GUERRINI, Vittoria (Cristina Campo)
Nacque a Bologna il 28 apr. 1923, unica figlia di Guido e di Emilia Putti.
Crebbe in un ambiente colto e raffinato, circondata da persone adulte e senza rapporti con i coetanei; non seguì infatti un regolare corso di studi scolastici per una congenita malformazione cardiaca che rese precaria la sua salute per tutta la vita.
In uno scritto pubblicato postumo (La noce d'oro, in Sotto falso nome, a cura di M. Farnetti, Milano 1998, pp. 219-232) firmato Cristina Campo (il nom de plume da lei più amato tra i tanti che usò e con cui è soprattutto conosciuta) la G. rivive l'incanto di atmosfere e riti familiari che nella sua percezione si confondevano con situazioni e personaggi favolosi. Il modo di conoscere proprio dell'infanzia, per il quale la realtà si presenta allo sguardo priva di confini certi e molteplice nei significati, per la G. mantenne la sua validità anche in età adulta, quando evocò quel mondo come "l'orto concluso di cui si cerca piangendo l'entrata" (Gli imperdonabili, Milano 1999, p. 21).
Nel 1928 il padre, musicista, divenne direttore del conservatorio Cherubini a Firenze e poco dopo vi si trasferì con la famiglia. Qui la G. visse gli anni dell'infanzia e della prima giovinezza, ampliando la sua cultura anche attraverso lo studio dell'inglese e del tedesco e iniziando poi l'attività di traduttrice. Importante fu in particolare l'incontro con L. Traverso, noto per la profonda conoscenza dei maggiori poeti tedeschi e in particolare di H. von Hofmannsthal; appunto tramite Traverso la G. scoprì questo scrittore, che divenne per lei un costante punto di riferimento.
La G. pubblicò le prime traduzioni durante la guerra: Conversazioni con Sibelius di B. von Törne (Firenze 1943), Una tazza di tè e altri racconti di K. Mansfield (Torino 1944), cui seguirono le Poesie di E. Mörike (Milano 1948). A cominciare dal 1953 cominciò a tradurre e pubblicare alcune poesie e prose di Hofmannsthal, contribuendo alla sua diffusione in Italia.
La G. fu introdotta nell'ambiente dei letterati fiorentini da Traverso, della cui raffinata personalità subì l'influenza anche nella scrittura, tanto da sentire in seguito il bisogno di liberare il suo stile da tale influsso rendendolo più incisivo ed essenziale, spoglio da quelli che ormai considerava inutili preziosismi. A Firenze frequentò il salotto di Anna Banti e cominciò la collaborazione con la rivista Paragone. Letteratura, che dalla Banti era diretta. Insieme con G. Draghi creò nel 1951 la Posta letteraria del Corriere dell'Adda, su cui pubblicò Diario d'agosto (1953), alcune traduzioni da Emily Dickinson, Simone Weil, Hofmannsthal, e scritti di amici come R. Fasani, Margherita Pieracci Harwell e M. Luzi, a lei particolarmente caro. Negli anni fiorentini due progetti elaborati dalla G. non andarono a compimento: "Il libro delle ottanta poetesse", annunciato in catalogo nel 1953 dall'editore Casini di Roma, e una rivista dal titolo weiliano, L'Attenzione.
La G., esile e delicata di salute, era capace tuttavia di un'attività instancabile; desiderosa di stabilire rapporti autentici intendeva l'amicizia come segno di una profonda corrispondenza spirituale e intellettuale. Aveva una visione elitistica e aristocratica dell'esistenza e, nella vita e nell'arte, aspirava, in senso sia etico sia estetico, a una perfezione cui riteneva potessero arrivare soltanto individui eccezionali. Quando lesse La pesanteur et la grâce di Simone Weil (1947) trovò nella scrittrice francese affinità profonde e ne condivise l'inflessibile coerenza nel seguire una vocazione-destino, la ricerca attenta e paziente ("attenzione-attesa" sono due parole chiave nel linguaggio della G.) che consente di decifrare i segni e di intuire i misteri celati nella realtà, il rifiuto del progresso solo "in orizzontale" caratteristico della civiltà contemporanea. La Weil rappresenta una tappa essenziale nel cammino della G. verso il sacro e il soprannaturale, estremo punto di arrivo dove la perfezione le apparve unione di bellezza e verità. Di fatto l'uso di questi termini astratti a proposito della G. è ineludibile e per l'esatta comprensione di essi non resta che l'approccio diretto all'opera. La sua personalità era complessa e se taluni ne hanno evidenziato gli aspetti appassionati e impetuosi, altri ne hanno sottolineato l'ascetismo e la ricerca del silenzio interiore nella solitudine. Non meno difficile è trovarle una collocazione nel panorama letterario del secolo XX. Farnetti, che ne ha studiato a fondo gli scritti, la ritiene "estranea ad ogni tradizione consacrata del nostro Novecento, non lasciando la sua scrittura intravedere alcun sensibile modello, mancando ancora il suo "caso" ampiamente di supporti bio-bibliografici, e rifuggendo la sua vita e opera da qualsiasi partizione "di regola"" (Per C. Campo, p. 7). Questa opinione è condivisa da tutti i critici che si sono occupati di lei (tra gli altri: Luzi, G. Ceronetti, Pieracci Harwell) ed è convalidata dal fatto che la G. è rimasta per lo più fuori dai repertori letterari del Novecento italiano.
Nel 1955 la G. si trasferì a Roma, seguendo il padre, che nel 1950 era stato nominato direttore del conservatorio di S. Cecilia, e con la famiglia abitò presso il Collegio di musica al Foro Italico fino al settembre 1965. Il distacco da Firenze rappresentò una vera cesura nella sua vita e il bisogno di cancellare le tracce di esperienze dolorose, di cui poco sappiamo ma che sicuramente si riferiscono a "un amore impossibile" (cfr. M. Dalmati, in Per C. Campo, p. 125), è testimoniato dalla richiesta rivolta agli amici di distruggere ogni lettera anteriore al 1956-57 ed è confermato dalla poesia Ora rivoglio bianche tutte le mie lettere, pubblicata in Passo d'addio (Milano 1956), raccolta che comprende undici liriche e due traduzioni da T.S. Eliot.
Attualmente il corpus delle poesie della G. (trenta in tutto) insieme con le ben più numerose traduzioni-interpretazioni poetiche, che spaziano dai romantici tedeschi ai mistici del Seicento, ai contemporanei anglo-americani, agli scrittori di lingua spagnola e che si collocano lungo l'intero arco della sua vita, è riunito in un unico volume, La tigre assenza (Milano 1991 e 1997), a cura di M. Pieracci Harwell.
In questa selezione, come del resto in tutta la sua attività culturale, gli interessi della G. si rivelano vasti e determinati soltanto da una scelta personale, che non tiene in alcun conto il quadro storico ma solo l'individualità dell'artista. L'intera produzione poetica rispecchia le fasi del suo cammino interiore: fino al 1957-58 (Passo d'addio, Quadernetto, Poesie sparse) si coglie dapprima il tema del distacco doloroso da un mondo e da quell'"amore impossibile", ai quali la memoria ritorna cogliendo e collocando nel paesaggio fiorentino le trame di una vita vissuta, ma irrecuperabile, anzi da cancellare; poi il tema dell'assenza, del vuoto in cui si attende l'illuminazione interiore senza più cercarla, in un alternarsi di angoscia e speranza. Quindi, dopo oltre dieci anni di silenzio, nel 1969 la G. torna alla poesia con componimenti di carattere religioso e liturgico ispirati da un misticismo in cui si fondevano il rito, il mito, il linguaggio sacrale del mistero e il tema della bellezza uccisa dall'odierna civiltà.
A Roma la G. aveva iniziato dal 1956 una collaborazione con la RAI, durata - a quanto risulta finora - fino al 1961. I copioni dei programmi che sono stati effettivamente ritrovati, e pubblicati in Sotto falso nome, sono soltanto tre, Una tragedia di S. Weil:"Venezia salva" del 1956 (pp. 51-57); Due saggi del 1960 (pp. 64-68) e Musiche di scena nel teatro di Shakespeare, redatto insieme con il padre nel 1961 (pp. 82-90); di altri lavori radiofonici si conoscono soltanto i titoli. Ambientarsi a Roma per la G. non fu facile, ma poté frequentare alcuni vecchi amici fiorentini che vi si erano stabiliti e ne trovò di nuovi.
Tra gli altri la clavicembalista e poetessa greca Maria Dalmati (pseudonimo di Maria-Nike Zoroghiannide), che le rimase legata per tutta la vita, C. Alvaro, I. Silone, i Bellonci e R. Bazlen. Del poeta W.C. Williams, alla cui opera la G. si dedicò a lungo, divenne amica attraverso uno scambio epistolare che rivela la loro profonda affinità.
Tra le molte nuove conoscenze, un ruolo determinante ebbe E. Zolla, studioso di letteratura anglo-americana nonché di filosofie orientali, di misticismo e di esoterismo. Cominciarono a frequentarsi nel 1958 e dal 1960 vissero insieme condividendo ricerche ed esperienze - anche se ciascuno mantenne certe peculiarità individuali -: gli interessi comuni erano molti, cementati dalla volontà di combattere la crisi dei valori spirituali e il dilagare della volgarità; insieme, tra l'altro, lavorarono per tentare di fermare l'attuazione della riforma liturgica intrapresa dalla Chiesa dopo il concilio Vaticano II (1962-65).
Nel 1962 fu pubblicata a Firenze la prima raccolta di saggi della G., Fiaba e mistero, parzialmente confluita in Il flauto e il tappeto (Milano 1971), dove furono inseriti altri saggi già editi in riviste o inediti. Le due edizioni postume de Gli imperdonabili (ibid. 1987 e 1999) riunirono in volume sia le due opere citate, sia quanto della G. era apparso in varie occasioni (tra l'altro, le note introduttive alle traduzioni di poesie o di opere in prosa). Anche in questo caso si tratta di testi che è difficile definire "saggi" nel senso convenzionale del termine: gli scritti della G. non seguono un procedimento dimostrativo, spesso sono divisi in paragrafi o frammentati da pause che rendono poco evidente il nesso che lega le varie parti: quasi annotazioni di un diario intimo, nascono da imprevedibili intuizioni che spetta al lettore mettere in relazione tra loro. Quando uscì Il flauto e il tappeto, Ceronetti definì questa "raccolta di Cose Scritte […] un fiore indefinibile e inclassificabile […]. L'argomento e il risultato combaciano nell'inafferrabilità: la Perfezione" (C. Campo o della perfezione, p. 277).
Un primo tema, e dei più importanti, che la G. affronta riguarda le fiabe, di cui aveva subito il fascino fin dall'infanzia e che le fecero capire come "La caparbia, ininterrotta lezione delle fiabe è la vittoria sulla legge di necessità" (Parco dei cervi, p. 157: nuovo titolo dato a Diario d'agosto, ripreso e ampliato più volte, poi in Gli imperdonabili, pp. 143-163). Esse insegnano che vi è un modo di guardare le cose opposto a quello suggerito dal comune giudizio degli uomini e che solo chi procede contro ogni logica, contro ogni speranza raggiunge la meta. Nella fiaba è adombrato un cammino di iniziazione, misterioso per ciascuno, ma basta osservare la realtà con "attenzione" per cogliere i segni che ci rivelano il nostro destino e abbandonarsi a esso: lo stesso tipo di messaggio si trova nelle imprese degli antichi cavalieri, nelle parabole dei Vangeli, nelle vite di santi, monaci ed eremiti, in ogni testo sacro. Nei suoi saggi la G. tenta di reagire al "generale orrore" di un mondo che considera "imperdonabili" coloro che amano questa ardua perfezione e se sembra trattare argomenti diversi non diverso è il fine da lei perseguito: affermare il valore delle forme in cui la bellezza si rivela e dedicare la sua opera a scrittori, poeti, musicisti che hanno espresso il "sapore massimo di ogni parola", "di ogni nota".
Nel 1963 la G. pubblicò la versione in italiano della tragedia incompiuta di S. Weil Venezia salva (Brescia 1963; Milano 1987), cui lavorava da tempo. Nel dicembre del 1964 le morì la madre e nel giugno dell'anno seguente il padre, perdite che la segnarono profondamente.
Una sua poesia, La tigre assenza, che ha dato il titolo alla raccolta del 1991, è l'espressione di un dolore divorante che provocò un'ulteriore svolta nella sua vita sempre più solitaria - anche il legame con Zolla si attenuò - e tormentata dalla malattia.
Dal 1965 si era trasferita all'Aventino che le era divenuto caro da quando aveva iniziato a frequentare l'abbazia di S. Anselmo, dove i monaci benedettini officiavano la messa in latino e mantenevano il canto gregoriano.
In questa fase della sua vita la religiosità della G. assunse un carattere ben definito e negli ultimi componimenti la liturgia, con i suoi riti e i suoi simboli, divenne "poesia". Perciò, quando anche i benedettini dovettero adeguarsi alle disposizioni postconciliari, che - secondo il suo modo di vedere - svuotavano di significato il sacro, decise di seguire le cerimonie del culto bizantino-slavo nella chiesa del Collegium Russicum laddove il forte misticismo implicito nella celebrazione corrispondeva al suo sentimento del divino.
Intanto nel 1963 era uscita, a cura di Zolla, l'antologia de I mistici, rielaborata dallo stesso curatore col titolo I mistici dell'Occidente in altre due edizioni successive (Milano 1976-80; ibid. 1997). A essa la G. collaborò con varie traduzioni in poesia e in prosa; delle prime furono pubblicate in volume quelle da J. Donne, Poesie amorose. Poesie teologiche (Torino 1971); delle seconde, Detti e fatti dei padri del deserto (Milano 1975; a cura anche di P. Draghi).
Riguardo ad alcuni altri testi di questa antologia si pone il problema della loro oscillante attribuzione alla G.; infatti, come è documentato in Sotto falso nome, la G. usò altri pseudonimi oltre a quello di Cristina Campo: Puccio Quaratesi, Bernardo Trevisano, Giusto Cabianca, Benedetto P. d'Angelo. Nei Mistici, e nelle edizioni successive di quest'opera, le traduzioni firmate Giusto Cabianca vengono ora attribuite alla G., ora a lei e a Zolla insieme, ora al solo Zolla; lo stesso si verifica anche per altre traduzioni poetiche che furono poi inserite in La tigre assenza. Di fatto i due scrittori spesso non si preoccupavano di distinguere il lavoro dell'uno da quello dell'altra e si servivano dello stesso pseudonimo, come pure nel caso dei testi a firma di Bernardo Trevisano, sebbene sia certo che sono della G. alcuni articoli sottoscritti con questo nome sul Giornale d'Italia nel 1966.
Gli ultimi lavori della G. uscirono nella rivista Conoscenza religiosa, fondata e diretta nel 1969 da Zolla. Comprendono due liriche: Missa Romana e La tigre assenza (1969, ora entrambe in La tigre assenza, pp. 41-44); un saggio: Sensi soprannaturali (1971, ora in Gli imperdonabili, pp. 231-247); e, postumo, Diario bizantino e altre poesie (1977, ora in La tigre assenza, pp. 45-57).
Gli ultimi lavori della G. furono composti nel periodo della sua più intensa frequentazione del Russicum e mentre si dedicava allo studio dei mistici. Pur essendo di soggetto religioso e liturgico, sono lontani da ogni astrazione intellettualistica: il valore del rito è nel fatto che esso ci conduce in un mondo diverso con la nostra intera forma umana e la G. parla di "sensualità trascendente" (Gli imperdonabili, p. 236) ingiustamente condannata, poiché è il nostro corpo che deve entrare in contatto con Dio e passare dal naturale al soprannaturale. "Il rito è per eccellenza questa esperienza di morte-rigenerazione attraverso la bellezza" (intervista apparsa in Il Tempo, 16 apr. 1972).
L'intensità di affetti della G., unita al bisogno di eleganza e di leggerezza espressiva, si ritrova nella corrispondenza pubblicata postuma: Lettere a un amico lontano, a cura di V. Scheiwiller (Milano 1989 e 1998); "L'infinito nel finito" (lettere a P. Polito), a cura di G. Fozzer (Pieve a Nievole-Pistoia 1998); e Lettere a Mita (Milano 1999), a cura di M. Pieracci Harwell.
Il primo raccoglie le lettere ad A. Spina per il quale la G. curò l'introduzione alla traduzione dall'arabo di La storia della città di rame (Milano 1963), tratta dalle Mille e una notte (ora in Gli imperdonabili, pp. 53-61). Lo scambio epistolare con P. Polito, scrittore e critico attivo a Firenze, è limitato a poche lettere; più importanti le Lettere a Mita (240 lettere a M. Pieracci Harwell dal 1955 al 1975), che forniscono una quantità di notizie preziose per ricostruire momenti di vita, stati d'animo, interessi letterari e religiosi della Guerrini.
La G. morì a Roma il 10 genn. 1977.
L'interesse prevalentemente postumo per la G. va attribuito in gran parte alla riedizione delle sue opere - ormai introvabili - per i tipi della casa editrice Adelphi, che ne ha promosso la diffusione.
Fonti e Bibl.: Firenze, Gabinetto G.P. Vieusseux, Archivio contemporaneo A. Bonsanti, Fondo C. Campo; M. Luzi, L'incanto dello scriba, in Id., Vicissitudine e forma, Milano 1974, pp. 21-30; M. Pieracci Harwell, C. Campo: della perfezione, in Id., Un cristiano senza chiesa e altri saggi, Roma 1991, pp. 135-149; P. Citati, Il viso di C. Campo, in Id., Ritratti di donne, Milano 1992, pp. 287-291; M. Farnetti, L'intelligenza nel cuore: sulle "Lettere a un amico lontano" di C. Campo, in Frammenti di un discorso amoroso nella scrittura epistolare moderna, a cura di A. Dolfi, Roma 1992, pp. 503-525; A. Spina, Conversazione in piazza S. Anselmo. Per un ritratto di C. Campo, Milano 1993; L. Villa, Saggismo e poesia. Gli imperdonabili di C. Campo, in Nuova Corrente, XLI (1994), 113, pp. 141-172; M. Farnetti, C. Campo, Ferrara 1996; C. Campo, in Città di vita, LI (1996), 6, a cura di M. Farnetti - G. Fozzer, pp. 467-601; M. Pieracci Harwell, Il sapore massimo di ogni parola, in C. Campo, La tigre assenza, a cura di M. Pieracci Harwell, Milano 1997, pp. 281-305; Per C. Campo, a cura di M. Farnetti - G. Fozzer, Milano 1998; M. Farnetti, Osservazioni sul metodo correttorio di C. Campo, in Studi novecenteschi, dicembre 1998, pp. 331-349; Id., Le ricongiunte, in C. Campo, Sotto falso nome, a cura di M. Farnetti, Milano 1998, pp. 245-263; M. Farnetti - F. Secchieri, Bibliografia, ibid., pp. 265-282; G. Ceronetti, Cristina, in C. Campo, Gli imperdonabili, Milano 1999, pp. XIII-XV; Id., C. Campo o della perfezione, ibid., pp. 277-282; M. Pieracci Harwell, Nota biografica, ibid. pp. 263-271; Id., C. Campo e i due mondi, in C. Campo, Lettere a Mita, 1999, cit., pp. 391-404; C. Campo, Tradurre S. Weil. Lettere all'editore, a cura di G. Fozzer, in Humanitas, n.s., LV (2000), pp. 174-200; A. Emo, Lettere a C. Campo, 1972-1976, a cura di G. Fozzer, Bologna 2001; W.C. Williams - C. Campo - V. Scheiwiller, Il fiore è il nostro segno. Carteggio e poesie, a cura di M. Pieracci Harwell, Milano 2001; C. Campo, a cura di E. Bianchi - P. Gibellini, in Humanitas, n.s., LVI (2001), 3, pp. 329-457; C. De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta di C. Campo, Milano 2002.