VITTORIA (Νίχη; Victoria)
Grecia. - Nel campo della mitologia greca la figura di Nike è semplicemente la personificazione di un'idea astratta, l'idea della Vittoria, priva a tutta prima di qualsiasi addentellato mitologico religioso. Così mentre nella generalità dei casi l'elaborazione religiosa dell'immagine dà luogo a un'elaborazione plastica e artistica, nel caso presente avviene tutto l'opposto. Soltanto la libera elaborazione da parte di pittori, scultori, poeti, valse a legittimare l'introduzione di questa personificazione nel campo religioso. Secondo una leggenda riportata da Esiodo (Theog., 382 segg.,) Nike è la figlia del Titano Pallas e di Stige, insieme con Zelos (l'Emulazione), Kratos (la Forza), Bia (la Violenza). Con che non si esce dal campo della pura astrazione.
Poiché qualunque sia il genere di lotta, delle armi e dei certami agonistici, la vittoria è il dono che scende più gradito all'anima dei mortali, da parte di Zeus, questo appunto si volle poi dare per padre a Νίχη γλυχύδωρος ("dai dolci doni"). Mentre con non minore diritto, avuto riguardo al valore militare, l'Inno Orfico, 4, 88, ricorda Nike come figlia di Ares. Prevale però l'idea di una discendenza di Nike da Zeus, come è dimostrato dal parallelismo tra la figura primigenia di Nike e quella di Atena. Anche nella versione delle due distinte paternità, Nike appare come la compagna inseparabile (σύντροψος) di Atena. Da che si deduce l'affinità dei due concetti ispiratori, di cui uno, quello di Atena, prende il sopravvento sull'altro, senza del tutto assorbirlo.
Più che nel mito, questa evoluzione di concetti morali si osserva nel culto, specialmente quello ateniese: dove i due concetti equivalenti, di una Atena-Nike e di una Nike Apteros (senz'ali), appaiono come un'effettiva testimonianza di sincretismo religioso, sviluppatosi ancora in età arcaica, e riflesso su monumenti figurati arcaici. Un recinto sacro ad Atena-Nike si venerava, almeno dai primi del sec. V a. C., sul Pyrgos all'ingresso dell'Acropoli di Atene, là dove poi sorse il tempietto classico alla stessa divinità. In piena età classica la figura di Nike ha una sua individualità, per quanto in sottordine ad Atena, come manifestazione delle virtù generiche di questa. E ciò principalmente in grazia dell'arte fidiaca. Un culto di Nike associata a Nemesi, o di Nemesi-Nike, fioriva a Filippi, e forse in altre parti della penisola greca, ancora in piena età romana (II-III sec. d. C.).
Roma. - La Vittoria fu divinizzata dai Romani e venerata e onorata di culto come divinità a sé stante, benché in origine non fosse altro che un aspetto peculiare di Giove: con un processo comune nella religione romana antica (e del quale la figura divina di Giove formò, più spesso di ogni altra, il punto di partenza), da Iuppiter Victor prese corpo la dea Victoria; come mostra l'uso promiscuo dell'uno e dell'altra nel rituale dei Fratelli Arvali. In età repubblicana la dea ebbe in Roma un unico tempio, quello votatole, nel 294 a. C., dal console Lucio Postumio, ed eretto sul Palatino, presso quel clivus Victoriae che ne prese appunto il nome. In vicinanza di esso, M. Porcio Catone dedicò, nel 193 a. C., un sacello alla Victoria Virgo: così di questo come del tempio di Postumio si festeggiava l'anniversario della fondazione il 1° di agosto.
Verso la fine della repubblica il culto della Vittoria prese grande sviluppo, per impulso dei capi politici e dei dittatori, che assunsero la dea a simbolo delle loro vittorie e introdussero l'uso di aggiungere il proprio nome, a guisa di appellativo, a quello della dea: si ricordino, a questo proposito, i ludi Victoriae Sullanae, tenuti dal 27 ottobre al 1° novembre, i ludi Victoriae Caesaris, dal 20 al 30 luglio, l'aedes Victoriae Augustae di Pozzuoli, numerose arae Victoriae Caesaris (seguita dal nome dell'uno o dell'altro imperatore), le cui dediche, conservateci nelle relative epigrafi, ci testimoniano il perdurare del culto della dea Vittoria nell'età imperiale. A questa serie di testimonianze si aggiunge quella fornita dalle innumerevoli monete col tipo della Venere che incorona un trofeo (victoriati). È noto che Augusto fece erigere nella Curia un'ara della Vittoria, consacrata il 28 agosto dell'anno 29 a. C., quasi simbolo dell'impero vittorioso; ed è anche noto quante dispute sollevò l'ordine, dato da Costanzo e rinnovato da Graziano, di allontanare quell'ara dalla sede del senato.
Vittoria Augusta. - Dal concetto della Vittoria come patrona delle vittoriose imprese di capi politici, dittatori, generali, si passa, appunto nell'epoca di Augusto, a quello di Vittoria Augusta che fu una delle basi del potere imperiale romano. Il dogma della vittoria considerata come una forza divina strettamente unita con l'imperatore e sua proprietà esclusiva fu fondato da Augusto, per quanto esso avesse - come si è detto - i suoi precedenti in quanto avvenne con Silla, Pompeo e Cesare. La Victoria Augusti sopravvive ad Augusto e continua ad agire a favore dei successori della sua casa. La grande crisi degli anni 68-69 vibra un grave colpo a tale mistica, ma Vespasiano la riprende e rafforza, e, separando la Vittoria dalla famiglia Giulio-Claudia, la rende divinità protettrice propria e della sua dinastia. Dopo Vespasiano, la Vittoria è una divinità autonoma che veglia successivamente su ciascun Augusto. La teologia della Vittoria, rimasta immutata nei suoi lineamenti essenziali, si è però a parecchie riprese rinnovata nel suo contenuto religioso. La Victoria Augusti è dapprima una potenza autonoma che si rivela nella persona dell'imperatore, è compagna delle altre divinità e non dipende da esse; con Commodo diventa una forza divina che l'imperatore riceve da divinità onnipossenti, le quali poi si assimilano o cedono il posto al Sole: la teologia della Vittoria nel sec. III con gl'imperatori illirici e nel basso impero è alle dipendenze della teologia solare. La mistica della Vittoria, dogma religioso che ha contribuito a orientare il diritto pubblico verso la monarchia assoluta, vive in tutto l'impero, che perciò non a torto è stato definito una monarchia della Vittoria.
Bibl.: Per la Grecia: H. Bulle, in Roscher, Lexikon d. griech. und röm. Myth., III, i, col. 305 segg. (s. v. Nike); O. Höfer, ibid., col. 1337 segg. (s. v. Pallas, -antis); C. Anti, Athena marina e alata, in Monumenti antichi, XXVI (1920); F. Chapoutier, Némésis et Niké, in Bull. de Corr. Hellén., XLVIII (1924), pp. 287-303. V. inoltre A. Baudrillart, Les divinités de la Victoire en Grèce et en Italie, in Bibl. des écol. franç. d'Ath. et Rome, Parigi 1894. Per Roma: G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 139 segg.; A. von Domaszewski, Die Religion des röm. Heeres, in Westdeutsche Zeitschrift, XIV (1895), p. 37 segg.; J. Toutain, Les cultes païnes dans l'empire romain, in Biblioth. de l'école des Hautes Étud. (Scienc. rel.), I, i, Parigi 1905, fasc. 20, p. 433 segg.; K. Latte, in Roscher, Lexikon der griech. und röm. Mythologie, VI, col. 294 segg. Per la Vittoria Augusta: J. Gagé, La Victoria Augusti et les auspices de Tibère, in Revue archéologique, XXXI (1930), pp. 1-35; id., Un thème de l'art impérial romain: la Victoire d'Auguste, in Mélanges de l'École française de Rome, XLIX (1932), pp. 61-92; id., La théologie de la Victoire impériale, in Revue historique, CLXXI (1933), pp. 1-43; K. Scott, The Imperial Cult under the Flavians, Stoccarda-Berlino 1936, pp. 28-31.
Iconografia. - La particolare tendenza dello spirito greco per l'astrazione, creò, sin dal primo arcaismo, il tipo plastico della Nike alata quale ci è noto dalla statua trovata a Delo (v. archermo, IV, p. 35: figura). Le grandi ali inserite sul dorso e le più piccole degli omeri e delle caviglie sono solo un simbolo; la dea non vola ma corre, nello schema ben noto della "corsa in ginocchio", e l'illusione del movimento attraverso l'aria è data da un ingenuo espediente artistico: i piedi della dea restano sollevati dalla terra, rimanendo come sostegno dell'intera figura un lembo della lunga veste ionica. Le fonti letterarie non si accordano per tramandarci il nome dell'artista creatore della Nike alata: alcuni citano il pittore Aglaofonte di Taso, altri Archermo di Chio.
Rappresentazioni di Nike senz'ali non sono esistite: improprio è l'epiteto di Nike Apteros, dato alla dea del tempietto dell'Acropoli di Atene. Il tempio, come ci è attestato dalle iscrizioni, era dedicato ad Atena-Nike, ossia ad Atena, dea della vittoria. La statua del culto era una riproduzione dell'antico xóanon e non aveva le ali proprie delle Nikai dalle quali, in origine, era ben distinta. Ma a poco a poco il tipo di Atena-Nike si confuse con quello di Nike e sorsero sull'Acropoli altre statue - alate - di Atena Nike. È allora che il vecchio idolo senz'ali del piccolo tempio venne designato col nome improprio di Nike Apteros.
Il tipo della Nike, quale ci è conservato nella statua delia, si conserva inalterato, con piccole varianti, per tutto l'arcaismo. È nel secolo V che la rappresentazione subisce un'evoluzione rapida e complessa nella pittura vascolare e in tutte le arti minori, nella statuaria, nel rilievo. I pittori di vasi sono i primi a mettere in valore il carattere eminentemente decorativo della dea e ne rinnovano infaticabilmente la grazia alata nella serie quasi innumerevole delle sue azioni presso i mortali e presso gl'immortali: coppiera nelle riunioni dell'Olimpo, dea della vittoria propriamente detta vicino agli dei, agli eroi e agli atleti vincitori, sacrificante, auriga. Raramente troviamo rappresentazioni di Nike sui vasi a figure nere; ma nei vasi a figure rosse essa appare sempre più frequentemente, dapprima di grandezza eguale a quella delle altre figure rappresentate, poi di proporzioni più piccole (Νιχάδιον), che facilitano la rappresentazione del volo e precisano meglio il ruolo secondario della dea. Contemporaneamente si fanno nella scultura nuovi tentativi per risolvere plasticamente il problema del volo: il principio del movimento laterale è abolito, ed è sostituito da un movimento verticale, dall'alto in basso, in direzione dello spettatore, dapprima timidamente espresso (Nike di Paro e Nike del Palazzo dei Conservatori, del principio del sec. V), ma ben presto culminante - nella seconda metà del sec. V - con la Nike di Peonio di Mende, che può considerarsi la più ardita e perfetta espressione del volo. Il trattamento del panneggio, nell'esagerata trasparenza del corpo sotto le vesti e nell'agitato movimento delle pieghe, appartiene alla stessa corrente postfidiaca cui si deve il gentile coro di Nikai della balaustrata del tempio di Atena-Nike sull'Acropoli, che, nella diversità delle loro occupazioni, costituiscono un vero inno di trionfo. Tipi di Nike in riposo, eretta o seduta, non sono rari: ricordiamo, ad es., le due belle Vittorie della base della Via dei Tripodi, di chiara influenza prassitelica. Al principio dell'ellenismo la Nike di Samotracia, forse donario di Demetrio Poliorcete per la vittoria navale riportata nel 306 presso Salamina di Cipro, ci dà la più viva rappresentazione del volo sul mare. L'arte ellenistica moltiplica le immagini della Vittoria variando all'infinito i tipi creati nell'epoca precedente e trasformandola a volte in figura di genere, specialmente per opera dei coroplasti.
È naturale che gli Etruschi, di cui è ben nota la predilezione per le figure alate, imitassero e interpretassero alcuni tipi della Nike greca; ma è più che incerta l'esistenza del culto della Vittoria in Etruria. Nell'arte romana la rappresentazione della Dea victoria ha una diffusione immensa, corrispondentemente alla sua grande importanza nella religione, in particolare durante l'impero. Tipologicamente, l'arte romana non ha fatto che riprendere, variare e a volte contaminare felicemente tipi già esistenti (ad es., la Vittoria di Brescia o la Vittoria di Lione), mostrando una singolare predilezione per la Vittoria che porta o innalza trofei di armi. Ed è l'arte romana che tramanda all'iconografia paleocristiana questa bella figura alata che, conservando il suo ruolo di messaggera divina, si trasforma in angelo del Signore.
V. tavv. CVII e CVIII.
Bibl.: Oltre agli scritti sopra citati del Bulle, del Baudrillart e del Gagé, cfr.: Fr. Studniczka, Die Siegesgöttin, in Neue Jahrb. f. d. klass. Altert., I (1898); H. Graillot, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités gr. et rom., VI, s. v. Victoria, pp. 845-54; L. M. Ugolini, La Nike di Butrinto, in Bollettino d'arte, 1934, pp. 299-312.