione di Romano Bilenchi, Attilio Momigliano, Luigi Dalla Piccola, Alessandro Parronchi, Pietro Pancrazi, Lionello Venturi, Eugenio Montale, Adone Zoli e di altri. Branca vi firmò nel solo 1945 ben 54 articoli.
Per due anni (1945-47) fu anche responsabile con Pietro Calamandrei della direzione letteraria della rivista Il Ponte, che volle inaugurare con un articolo – Carità di patria e storia letteraria – nel quale riprendeva e concludeva, nel clima della riconquistata libertà, il tema del suo colloquio con il vecchio maestro Gentile tragicamente scomparso. La condirezione gli dette modo di rinnovare i suoi interessi per la critica 'militante', occupandosi di autori come Carlo Levi, Eugenio Montale, Alberto Moravia, Leonardo Sinisgalli: ma si concluse allorché la rivista assunse i connotati di un organo principalmente politico indirizzato in un senso che non condivideva. Dal 1947, pertanto, collaborò a un nuovo giornale d’ispirazione cattolica, Il Mattino dell’Italia centrale, fondato nel clima dell’inasprirsi della 'guerra fredda'.
A questo punto, tuttavia, si vide costretto a scegliere tra due strade che gli si aprivano dinanzi, entrambe ricche di promesse: la prosecuzione della sua attività di ricerca e d’insegnamento o, per converso, la carriera politica al quale lo invitava lo stesso De Gasperi. Benché non necessariamente alternative, si rese conto che non avrebbe potuto portarle avanti entrambe con pari energia e serietà. Alla scelta non dovette essere estraneo il suo vivo senso di tutela della propria libertà intellettuale, che temeva di dover limitare per ragioni di opportunità se si fosse dato alla vita politica.
Iniziò pertanto la sua 'carriera' di docente e accademico. Tra 1944 e 1949 insegnò nell’Università di Firenze come professore incaricato di letteratura italiana, radicandosi ulteriormente nell’ambiente cittadino ed entrando in amicizia anche con personaggi come Bernard Berenson. Nel 1948 gli fu offerto anche un incarico nell'Istituto superiore di magistero Maria Assunta di Roma: esitò alquanto prima di accettarlo, in quanto il trattamento economico previsto appariva esiguo in rapporto alle spese da sostenere per sé e la famiglia, ma a sovvenirlo in tale frangente fu Arsenio Frugoni che generosamente lo ospitò nel suo alloggio presso l’Istituto storico italiano per il medioevo, alla borrominiana Chiesa Nuova.
Nel 1949 assunse con Giovanni Getto la direzione della rivista Lettere italiane: nel medesimo anno vinse il concorso a cattedre come professore ordinario e fu chiamato nell’Università di Catania, dove insegnò nel 1950-51. La nomina a direttore della divisione Arti e lettere dell’UNESCO – alla delegazione italiana nelle Conferenze generali della quale aveva preso parte ininterrottamente tra 1948 e 1950 – lo condusse nel 1951, a Parigi, dove per un biennio insegnò alla Sorbona come 'professore ospite' e dove, con Roger Caillois, animò la rivista Diogène. L’UNESCO costituì a lungo un punto di riferimento fondamentale per la sua instancabile attività di organizzatore di cultura: dopo la serrata esperienza parigina del biennio 1951-53 continuò a collaborarvi strettamente fino al 1970 e mantenne poi rapporti, sia pur con più rapsodico ritmo, anche dopo tale data.
Dal 1953 Branca tornò stabilmente in Italia, titolare della cattedra di letteratura italiana presso quell’Università di Padova alla quale per tutto il resto della sua vita sarebbe rimasto particolarmente legato. Per una di quelle coincidenze che sovente illuminano la vita degli esseri umani, contemporaneamente a lui era tornato da Parigi anche il cardinale Angelo Roncalli, già legato apostolico in Francia e di fresco assurto alla cattedra patriarcale di Venezia: col futuro papa Giovanni XXIII, Branca entrò in rapporti di amicizia e simpatìa, mentre proseguiva quelli con il cardinal Montini. Legami dello stesso tipo avrebbe poi avuto con un altro patriarca di Venezia, il cardinal Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I.
Sempre nel 1953, in luglio, dietro le insistenze di Vittorio Cini Branca entrò nel comitato direttivo della Fondazione Giorgio Cini, un’altra istituzione alla quale rimase costantemente fedele, divenendone segretario generale tra 1954 e 1988, direttore del Centro cultura e civiltà, vicepresidente fra 1972 e 1995 e quindi presidente dopo Bruno Visentini per il 1995-96. In seguito fu membro del Consiglio generale della Fondazione con l’incarico dell’organizzazione e della gestione dei corsi di alta cultura: funzione che mantenne fino al 1988 e che gli avrebbe consentito di giovarsi della collaborazione di studiosi quali Theodor Adorno, Yves Bonnefoy, Fredi Chiappelli, Maria Corti, Carlo Dionisotti, Marc Fumaroli, Étienne Gilson, Max Horkheimer, Claudio Magris, Marcel Raymond, Jean Rousset, Nicolai Rubinstein, Cesare Segre, Jean Starobinski, René Wellek, Rudolf Wittkower, Elémire Zolla e altri. Le lezioni tenute da alcuni di questi studiosi furono raccolte in La critica, forma caratteristica della civiltà moderna (Firenze 1970), per la quale Branca stese un'impegnata Premessa in cui, ricordando che la critica «non è e non può essere una scienza» in quanto libero esercizio soggettivo, richiamava alla necessità per il mondo contemporaneo, «sempre più minacciato da anatemi ideologici e da caccia alle streghe», di disporre di una «scuola permanente di libertà»; posizioni ribadite nel volumetto redatto insieme con Starobinski La filologia e la critica letteraria (Milano 1977).
Il decennio 1966-75 lo vide impegnato anche come presidente della Commissione per le direttive culturali della RAI-TV, organo soppresso appunto nel 1975 in seguito alle insistenze dei partiti politici ansiosi di avviare una lottizzazione insofferente di controlli e di trasparenza.
Tra 1968 e 1972, guidò come rettore l’Università di Bergamo e, nel medesimo 1968, vi presiedette il comitato ordinatore incaricato di stabilire l'Istituto di lingue e letterature straniere; fu inoltre tra i fondatori della facoltà di lettere a Venezia.
Numerose furono anche le sue esperienze in varie università di tutto il mondo: tenne corsi alla Sorbona (a parte l’intero anno accademico 1952-53, nel 1947-48, 1956, 1958, 1970 e 1976); all'Università di Salamanca (1958), a Harvard (1970), a Berkeley (1982), alla New York University (1988, 1990), alla Columbia University (1991) e alla University of California at Los Angeles (1994). Tenne inoltre conferenze, seminari e lezioni negli anni 1948, 1955, 1966 e 1972 in varie università britanniche (soprattutto Londra, dove poté avvalersi della fraterna amicizia di Carlo Dionisotti e di Roberto Weiss; ma anche Oxford, Cambridge, Edimburgo, Birmingham, Liverpool); nel 1955 a Montevideo e a Buenos Aires; nel 1956 e nel 1960 a Lubiana, Zagabria e Belgrado; nel 1958 a Grenoble, Ankara e Istanbul; nel 1959 e 1960 a Madrid, Salamanca, Losanna, Berna, Friburgo; e poi ancora di nuovo a Parigi e a Budapest, a Praga, Cracovia, New York, Washington, Leningrado-San Pietroburgo, Kyoto, Toronto, Los Angeles, Magonza, Colonia, Bonn, Amburgo, Kiel, Würzburg, Francoforte, Treviri, Paderborn, Leida, Nimega, Dublino, Lisbona, Lovanio, Bratislava, Aix-en-Provence, Pechino, Tokyo, Città del Messico, Perth, Sidney, Melbourne.
Fu condirettore dell'Enciclopedia dell’Arte, dell'Enciclopedia della Filosofia e dell'Enciclopedia dello Spettacolo, promosse dalla Fondazione Cini, dell’Enciclopedia dell’arte medievale pubblicata dall’Istituto della Enciclopedia Italiana e creatore con Cesare Galimberti dell'opera, destinata ai licei, Civiltà letteraria d’Italia (I-III, Firenze 1962-64), con un faticoso lavoro di continuo controllo e aggiornamento proseguito fino alla direzione del monumentale Dizionario critico della letteratura italiana (I-III, Torino 1973; II ed., riv. e ampl., I-IV, ibid. 1986; V ed. rist. nel 1994). Tra il 1991 e il 2002 diresse anche la Storia di Venezia edita dall’Enciclopedia Italiana (14 volumi usciti durante il periodo della sua direzione). Attendeva frattanto alla direzione sia delle riviste Studi sul Boccaccio (con Carlo Delcorno, Manlio Pastore Stocchi, Ginetta Auzzas) e Lettere Italiane (prima con Giovanni Getto, quindi con Carlo Ossola), sia della collezione di studi affiancata a questa seconda rivista, edita da Olschki di Firenze. Fu al tempo stesso consigliere di redazione della rivista Studi veneziani e della Revista de Occidente fondata da José Ortega y Gasset.
Infaticabile fu inoltre la sua attività di direttore di collezioni di opere classiche e di pregio: la «Biblioteca nazionale» e la «Collezione in Ventiquattresimo» nonché l’edizione commentata di Dante presso Le Monnier (insieme con Giorgio Petrocchi); «I Classici italiani per l’uomo d’oggi», presso Rusconi; la prima edizione completa delle opere latine e italiane di Boccaccio presso Mondadori; la serie «Manus Summorum», raccolta degli autografi dei capolavori della letteratura universale, presso Alinari. Per Sansoni diresse negli anni Settanta un’agile collezione di volumetti allora all’avanguardia, destinati alla scuola superiore e all’Università: «Scuola Aperta», che ebbe una straordinaria e duratura fortuna e che fu presto imitata da molti editori.
Redasse numerosi articoli, soprattutto in qualità di elzevirista, per vari quotidiani: Corriere della sera (1965-87), Il Messaggero (1985-95), Il Sole-24 Ore (1988-2004). Le sue opere sono state tradotte nelle principali lingue del mondo e i suoi scritti sono comparsi in originale o in traduzione in Argentina, Cina, Colombia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Inghilterra, Perù, Polonia, Spagna, Stati Uniti, Svizzera, URSS-Russia.
Molte università lo insignirono della laurea honoris causa: Budapest (1967), New York University (1973), Bergamo (1973), Parigi-Sorbona (1976), Montreal-McGill (1985), Colonia (1998).
Svolse mansioni di presidente dell’Associazione internazionale per gli studi di lingua e letteratura italiana (AISLLI), della quale era stato fondatore e a lungo segretario generale insieme con Umberto Bosco, e tra 1979 e 1985 dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti; fu membro del consiglio scientifico della Enciclopedia Italiana e di quello per l’edizione delle opere di Erasmo da Rotterdam, nonché socio dell’Accademia nazionale dei Lincei (dal 1982), dell’Arcadia, dell’Istituto accademico di Roma, dell’Accademia polacca delle scienze, dell’Accademia iugoslava, dell’Académie du monde latin dell’Institut de France, dell’American academy di Boston, del Conseil de la Fondation d’Europe, dell’Accademia portoghese delle scienze, dell’Unione degli scrittori sovietici, della Real Academia de España (sede di Barcellona) e fellow della Royal British Academy; fu altresì membro onorario della Modern language association of America e della Medieval academy of America. Socio fino dal 1954 dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, ne divenne presidente dal 1979 al 1985 e quindi presidente emerito l’8 giugno 2003.
Dopo il Premio dell’Accademia d’Italia conseguito giovanissimo nel 1940, ricevette il premio Marzotto nel 1958, il premio Calabria per la critica nel 1969, il premio nazionale dell’Accademia dei Lincei per la filologia e quello del ministro della Cultura nel 1976, il premio Lincei-Antonio Feltrinelli per la storia e critica della letteratura nel 1982, il premio europeo Montaigne per la cultura nel 1985, il premio della Svizzera Italiana nel 1991.
A coronamento della sua lunga, prestigiosa carriera, fu insignito della medaglia d’oro dei benemeriti della cultura e delle dignità di cavaliere di Gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica, di officier de la Légion d’Honneur, di commendatore dell’Ordine della Polonia Restituta, di commendatore del Sovrano militare Ordine di Malta.
All’atto del suo pensionamento, in testimonianza di quanto aveva contribuito alla cultura europea e mondiale gli venne dedicata un’imponente Miscellanea di studi (I-V, Firenze 1983). Da quell’anno rimase professore emerito di letteratura italiana presso l’Università di Padova.
Il 7 ottobre 2002 Firenze lo accolse con tutti gli onori come cittadino onorario nel corso di una solenne cerimonia nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. In tale occasione, alle soglie dei novant’anni, volle formulare il suo sintetico testamento spirituale rivendicando quale pilastro del suo impegno e della sua stessa esistenza il «primato del messaggio evangelico della libertà come condizione di moralità».
Morì a Venezia il 28 maggio 2004. Dopo i funerali nella chiesa di S. Stefano, le sue spoglie furono trasferite a Cannobio, cara ai suoi ricordi d’infanzia, dove riposano nella tomba di famiglia.
All’indimenticabile maestro l’Università di Padova ha dedicato la «Biblioteca circolante» e un'aula di studio in Via Portello, così come gli è stato intitolato il Centro internazionale di studi della civiltà italiana presso la Fondazione Giorgio Cini.
L’attività propriamente scientifica di Branca, parallela al fecondo impegno negli ambiti dell’insegnamento universitario, della critica letteraria (ma anche artistica e musicale) e della pubblicistica, e a esso profondissimamente intrecciata, si avviò molto presto: nel 1932, non ancora ventenne, redasse numerose schede di segnalazione e di recensione di opere di autori quali Carlo Delcroix, Agostino Gemelli e Lorenzo Viani sulla rivista savonese Il Letimbro; l’anno successivo la sua firma figurava già su Studium, dove si cimentò con Giuseppe Ungaretti, argomento del suo primo breve, vero e proprio saggio, nonché con Tito Casini, Antoine-Frédéric Ozanam, Bino Samminiatelli.
Giovanissimo, mostrò rigoroso interesse per le ricerche filologico-erudite finalizzate alla ricostruzione genetica dei testi, alla loro elaborazione e alla sequenza degli interventi dei singoli autori, con costante attenzione alle varianti e alle diverse redazioni. Questa assidua fatica filologica era accompagnata da un impegno di 'lettore' di poesia, mai dimentico del valore estetico delle opere indagate sotto il profilo storico e filologico e la sua vigile sensibilità per l’iconologia e la musica lo condusse presto a intuizioni e addirittura a scoperte che sotto molti aspetti precorsero i tempi rispetto alle metodologie critico-scientifiche vigenti. In tal senso, contribuì in maniera determinante a precisare e ad ampliare il concetto di 'tradizione', sia valorizzando attentamente i dati obiettivi intrinseci emergenti dalle varie testimonianze manoscritte secondo la lezione lachmanniana (la 'tradizione caratterizzata'), sia procedendo alla puntuale ricostruzione genetica della costruzione, della diffusione, della trasmissione dei testi, delle suggestioni e influenze da essi raccolte attraverso le più diverse esperienze culturali e dei processi dinamici nei quali essa si manifesta e si determina (la 'tradizione caratterizzante').
Fu lui stesso a definire, puntualmente descrivendolo, il metodo di lavoro suo e dei suoi maestri e compagni (da Barbi a Casella allo stesso Contini) in termini che costituivano anche una dichiarazione di fermi principi: secondo i quali era evidente come «critica e storia e filologia siano complementari e inscindibili e possano in un certo senso divenire ragioni di vita... Per questo mi hanno insieme tanto appassionato e mi hanno condotto insieme a convinzioni etiche e civili e a quegli esiti del mio lavoro che forse sono meno caduchi»; difatti «non era questa nuova filologia una critica ‘allotria’, come volevano definirla con benevola sopportazione gli estetizzanti. La ricostruzione dei testi in tutti i loro aspetti e in tutti i loro significati era ormai sentita e condotta da noi – lettori assidui anche di Wilamowitz e di Bédier, di Quentin e di Greg, di Housman e di Shepard, dei vari maestri della scuola di Praga – sempre come parte essenziale dell’interpretazione e della valutazione totale dei testi stessi; come un’operazione non strumentale alla critica, ma critica essa stessa per i procedimenti, per i giudizi, per la sensibilità assolutamente presenti e necessari nel suo stesso svolgersi. Era cioè, in se stessa, critica tout court, proprio in quel senso vichiano di filologia-filosofia che da qualche anno era stato riscoperto. Convergevano risolutamente filologia testuale, storia della cultura, storia della lingua (il linguaggio, come è stato rilevato, non aveva posto nella didattica crociana, quasi che il contenuto fosse anteriore e la lingua posteriore alla sintesi a priori)» (Una autobiografia – o meglio autoironia – intellettuale, in Protagonisti nel Novecento, 2004, pp. 332-335).
In tal senso fondamentale fu l'incontro con Boccaccio, che già si delineava nel suo primo lavoro importante, Il cantare trecentesco e il Boccaccio del «Filostrato» e del «Teseida» (Firenze 1936), e che si sviluppò nel fecondo triennio successivo i cui frutti furono raccolti nell’ampio studio monografico Linee di una storia della critica al «Decameron» (Milano-Roma 1939), che riprendeva, ampliava e aggiornava il lavoro di tesi già rivisto e quindi edito in un saggio pubblicato in due puntate fra 1936 e 1937 sui numeri XLIV e XLV de La Rassegna. La breve Nota sulla letteratura religiosa del Trecento, uscita in quel medesimo 1939 su La Nuova Italia, già poneva le basi per un’attenzione all’aspetto religioso dell’opera boccacciana che, discostandosi dalla ristretta, schematica e sotto molti aspetti anacronistica visione desanctisiana di un messer Giovanni già tutto rinascimentale e quindi 'laico', si disponeva a insistere non già sulla contrapposizione, bensì sul nesso profondo tra letteratura cavalleresca, spiriti mercantili e sentimento religioso.
Usciva frattanto, sempre nello stesso anno, l’edizione per Laterza di Le Rime, L’Amorosa Visione, La Caccia di Diana, da lui curata in un unico volume, mentre le attente segnalazioni in Studium de La nuova filologia barbiana e delle edizioni critiche, sempre laterziane, del Filocolo (a cura di S. Battaglia) e dell’Elegia di madonna Fiammetta (a cura di V. Pernicone) preludevano a più impegnati studi: come appare chiaro sia nella raccolta di testi destinati alla scuola de I mistici. Fioretti di san Francesco - Lettere di santa Caterina e dei Rimatori del Dolce Stil novo (entrambi Milano-Roma 1941; rist. rispettivamente 1964 e 1965), sia nelle edizioni critiche tanto degli scritti di Ermolao Barbaro, quantodella Amorosa Visione del Boccaccio, uscita nel 1944 nella collezione «Autori classici e documenti di lingua pubblicati dall’Accademia della Crusca» della Sansoni.
Nel contempo si andava delineando però nel medievista e rinascimentista Branca un’attenzione per la letteratura italiana sette-ottocentesca già affiorata durante la giovinezza e attraverso la quale trasparivano evidenti passione civica, impegno cattolico e amore per quella terra lombarda che era comune patria sua e di tanti scrittori cattolici risorgimentali: gli studi e i contributi su Antonio Fogazzaro – del cui Malombra avrebbe pubblicato un’edizione presso Rizzoli nel 1982 –, e quindi ancora sul Varmo. Una novella paesana di Ippolito Nievo (Firenze 1945), su De Marchi e il 'realismo meditativo' cui avrebbe dedicato l’importante monografia Emilio De Marchi (Brescia 1946), su Alfieri e la ricerca dello stile (Firenze 1947 e 1959; quindi Bologna 1981), naturalmente su Alessandro Manzoni e la sua «storia dell’anima» (dopo le Note per una storia dell’anima del Manzoni, del 1941,le pagine poi raccolte nel 1974 in volume sotto il titolo Occasioni manzoniane), infine sul Conciliatore, cui dedicò cure attentissime e che venne integralmente edito in tre volumi tra 1949 e 1954 e ripubblicato nel 1965.
L’attività del Branca sette-ottocentista, sostanziata di un’evidente impegno civile e di una forte volontà di ripensare il ruolo del cattolicesimo all’interno del movimento risorgimentale e quindi della vita nazionale, non può essere né trascurata né sottovalutata. Tuttavia, il mainstream della sua attività di ricerca si andava ormai concentrando sul lungo, intenso momento del passaggio tra il Medioevo e il Rinascimento e quindi sul severo approfondimento filologico della letteratura umanistica: ecco pertanto l’edizione critica delle Epistolae, Orationes et Carmina di Ermolao Barbaro (I-II, Firenze 1943), cui seguì, nel 1952, l’edizione dell’inedito De coelibatu del medesimo autore («Bibliothèque d’humanisme et de Renaissance», 14; poi, insieme con il De officio legati , presso Olschki, Firenze 1969). L’attenzione per Barbaro, allargata all’umanesimo veneziano come fenomeno generale, preluse a una fondamentale raccolta di saggi, Umanesimo europeo e umanesimo veneziano. Saggi propri e saggi altrui ... (I-II, Firenze 1964 e 1967), alla quale si sarebbero più tardi affiancati sia l’affettuoso ed erudito omaggio della raccolta Esopo veneto (Padova 1995), sia soprattutto l’esito di una lunga, diuturna ricerca affidata ai saggi riuniti sotto il titolo di La sapienza civile. Studi sull’umanesimo a Venezia (Firenze 1998). Mai infatti dimentico del sigillo profondamente storicistico impressogli dai maestri della Normale di Pisa, seppe nelle ultime e pienamente mature opere valorizzare altresì il collegamento tra estetica, politica ed economia riprendendo la grande lezione gentiliana relativa all’umanesimo civile che, per Firenze, era stata studiata da Eugenio Garin e che egli aveva indagato per la Repubblica di San Marco.
Maturavano intanto in lui l'amicizia e la devozione nei confronti di don Giuseppe De Luca, già iniziata nell’anteguerra: appoggiò con entusiasmo la fondazione delle Edizioni di storia e letteratura e collaborò all’Archivio Italiano per la storia della Pietà, una dimensione di ricerca nella quale convergevano storia, filologia e tradizioni popolari in una sintesi che in Italia – dove lo studio del folklore permaneva isolato in un’area ambigua, e una scienza antropologica originale stentava a emergere – era tuttavia possibile rivendicare attraverso un’ispirazione metodologica di tipo 'muratoriano'. Scomparso De Luca nel 1962, Branca curò l’anno successivo una raccolta di suoi scritti, Letteratura di pietà a Venezia dal '300 al '600 (Firenze 1963), mentre continuava a seguire le vicende delle Edizioni di storia e letteratura, giovandosi dell’amicizia e della collaborazione dello storico Gabriele De Rosa.
Su un altro piano vanno valutate le ricerche relative a Francesco d’Assisi e alla francescanistica, culminate nell’edizione critica del Cantico di Frate Sole. Studio sulle fonti e testo critico (in Archivum Franciscanum Historicum, XLI [1948], pp. 3-87, ripubbl. in volume con aggiunte ed emendamenti, Firenze 1948, 1950 e 1994) e quelle di critica dantesca avviate e sostenute dal grande magistero di Barbi e di Bruno Nardi (Un biadaiuolo lettore di Dante nei primi decenni del '300, in Riv. di cultura classica e medievale, VII [1965], pp. 200-215; La «Vita Nuova», in Cultura e scuola, IV [1965], pp. 690-697; Poetica del rinnovamento e tradizione agiografica nella «Vita Nuova», in Studi in onore di Italo Siciliano, Firenze 1966, pp. 123-148; «Diligite iustitiam», in Acta Litteraria Academiae Scientiarum Hungaricae, VIII [1966], pp. 61-77). Tuttavia la sua opera davvero pionieristica e innovativa, oltre che nello studio mai ininterrotto del Boccaccio, sta nelle ricerche relative all’Umanesimo culminate nella formidabile scoperte della Seconda Centuria polizianea, un inedito per suo consiglio acquistato dalla Fondazione Cini e presentato in La incompiuta seconda Centuria dei «Miscellanea» di Angelo Poliziano, in Lettere italiane, XIII [1961], pp. 137-177 prima di venir presentato in ed. critica (Angelo Poliziano, Miscellaneorum Centuria Secunda, I-IV, a cura di V. Branca - M. Pastore Stocchi, Firenze 1972; editio minor, ibid. 1978). Gli studi relativi al Poliziano vennero quindi riuniti nel libro Poliziano e l’umanesimo della parola (Torino 1983).
Nonostante l'estrema molteplicità di studi e d’interessi, Branca aveva si può dire fin dai suoi vent’anni e dall’elaborazione di quella che sarebbe poi stata la sua tesi di laurea individuato l’autore e l’ambito di ricerca che avrebbero costituito il suo autentico Lebenswerk in Giovanni Boccaccio, nel suo capolavoro, nelle sue altre opere e nella problematica che tutte, coerentemente, le univa. Si può anzi ritenere – senza voler con ciò forzare nei ceppi d’una troppo rigida interpretazione i termini d’una storia intellettuale, scientifica e umana quanto mai ricca – che la riflessione progressivamente allargata e approfondita dai testi alla loro storia e al confronto con il vivo contesto storico all’interno del quale si dispiegava la loro dinamica abbia condotto appunto alla celebre formulazione del rapporto fra 'tradizione qualificata' e 'tradizione qualificante': e che sia stato soprattutto proprio l’approfondimento della personalità e dell’opera di Boccaccio a favorire la maturazione del suo pensiero critico. Un incontro fortunato e fecondo, sebbene, come giustamente ha scritto il suo indocile eppur fedele allievo Cesare De Michelis: «Può stupire che uno studioso così orgogliosamente cattolico, niente affatto attratto da tentazioni trasgressive, abbia concentrato il suo esercizio critico sul più spregiudicato dei nostri classici, il più libertino e mondano degli scrittori: invece proprio Boccaccio, meglio e più di Dante e di Petrarca tormentati dai loro rovelli morali, gli avrebbe consentito di eludere qualsiasi strumentalizzazione ideologica del testo, obbligandolo a misurarsi con l’esperienza della storia civile, con la fascinazione dell’invenzione letteraria, con la vitalità di uomini e donne destinati a vivere nel mondo profano» (Introduzione a V. Branca, Attraverso il Novecento..., 2013, p.18).
A proposito di messer Giovanni la parabola intellettuale ed esistenziale di Vittore Branca, dispiegatasi nell'arco di un settantennio, ha consistito in un percorso, come direbbe Dante, «dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro» (Par., XIV, 1): dal Boccaccio e dalla sua opera (affrontata prima attraverso lo studio del Filostrato e del Teseida nel loro rapporto con la tradizione dei 'cantari' trecenteschi, quindi con la storia della critica al Decameron) al mondo del XIV secolo nei suoi vari aspetti, dal religioso al mercantile, per tornare quindi alle vicende del capolavoro, della sua lunga gestazione e della sua complessa dinamica testuale.
Dopo l’ammirevole, monumentale lavoro sull’Amorosa visione, edito nel 1944, gli interessi attivi di Branca per la personalità e l’opera di Boccaccio sembrano in effetti essere entrati in una lunga fase implicita, interrotta solo dall’edizione del Decameron in due volumi nel 1950-51 presso Le Monnier (poi giunta alla IV ed. nel 1965) e da due monografie Per il testo del «Decameron», ospitate entrambe in Studi di filologia romanza (VIII [1950] e XI [1953]): ma così in effetti non era. Al contrario, senza mai dimenticare la sua primaria attenzione di filologo per i testi e la loro storia, in quegli anni Branca aveva allargato e approfondito lo studio del contesto storico nel quale essi si erano andati formando e in particolare per l’ambiente, dapprima napoletano poi fiorentino, nel quale Boccaccio si era trovato ad agire e a scrivere.
I frutti di questo lungo e attento lavoro maturarono nel 1956, quando dette alle stampe l’edizione dei Ricordi del mercante fiorentino Giovanni Pagolo Morelli (Firenze) – un autentico capolavoro della 'letteratura mercantesca' del Quattrocento, con pagine di resoconti onirici che avrebbero profondamente interessato Freud e Jung – e al tempo stesso quello che può essere considerato il suo capolavoro e che rimase da allora il libro a lui più caro, Boccaccio medievale (ibid. 1956; rist. 1964, nonché, ampliato e aggiornato, in dieci successive edizioni tutte sansoniane fra il 1970 e il 1986, con VII e VIII rist. nel 1990 e 1992), oltre la successiva, del 2010 per Rizzoli, con Introduzione di F. Cardini (Milano), e tradotto in sette lingue straniere.
Solo due anni più tardi, era in grado di presentare un lavoro che per molti versi si poteva ritenere pressoché conclusivo in materia, nonostante con prudente lungimiranza tenesse a considerarlo alla stregua di 'opera aperta': Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio. Un primo elenco dei codici e tre studi (Roma 1958). Tuttavia, pochi anni dopo, si verificò il coup de théâtre, la mutatio dexterae Excelsi, della quale del resto Branca stesso fu protagonista: la scoperta nel 1960 che il codice berlinese Hamilton 90, uno dei più studiati e tormentati dalla critica, era in realtà – contro l’esplicito autorevole parere formulato, appena cinque anni prima, da Charles S. Singleton curatore dell’edizione laterziana del Decameron – l’autentico autografo boccacciano redatto fra 1370-72. La scoperta fu la pietra angolare di un edificio euristico-filologico rinnovato, di cui fu prima testimone la pubblicazione di Branca e di Pier Giorgio Ricci, Un autografo del Decameron (Codice hamiltoniano 90), Padova 1962: grazie all’ausilio dei raggi infrarossi, che consentirono l’identificazione di correzioni non autoriali, si poté dimostrarne al di là di ogni ragionevole dubbio l’autentica autograficità. Lo Hamiltoniano 90 fu riprodotto in facsimile (G. Boccaccio, Decameron, Facsimile dell’autografo conservato nel codice Hamilton, a cura e con introd. di V. Branca, Firenze 1975), quindi pubblicato in ed. critica nei «Testi dell’’Accademia della Crusca» (poi, con aggiornamento bibliogr., presso Einaudi nel 1992).
Quel fondamentale passo in avanti sul sentiero del rinnovamento generale degli studi boccacciani costituì, nell’attività scientifica di Branca, una vera e propria svolta. Da allora in poi, pur non tralasciando – come abbiamo peraltro ben visto – altri ambiti d’investigazione e senza mai venir meno ai suoi molteplici impegni di docente e di organizzatore di cultura, egli dedicò al maestro fiorentino-certaldese la parte migliore delle sue formidabili energie. Aveva già avviato fin dal 1963, la pubblicazione della rivista Studi sul Boccaccio e nell’anno successivo inaugurò la cura, insieme con vari collaboratori, dell’edizione di Tutte le opere di Giovanni Boccaccio per i «Classici Mondadori», che ebbe vicende complesse (sospesa, quindi ripresa in seguito alle insistenze dello stesso Branca e alla fine conclusa, 35 anni dopo, nel 1999).
I tempi erano ormai maturi per un primo, complessivo bilancio dell’autore e dell’opera cui tanta fatica aveva dedicato: pubblicò difatti nel 1977, presso Sansoni, il denso Giovanni Boccaccio. Profilo biografico (giunto alla III ed. 20 anni dopo, con trad. inglese, spagnola e russa) e tornò quindi alla Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio, della quale nel 1958 aveva già pubblicato un volume, dando alla luce Un secondo elenco di manoscritti e studi sul testo del “Decameron” con due appendici (Roma 1991), cui fecero seguito il celebre Decameron, con le illustrazioni dell’autore e di grandi artisti fra Tre e Quattrocento (Firenze 1999), e il monumentale Boccaccio visualizzato. Narrare per parole e per immagini fra Medioevo e Rinascimento (I-III, Torino 1999), entrambi preziosi viatici per un’indagine relativa alle fonti iconografiche ormai rivelatisi, negli anni recenti, non meno indispensabili alla ricerca storico-filologica di quanto lo siano le fonti scritte documentarie e riflesse nonché di tipo archeologico o materiale.
Frattanto, già fin da Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra medioevo e Rinascimento (Milano 1986; III ed. del 1987, con trad. inglese e giapponese), Branca – che, già affascinato dal racconto Giovanni di Pagolo Morelli, si era poi giovato del magistrale studio di Christian Bec, Les marchands écrivains (Paris 1967) – poteva mettere definitivamente a fuoco la sua tesi relativa al Decameron quale 'epopea mercantesca': mostrando come tanto la rigorosa architettura unitaria del capolavoro boccacciano – autentici protagonisti del quale sono (di là dai grandi protagonisti delle novelle, più celebri quali il Saladino o Landolfo Rufolo) i dieci narratori, i cui caratteri vengono accuratamente disegnati – quanto la sostanza catartica della narrazione – che si snoda nelle dieci successive giornate tra l’«inferno» di ser Ciappelletto e il «paradiso» di Griselda – ne facciano un’opera di valore simbolico e teologico non minore della stessa Commedia, ma al tempo stesso la situino a pieno titolo, sia pure nella sua inarrivabile genialità, all’interno di una cultura letteraria e poetica profondamente radicata nell’universo mercantile fiorentino, nella sua dinamica civile, sociale e religiosa, nel suo immaginario collettivo. Il legame tra Boccaccio, il mondo mercantesco e l’immaginario tardomedievale sì, tuttavia considerato sotto un particolare 'cielo' toscano, e più propriamente fiorentino, fu poi ribadito nella deliziosa raccolta Esopo toscano dei frati e dei mercanti trecenteschi (Venezia 1989).
Nell’'ultimo' Branca giungono pertanto al loro fine, limpidamente convergendo, quelle linee di ricerca e di metodo che egli aveva già individuato sia pur in modo ancor acerbo fin dai primissimi lavori, condotti sotto l’evidente influenza di Momigliano e di Casella. Tali iniziali scelte lo avrebbero coerentemente più tardi condotto, attraverso un cammino critico elaborato e complesso ma segnato tuttavia da una rigorosa linearità sostanziale, ad aprirsi a prospettive di tipo sociologico-letterario sino a elaborare e a proporre se non addirittura imporre all’attenzione degli studiosi il 'genere' della 'letteratura mercantesca', quale si riscontra appunto nel già citato Mercanti scrittori e nel bellissimo studio «Con amore volere». Narrar di mercatanti fra Boccaccio e Machiavelli (ibid. 1996).
La scoperta nel 1997 di un manoscritto, il Parigino Italiano 482, riconosciuto copia di una prima, provvisoria redazione del Decameron concepita intorno alla metà Trecento e materialmente stesa verso il 1360 – come Branca stesso dimostrava nei due studi Ancora su una redazione del «Decameron» anteriore a quella autografa e su possibili interventi “singolari” sul testo e Codici boccacciani segnalati nuovamente, in Studi sul Boccaccio, XXVI [1998], pp. 3-98 e 127-130 – condusse a un ultimo, impegnativo lavoro steso in collaborazione con Maurizio Vitale e dedicato alla dinamica dei mutamenti tanto linguistici quanto contenutistici della grande opera: Il capolavoro del Boccaccio e due diverse redazioni. I. Riscrittura del «Decameron», II. Variazioni stilistiche e narrative (Venezia 2002).
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Fondamentale e irrinunziabile strumento per lo studio della vita e dell’opera di Branca è la Bibliografia degli scritti di V. B., a cura di G. Reinisch Sullam et al., Firenze 2007, che riprende una prima edizione uscita nel 1983, cui fece seguito un aggiornamento 1983-93, e che dà conto degli oltre 2200 titoli accertati tra volumi, saggi, rassegne, note, recensioni e articoli in quotidiano o periodico tra 1932 e 2004, con un annesso (p. 91) di 6 titoli usciti postumi tra 2005 e 2007. Alcune omissioni, come anche veri e propri errori, o inserimento nell’elenco bibliografico di articoli di dubbia attribuzione, furono segnalati come possibili dai redattori della prima edizione, per il periodo 'clandestino' 1943-44.
Gli articoli di B. comparsi nel Corriere della sera sono editi in V. Branca, Attraverso il Novecento. Scritti per il «Corriere della sera», a cura di G. Pizzamiglio, Milano 2013 (con Introduzione di C. De Michelis: Ritratto di V., pp. 9-25).
L’archivio privato di Branca, conservato nel suo appartamento di S. Marco 2885, è stato donato formalmente dagli eredi il 20 dicembre 2007 alla Fondazione Ezio Franceschini-ONLUS. I documenti ivi presenti (tesi di laurea, volumi, trascrizioni, microfilm, riproduzioni fotografiche, materiale manoscritto e a stampa, schedari, lettere, agende, estratti, cartelle con ritagli di giornale), conservati nella sede della fondazione alla Certosa del Galluzzo di Firenze fino al 2012, nel 2013 sono stati trasferiti nella nuova sede di Via Montebello, sempre in Firenze. La biblioteca di Branca è stata depositata per lascito testamentario alla Scuola normale superiore di Pisa.
Branca ha lasciato alcune note a carattere autobiografico-critico che, raccolte in due libri redatti sotto forma di memoria e narrazione (Ponte Santa Trinita. Per amore di libertà, per amore di verità, Venezia 1987; Protagonisti nel Novecento. Incontri, ritratti da vicino, aneddoti, Torino 2004), sono preziose per ricostruire sia il suo iter scientifico e intellettuale, sia il rapporto tra la sua indole, la sua vita e il suo mondo privato più intimo, del quale fu sempre geloso custode.
Sommarie ed essenziali notizie biografiche su B. sono reperibili in tutte le principali enciclopedie italiane nonché in repertori come Chi è?, Who is Who?, International Who is Who, European Who is Who.
Tra i principali scritti a carattere biografico-critico, che contengono anche spunti e giudizi di rilievo e talora memorie e testimonianze preziose, si ricordano: A. Chastel, in Le Monde, 27 dicembre 1967; G. Padoan, V. B., in Letteratura italiana (Marzorati), I critici, V, Milano 1987, pp. 3851-3861; Contemporary Authors, CLIV (1997), pp. 58 ss.; Intervista a V. B., in Italian Quarterly, XXXIV (1997),131-132, pp. 85-97; V. da Firenze, in Gente veneta, 1° giugno 2002; A. Torno, Una vita tra i grandi…, in Corriere della sera, 9 luglio 2003; G. Lugaresi, in L'Osservatore romano, 10 luglio 2003; I novant’anni di V. B., in Resine. Quaderni liguri di cultura, XXV (2003), n. 98, ottobre-dicembre, pp. 5-25 (con scritti di G. Pizzamiglio, C. Russo, G. Lonardi, S. Riolfo Marengo, P. Mallone; contiene Scritti giovanili dispersi di V. B.); G. Pizzamiglio, V. B., in Giorn. stor. della letteratura italiana, 2004, vol. 596, pp. 25-27; C. Zaccaro, V. B., la stupenda lezione laica di un cattolico, in Toscana oggi, 30 giugno 2004; M. Pastore Stocchi, Ricordo di V. B. (commemorazione pronunziata il 27 novembre 2005), Venezia 2005; J. Starobinski, La Suisse et V. B., in Lettere italiane, LVII (2005), 4, pp. 630-638; Caro Vitto. Essays in memory of V. B., Atti del convegno, London… 2005, a cura di J. Kraye - L. Lepschy in collab. con N. Jones, Supplement 2 of The Italianist, 2007, n. 27; V. B. L’uomo, il critico, il testimone del Novecento, Convegno organizzato d’intesa con l’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti… 2006, Roma 2008 (Atti dei convegni lincei, n. 239. In cui emerge un’ampia e complessa biografia scientifica, intellettuale e umana redatta a più voci, da parte di illustri studiosi alcuni molti dei quali suoi antichi colleghi, altri suoi allievi e collaboratori: G. Benzoni, A. Bettinzoli, V. Cappelletti, C. De Michelis, C. Delcorno, M.L. Doglio, F. Finotti, S. Graciotti, C. Leonardi, G. Lonardi, C. Magris, C. Ossola, M. Pastore Stocchi, G. Pizzamiglio, A. Pizzorusso, E. Raimondi, G. Resta, S. Settis, P. Scoppola, C. Vasoli, M. Vitale). Alla memoria di Branca si è tenuto il 7 - 8 maggio 2013 un convegno tra Padova e Venezia con interventi di G. Benzoni, C. Ossola, C. Delcorno, C. De Michelis, G.A.Ferrari, G. Ficara, L.Tommasin: esso è stato presentato da C. Ossola, Vittore, l’umanista militante, in Il Sole-24 Ore, 5 maggio 2013, p. 29, insieme con uno stralcio inedito (Poesia e storia) del tema grazie al quale Branca superò l’esame di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa.
Le notizie qui esposte si sono arricchite grazie al generoso contributo delle note, dei ricordi, delle osservazioni e delle precisazioni di Daniela Branca e di Cesare De Michelis.