Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’ambito della tradizione di pittura narrativa che caratterizza l’arte veneziana della seconda metà del Quattrocento, Vittore Carpaccio si impone come l’artista più colto e raffinato grazie alle sue doti di fantasioso narratore e alla perizia nell’uso della prospettiva. Con l’aprirsi del Cinquecento, il disagio di fronte alla nuova pittura di Giorgione e Tiziano costringe Carpaccio a lasciare Venezia per la provincia, confinandolo in una posizione marginale.
Un pittore “apparso dal nulla”. Gli esordi
Nella seconda metà del Quattrocento la stabilità politica ed economica che aveva reso la Repubblica veneziana il più forte Stato italiano vacilla di fronte ai nuovi pericoli che giungono sia dall’interno sia dall’esterno della penisola: da un lato l’ostilità degli altri Stati italiani ed europei – che culminerà nella creazione della Lega di Cambrai (1509) – arresta l’espansione di Venezia sulla terraferma, dall’altro il minaccioso avanzare dei Turchi ne ostacola gli interessi commerciali nel Mediterraneo orientale.
A questa grave instabilità politica il Senato veneziano risponde con l’investimento di ingenti capitali in maestose imprese decorative, che si configurano come un efficace instrumentum regni per celebrare la potenza e l’immutabile serenità della Repubblica veneziana. Nel 1474 la decisione del Senato di sostituire con un ciclo di dipinti a olio su tela gli ormai deteriorati affreschi trecenteschi della sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale determina l’avvio di quella tradizione di pittura narrativa che caratterizzerà l’arte veneziana di questo periodo, e che si configura come un unicum nel panorama artistico italiano.
Il ciclo di Palazzo Ducale – distrutto da un incendio nel 1577 – alla cui realizzazione partecipano tutti i più importanti pittori del tempo, da Gentile Bellini e Giovanni Bellini allo stesso Carpaccio, costituisce il modello imprescindibile per i cicli narrativi commissionati dalle cosiddette Scuole, le confraternite veneziane di devozione e pubblica assistenza che, nella seconda metà del Quattrocento, si fanno promotrici di campagne di ampliamento e decorazione delle loro sedi.
Questo il contesto culturale in cui si sviluppa l’opera di Vittore Carpaccio, un pittore che fin dalla sua comparsa sulla scena artistica veneziana si caratterizza per le doti di narratore fantasioso e vivacissimo e per la padronanza della scienza prospettica.
Poco si conosce della sua formazione e delle opere giovanili che precedono il 1490, anno in cui firma il primo dipinto per il ciclo commissionatogli dalla confraternita di Sant’Orsola.
Se l’uso del colore e la modulazione della luce lasciano presupporre un suo apprendistato presso la bottega di Gentile e Giovanni Bellini, la raffinata e minuta attenzione per il dettaglio denota la conoscenza dell’arte fiamminga, mediata in laguna dalla presenza di Antonello da Messina. La perfetta padronanza prospettica presuppone invece la conoscenza dell’opera di Leon Battista Alberti e Piero della Francesca.
La predilezione del giovane Carpaccio per una pittura narrativa che, attraverso una studiata costruzione simbolica, allude metaforicamente a significati più profondi, intimamente legati alla cultura e alla società veneziana contemporanea, si manifesta precocemente nei dipinti Due dame veneziane (Venezia, Museo Correr) e Caccia in valle (Los Angeles, J. P. Getty Museum), in origine riuniti in un unico sportello. Come infatti osserva Augusto Gentili, il contenuto simbolico del dipinto ricostituito, databile al 1490, allude all’ideologia familiare del patriziato veneziano e dimostra che “Carpaccio, fin dalla sua apparizione sulla scena della pittura veneziana, non è il cronista disincantato imposto dalla vecchia storiografia, ma l’organizzatore sapiente di storie invariabilmente concepite in funzione allegorica” (Carpaccio, 1996).
Vittore Carpaccio, “pittore di istorie”: i cicli narrativi per le Scuole di Venezia
La fama di Vittore Carpaccio è indissolubilmente legata ai cicli narrativi che egli dipinge tra il 1490 e il 1520 per diverse Scuole veneziane.
Quando Carpaccio esordisce nel 1490 con il ciclo delle Storie di Sant’Orsola, commissionatogli dall’omonima confraternita, il suo stile si presenta già delineato nei suoi tratti essenziali.
Attento osservatore di ogni dettaglio del reale e vivace narratore, capace di evocare favolose atmosfere cortesi, nel ciclo dedicato a Orsola, principessa cristiana di Bretagna, Carpaccio si rivela anche l’illustratore ideale della Venezia contemporanea. L’attenzione profusa dall’artista nel ricreare l’atmosfera delle ambascerie e delle cerimonie pubbliche, divenute, nella Venezia del XV secolo, spettacoli indispensabili per diffondere tra i cittadini e gli stranieri un messaggio di stabilità politica e sociale, testimonia anche la volontà dei membri più aristocratici della confraternita di creare un ciclo narrativo in grado di competere con quello della sala del Maggior Consiglio. L’abilità narrativa, scenografica e ritrattistica che pervade l’intero ciclo è esemplificata dall’Incontro dei fidanzati e partenza dei pellegrini, dove l’artista rappresenta in successione eventi avvenuti in tempi e luoghi diversi, unificati dal palcoscenico su cui agiscono i personaggi e dallo sfondo in cui scenograficamente si fronteggiano le due capitali dei regni d’Inghilterra e di Bretagna, costruite con elementi architettonici reali e inventati.
Il ciclo di Sant’Orsola – manifestazione più completa e convincente dello stile di Carpaccio – decreta il successo dell’artista. Nel 1494, invitato a partecipare alla prestigiosa impresa decorativa, coordinata da Gentile Bellini, per la sala dell’Albergo della Scuola di San Giovanni Evangelista, Carpaccio dipinge forse la prima veduta topografica di città del Quattrocento italiano nel Miracolo della reliquia della Croce al ponte di Rialto. Qui l’artista situa la scena della prodigiosa guarigione di un ossesso in posizione decentrata per privilegiare, attraverso l’impeccabile dominio prospettico della composizione, la rappresentazione del Canal Grande in prossimità del ponte di Rialto, il centro economico della città, ritratto nella sua attività frenetica. In questa dimensione quotidiana, di cui l’artista coglie ogni minimo dettaglio – come l’insegna della locanda dello Storione e le donne che battono i tappeti alle finestre – l’evento prodigioso trova conferma della sua autenticità storica.
Con l’aprirsi del nuovo secolo, mentre Carpaccio raggiunge l’apice della sua fama con la partecipazione nel 1507 alla decorazione della Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale, cui farà seguito la nomina a pittore di Stato, l’esordio di Giorgione con gli affreschi della facciata del Fondaco dei Tedeschi, che lo stesso Carpaccio sarà chiamato a giudicare nel 1508, inaugura il nuovo corso della pittura veneziana del Cinquecento.
Nel frattempo Carpaccio continua la sua attività di pittore per le Scuole: tra il 1502 e il 1507 l’artista realizza i due cicli per le confraternite di San Giorgio degli Schiavoni e di Santa Maria degli Albanesi, nei quali le ambientazioni esotiche, costruite studiando le descrizioni e le xilografie di ambienti mediorientali allora in circolazione, rispecchiano il gusto per la moda orientale diffuso nella pittura veneziana già a partire dalla fine del Quattrocento. Se nel ciclo delle Storie di san Giorgio, san Girolamo e san Trifone – per la Scuola di san Giorgio degli Schiavoni – Carpaccio, nella scena raffigurante Sant’Agostino nello studio, dà vita a una delle descrizioni d’interno più ricche, dettagliate ed evocative di tutto il Rinascimento italiano, nelle Storie della vita di Maria Vergine – per la confraternita di Santa Maria degli Albanesi – si riscontra, invece, un generale abbassamento del livello stilistico imputabile all’intervento della bottega per la minore importanza data dallo stesso Carpaccio a un ciclo di dimensioni ridotte, commissionato da una confraternita di scarse possibilità economiche.
La carriera di Carpaccio nell’ambito della pittura narrativa si conclude con la realizzazione, tra il 1511 e il 1520, del ciclo con le Storie di Santo Stefano, dove l’artista offre un’immagine fantasiosa della città di Gerusalemme attraverso un complesso, dinamico e quasi frenetico susseguirsi di elementi in cui si mescolano architetture orientali e occidentali, tra le quali spiccano i riferimenti all’arte romana, antica e moderna. Inoltre, il risalto dato da Carpaccio alla responsabilità collettiva degli ebrei nella scena della lapidazione del santo – “una sorta di linciaggio freddamente e professionalmente eseguito” – riflette il clima antisemita diffuso a Venezia all’inizio del Cinquecento, che nel 1516 porterà all’istituzione del Ghetto Novo.
Vittore Carpaccio tra devozione e collezionismo privato
Alla sua attività di pittore di storie Carpaccio affianca la realizzazione di opere di committenza e devozione privata. Della sua abilità di ritrattista, ispirata ad Antonello da Messina e ai fiamminghi e già evidente nei cicli di Sant’Orsola e di San Giorgio degli Schiavoni, è esemplare il Ritratto di cavaliere (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza, 1510), costruito interamente per simboli e certamente il primo a figura intera di tutta la pittura veneta.
Come pittore di soggetti devoti Carpaccio si mostra più a suo agio in dipinti di piccole dimensioni, quali la Meditazione sulla Passione di Cristo (New York, Metropolitan Museum, 1500 ca.) e l’Adorazione del Bambino con due donatori (Lisbona, Museo Calouste Gulbenkian, 1505); tuttavia anche nel genere delle pale d’altare non mancano opere di altissima qualità, come la Presentazione di Gesù al Tempio (Venezia, Gallerie dell’Accademia, 1510), dipinta per la chiesa di San Giobbe a Venezia a diretto confronto con la celebre Pala di San Giobbe di Giovanni Bellini, e I diecimila martiri del Monte Ararat (Venezia, Gallerie dell’Accademia, 1515) in cui l’artista pone, forse per l’ultima volta in modo così affascinante, il potere evocativo delle sue immagini al servizio delle istituzioni veneziane.
Nel secondo decennio del Cinquecento l’arte veneziana appare ormai orientata verso le nuove conquiste della pittura tonale di Giorgione e del giovane Tiziano: alla rigida composizione prospettica quattrocentesca si sostituisce una naturale armonia, fino ad allora mai raggiunta, tra sfondo e figure, ottenuta mediante delicati passaggi chiaroscurali tra diversi toni di colore.
L’incapacità di adattarsi al nuovo corso costringe Carpaccio a lasciare Venezia per l’Istria dove – aiutato dai figli Bartolomeo e Pietro, che porteranno avanti lo stile del padre – continuerà la produzione di dipinti e pale d’altare, costruite seguendo il tradizionale schema quattrocentesco e caratterizzate dalla ripetizione di soluzioni già sperimentate.
L’ultima opera datata di Carpaccio risale al 1522 e precede di pochi anni la scomparsa dell’artista, avvenuta entro il giugno del 1526.