VITTORE II
Nacque in Svevia; gli storici non sono riusciti ad accertare a quale famiglia della nobiltà locale Gebhard, questo il suo nome di battesimo, appartenesse. Sono però noti i nomi dei suoi genitori, Hartwig e Biliza, e quelli dei suoi fratelli, Goteboldo e Hartwig. Il primo divenne successivamente patriarca di Aquileia (1048-1063) e Hartwig giurisperito di Eichstätt. Gebhard era inoltre parente, sia pure lontano, del vescovo di Ratisbona Gebhard III (1036-1060). Questi era a sua volta fratellastro dell'imperatore Corrado II (1024-1039) e perciò zio dell'imperatore Enrico III (1039-1056). Fu proprio il vescovo di Ratisbona, negli ultimi mesi del 1042, a proporre Gebhard - che era stato educato nella scuola cattedrale della città bavarese - come candidato per la sede episcopale di Eichstätt, allora vacante. Il venticinquenne imperatore in un primo tempo rimase scandalizzato per la giovane età del candidato, e ciò fa presumere che Gebhard fosse allora più giovane del sovrano; egli non aveva comunque ancora raggiunto, nel 1042, l'età di trent'anni, prescritta dal diritto canonico per gli aspiranti alla carica episcopale. Inoltre non era evidentemente membro della cappella di corte di Enrico III. Ma, dopo che l'arcivescovo di Magonza, Bardo (1031-1051), si fu espresso decisamente a favore della sua candidatura, il sovrano, nel Natale del 1042, lo investì a Goslar della sede vescovile di Eichstätt. Tra il settembre 1046 e il maggio 1047, il neoeletto vescovo accompagnò Enrico III a Roma, e poté così farsi un'idea della situazione politica nell'Italia del centro-nord. Tra l'altro egli partecipò a Pavia, nell'ottobre 1046, ad un'assemblea dell'imperatore con i grandi dell'Italia settentrionale, nonché, nel dicembre 1046, ai sinodi di Sutri e Roma, nel corso dei quali furono dichiarati decaduti i papi Gregorio VI, Silvestro III e Benedetto IX. Gebhard di Eichstätt fu presente a Roma all'elezione papale del vescovo Suidger di Bamberga (Clemente II) e all'incoronazione imperiale di Enrico III (Natale 1046). Da Roma Gebhard probabilmente proseguì, al seguito dell'imperatore e del nuovo papa, in direzione di Montecassino, Capua e Benevento. Poi, sempre al seguito di Enrico III, fece ritorno verso l'Italia settentrionale lungo la costa adriatica, facendo tappa ad Ancona, Rimini e Ravenna. Da Mantova, dove venne celebrata la Pasqua, il vescovo accompagnò il suo sovrano a nord delle Alpi, seguendo la strada del Brennero attraverso Verona e Trento. In Germania il seguito imperiale giunse nel maggio del 1047. La Pasqua del 1048 venne celebrata dal vescovo di Eich-stätt a Ratisbona insieme all'imperatore, ai duchi di Svevia e Boemia e a molti altri grandi signori laici ed ecclesiastici. Dal 1050 circa Gebhard fece parte della cerchia più stretta dei consiglieri dell'imperatore e compare come richiedente o interviene in un certo numero di documenti imperiali in favore di altri. Dopo che il vescovo Brunone di Toul divenne papa col nome di Leone IX, Gebhard di Eichstätt, al seguito imperiale, ebbe più volte occasione di incontrare il pontefice, quando questi si trovava al di là delle Alpi. Gebhard ebbe così modo di partecipare al grande sinodo riunito a Magonza nell'ottobre del 1049, che si svolse sotto la presidenza di Leone IX e di Enrico III. All'inizio di febbraio del 1051 partecipò attivamente ad una grande assemblea dei principi dell'Impero, nel corso della quale venne risolto un conflitto giurisdizionale tra Leone IX e l'arcivescovo Unfrido di Ravenna (1046-1051). Nell'ottobre del 1052 Gebhard si trovava a Ratisbona, quando Leone IX procedette alla traslazione delle reliquie del vescovo Wolfgang nella nuova cripta del monastero di St. Emmeram. Al seguito del papa giungevano di norma nelle regioni dell'Impero al di là delle Alpi anche grandi personaggi della Chiesa romana ed italiana. Nell'autunno del 1052, ad esempio, si trovavano in compagnia del papa e dell'imperatore, tra gli altri, il cardinale vescovo Umberto di Silvacandida, i vescovi di Faenza, Fermo e Perugia e il patriarca di Grado. Insieme ad Enrico III e a Leone IX, a metà ottobre del 1052, Gebhard di Eichstätt si recò a Bamberga, dove vennero regolate alcune controversie tra i vescovi di Bamberga e di Würzburg, e dove il papa concesse un privilegio alla chiesa cattedrale della città. Quando, all'inizio del 1053, l'imperatore aveva già messo a disposizione di Leone IX un forte esercito per combattere i Normanni nell'Italia meridionale, Gebhard lo convinse a cambiare idea e impedì in tal modo la partenza dell'esercito per l'Italia: verosimilmente il vescovo fece presente a Enrico III la pericolosa situazione in Baviera. E, probabilmente, si profilavano anche minacce dall'Ungheria. Oltre che a corte, Gebhard era stato infatti in quegli anni particolarmente attivo in Baviera: nel luglio 1050, ad esempio, aveva partecipato a Norimberga ad un incontro dell'imperatore con i grandi della regione in cui venne discussa la politica da intraprendere nei confronti dell'Ungheria. Il duca Corrado di Baviera, in carica dal 1049, non era infatti riuscito a mantenere il controllo della sua circoscrizione. Si trovava spesso in conflitto con gli altri poteri e, tra questi, con il vescovo di Ratisbona, e in ultimo anche con l'imperatore. Deposto infine da un tribunale riunito a Merseburgo in occasione della Pasqua del 1053, non accettò la decisione, si oppose con le armi all'imperatore e si rifugiò quindi in Ungheria. In questa difficile situazione l'imperatore, nel Natale del 1053, affidò a suo figlio, che aveva allora solo tre anni, il Ducato di Baviera; Gebhard assunse la reggenza per il piccolo Enrico, divenendo così il vero responsabile politico del Ducato, che continuò a guidare anche dopo che Enrico IV, il 17 luglio 1054, fu incoronato re, mentre il fratello minore, Corrado, venne nominato duca di Baviera. Fra il 1053 e il 1055, Enrico III concesse ricchi donativi alla chiesa vescovile di Eichstätt, testimoniati da quattro privilegi imperiali. In questi documenti la vicinanza di Gebhard all'imperatore trova espressione anche nel formulario. L'imperatore avrebbe infatti effettuato le donazioni "ob ipsius nobis gratum et acceptabile servitium" (Die Urkunden Heinrichs III., nr. 303, p. 412) o "ob devotam servitutem nostri fidelis et dilecti Gebehardi Eichstatensis aecclesiae venerabilis episcopi" (ibid., nr. 306, p. 416). Dopo la morte di papa Leone IX (19 aprile 1054), l'imperatore convocò, nell'autunno di quello stesso anno, una grande Dieta dei principi dell'Impero a Magonza per discutere della successione papale; alla riunione partecipò anche un'ambasceria venuta da Roma e guidata dal cardinale diacono Ildebrando (il futuro Gregorio VII). Enrico III propose Gebhard di Eich-stätt quale successore di Leone IX, ma, ad onta delle complesse trattative allora condotte, a Magonza non si raggiunse l'accordo sul nome del futuro papa. Contro il vescovo di Eichstätt, dal punto di vista romano, giocavano probabilmente i suoi rapporti eccessivamente stretti con la corte e la sua importantissima posizione nell'Impero. Gebhard è infatti indicato in due fonti di grande rilievo, indipendenti l'una dall'altra, come il personaggio più potente e influente dopo il sovrano. A favore della sua candidatura militavano invece la sua intelligenza e la rapidità nel comprendere le situazioni, non meno della vastissima competenza in materia ecclesiastica e temporale, qualità che vennero particolarmente sottolineate nelle fonti dell'XI secolo. Ma proprio a causa di queste qualità lo stesso Gebhard non si mostrò immediatamente disponibile al papato. Nei precedenti otto anni aveva avuto modo di valutare le possibilità d'azione a Roma e in Italia dei papi nati al di là delle Alpi (Clemente II, Damaso II e Leone IX) e, prima di accettare la nomina, analizzò perciò attentamente quale raggio d'azione gli sarebbe stato concesso a Roma. Inoltre non voleva presentarsi a mani vuote nella Città Eterna. Dopo che l'imperatore gli ebbe garantito la restituzione alla Chiesa romana di beni ecclesiastici che le erano stati in precedenza alienati, nel marzo 1055 Gebhard di Eichstätt si dichiarò disponibile a porre la propria candidatura al soglio pontificio. Ma, come già avevano fatto i suoi predecessori, mantenne la propria sede vescovile. Da Ratisbona, nel marzo 1055, Gebhard, insieme all'imperatore, mosse verso Roma seguendo la strada del Brennero. A Trento il vescovo di Eichstätt si congedò dall'esercito imperiale e proseguì solo verso sud, dove tutto era ormai pronto per accoglierlo e per procedere alla sua elezione, come dimostra il fatto che già il Giovedì santo del 1055 (13 aprile) venne intronizzato a Roma col nome di Vittore II. Come il suo predecessore Leone IX, V. si adoperò immediatamente per stabilire una stretta cooperazione tra papa ed imperatore. Un grande sinodo, convocato a Firenze per la Pentecoste del 1055, segnò lo splendido esordio del suo pontificato. Oltre all'imperatore parteciparono all'incontro probabilmente più di cento vescovi, provenienti dall'Italia e dalle regioni transalpine dell'Impero. Le decisioni sinodali riguardarono la condanna della simonia e del matrimonio dei preti, nonché la sicurezza dei beni ecclesiastici; venne decisa inoltre la scomunica e deposizione dell'arcivescovo di Narbona. Dopo il sinodo di Firenze, V. ed Enrico III si incontrarono ancora in diverse occasioni. Nel corso del suo soggiorno in Italia, che si protrasse fino al novembre del 1055, l'imperatore affidò al pontefice il governo del Ducato di Spoleto e della Marca di Fermo, decisione che avrebbe dovuto rafforzare la posizione di V. nell'Italia centrale. A Roma il papa si appoggiò soprattutto ad Umberto di Silvacandida e al cardinale diacono Ildebrando, che conosceva da tempo. Quest'ultimo, nominato datario, esercitò così il controllo su tutta la documentazione curiale in uscita. All'inizio mantenne la carica di cancelliere Federico, fratello del duca di Lorena e del marchese di Toscana Goffredo il Barbuto, mentre con Pier Damiani il pontefice si mantenne in contatto epistolare. Nell'estate 1056, V. si mise in viaggio per raggiungere la corte imperiale al di là delle Alpi. In settembre Enrico III accolse degnamente il pontefice nel suo prediletto palazzo di Goslar in occasione di una Dieta. In seguito il papa accompagnò l'imperatore a Boldfeld, dove il sovrano fu colto dal male che doveva portarlo alla morte. Per rispondere ad un'esplicita richiesta dell'imperatore, V. e i grandi dell'Impero presenti, laici ed ecclesiastici, confermarono ancora una volta la successione del figlio di Enrico III, del resto già eletto ed incoronato. Inoltre l'imperatore affidò il piccolo Enrico IV, che aveva allora appena sei anni, alla protezione del papa. Dopo la morte di Enrico III (5 ottobre 1056), V. richiese ai principi presenti a Boldfeld di prestare giuramento di fedeltà ad Enrico IV e si espresse a favore della reggenza dell'imperatrice Agnese. Il papa si premurò anche di far trasportare le spoglie dell'imperatore a Spira, dove queste - in ossequio al desiderio del defunto - vennero deposte il giorno della festa degli apostoli Simone e Giuda (28 ottobre), che era anche la data del suo compleanno, nella cripta della cattedrale. Tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre del 1056, V. si recò, col piccolo Enrico IV, ad Aquisgrana, dove fece sedere il giovane re sul celebre trono di Carlomagno, il che, tradizionalmente, simboleggiava l'inizio del regno di un nuovo sovrano. Nel corso di una Dieta riunita a Colonia l'azione del papa portò alla conclusione di un accordo con i conti di Fiandra, che erano stati in conflitto col defunto imperatore. Le feste di Natale del 1056 furono celebrate da V. con l'imperatrice Agnese e con re Enrico IV a Ratisbona. Qui vennero prese anche le decisioni relative ai Ducati di Baviera e di Carinzia, allora vacanti. Una volta assicurate la successione di Enrico IV e la pace al di là delle Alpi, il papa si mise in viaggio per Roma nel febbraio del 1057. Dopo il suo ritorno nella Città Eterna, si assistette ad un'intensificazione nella concessione di privilegi papali, che vennero emanati per destinatari in Francia, Inghilterra, Germania ed Italia. Già nel 1056 l'abbazia riformata di Vallombrosa aveva ottenuto la protezione papale con un privilegio che le concedeva l'esenzione dall'ordinario. Nel 1057 V. costrinse alle dimissioni l'abate Pietro di Montecassino, il quale era stato eletto senza il suo accordo, ed impose l'elezione del cancelliere papale Federico di Lorena, che sarebbe poi diventato il suo successore col nome di Stefano IX. In quel momento Umberto di Silvacandida era legato papale a Montecassino e si può dunque presumere che abbia fatto valere la sua influenza nella scelta di Federico. V. convocò inoltre sinodi a Roma, Firenze ed Arezzo, dove regolò definitivamente la vecchia controversia tra i vescovati di Siena ed Arezzo per il controllo di dodici comunità nella Val di Chiana. Proprio durante il sinodo di Arezzo cadde gravemente malato. Morì il 28 luglio 1057 nella curia vescovile di questa città. Alcuni ecclesiastici di Eichstätt cercarono di ricondurre le spoglie del defunto nella sua sede episcopale, ma, quando il corteo funebre giunse presso Ravenna, la salma del papa venne sottratta con l'inganno. I Ravennati seppellirono V. nella chiesa di S. Maria, in quella che era stata la tomba del re ostrogoto Teodorico. Ma, oggi, il sarcofago nella Rotonda è vuoto e il luogo dell'ultimo riposo di V. resta sconosciuto. Fonti e Bibl.: I.D. 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