SORANZO, Vittore
– Nacque a Venezia il 3 settembre 1410, secondogenito di Nicolò di Gabriele e di Lucchesia Morosini di Paolo.
L’esame, effettuato nel dicembre del 1433 per essere ammesso al comando di galere da mercato, suggerisce che in gioventù Soranzo (che già nel 1426 risulta orfano) abbia praticato il commercio; un anno prima, nel 1432, aveva sposato Giovanna Zorzi di Girolamo, che gli avrebbe dato otto figli maschi (due dei quali morti in giovane età) e due femmine. Dopo il matrimonio spostò la sua residenza dalla parrocchia di San Paternian, ov’era nato, a quella di Santa Maria Zobenigo.
Gli esordi in politica furono discontinui: il 29 giugno 1439 venne eletto ufficiale alla Tavola dell’entrada, per passare pochi mesi dopo giudice del Procurator (1° gennaio 1440) e, il 19 agosto 1442, dell’Estraordinario. Dopo due anni di assenza, il 17 gennaio 1445 figura eletto console dei Mercanti, ma non è chiaro se abbia portato a termine l’incarico, dal momento che le fonti gli accreditano tre successive nomine in tempi così ristretti da non poter concludere (o assumere) il mandato, se non per l’ultima di queste: signore di notte il 2 novembre 1445, rettore a Lepanto l’8 luglio 1446, quindi giudice del Forestier il 18 settembre.
Seguì un’altra lunga assenza da palazzo ducale, interrotta il 10 agosto 1451 dalla nomina a sopraconsole dei Mercanti. Auditore vecchio il 24 marzo 1454, aveva già concluso il mandato allorché fu invitato, assieme a Francesco Bernardo, a giudicare una controversia insorta tra Bernardo Giustinian e il mercante Giovanni Marcanova. In seguito Soranzo rimase ancora lontano dalla politica e solo dall’ottobre del 1462 possiamo stabilirne l’ingresso in modo continuativo, come savio di Terraferma. Tuttavia non interruppe i suoi rapporti con il commercio, che continuarono indirettamente; ce lo conferma un documento del luglio del 1463, in cui Giovanni Foscari, patrono di una galera della muda di Fiandra, dichiara di trasportare cinque casse di cannella e quattro di erbe medicinali per conto di Soranzo.
Il saviato di Terraferma continuò sino a tutto il 1463. La spiegazione di tale anomalia può essere individuata nella difficile congiuntura che stava attraversando la Repubblica, che proprio allora dichiarò agli ottomani una guerra destinata a durare sedici anni. Quanto a Soranzo, la carica ricoperta per tanto tempo testimonia la considerazione in cui era tenuto dai concittadini, così come l’esser chiamato a far parte di varie commissioni: il 26 settembre 1463 per l’escavo dei canali e della laguna, minacciati da un progressivo interramento; il 17 giugno 1465 per risolvere questioni confinarie che opponevano i padovani ai vicentini; il 17 dicembre 1466, infine, entrò nel novero dei savi incaricati di recuperare i crediti dello Stato.
Dal gennaio del 1464 cedette il suo posto nel saviato di Terraferma a un altro Soranzo, Giovanni di Vettore dal banco, del ramo a S. Angelo; costui non gli era parente, ma la legge proibiva la compresenza nel Collegio di due appartenenti allo stesso casato.
Non si può escludere peraltro qualche fraintendimento nei registri del Senato (mancano per questi anni gli elenchi del Segretario alle voci): ad esempio, il 30 giugno 1464 Vittore risulta eletto savio di Terraferma, ma da luglio a dicembre tra gli esponenti del Collegio compare sempre il nome di Giovanni.
Ancora savio di Terraferma nel secondo semestre del 1465, il 20 settembre 1467 fu eletto avogador di Comun. Erano incarichi che non lo costringevano ad allontanarsi da Venezia, per cui Soranzo poteva seguire da vicino i suoi interessi commerciali, come dimostra il fatto che il 26 agosto 1468 firmò, con i figli Nicolò, Piero, Paolo, Giorgio, Marco e Francesco, una dichiarazione di debito verso il banco di Giovanni Soranzo, offrendo in garanzia i propri beni immobili e le mercanzie allora presenti nei ‘viaggi’ sia di Levante sia di Ponente.
Nuovamente savio di Terraferma (il saviato del Consiglio gli era precluso dal procuratore Nicolò Soranzo, di altro ramo) per il primo semestre del 1469 e del 1470, il 18 maggio 1469 rifiutò di recarsi ambasciatore al papa Paolo II, il conterraneo Pietro Barbo; accettò invece il successivo 7 settembre di entrare in una commissione incaricata di tassare i mercanti operanti fuori Venezia. Il 25 agosto 1470 venne eletto provveditore in Lombardia, a causa dei timori suscitati dalla lega che univa il duca di Milano con Napoli e Firenze, ma anche stavolta rifiutò.
Qualche giorno dopo (4 settembre) accettò invece la nomina ad ambasciatore presso Ferdinando re di Napoli, nella speranza di rimuoverlo dalla temuta alleanza e di ottenere aiuto nella guerra contro i turchi. In luglio, infatti, Negroponte era caduta, e l’accentuarsi del pericolo ottomano spingeva l’Aragonese a un comune impegno con la Repubblica. Sotto l’incalzare degli eventi, il 1° gennaio 1471 a Napoli Soranzo firmò con Ferrante un accordo formalmente antiturco, ma mirante segretamente anche al contenimento della torbida politica di Galeazzo Maria Sforza; successivamente la lega si estese fino a includere (12 aprile 1471) i cavalieri di Rodi. Soranzo protrasse la sua permanenza nel Regno sino al 5 novembre, qualche giorno dopo l’arrivo del suo successore Zaccaria Barbaro; era da poco giunto a Venezia quando gli fu assegnato un nuovo e ancor più impegnativo incarico: il 28 dicembre lui e Stefano Malipiero – «homeni de gran autorità in la terra», chiosa l’annalista Domenico Malipiero (Annali veneti dall’anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Archivio storico italiano, 1843, vol. 7, n. 1, p. 72) – vennero eletti provveditori in Armata, con il compito di collaborare con il capitano generale da Mar, Pietro Mocenigo.
Il conflitto contro gli ottomani stava entrando in una fase favorevole alla Repubblica; Maometto II, infatti, era incalzato in Anatolia da Uzun Hasan, per cui il 12 ottobre 1472 il sultano passava il Bosforo alla testa delle sue truppe per affrontare il nemico. Nel corso di tutta la campagna del 1472 e di parte dell’anno successivo, Mocenigo evitò tuttavia di approfittare dell’opportunità per sferrare l’attacco a Costantinopoli, limitandosi a devastare le coste orientali dell’Egeo.
In particolare, nel mese di agosto del 1472 Soranzo fu inviato a distruggere Satalia (oggi Adalia) sulla costa della Panfilia. Spezzata la catena che impediva l’ingresso nel porto, i suoi uomini saccheggiarono l’emporio, quindi si riversarono su Nasso, Smirne e molti altri luoghi prima di riparare a Nauplia per svernare.
La strategia impostata su scorrerie (provata dall’incendio dell’arsenale di Gallipoli, la flotta turca non superò gli stretti, rendendo di fatto impossibile uno scontro decisivo) riprese l’anno successivo; nella speranza di chiudere la partita con Maometto II, Soranzo sbarcò nel maggio del 1473 a Seleucia, nella Cilicia, ove incontrò gli emissari di Kassan beg, figlio di Uzun, con i quali organizzò l’invio dei cannoni necessari ai persiani per far fronte all’artiglieria ottomana. Due mesi dopo Mocenigo ricevette dal Senato l’ordine tanto atteso di forzare i Dardanelli, ma l’improvvisa scomparsa di Giacomo II re di Cipro gli suggerì di rinviare l’impresa su Costantinopoli per consolidare la presenza veneziana nell’isola. Il Senato approvò la decisione e quando il 14 novembre scoppiò un complotto contro la regina vedova, Caterina Corner, Mocenigo inviò a Cipro Soranzo con una squadra di dieci galere. Giunto a Famagosta il 23 novembre 1473, represse i focolai di rivolta e inviò a Venezia in ostaggio diversi nobili; dopo di che gli fu finalmente consentito di rimpatriare, dopo più di due anni di assenza.
Lì venne eletto consigliere per il sestiere di S. Marco, e a fine anno entrò a far parte dei quarantuno elettori che portarono al trono ducale Pietro Mocenigo, il vecchio compagno d’armi: l’11 dicembre il suo intervento fu decisivo, come testimonia Marino Sanudo (Le vite dei dogi (1474-1494), a cura di A. Caracciolo Aricò, I, 1989): «In li 41 parlò in suo favor sier Vetor Soranzo – fo so Proveditor in Armada – dicendo meritava questa bareta» (p. 4).
Poco più tardi venne eletto ambasciatore al duca di Milano, assieme a Vitale Lando, per ottenere aiuto contro i turchi; la missione ebbe luogo nel gennaio del 1475 e Soranzo rientrò a Venezia decorato del titolo di cavaliere. Il 30 aprile 1475 il Maggior Consiglio lo elesse capitano a Padova, ove varò alcuni provvedimenti in favore dei bambini abbandonati; rimpatriato nell’autunno del 1476, il 29 dicembre gli fu assegnata una nuova ambasceria a Milano, assieme a Zaccaria Barbaro. La missione, motivata dall’uccisione del duca Galeazzo Maria, ebbe luogo agli inizi del 1477. Quindi fu ancora savio del Consiglio (sino a tutto giugno), e successivamente fu di nuovo consigliere ducale. In tale veste il 21 novembre propose di restringere le concessioni che il segretario Dario stava negoziando a Costantinopoli. Era in sostanza una ritorsione per le scorrerie effettuate da reparti turco-bosniaci in Friuli, dove appunto Soranzo (30 dicembre) fu inviato quale provveditore in campo. Ricevette le commissioni il 13 gennaio 1478 e si recò a Gradisca, le cui difese erano oggetto di impegnativi lavori; quanto al nemico, si doveva far fronte a incursioni imprevedibili per pericolosità e ubicazione. Pertanto il 1° aprile chiese e ottenne dal Senato l’invio di un commissario (Pietro Valier) che provvedesse al pagamento delle truppe; tanta premura è forse riconducibile al fatto che i 7000 ducati che Valier portò con sé erano stati mutuati dal banco di Vittore Soranzo, omonimo parente del nostro.
Al termine dell’incarico fu savio del Consiglio dal marzo del 1479 a tutto il febbraio del 1480. Il 25 giugno 1479 venne eletto provveditore delle truppe operanti in Toscana, in appoggio ai fiorentini in guerra con il papa e il re di Napoli, ma rifiutò per accettare invece, a settembre, il saviato del Consiglio. Ricopriva appunto tale carica quando il 9 gennaio 1480 venne eletto capitano generale da Mar.
Un anno prima era terminata la lunga guerra contro i turchi, ma non si era conclusa la politica espansionistica del sultano, che dopo un fallito assedio a Rodi mirava all’Italia, come avrebbe dimostrato la conquista di Otranto, nell’agosto del 1480.
È noto che, di fronte alle offerte di alleanza da lui avanzate, così come alle richieste di aiuto da parte pontificia, la Repubblica mantenne un contegno ambiguo, sicché a Soranzo fu ordinato di incrociare tra Corfù e Cattaro, sorvegliando da lontano le mosse dei turchi. Dalla neutralità il Senato non si distaccò neppure dopo la morte di Maometto II (29 maggio 1481): «abstenetivi – così le istruzioni inviategli – da ogni novità et moto che potesse turbar la pace nostra» (Archivio di Stato di Venezia, Sen. Secreti, reg.30, c. 17r).
E così Soranzo fece, ricompensato il 22 ottobre 1481 con la nomina a procuratore de Supra. Era ancora in armata quando il 2 maggio 1482 scoppiò la guerra di Ferrara, che vedeva papa Sisto IV alleato con Venezia contro Ercole d’Este e Ferdinando di Napoli; Soranzo dovette quindi volgersi verso il basso Adriatico, dove nei mesi di giugno e luglio del 1482 devastò i litorali pugliese e abruzzese, per poi ritirarsi in Dalmazia e dar riposo agli equipaggi (10 agosto). Si trovava in Istria quando a fine ottobre il Senato gli ordinò di attaccare il Polesine; si portò a Chioggia, quindi risalì il Po di Primaro, prese Comacchio e il 19 novembre riportò un buon successo ad Argenta.
Il 31 dicembre fu eletto capitano generale da Mar Giacomo Marcello, subentrando così a Soranzo, cui fu affidata la squadra impegnata sul Po. La guerra contro Ferrara proseguiva incerta (la natura del terreno, intersecato da fiumi e canali, impediva scontri risolutivi), allorché Soranzo si ammalò e il 12 aprile 1483 ottenne di ritirarsi a Chioggia. Sostituito da Tommaso Zen nel comando dell’armata sul Po, tornò a Venezia, dove il 26 giugno, in qualità di savio ad pecunias recuperandas, fece porre all’asta la gastaldia di San Donà di Piave.
Fu poi savio del Consiglio per il primo semestre del 1484, ma non concluse il mandato perché il 19 maggio Marcello morì nell’assedio di Gallipoli e alcuni giorni dopo Soranzo venne chiamato a sostituirlo. Sennonché – annota Sanudo – «aceptò, ma non andoe» (Le vite dei dogi (1474-1494), cit., II, 2001, p. 430). La spiegazione di un comportamento apparentemente contradditorio (avrebbe potuto ottenere agevolmente l’esonero adducendo l’età avanzata) va cercata nello scacco subito sul Po da Cristoforo Duodo: logorato dalle fatiche e sottoposto al fuoco dell’artiglieria estense, il 24 maggio l’equipaggio di una galera era passato al nemico, per cui a Soranzo venne impartito l’ordine di reprimere altre possibili insubordinazioni. La sua comprovata esperienza gli consentì di riportare la calma fra i soldati, ma la salute era compromessa e si ammalò nuovamente. Gli subentrò nell’incarico Tommaso Trevisan, mentre la guerra si avviava alla conclusione senza che Venezia avesse pienamente conseguito il successo sperato.
Il 17 novembre 1485 Soranzo prese parte alle votazioni che portarono al breve dogato di Marco Barbarigo. Avrebbe potuto concorrere lui stesso, ma le sue condizioni fisiche erano ormai precarie: nel testamento, redatto il 13 febbraio 1486, si dice «infirmitate gravatus» e allude a molti crediti non riscossi oltre che a «male operationi» delle quali è rimasto vittima. Si riprese abbastanza da essere in grado di far parte dei quarantuno che il 30 agosto successivo elessero doge Agostino Barbarigo, della cui promissione fu anche correttore.
Morì il 25 febbraio 1489 e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, con «li marinari con li torzi atorno […] per esser stà Zeneral» (M. Sanudo, Le vite dei dogi (1474-1494), cit., II, p. 613).
Scompariva così un insigne esponente del patriziato, un uomo che era riuscito a coniugare il servizio dello Stato con l’attività mercantile: politica ed economia, felice sintesi cui aspirarono le migliori emergenze della Venezia quattrocentesca.
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