RAMBALDONI, Vittorino de'
RAMBALDONI, Vittorino de’. – Nacque a Feltre, probabilmente intorno al 1378 (secondo Sabbadini, 1928, nel 1373), da Bruto e da Monda Enselmini.
Nel 1396 si recò a Padova per studiare la grammatica, la dialettica e la filosofia. Fu allievo di Pietro Paolo Vergerio il Vecchio, Giovanni Conversini da Ravenna e Gasparino Barzizza. Apprese più tardi il greco, alla scuola di Guarino Veronese (rientrato a Venezia da Costantinopoli, dopo il 1408), con il quale strinse un legame di profonda amicizia che durò per tutta la vita. Insegnò per un anno (nel 1421) a Padova retorica e filosofia, ma sdegnato per i costumi poco corretti dei suoi allievi (Francesco da Castiglione, in Garin, 1958, pp. 536-538) si trasferì a Venezia, dove diresse una scuola frequentata da giovani patrizi.
Alla sua formazione non mancò una componente di carattere scientifico: Rambaldoni mostrò infatti sin da giovane uno spiccato interesse per le scienze naturali e soprattutto per la matematica, e tentò di progredire nello studio di questa disciplina frequentando le lezioni di Biagio Pelacani da Parma (a cui avrebbe offerto servigi personali pur di essere seguito come allievo). Dovette però applicarsi da solo agli Elementi di Euclide e divenne così esperto in quella disciplina da destare la stima e l’ammirazione di molti dotti tra i quali lo stesso Pelacani (Francesco da Castiglione, in Garin, 1958, p. 536).
Nel 1423 fu invitato a Mantova da Gian Francesco Gonzaga, che gli affidò l’educazione dei suoi figli e l’incaricò di dirigere una scuola-convitto nella villa chiamata prima Ca’ Zoiosa, poi, con l’arrivo di Vittorino, Ca’ Giocosa perché adornata di affreschi raffiguranti fanciulli intenti al gioco (Prendilacqua, in Garin, 1958, p. 593).
Va sottolineato il fatto che subito Rambaldoni rivendicò dal Gonzaga piena autonomia nelle scelte educative (Prendilacqua, 1958, p. 593), non ammettendo intromissioni nel suo operato. E in effetti non mancarono occasioni di netta contrapposizione alla volontà del Gonzaga (difese infatti Cecilia, sua figlia, che non volle sposarsi e scelse la vita monastica, e prese le parti di Ludovico incorso nelle ire del padre per aver scelto di arruolarsi con i Visconti contro Mantova e Venezia, Prendilacqua, in Garin, 1958, pp. 645-647).
Nella sua scuola Rambaldoni, che per restare fedele alla sua missione di maestro non si sposò, trascorse la restante parte della sua vita, oltre vent’anni. Ebbe tra i suoi allievi, oltre ai giovani Gonzaga (comprese le donne: Barbara di Hohenzollern poi sposa di Ludovico Gonzaga, Margherita e Cecilia figlie di Gian Francesco), i discendenti di famiglie illustri (da Montefeltro, da Correggio), e dell’aristocrazia intellettuale dell’epoca (tra gli altri i figli di Guarino Guarini, Poggio Bracciolini, Francesco Filelfo); ma accolse anche discepoli meno abbienti, da lui stesso mantenuti. Non pochi di costoro (Sassolo da Prato, Francesco da Castiglione, Francesco Prendilacqua, Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, che ebbe come maestro Ognibene da Lonigo allievo di Vittorino, Vespasiano da Bisticci, Giovanni Andrea Bussi) scrissero biografie del maestro o lasciarono comunque testimonianza del suo insegnamento, e ciò permette di ricostruire contenuti e metodi dell’educazione impartita in questa scuola per adolescenti, che potrebbe corrispondere a un ginnasio-liceo, successivamente abbandonato dagli allievi per altre attività o per un insegnamento superiore.
Al fine di un’integrale formazione della personalità, il «Socrate cristiano», come fu chiamato, cercò innanzitutto di conciliare la formazione classica con una rigida educazione alla fede e alla pratica cristiana, del resto personalmente testimoniate (gli allievi e biografi ne evidenziarono religiosità, pietà, amore e liberalità). La scuola di Rambaldoni era rivolta a una cultura disinteressata, non necessariamente all’esercizio di una professione, ma allo studio delle arti liberali del trivio e del quadrivio che formassero un uomo completo, desideroso di conoscere e di agire nella società che lo circondava, senza ambire al guadagno.
Tra le discipline impartite ebbe rilievo il greco: impose agli allievi la lettura degli autori (Omero, Senofonte, Isocrate, Demostene, Aristofane, Eschilo) nella lingua originale e non solo in traduzione, ed egli stesso raggiunse una «comprensione intima di Platone cui non pervenne nessun altro italiano contemporaneo» (Woodward, 1923, p. 17). Alla Giocosa soggiornarono, tra gli altri, Teodoro Gaza, Giorgio da Trebisonda, Gerardo da Patrasso, Pietro da Retimno in Creta (Cortesi, 1980, p. 107; Ead., 2000 e 2010). Le parentele dei Gonzaga (Cleofe, sorella di Paola, era moglie di Teodoro Paleologo) facilitarono l’acquisizione dei testi necessari. Sulla scia degli ideali umanistici iniziati già nel Trecento, si tendeva a ridurre al minimo l’insegnamento grammaticale mettendo l’alunno in diretto contatto con il testo; né si trattava soltanto di opere letterarie. Il programma degli studi era infatti quello dell’‘enciclopedia’, intesa nel significato greco del termine e cioè di un sapere complessivo comprendente non solo letteratura, storia della filosofia, religione, ma anche matematica, disegno, scienze della natura (Sacchi, in Garin, 1958, p. 684). Quanto agli autori latini, apprendiamo il canone dalle biografie scritte dagli allievi: oltre a Virgilio e Lucano, si leggevano Ovidio, Persio, Orazio, ma non Giovenale («quod aperte nimium et obscene loqueretur», ibid., p. 686); tra i comici, Terenzio e anche Plauto (ma con riserve per la licenziosità del linguaggio); tra gli storici romani, Livio e Sallustio, Cesare e Valerio Massimo (oltre a Erodoto e Plutarco); tra gli autori morali, Seneca e per i principi educativi Quintiliano.
Ebbe rilievo alla Ca’ Giocosa anche l’insegnamento della musica, come attesta l’ex allievo Giovanni da Namur, autore del trattato De ritu canendi vetustissimo et novo. Tra le attività dei giovani, Rambaldoni dava molta importanza alla funzione liberatrice del gioco (che è anche occasione di conoscenza dell’indole dell’allievo) e all’esercizio fisico: elementi che concorrevano alla formazione integrale del ragazzo e su cui si cimentava lo stesso maestro, il quale doveva condividere e partecipare alle attività degli allievi.
Non si trattava quindi solo di una formazione letteraria, ma di uno sviluppo fisico, etico-sociale e intellettuale complessivo rivolto a formare personalità equilibrate. Una componente non meno significativa del metodo di Rambaldoni è la valutazione dell’indole dell’allievo e delle sue capacità, nonché l’attitudine a personalizzare l’insegnamento in ragione dell’età e delle doti. Va infine ricordata la grande importanza assegnata alla memoria (ripetere ciò che si è ascoltato e annotato, memorizzare versi e passi di autori); egli fu definito «monarcha» dell’arte mnemonica.
Non ci sono pervenute sue opere, escluso un piccolo trattato di ortografia destinato all’uso scolastico, utilizzato per introdurre gli allievi all’insegnamento del latino.
Nei primi capitoli sono citati alcuni versi memoriali, che erano molto diffusi nell’insegnamento dei secoli XII e XIII, e vari autori medievali che costituivano un punto di riferimento importante per l’apprendimento del latino, tra i quali Isidoro, Uguccione, Papia, Alessandro di Villedieu, Prisciano. Secondo Remigio Sabbadini molte di queste citazioni provenivano dalla fonte medievale di incerta identificazione da cui Vittorino traeva le notizie e le compendiava nel suo manuale (Sabbadini, 1928, pp. 217 s.). Tra gli autori di testi sull’ortografia del XIV secolo è probabile che Rambaldoni abbia tenuto presente l’opera di Folchino de’ Borfoni, come è testimoniato da alcuni passi che sono riportati alla lettera.
Sono altresì conservate alcune lettere. Una di esse è rivolta ad Ambrogio Traversari (12 dicembre 1432), una (non datata) ad Andrea Correr; cinque sono indirizzate alla marchesa Paola Malatesta tra il 1438 e il 1439 e riguardano per lo più i giovani figli, e una sesta alla medesima (1441) concerne le cure termali che Alessandro Gonzaga si apprestava a praticare ad Acqui Terme. L’unica lettera in volgare è indirizzata, probabilmente nel 1438, a Niccolò da Pusterla.
Morì a Mantova nel 1446.
Negli anni successivi, la direzione della Giocosa fu presa prima da Iacopo da San Cassiano e poi da Ognibene da Lonigo, già allievi di Rambaldoni. Rispecchia in modo pertinente la personalità di Rambaldoni l’immagine, carica di valore simbolico, ritratta nel rovescio della famosa medaglia del Pisanello in cui è raffigurato un pellicano che si squarcia il petto per nutrire i suoi piccoli (Gentile, 1981, pp. 213-231).
Con la scuola della Giocosa sembrò quasi che a Mantova per il numero dei discepoli, la ricchezza dei libri e soprattutto per il tipo di educazione fosse rinata l’Accademia Platonica (Francesco da Castiglione, in Garin, 1958, p. 546).
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