GIOANETTI, Vittorio Amedeo
Nacque a Torino il 31 ott. 1729 da Giovanni Pietro e da Clara Teresa Marchetti, primo di sette figli. Il casato, borghese, all'inizio del Settecento aveva già una notevole tradizione imprenditoriale e commerciale; il padre fu funzionario dell'intendenza generale delle Gabelle, direttore dell'Azienda generale del tabacco e decurione di Torino. Portato fin da fanciullo agli studi scientifici e matematici, per obbedire al genitore il G. frequentò i corsi di medicina nell'Università della capitale sabauda, dove insegnavano personalità significative in scienza e medicina, fra le quali G.B. Beccaria e V. Donati. Conseguì la laurea nel 1751, e il 29 marzo 1757 fu aggregato al Collegio medico presentando più tesi su vari argomenti (la composizione del sale ammoniaco, la luce, difetti della vista: miopia, presbiopia, strabismo). Il G. ottenne poi una condotta presso Torino, nella zona detta Regio Parco, insalubre per l'umidità dovuta alla confluenza di più fiumi, dov'erano attive diverse manifatture, fra cui quelle regie dei tabacchi e della carta; particolarmente fra gli strati popolari si fece una buona fama di medico, preciso nelle diagnosi, avverso alle flebotomie esagerate e incline ai rimedi minerali più moderni. Fu medico condotto per 18 anni, con lo stipendio di 600 lire annue, e per venticinque svolse il ruolo non retribuito, ma certo professionalmente significativo, di capo dell'ufficio del Protomedicato. Al momento di essere rilevato nella carica da G.P.M. Dana (1784) gli fu proposta una pensione di 300 lire annue, poi fissata dal magistrato della Riforma nella modestissima misura di 150 lire.
L'interesse prevalente nel G. fu quello per la chimica, che prima lo portò a frequentare un'officina farmaceutica per apprendere le procedure pratiche, poi a creare un'officina propria, divenuta laboratorio d'analisi e ricerca. Durante i molti anni in cui fu consigliere del Protomedicato, e ancora quand'era ormai impegnato a fondo nella manifattura di porcellane della quale si dirà, il G. fu chiamato a dare il proprio parere di chimico provetto su molte questioni poste dal sovrano o da amministrazioni dello Stato. Gran parte dei quesiti erano di modesta rilevanza, ma in altri casi le sue valutazioni ebbero notevoli conseguenze. Sul piano economico furono importanti le sue indagini su vari minerali di piombo, che i chimici del Regio Arsenale ritenevano ricchi di argento. Davanti alla prospettiva d'uno sfruttamento oneroso il segretario alla Guerra commise al G. un'analisi dei minerali, da cui risultò che il tenore d'argento non avrebbe nemmeno ricompensato le spese di coltivazione dei giacimenti. Così pure rilevanti conseguenze economiche ebbe l'analisi del sale di Moutier, che il re di Sardegna consegnava alla Svizzera in base a un trattato vincolante. La controversia era nata dall'insorgere d'un morbo, che i medici svizzeri attribuivano al sale importato dalla Savoia. Su invito del ministro degli Interni il G. dimostrò che il sale immagazzinato a Berna (per un valore di oltre un milione di lire) era di ottima qualità, e privo di impurità dannose da eliminare con gravosi processi. Va infine ricordato un intervento in una vicenda giudiziaria, rimasto a lungo nella memoria popolare: poco dopo il 1780 l'avvocato d'un detenuto condannato a morte come avvelenatore chiese al G. una perizia; questa fu favorevole all'accusato, che infine fu assolto dal Senato cittadino.
Vi sono quindi numerose testimonianze del suo valore come chimico, ma la sua attività di laboratorio non fu chiusa nei limiti del risultato puramente pratico. Il suo principale contributo scientifico fu consegnato alle stampe nel 1779, in un volume dedicato al conte C.B.F. Perrone di San Martino, ministro di Stato e allora reggente la segreteria degli Affari esteri (Analyse des eaux de S. Vincent et de Courmayeur dans le Duché d'Aoste, avec une appendice sur les eaux de la Saxe, de Pré S. Didier, et de Fontane-More, contenant plusieurs procédés chymiques nouveaux utiles pour l'analyse des eaux minéralesen général et pour celle des sels, Turin 1779). Si trattava del resoconto dettagliato di analisi su diverse sorgenti nel Ducato d'Aosta, rinomate per le proprietà terapeutiche, commesse al G. dal sovrano stesso su suggerimento del conte Perrone. I prelievi dei campioni delle acque minerali furono eseguiti nel luglio e nell'agosto 1778; non era la prima volta che le sorgenti valdostane erano prese in considerazione dai chimici, ma i risultati presentati nel volume andavano ben oltre i semplici dati empirici pubblicati in precedenza. I dati sui prelievi e quelli analitici non si discostavano dal miglior livello del tempo, ma i chimici, anche all'estero, furono interessati dall'attenzione per la purezza dei reattivi impiegati, più volte fatta rimarcare dall'autore agli "analystes" (pp. 2, 45). Per le sorgenti più importanti, ai dati analitici egli fece seguire quelli sull'uso terapeutico: scrisse che l'acqua della sorgente della Saxe era, quanto a potabilità, adatta solo ai cavalli, mentre poteva servire come "eccellente rimedio contro le malattie cutanee" (pp. 93 s.). Il G. si mostrò perfettamente al corrente della già vasta letteratura scientifica internazionale; in anni ancora lontani dall'influenza della coterie di A.-L. Lavoisier, si riferì con ammirazione all'opera del grande chimico francese (pp. 2, 14). In corso d'opera, infine, descrisse nuovi procedimenti analitici e fornì le prove che la cosiddetta magnesia di Milano, usata in farmacia, altro non era che gesso calcinato. Lo scrupolo metodologico del G. e l'ampiezza dei suoi risultati non sfuggirono all'attenzione dei contemporanei; varie opere elogiarono le sue analisi delle acque e i metodi da lui proposti; valgano per tutti i nomi importanti di L.-B. Guyton de Morveau e di A.-F. de Fourcroy. D'altra parte lo stesso G. aveva inviato una copia della sua opera ai più noti chimici del tempo, italiani ed europei, ricevendone "lettere di sincera congratulazione" (Ghiliossi, Elogio, p. 7 del manoscritto). La parte più curiosa delle ricerche del G. in Val d'Aosta, riguardante i fenomeni luminosi attribuiti a una sorgente, fu pubblicata in seguito su un'importante rivista parigina (Sur lasource phosphorique de Fontaine More, in Journal de physique, 1780, p. 493).
Le spese per i sopralluoghi, le analisi e la messa a stampa dell'Analysedes eaux deS. Vincent et de Courmayeur ammontarono a 3000 lire, gravate interamente sul G., che dal re ebbe solo un ringraziamento e un'agevolazione per l'acquisto della carta presso la manifattura reale. Ai costi in termini di tempo e di spese vive delle attività svolte per il governo corrisposero però la bontà dei risultati e il loro grande valore economico; il prestigio del G. come chimico crebbe talmente che giunse a guadagnare "annualmente e senza gran fatica" (Bonino, p. 351) la cospicua cifra di 3000 lire con l'esercizio del laboratorio di analisi. La sua fama scientifica fu tale che, come si dirà, in una particolare circostanza del 1776 il sovrano gli promise d'istituire per lui una cattedra di chimica nell'Università di Torino. Tuttavia la cosa non si concretò (secondo G. Carena, segretario della classe di scienze matematiche e fisiche dell'Accademia di Torino, "fama è che un potente personaggio […] fosse dominato più che a tanto magistrato si convenisse, dalla volgare opinione, che la Chimica fosse vanissima scienza, altrettanto presontuosa nel suo scopo, quanto nelle sue operazioni pericolosa": Elogio, p. 128). Il re ritornò sulla decisione e la prospettiva d'una cattedra così innovativa per l'Università subalpina si allontanò per un'intera generazione (fu istituita nel 1800 per G.A. Giobert). Chiusa la via accademica, il G. si orientò altrimenti. Le capacità tecniche, il buon livello economico, la tradizione imprenditoriale della famiglia lo portarono a porsi un traguardo assai arduo, quello d'una manifattura industriale di porcellane, in perfetta sintonia con le ambizioni europee della casa regnante.
La produzione di porcellane di qualità comparabile a quelle dell'Estremo Oriente era stata a lungo un problema insoluto in Europa. Il valore dei pezzi in porcellana andava oltre il prezzo, altissimo, coinvolgendo il prestigio dei possessori e, ancor più, del governo che ne favoriva la produzione. Dopo la produzione delle prime vere porcellane di pasta dura tra 1708 e 1709 da parte di Johann Friedrich Böttger, un arcanista al servizio dell'elettore di Sassonia Augusto il Forte, a Torino essa era iniziata sporadicamente nel 1737, sotto Carlo Emanuele III, per iniziativa della famiglia Rossetti, con l'utilizzo di caolino importato nascostamente dalla Sassonia. Si era però consolidata solo con la creazione, ad opera del marchese Francesco Ludovico Birago, d'una manifattura a Vische, che dal 1766 dette infornate di qualità. Nel 1768 però la società si era sciolta, e attrezzature e materiali erano divenuti proprietà del maggiore creditore, Giovanni Vittorio Brodel, sindaco dei sensali di Torino. Nel 1775 costui aveva ottenuto da Vittorio Amedeo III di stabilire una nuova manifattura nel castello di Vinovo; nel 1776 si ebbero le regie patenti per Brodel e il suo socio Pierre-Antoine Hannong di Strasburgo, un arcanista geniale. A questo punto si ebbe una prima e significativa interferenza con i progetti tecnologici e imprenditoriali del G., che aveva seguito con attenzione gli sviluppi incerti dell'impresa del marchese Birago. In attesa che scadessero le privative concesse al nobile, egli aveva ottenuto dal sovrano, il 1° nov. 1774, patenti per fabbricare "vasi di grez o porcellana semivetrificata internamente ed esternamente", e il 27 maggio 1775 aveva avuto in enfiteusi dalla città di Torino il diritto di utilizzare le acque della Stura per azionare una grande ruota motrice, da impegnare nella frantumazione e polverizzazione delle terre. La ruota, progettata dallo stesso G., doveva essere montata in un edificio fatto da lui costruire su terreno preso in fitto presso la confluenza della Stura nel Po. Nonostante l'impegno finanziario raggiungesse le 12.000 lire, il favore del sovrano andava a Hannong, un avventuriero affascinante e tecnicamente abilissimo, malamente compromesso a Parigi per la dissipatezza e per avervi lasciato in grave dissesto una precedente manifattura. Nella situazione complessa che si creò il G. fu anche invitato ad associarsi all'Hannong, ma informazioni negative avute dal famoso chimico parigino P.-J. Maquer lo dissuasero, ed egli accettò di rinunciare ai suoi diritti per un vitalizio di 600 lire annue, cifra esigua se confrontata con l'ingente investimento, che andò completamente perduto. Fu allora, per ottenere la desiderata rinuncia, che fu fatta al G. la promessa della cattedra di chimica.
Per l'insipienza di Brodel e la malaccorta gestione di Hannong dopo appena quattro anni la loro impresa fallì, malgrado si fosse mostrata in grado di produrre in buona quantità pezzi di porcellana di ottima qualità e di buon valore artistico. Nel gennaio 1780 la fabbrica di Vinovo fu posta sotto sequestro; le successive aste pubbliche misero all'incanto i beni dell'impresa di Brodel e Hannong, fra cui decine di migliaia di pezzi, in gran parte maioliche. Fra gli acquirenti più assidui vi fu il G., che si accaparrò moltissimi pezzi, anche non finiti o difettosi, nella prospettiva d'una ripresa dell'attività.
Il 12 luglio 1780 gli furono rilasciate nuove patenti, e nello stesso anno egli si trasferì da Torino a Vinovo. Al momento del fallimento l'impresa di Brodel e Hannong occupava trentacinque persone (manovali, modellatori, pittori). Tra essi v'era anche un "Canavero Michele, Chimico"; dato che il G. riprese l'attività di Brodel e Hannong impiegando il loro personale, e utilizzando per anni i prodotti non finiti della gestione precedente, si può credere che ne avesse qualche aiuto negli innumerevoli esperimenti che portarono a netti miglioramenti della qualità della pasta ceramica, all'uso di nuovi colori e alla diminuzione dello spessore dei pezzi. Nel maggio 1794 il G. ampliò la manifattura acquistando per 3000 lire un edificio con annesso terreno, adatto per impiantare una fabbrica di vasellame che si diceva alla foggia di quello d'Inghilterra, cioè di maiolica. La nuova manifattura, situata nel borgo vecchio di Barge, doveva produrre maioliche in grado di reggere la concorrenza dei pezzi di tipo Wedgwood, a pasta bianca, leggera e resistente al calore, divenuti di gran moda anche in Italia verso la fine del Settecento. Il successo, se non commerciale, certamente tecnico della manifattura diretta dal G. fu confermato durante l'occupazione francese del Piemonte, quando due successivi decreti (24 sett. 1800 e 7 genn. 1801) attestarono che il "Cittadino Medico Collegiato V. Amedeo Gioanetti [aveva] introdotto e portato e un grado di perfezione la fabbricazione della porcellana in questo Stato". I decreti gli confermarono i privilegi già avuti dal sovrano sabaudo, e gli concessero l'uso del castello di Vinovo vita natural durante.
Secondo la tradizione dei "secreti" il G. non descrisse mai né le complesse procedure di preparazione e maturazione della pasta impiegata nella produzione delle porcellane né i metodi di preparazione delle pitture finissime usate nelle decorazioni. Tuttavia gli stessi pezzi prodotti testimoniarono direttamente e in modo duraturo la bravura scientifica e tecnica del creatore. In seguito ripetute analisi hanno chiarito la singolare composizione magnesiaca delle porcellane del G., mentre gli esami dei collezionisti hanno messo in luce che, dopo un primo periodo in cui la produzione della sua manifattura risultò indistinguibile da quella dell'impresa di Brodel e Hannong, l'uso di nuove materie prime, di nuove paste e di altri miglioramenti tecnici portò la porcellana vinovese a reggere perfettamente il confronto con la più acclamata produzione europea, e a imitare agevolmente la produzione orientale. Delle ampie ricerche del G. sulle terre piemontesi adatte alla produzione di maioliche e porcellane rimane - unica traccia - un inventario di 21 terre, argille e quarzi, comunicato da lui all'amico conte G.I. Ghiliossi di Lemie, e da questi trascritto nell'elogio funebre.
Le marche che contraddistinsero le porcellane di Vinovo (una V sormontata da una crocetta, di color turchino), stabilite dalle regie patenti del 1776, furono utilizzate anche dal G., con l'aggiunta in certi casi delle iniziali D. G. (per "Dottor Gioanetti"). Molte sono le testimonianze del prestigio goduto dalle sue porcellane. Del massimo valore è il costante interessamento di A. Brongniart, preposto da Napoleone alla direzione delle manifatture di Sèvres. Il chimico e naturalista francese, maggiore esperto del campo, arricchì le collezioni di Sèvres con numerosi esemplari provenienti da Vinovo, inviatigli da diversi corrispondenti, inclusi il prefetto del Dipartimento del Po e lo stesso Gioanetti. Per di più Brongniart non solo chiese e ottenne nel 1807 che il G. gli svelasse la composizione della pasta utilizzata per le porcellane, ma fece eseguire a Sèvres diversi esperimenti sulla coloritura dei pezzi prodotti a Vinovo, e nel 1809 fece fabbricare campioni di ceramiche con le stesse terre usate dal Gioanetti. Il giudizio dell'esperto francese fu molto positivo, per la qualità del prodotto finale e la bassa temperatura di cottura.
Il G. fu membro della R. Accademia delle scienze di Torino fin dalla fondazione nel 1783, e dal marzo del 1805 della R. Accademia di agricoltura, allora denominata Società centrale di agricoltura. Di natura fondamentalmente modesta, e schivo, il suo contributo alla scienza e tecnica italiane sarebbe stato maggiore se, non seguendo fino in fondo la tradizione dei "secreti", avesse pubblicato i suoi numerosissimi risultati sui giornali scientifici, a cui pure aveva accesso.
Il G. passò gran parte della sua vita da scapolo, ma in tarda età visse una seconda e forse inaspettata giovinezza. Il 24 ott. 1799 sposò nel duomo di Torino, con dispensa delle pubblicazioni, Anna Maria Battaglino, di 28 anni. Meno d'un mese dopo la giovane sposa diede alla luce Clara Margherita, la prima di otto figli la cui nascita allietò la tardiva, ma fertile e sana famiglia del G. fino alla fine dei suoi giorni.
Al momento della sua morte, avvenuta per affezione catarrale in Vinovo il 30 nov. 1815, l'ultima figlia, Angela Caterina, era nata da appena un giorno e tutti gli altri figli erano viventi.
Fonti e Bibl.: La forma corretta del cognome, testimoniata dall'unico autografo conosciuto, rintracciato da V. Brosio presso l'Archivio storico della città di Torino, è sempre confermata dai documenti e pubblicazioni del tempo. Il G. è ritratto in una bella litografia di Felice Festa, inserita nel volume di M. Paroletti e più volte ripresa in opere successive. Un'ampia documentazione della sua attività imprenditoriale si trova nell'Archivio di Stato di Torino e nell'Archivio storico della città di Torino. L'Accademia di agricoltura di Torino conserva il manoscritto dell'Elogio del G. di G.I. Ghiliossi di Lemie, con due incisioni (tratteggiate al pastello dall'autore) d'un vaso donato dal G. allo stesso conte Ghiliossi. Una quantità notevole di documenti parrocchiali, notarili e amministrativi riguardanti la vita privata e l'attività imprenditoriale del G. è riprodotta fotograficamente nei volumi di Donna d'Oldenico e Brosio. Mentre le porcellane superstiti del G. sono patrimonio prezioso delle migliori collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, nulla è rimasto delle attrezzature e degli impianti operanti nel castello di Vinovo.
Un bibliografia quasi completa degli scritti sul G., figura sottovalutata dagli storici della chimica, che gli dedicano brevi cenni, è in G. Provenzal, Profili bio-bibliografici dichimici italiani, Roma [1938], p. 51. Degli scritti sul G. vanno ricordati: G. Carena, Elogio del dottore V.A. G., in Memorie dellaR. Accademia delle scienze di Torino, XXIII (1816), pp. 113-142; G.I. Ghiliossi di Lemie, Elogio del professore di medicina V.A. G. approvato dalla R. Società agraria nell'adunanza 13 aprile 1818, Torino 1818; M. Paroletti, Vita e ritratti di sessantapiemontesi illustri, Torino 1824, s.v.; G. Bonino, Biografia medica piemontese, II, Torino 1828, pp. 340-362; A. Sobrero, Memoria sulle porcellanediVinovo, in Atti della R. Accademia delle scienzedi Torino, s. 2, II (1867), pp. 221-225; M.G. Vignola, Delle majolichee porcellane in Piemonte, in Curiosità e ricerchedi storia subalpina, III, Torino 1879, pp. 454-479, 561-592; I. Guareschi, G., V.A., in Supplemento annuale alla Enciclopediachimica, XXVIII (1912), pp. 453-455 (con un giudizio troppo severo); O. Mattirolo, V.A. G. medico e chimico creatore della porcellana detta di Vinovonel bicenterariodella sua nascita, in Rass. municipalemensile (Torino), maggio 1930 (estr.); E. Donna d'Oldenico, Leporcellane di Vinovo, Torino 1963, passim; V. Brosio, Rossetti, Vische, Vinovo. Porcellane e maioliche torinesi del Settecento, Milano 1973, passim; G. Pedrocco, Scienziati piemontesi nell'evoluzione della chimicasettecentesca, in G.C. Calcagno - V. Pallotti - G. Pedrocco, Scienze e tecnologie in Europanell'età moderna, Bologna 1979, pp. 15-83 (in partic. pp. 53 s., 56, 64); F. Abbri, De utilitate chemiae in oeconomia reipublicae. La rivoluzionechimica nel Piemonte di antico regime, in Studi storici, XXX (1989), pp. 401-433 (in partic. p. 425)