vittoria
Solo nel Convivio e nella Commedia, qui spesso in rima.
Con riferimento all'esito favorevole di una guerra o di una battaglia: per la sua andata negl'Inferi, Enea intese cose che furon cagione / di sua vittoria e del papale ammanto (If II 27), fu reso " animoso all'impresa contro Turno re de' Rutuli, del quale avuto vittoria, e già in Italia divenuto potente, ne seguì l'effetto... de l'autorità papale " (Boccaccio). E così in XXVIII 59. Anche, nell'unico esempio di plurale, a proposito del successo conseguito dagli atleti nei giuochi indetti da Enea in memoria di Anchise: Cv IV XXVI 14 Enea, quando fece li giuochi in Cicilia... ciò che promise per le vittorie, lealmente diede poi a ciascuno vittorioso.
Le lotte interne dello spirito sono spesso significate con metafore guerresche. Perciò, con esplicito riferimento alla battaglia de' pensieri (cfr. Vn XXXVIII 4), in Cv II II 5 è ricordata la vittoria del nuovo pensiero che favoriva l'amore per la Donna gentile; e così in X 4.
Più frequentemente, in senso figurato, il vocabolo è usato con riferimento a un successo conseguito difendendo un'idea o vincendo difficoltà o contrasti. D. auspica che, per la sua vittoria (Cv IV IX 17), una retta opinione sui compiti dell'autorità imperiale prevalga su quelle più diffuse, ma erronee. La virtù di Traiano mosse Gregorio a la sua gran vittoria (Pg X 75), cioè indusse papa Gregorio Magno a impetrare da Dio la grazia di far tornare in vita quell'imperatore, vincendo così le forze della morte. S. Pietro trionfa in cielo di sua vittoria (Pd XXIII 137) sulle tentazioni mondane.
Come Virgilio narra a D., Cristo era disceso nel Limbo con segno di vittoria coronato (If IV 54). L'identificazione di questo segno ha dato luogo a una lunga, e non conclusa, disputa fra commentatori antichi e recenti (cfr. F. Mazzoni, Il canto IV dell'Inferno, in " Studi d. " XLII [1965] 106-112); in ogni caso, sembra indubbio che la v. ottenuta da Cristo sia quella da lui riportata sul peccato con la sua passione redentrice; interessa anche osservare come l'espressione dantesca collima con una frase del Vangelo apocrifo di Nicodemo (" crucem... quae est signum victoriae ") ed è assai simile a una di s. Tommaso (" Portat Christum crucem... ut victor trophaeum suae victoriae "), entrambe riferite dal Mazzoni (pp. 107 e 111).
Come Folchetto spiega a D., Raab è accolta nel cielo di Venere come testimonianza de l'alta vittoria / che s'acquistò con l'una e l'altra palma (Pd IX 122). Quasi tutti i commentatori moderni intendono che l'alta vittoria si riferisca a quella riportata da Cristo sull'Inferno, " qua nulla unquam fuit altior... quam victoriam ipse Christus acquisivit con l'una e l'altra palma, quia utraque manu fuit affixus cruci " (Benvenuto). Secondo altri, fra cui Casini-Barbi, alluderebbe alla v. di Gerico, conseguita da Giosuè miracolosamente " con non più che gridare e batter palma a palma, senza colpo tirare " (Andreoli), com'è narrato in Ios. 6, 10-21; anche per il Torraca il riferimento sarebbe alla " conquista della Terra Santa, cominciata e compiuta da Giosuè ", ma, più che alla presa di Gerico, si alluderebbe a quella di Hai, durante la quale Giosuè " tenne con le mani alzate lo scudo " (Ios. 8, 18-19).
Controverso è anche il senso del vocabolo in Pd XXXIII 75 per tornare alquanto a mia memoria / e per sonare un poco in questi versi, / più si conceperà di tua vittoria. " Della vittoria che ebbe lo Verbo incarnato contro lo dimonio " (Buti); " de excellenti gloria tua, quae vincit et superat intellectus mortalium " (Benvenuto); è questa l'interpretazione più convincente: come altrove " trionfo ", qui v. indica il " sommo valore e infinita eccellenza " (Daniello) di Dio e contemporaneamente, in senso pregnante, la sua gloria celebrantesi nell'Empireo e in tutto l'universo.