VITTORIO AMEDEO I di Savoia
VITTORIO AMEDEO I di Savoia. – Nacque l’8 maggio 1587 a Torino nel palazzo ducale, «nella stanza medesima dove [...] non solo il principe maggiore ma tutti gli altri e le principesse nacquero» (Archivio di Stato di Torino, V. Castiglione, Historia..., parte I, p. 11). Secondogenito del duca Carlo Emanuele I e di Caterina d’Asburgo, ricevette per la prima volta nella storia della dinastia il doppio nome Vittore (poi Vittorio) Amedeo, per essere nato nel giorno di san Vittore, martire tebano protettore della città di Torino, e per un voto al beato Amedeo IX, che la madre aveva fatto in gravidanza. Da allora il nome Vittorio si affermò nell’onomastica della dinastia sabauda.
Fu battezzato pochi giorni dopo la nascita perché si temeva per la sua salute. Il 12 maggio era stato battezzato il fratello maggiore, nato l’anno prima, ma, «poiché dal 25 Vittore mostravasi alquanto indisposto, ordinò il padre che non gli fosse ritardato il sagramento del battesimo» (ibid., parte I, p. 12). Portato al fonte battesimale, in presenza del nunzio apostolico, dal vescovo di Aosta, ebbe come padrino e madrina Enrico di Savoia Nemours marchese di San Sorlino e Matilde di Savoia, figlia naturale di Carlo Emanuele I.
L’infanzia del principe trascorse tra le cure materne. Ad affiancare la madre fu chiamata come tutrice Maria Tassis, poi sostituita da un gruppo di illustri maestri: Giovanni Botero per l’insegnamento della storia, lo spagnolo Pietro Leone per le scienze e Giovanni Battista Lavagna, cosmografo del re di Spagna, per la matematica. La formazione spagnola ne plasmò l’indole, mentre la madre lasciò traccia nel suo aspetto fisico: «faccia longa et olivastra severa simile all’Infanta Catalina. Alto di statura, di corpo tutto nervoso, nero di chioma, con difetto di asma o sia brevità di respirazione, portata dalla nascita» (ibid., parte II, p. 377). La salute instabile lo portò ad allenare il fisico, prima di calcare i campi di battaglia, passando alla storia come uno dei membri della sua dinastia più appassionato e dedito alle battute di caccia, che costituivano, insieme, una tipica forma di loisir e uno dei rituali previsti dai calendari della corte.
Nel 1602 il re di Spagna, nonostante l’opposizione del potente duca di Lerma, assegnò a Vittorio Amedeo il priorato melitense di Crato, che dipendeva dalla lingua di Castiglia (Bolla di papa Clemente VIII di collazione del Priorato del Crato in Portogallo a favore del principe Vittorio Amedeo di Savoia, 29 luglio 1602, in Archivio di Stato di Torino, Corte, Corti estere, Portogallo, mz. 1, n. 1), e al fratello Emanuele Filiberto il gran priorato di Castiglia. La concessione dei benefici legati al priorato rappresentava un primo significativo passo per ottenere il viceregno del Portogallo, la cui attribuzione a Vittorio Amedeo era nelle intenzioni di Filippo III. Al futuro duca era stato, così, prospettato un destino al servizio della Spagna nell’alveo dell’ambitissimo sistema degli onori dell’Ordine di Malta e con la garanzia di una precisa rendita economica, attestata almeno fino agli anni a ridosso della successione al padre (documenti dal 1613 al 1628, ibid., mz. 1, n. 2).
Rimasto orfano di madre a dieci anni, nel 1603 partì con i fratelli Filippo Emanuele ed Emanuele Filiberto per Madrid, in un viaggio di formazione voluto dal padre, che sperava di raccogliere attraverso i figli l’eredità della Corona di Spagna, all’epoca scoperta nella discendenza maschile da Filippo III. Ad accompagnare i giovani principi furono Sigismondo d’Este marchese di Lanzo in veste di governatore, Carlo Federico Valperga conte di Masino come gran scudiere, Botero, già istruttore dei principi a Torino, e Giovanni Francesco Fiocchetto, medico di corte e affezionato consigliere del duca. Carlo Emanuele I arrivò con loro fino a Nizza, da dove i principi si imbarcarono con il seguito di cortigiani e istruttori fino a Barcellona, ove giunsero il 23 giugno 1603. Nel 1605, mentre un’epidemia di vaiolo colpiva i tre principi sabaudi, nacque l’erede al trono di Spagna, Filippo IV.
Nel 1606, morto per il contagio e sepolto all’Escorial il primogenito Filippo Emanuele, il duca Carlo Emanuele I, deluso per l’inefficacia della missione spagnola dei figli, richiamò in Piemonte Vittorio Amedeo, rimasto erede al trono, ed Emanuele Filiberto. Lo stesso anno i tre fratelli minori, Emanuele Filiberto, Maurizio e Tommaso, giurarono fedeltà al diciannovenne Vittorio Amedeo, ormai principe di Piemonte in qualità di erede al trono (Archivio di Stato di Torino, Corte, Cerimoniale, Avvenimento alla corona, mz. 1); nell’occasione fu assegnato al principe come segretario Giovan Domenico Pasero, che avrebbe mantenuto la carica sino al 1634 (Corte, Protocolli ducali, Serie rossa, reg. 264). Nel 1607 il duca fece ripetere nel duomo di Torino la cerimonia del giuramento di fedeltà al principe di Piemonte da parte della città e dei rappresentanti delle comunità degli Stati sabaudi, come aveva già fatto nel 1602 a favore del primogenito. In questo modo, il giovane inaugurò ufficialmente la sua partecipazione alla condotta politica paterna.
Nello stesso 1607 uno dei fratelli, il principe Maurizio, fu creato cardinale, garantendo ai Savoia il sostegno della S. Sede, che si rafforzò l’anno dopo, quando Carlo Emanuele I riuscì a far sposare la figlia Margherita con il figlio del duca di Mantova e la figlia Isabella con il figlio del duca di Modena. Le due cerimonie si svolsero a Torino e si conclusero con il viaggio compiuto da Vittorio Amedeo e dal fratello Emanuele Filiberto per accompagnare le due sorelle alle rispettive corti.
La morte del duca di Mantova aprì tuttavia presto lo scenario della prima guerra del Monferrato (1613-17), dopo che era fallito un tentativo di accordo per cedere la reggenza nel Ducato gonzaghesco a Maria, figlia di Margherita di Savoia, presso la quale il fratello Vittorio Amedeo era tornato a perorarne la causa. Il principe sabaudo si trovò dapprima a svolgere a Torino le funzioni di reggente del Ducato di Savoia, poi a combattere con il padre, ora alleato alla Francia, non senza subire il ricatto del governatore spagnolo di Milano e l’ammonizione del re di Spagna a far deporre le armi. A Madrid, dove Vittorio Amedeo era stato educato con i fratelli, si tentò invano anche di combinare il suo matrimonio con una delle figlie del re Filippo III. L’attacco dell’esercito spagnolo a Vercelli e ad Asti vide però scendere in campo anche il principe sabaudo, che si distinse nella difesa della Savoia contro il duca di Nemours, il quale agiva d’intesa con il governatore di Milano, e nell’occupazione del principato di Masserano per bloccare l’avanzata degli spagnoli da Milano. Conclusa la guerra con un nulla di fatto per i Savoia, si organizzarono le nozze di Vittorio Amedeo con la sorella di Luigi XIII, Cristina di Borbone.
Nel 1618, all’avvio della guerra dei Trent’anni, la scelta di campo del duca Carlo Emanuele I, in coerenza con le ultime vicende, fu dunque quasi obbligata. L’alleanza con la Francia fu sanzionata dal matrimonio del principe ereditario. Nel 1618 fu così inviata a Parigi una delegazione formata dal cardinale Maurizio di Savoia, dal presidente del Senato Antoine Favre, dal vescovo di Annecy Francesco di Sales, dal vescovo di Saluzzo Ottavio Viale e da Filiberto Scaglia conte di Verrua. L’11 gennaio 1619 furono sottoscritti al Louvre i capitoli matrimoniali. Il 6 febbraio giunse a Parigi Vittorio Amedeo, accompagnato dal fratello Tommaso, e il 10 febbraio fu celebrato il matrimonio. Rientrati i principi a Torino, la politica di Carlo Emanuele I si fece sempre più filofrancese. Anche il principe Tommaso sposò una principessa francese e il cardinale Maurizio accettò il protettorato della Corona di Francia.
Solo nel 1623, tuttavia, si concluse una lega tra Francia, Repubblica di Venezia e Ducato di Savoia, volta a sottrarre alla Spagna il controllo della Valtellina, fondamentale arteria di comunicazione fra la penisola italiana e il mondo germanico. Nel 1625 maturò poi il sogno di Carlo Emanuele I di conquistare Genova, fondamentale alleata finanziaria della Spagna. Vittorio Amedeo fu allora incaricato di procedere con le truppe lungo la riviera di ponente proteggendo Oneglia, che era stata assalita dai genovesi. Conquistata la costa da Ventimiglia a Finale, fu costretto a una ritirata dall’avanzata degli spagnoli. Raggiunta successivamente Parigi, per persuadere l’alleato francese a proseguire la campagna contro i territori lombardi, restò deluso dalla fredda accoglienza ricevuta da Luigi XIII. Il trattato di Monzon (1626) restituì infine Oneglia ai Savoia, ma congelò allo status quo la situazione dei confini fra Ducato e Repubblica genovese.
Nel 1627, alla morte senza eredi di Vincenzo II Gonzaga, riemerse la questione della successione al Ducato di Mantova, che innescò la seconda guerra del Monferrato (1628-31). I Savoia si schierarono, questa volta, con le truppe spagnole, e padre e figlio scesero ancora insieme in campo. A nulla valse, però, che Vittorio Amedeo fosse stato inviato presso Luigi XIII, per ristabilire la pace. Diverse piazzeforti piemontesi furono occupate e assediate. Il conflitto portò a una forte instabilità nei rapporti fra Francia e Spagna e pochi vantaggi ai Savoia nella conquista di nuovi territori, limitati alle città di Trino e Alba; pesante risultò, piuttosto, la perdita di una piazzaforte importante come Pinerolo, che fu ceduta alla Francia per diversi decenni (pace di Cherasco, 6 aprile 1631). Era il tangibile segnale di un nuovo equilibrio nei rapporti di forza a livello continentale, cui gli Stati sabaudi erano inevitabilmente chiamati ad adeguarsi.
Alla morte di Carlo Emanuele I, nel 1630, già divenuto padre, ma di una sola figlia femmina, Ludovica, futura moglie del principe Maurizio, Vittorio Amedeo salì al trono. Dopo un turbolento cinquantennio, l’imperativo che ispirò i primi atti politici del duca fu quello di cercare di porre rimedio agli effetti più negativi della spregiudicatezza paterna. Nel 1630 anche il Ducato di Savoia era stato colpito dalla pestilenza, penetrata in Italia al seguito degli eserciti coinvolti sui vari campi della guerra dei Trent’anni. A causa del diffondersi dell’epidemia, nel giugno del 1631 il duca, abbandonando le trattative per la pace, si trasferì, con parte della corte, a Moncalieri; in ottobre passò a Carignano, dove si fermò fino all’inizio di febbraio del 1632. Erano falliti, intanto, i tentativi dei due fratelli del duca, Tommaso e Maurizio, illusisi di poter trattare con la Francia la riconquista sabauda di Ginevra e il riconoscimento ai Savoia del titolo regio su Cipro. Vittorio Amedeo I assunse comunque dal 1632 il titolo di Sua Altezza Reale arrogando per sé e per la propria dinastia l’eredità della sovranità su Cipro, titolo che invano aveva chiesto che gli fosse riconosciuto durante le trattative della pace di Cherasco.
Rientrato a Torino nel 1632, il duca si appoggiò ad alcuni fidati funzionari, cresciuti sotto il governo paterno: il gran cancelliere Giovanni Piscina, i primi segretari di Stato Giovanni Tommaso Pasero e Giovanni Carron di San Tommaso, il generale delle Finanze Giovanni Domenico Furno, il generale delle Poste Andrea Pellegrino e Lelio Cauda. La vecchia nobiltà (i Dal Pozzo, gli Scaglia, i Villa, i Piossasco, i Provana, gli Chabod de Saint Maurice) continuò, in ogni caso, a monopolizzare i grandi uffici di corte e le maggiori cariche diplomatiche e militari, mentre cominciava a delinearsi la fortuna dei San Martino d’Aglié, destinati a dominare la vita politica del Ducato sotto la successiva reggenza di Cristina di Borbone.
Il 1632 fu anche l’anno in cui nacque il primo figlio maschio del duca, Francesco Giacinto, che avrebbe ereditato il Ducato se non fosse morto nel 1638, lasciando l’eredità al secondo maschio, Carlo Emanuele. Seguirono le nascite di tre altre femmine: Margherita Violante nel 1635, andata in sposa a Ranuccio II Farnese; Enrichetta Adelaide nel 1636, unitasi in matrimonio a Ferdinando Maria di Baviera; e Caterina Beatrice, anch’essa nel 1636, ma defunta già l’anno successivo.
La volontà ducale di prendere le distanze dal passato prossimo si rivelò in una serie di provvedimenti interni di natura economica e finanziaria. Il duca concentrò nella Camera dei conti l’attività di revisione contabile e d’interinazione degli atti sovrani in materia finanziaria, restituendo fiducia ad alcune figure messe al bando dal padre, come l’ex primo segretario di Stato Pierre-Leonard Roncas e Carlo Giacinto Simiane marchese di Pianezza.
La riforma monetaria del 30 aprile 1632 rivalutò la lira d’argento piemontese generalizzando nei conti pubblici l’uso delle lire e dei sottomultipli, soldi e denari. L’obiettivo era quello di azzerare i debiti delle Comunità, impoverite dalle guerre e dalle pestilenze, restituendo certezza alle transazioni. Si avviò, inoltre, una generale revisione dei crediti e dei debiti comunitari, che si scontrò con un limite fondamentale: il fatto che il sistema fiscale gravasse in massima parte sui soli beni fondiari che risultavano iscritti a catasto. Le guerre e le carestie avevano, in realtà, provocato danni demografici, inducendo a diverse rinunce di eredità pur di sfuggire agli oneri fiscali previsti. Nel 1633 si cercò, perciò, di sgravare le imposte sui beni immobili, ricorrendo massicciamente alle tasse sui consumi. La sperimentazione di questa nuova ripartizione fiscale non risollevò, tuttavia, le condizioni economiche delle Comunità, giovando piuttosto a quel ceto di appaltatori che, anticipando il gettito fiscale allo Stato, finivano per essere i massimi creditori delle Comunità lucrando sui guadagni e talvolta rivestendo contemporaneamente il ruolo di amministratori.
Il breve intervallo di pace (1631-35) servì, inoltre, al duca per riordinare il sistema giudiziario. Nel 1632 fu soppressa una classe di senatori e si stabilì che in Senato potessero accedere soltanto coloro che fossero stati già per almeno tre anni senatori a Nizza o per cinque anni prefetti, per dieci avvocati, o professori universitari. Il duca pretese, inoltre, che i giudici signorili, con giurisdizione sulle terre feudali, dovessero superare l’approvazione del Senato. Nei confronti delle ingerenze ecclesiastiche, poi, Vittorio Amedeo I contrastò le intromissioni dei nunzi pontifici difendendo l’autorità dei propri rappresentanti nei conflitti con i vescovi e impegnandosi sul fronte delle immunità fiscali e dei contrasti giurisdizionali.
Nel 1635 nacque un’istituzione che avrebbe segnato la politica difensiva dello Stato: il Consiglio delle fabbriche e fortificazioni, destinato a gestire la politica urbanistica civile e l’ingegneria militare codificando dall’alto i progetti e i criteri costruttivi. Non fu infine privo di significato, in quegli anni, il rilancio complessivo dei commerci, in particolare nel Nizzardo, grazie alla liberalizzazione delle esportazioni di alcuni prodotti, soprattutto le sete gregge.
L’incalzare delle vicende internazionali, tuttavia, prese presto nuovamente il sopravvento. Nel 1635 la corte accolse il letterato Fulvio Testi che, in veste d’inviato estense, chiese l’appoggio del duca sabaudo nella questione dell’erigenda fortezza di Modena, contrastata da papa Urbano VIII. Lo stesso anno Vittorio Amedeo I inviò a Madrid l’ambasciatore Ludovico Forni con l’ordine di ricucire i rapporti con la Spagna, concordando una neutralità armata del Piemonte nel confronto fra Borbone e Asburgo. Il tentativo, tuttavia, non riuscì, mentre cresceva la consapevolezza che il re di Francia stesse rafforzando i confini lungo l’asse alpino. Rifatte le fortificazioni di Vercelli, raddoppiati i terrapieni di Cherasco, aggiunti bastioni alla città di Alba, il duca fece avviare lavori alla fortezza savoiarda di Montmélian, e all’ingegnere militare Carlo di Castellamonte fu commissionato di aggiungere una cortina bastionata all’addizione della pianta di Torino (la cosiddetta città nuova), voluta dal padre Carlo Emanuele.
All’interno della corte torinese erano già maturati due schieramenti, l’uno favorevole all’alleanza con la Francia, l’altro propenso a stringere accordi con la Spagna, verso la quale si era spinto in particolare il principe Tommaso che, dopo aver lasciato la carica di governatore della Savoia, aveva raggiunto Bruxelles e si era messo al servizio di Madrid. Il sequestro dei beni di Tommaso e della sua famiglia in Piemonte acquietò la Francia, ma alimentò il distacco da Madrid, che sospese l’incarico del proprio ambasciatore a Torino.
La cattura dell’elettore di Treviri per mano degli imperiali (marzo 1635) causò, infine, quella campagna mossa dai francesi contro la Valtellina da cui nacque una nuova corsa al riarmo, durante la lunga ed estenuante guerra dei Trent’anni. D’accordo con Richelieu, Vittorio Amedeo I firmò il trattato di Rivoli (11 luglio 1635), aderendo a una lega antispagnola, con Parma e Mantova, che lo portò a essere solo formalmente il comandante in capo, poiché in realtà il bastone del comando era nelle mani del maresciallo francese Charles de Créqui duca di Lesdiguières.
Solo nel 1636, dopo un fallito assedio di Valenza deciso dai francesi, Vittorio Amedeo I riuscì a far prevalere i suoi piani militari attaccando gli spagnoli in direzione del Ticino. Nel febbraio del 1636 raggiunse con de Créqui il basso Novarese. Nel mese di giugno del 1636 sostenne le truppe francesi alla battaglia di Tornavento, bloccando l’avanzata degli spagnoli guidati da Diego Felipe de Guzmán, infliggendo poi una sconfitta alla Spagna sui campi di Mombaldone (8 settembre 1637), nell’Astigiano.
Spostatosi a Vercelli con l’esercito francese (25 settembre 1637), Vittorio Amedeo I fu invitato dal maresciallo de Créqui a un banchetto che gli fu però fatale.
Morì il 7 ottobre 1637, lasciando fra i contemporanei il forte sospetto che lo si fosse avvelenato per istigazione della Francia, intenzionata a garantirsi il controllo del Ducato tramite la reggenza di Cristina di Borbone.
L’autopsia e l’esame delle viscere, però, avallarono la tesi della morte per cause naturali, probabilmente per le febbri malariche che infestavano le risaie vercellesi (Archivio di Stato di Torino, Corte, Cerimoniali, Funerali, mz. 1, n. 16: Relazione fatta dal medico Rainardo della malatia e morte del duca Vittorio Amedeo I). La duchessa, che aveva raggiunto a Vercelli il marito in fin di vita, fece celebrare in loco le esequie in forma privata, prima di farlo seppellire nella cappella della cattedrale vercellese di S. Eusebio, dove riposano anche le reliquie del beato Amedeo IX e i resti di Carlo I, Carlo II di Savoia e della duchessa Jolanda di Valois.
A distanza dalla tumulazione, come era consueto, a Torino si tennero le esequie nel duomo di S. Giovanni, con un’imponente cerimonia il cui apparato effimero fu realizzato dall’architetto ducale Carlo di Castellamonte (18 dicembre 1637, Torino, Biblioteca Reale, Funerale dell’Altezza Reale di Vittorio Amedeo, Mss., O.I.9). Vi parteciparono, con la famiglia ducale, il nunzio pontificio, il maresciallo de Créqui, l’ambasciatore francese Particelli d’Hémery, portavoce di Richelieu (il garante per la reggenza di Cristina in nome del piccolo Francesco Giacinto, di soli cinque anni), tutti i vescovi, i cavalieri dell’Annunziata, i magistrati e i ranghi della corte al completo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Corte, Storie della Real Casa, categoria III, Storie particolari, manoscritto 16, n. 8, s.d. ma ante 1653: V. Castiglione, Historia della vita del duca di Savoia Vittorio Amedeo principe di Piemonte, re di Cipro, parte I e II, con alcuni fogli a stampa e diverse lacune di fogli bianchi; L. Giuglaris, Funerale fatto nel duomo di Torino alla gloriosa memoria dell’invittissimo e potentissimo prencipe Vittorio Amedeo duca di Savoia, Torino 1637; S. Guichenon, Histoire généalogique de la Royale Maison de Savoie, II, Lyon 1660, p. 911; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia, Torino 1868-1869, passim; Id., Il municipio torinese ai tempi della pestilenza del 1630 e della reggente Cristina di Francia duchessa di Savoia, Torino 1869, passim; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, V, Firenze 1869, p. 52; S. Foa, V. A. I, Torino 1930; A. Panella, Una Lega italiana durante la guerra dei Trent’anni, in Archivio storico italiano, XCIV (1936), 3, pp. 3-36; S. Cerutti, Mestieri e privilegi. Nascita delle corporazioni a Torino secoli XVII-XVIII, Torino 1992, pp. 125-133; C. Rosso, Il Seicento, in P. Merlin et al., Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, Torino 1994, pp. 173 s., 203, 216, 223, 225-229, 231-236, 238-240, 242, 246; Storia di Torino, IV, La città fra crisi e ripresa (1630-1730), a cura di G. Ricuperati, Torino 2002, passim (in partic. C. Rosso, Uomini e poteri nella Torino barocca. 1630-1680, pp. 16-19, 49-54); P. Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia. Religione, devozioni e sacralità in uno Stato di età moderna (secoli XVI-XVII), Bologna 2006, p. 194; M.J. del Río Barredo, El viaje de los príncipes de Saboya a la corte de Felipe III (1603-1606), in L’affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra tardo Medioevo e prima età moderna, a cura di L.C. Gentile - P. Bianchi, Torino 2006, pp. 407-434; P. Cozzo, «Con lugubre armonia». Le pratiche funerarie, in Le strategie dell’apparenza. Cerimoniali, politica e società alla corte dei Savoia in età moderna, a cura di P. Bianchi - A. Merlotti, Torino 2010, pp. 77, 86 s.; S. Gal, Charles-Emmanuel de Savoie. La politique du précipice, Paris 2012, ad ind.; A. Pennini, «Con la massima diligentia possibile». Diplomazia e politica estera sabauda nel primo Seicento, Roma 2015, passim; E. Stumpo, Dall’Europa all’Italia. Studi sul Piemonte in età moderna, a cura di P. Bianchi, Torino 2015, pp. 54, 219, 223, 245, 254; Monferrato 1613. La vigilia di una crisi europea, a cura di P. Merlin - F. Ieva, Roma 2016, passim; L’Etat, la cour et la ville. Le duché de Savoie au temps de Christine de France (1619-1663), a cura di G. Ferretti, Paris 2017, passim.