VITTORE I papa
Succedette ad Eleutero nella direzione della comunità cristiana di Roma verso il 189. "Natione Afer", secondo la notizia del Liber Pontificalis, primo vescovo latino di Roma e, con tutta probabilità, primo scrittore cristiano latino (giacché non può dubitarsi che gli opuscola, oggi smarriti, che di lui ricorda Girolamo, fossero scritti in latino), V. ha grande importanza nella storia della comunità cristiana di Roma sia perché il suo episcopato rappresenta il decisivo affermarsi in essa dell'elemento latino sugli altri gruppi etnici, specialmente greci, di cui essa risultava composta, sia perché con Vittore l'autorità del vescovo di Roma sulle altre comunità dell'impero è nettamente affermata, tanto che alcuni più recenti sostenitori della teoria di un originario episcopato collegiale a Roma hanno identificato nell'episcopato di V. la prima chiara manifestazione dell'episcopato monarchico.
Dei varî episodî al quale il nome di V. può essere collegato, ha singolare importanza la condanna da lui formulata contro l'uso, praticato dai cristiani di Roma di origine asiatica e dalle loro chiese madri, di celebrare la Pasqua a una data diversa da quella osservata dagli altri. A questa volontà di V. d'imporre l'uniformità liturgica e una salda autorità centrale, anche a costo di passare sopra a una tradizione, nonostante dolorose separazioni (lo scisma romano di Blasto deriva la sua origine dalla condanna degli Asiatici) e non ostante la disapprovazione dello stesso Ireneo di Lione, fa riscontro la sua tendenza a reagire contro le tendenze eccessivamente speculative e intellettualistiche che si andavano facendo luce in seno alle comunità cristiane. La condanna formulata da V. contro le dottrine gnosticheggianti del prete Florino e contro la dottrina adozionista (v. adozionismo) del bizantino Teodoto, patrocinatore di un puro razionalismo colorito di cristianesimo, mostra - accanto alla controversia pasquale - come V. fosse soprattutto preoccupato di eliminare dalla vita della Chiesa tutti quegli elementi dottrinali e pratici che risultassero meno assimilabili e ostacolassero l'affermazione della Chiesa come istituzione saldamente organizzata. Queste consideraziovi indurrebbero a identificare in V. il vescovo romano che formulò la condanna contro il montanismo, anche se la questione risulta, per difetto di elementi, pressoché insolubile.
L'episcopato di V. si svolse all'esterno in un periodo di relativa calma per la Chiesa. E V. si valse di questo e dell'influenza di Marcia, concubina dell'imperatore Commodo e catecumena, per ottenere la liberazione di alcuni confessori romani che erano detenuti nelle miniere sarde. Morì verso il 198. Non merita fede la tradizione posteriore che afferma il suo martirio.
Bibl.: Liber Pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Parigi 1886, pp. 137-138; A. Donini, Ippolito di Roma, Roma 1925, pp. 45-80; G. La Piana, The Roman Church at the End of the Second Century, in The Harvard theological Review, XVIII (1925), pp. 201-77; E. Caspar, Geschichte des Papsttums, I, Tubinga 1930, pp. 19 segg., 571 segg.