BEONIO-BROCCHIERI, Vittorio
Nacque a Lodi il 4 maggio 1902. Figlio unico di Augusto e di Carmela Boggiali, compì gli studi al liceo classico della città natale; poi, all'università di Torino, frequentò la facoltà di giurisprudenza, ottenendo la laurea nel 1923; in seguito si laureò in filosofia a Milano e in scienze politiche a Pavia nel 1926. Professore incaricato di storia delle dottrine politiche alla facoltà di scienze politiche di Pavia dal 1926, vinse il concorso alla cattedra universitaria nel 1939, insegnando ininterrottamente nell'ateneo pavese fino al 1972 e completando il proprio curriculum accademico come professore emerito.
Fin dal 1925, accanto all'impegno di studioso, iniziò un'intensa attività giornalistica, prima al quotidiano Il Secolo di Milano, poi alla Gazzetta del popolo di Torino (1929) e dal 1930 al Corriere della sera, dove per un trentennio rimase una delle "firme" in terza pagina, soprattutto come inviato speciale nei principali paesi extraeuropei. Dal secondo dopoguerra preferì accentuare i propri interessi filosofico-letterari, dando alle stampe alcune opere che, sotto forma di singolari romanzi o di composizioni teatrali, affrontano e discutono aspetti e problemi inerenti ai "valori della vita" (come indica anche il titolo emblematico del suo ultimo volume, apparso pochi mesi prima della scomparsa, Saggi sui valori della vita, Bologna 1978).
Il B. morì a Milano il 13 apr. 1979.
All'università torinese il B. fu allievo di docenti come L. Einaudi, F. Ruffini e soprattutto G. Mosca, con cui discusse la tesi di laurea, destinata a diventare, col titolo Studi sulla filosofia politica di T. Hobbes (Torino 1927), uno dei suoi primi contributi in campo storico-politico. Il legame con il Mosca non tanto costituzionalista, ma esponente ormai affermato della scienza politica, indica uno dei settori caratterizzanti che il B. avrebbe coltivato durante la sua vita, alternando, anzi combinando, l'opera dello studioso e del docente con i mai sopiti richiami di una personalità geniale, esuberante, complessa ("leonardesca" la definì Cesare Angelini), carica di vivaci intemperanze da "giramondo" (vedi Le ali del piccolo vagabondo, Milano 1939) e altrettanto sensibile alle suggestioni "creative", anche a sfondo artistico e letterario.
Così, almeno tre risultano i campi, nettamente distinti sul piano dei contenuti, ma per certi versi "complementari", in cui si articola la presenza del Beonio-Brocchieri. Come storico del pensiero politico, negli anni fra le due guerre ha avuto il merito, insieme con C. Morandi, con R. De Mattei, con F. Battaglia, di contribuire ad avviare, proprio sulla scia di Mosca, un'opera di precisazione metodologica e di consolidamento dell'autonomia scientifica di una disciplina storica, destinata a svilupparsi in seguito (specie con gli affinamenti filologici di L. Firpo e della sua scuola).
Accanto a studi prevalentemente monografici (da Spengler: la dottrina politica del pangermanesimo postbellico, Milano 1928, ai saggi su John Milton, su julius Langbhen, su Giusto Lipsio, su Burke, su Nietzsche, apparsi fra il 1926 e il 1934), l'apporto più personale si rivela attraverso i quattro volumi del Trattato di storia delle dottrine politiche (ibid. 19341951), dove il B. rivisita i pensatori dalla "cultura ellenica" fino alla "politica del Cristianesimo" col proposito di considerare ogni sistema politico come compresenza e "suprema sintesi" di due momenti, opposti eppure inscindibili, che riassumono la millenaria realtà dei dualismo fra pace e guerra, fra ordine e conflitto, fra solidarietà e oppressione, fra convivenza civile e rottura rivoluzionaria.
Da una parte, per il B., ci sarebbe sempre il "momento di concordanza", che indica la ricerca dell'equilibrio, del consenso, della collaborazione pacifica, quale si esprime in ogni ordinamento normativo (o "razio-pacifico"). Dall'altra parte, ci sarebbe sempre il "momento di reazione", magari nascosto o mimetizzato, ma ugualmente decisivo, che comporta la volontà di lotta, lo spirito di conquista, il "potenziale d'urto", la "opzione tragica della guerra". Da qui la "eterna ambivalenza delle coordinate morali", indispensabile per spiegare, dall'antichità fino ai nostri giorni, "l'essenza dello Stato" (Trattato di storia delle dottrine politiche, IV, p. IX).
Questa propensione a cogliere gli aspetti "problematici" di ogni esperienza politico-sociale si riflette anche sull'attività giornalistica del B., affermatosi già negli anni Trenta accanto ai grandi nomi di L. Barzini iunior, V. Lilli, C. Tommaselli, I. Montanelli, O. Vergani. Le corrispondenze dei suoi viaggi, nell'Est europeo, in Asia, in Africa, nell'America Latina, spesso compiuti come aviatore solitario in regioni pressoché ignote o al seguito di spedizioni scientifiche (fu il caso del viaggio in Groenlandia nel 1930, con la scalata della zona montuosa a occidente del Capo Petersen, ufficialmente battezzata Brocchieridalen), dalle colonne dei Corriere della sera sono diventate originali pagine avventurose di libri come Dall'uno all'altro polo (Milano 1934), Da solo traverso i cieli (ibid. 1934), Cieli d'Etiopia (ibid. 1936), Vita selvaggia (ibid. 1938), In volo traverso i secoli (ibid. 1941) e soprattutto Il Marco Polo (ibid. 1945).
È un tipo di reportage, questo giornalismo del B., che nel mettere in luce le specificità dei costumi e delle tradizioni di popoli e paesi lontanissimi (dai ghiacciai dell'Artide alla Terra del Fuoco, dalla Mesopotarnia alla epopea canadese, dall'Alaska al Labrador, dal Panama al Nicaragua, dalle foreste africane alla Siberia dell'età di Stalin descritta in Al vento delle steppe, ibid. 1935) non rinuncia a privilegiare gli aspetti straordinari, più insoliti, più fantastici e avventurosi; sempre però con il trasparente proposito di coinvolgere il lettore, stimolandolo a abbandonare qualunque pericolosa chiusura autarchica, per aprire occhi nuovi sul mondo e prendere atto, anche in termini di prospettive culturali, dell'urgente necessità di superare ogni miope eurocentrismo (come avrebbe ribadito più tardi in Europa e oltre, Torino 1967).
Ma la personalità del B., il suo carattere di "uomo prismatico" (come si definì in Pigliatemi come sono, Milano 1941, p. 203), si completa se, accanto allo studioso e al giornalista, si colloca anche l'attività dello scrittore, impegnato a illustrare, spesso nella forma letteraria del romanzo o del lavoro teatrale, alcuni "esempi-tipo" o "momenti-chiave" della sua visione del rapporto "uomo-naturacosmo", dove si riflette la sua costante predilezione verso gli autori preferiti (Machiavelli, Nietzsche, Schopenhauer, Spengler, Wagner) accanto al suo fermo convincimento che "la realtà non è euclidea, quindi i valori della vita non sono razionali. La storicità è un'immensa curva che abbracciando l'universo avvolge tutto il destino degli esseri umani, compresa la grande esperienza del dolore" (Saggio sui valori della vita, p. 267).
I racconti che compongono Saggezza di Trasimaco (Milano 1943), le pagine in prosa e in poesia di Uomo, donna e diavolo (ibid. 1946), i romanzi dell'ultimo periodo, Nuna (ibid. 1963), La signora Grimsel (ibid. 1974), i lavori teatrali L'affare Eschilo (inedito ma del 1961), Il fuoco del sabbato (Milano 1956) rappresentano altrettanti tentativi per indicare, magari attraverso situazioni al limite del paradosso (secondo un metodo caro al B.) come qualunque esperienza umana, individuale o collettiva, è sempre un groviglio di contraddizioni, dove non solo mancano assolute certezze ma domina un processo ambivalente, che continua a considerare anche la lotta, l'antagonismo e la guerra come realtà, tragiche e permanenti, dell'agire umano, in qualunque tempo e in qualunque organismo sociale.
Anzi, a dimostrazione del senso "altissimo e misterioso della vita", il B. non rinuncia a evidenziare anche il ruolo di significativi fenomeni paranormali, esemplificati nelle pagine di Camminare sul fuoco (ibid. 1964) attraverso una casistica, che richiama anche esperienze parapsicologiche legate a popolazioni extra-europee e interpretate con criteri comparatistici, che risalgono fino alla filosofia di I. Kant e di H. Bergson, e alla psicanalisi di S. Freud e di C.G. Jung. È un'ulteriore riprova della "sete di sapere", che con inesausta curiosità intellettuale il B. mantenne fino all'ultimo "davanti all'infinito, alla vita, alla morte e agli altri problemi che alimentano ogni inquietudine teoretica o esigenza trascendentale" (Camminare sul fuoco, p. 281).
Oltre alle opere citate, ricordiamo: Federico Nietzsche, Roma 1926; Saggi critici di storia delle dottrine politiche, Bologna 1931; Sul concetto di "ambivalenza delle coordinate morali". Chiarimenti e risposte a taluni critici, in Il Politico, XVIII (1953), pp. 51-53, 354-356; Lo Stato d'Israele, ibid., XXI (1956), pp. 121-127; Tolstoi contro Shakespeare, Torino 1960; Mio zio pietrificò Mazzini, Milano 1965; Introduzione a R. Kipling, Opere scelte, Torino 19651 Premessa metodologica a AA. VV., Stato, nazione e popolo nelle culture extra-europee, Milano 1965, pp. 1-17; Cinque testimoni di Satana, Bologna 1976.
Fonti e Bibl.: A. Cardone, Storia della filosofia dello Stato e storia delle dottrine politiche, in Ricerche filosofiche, V (1935), pp.68-71; M. Torelli, rec. a La dottrina politica del Cristianesimo (Trattato di storia delle dottrine politiche, IV), in Quaderni di cultura e storia sociale, II (1953), n. 5-6, pp. 2-31; C. Angelini, Questo B.-B., in Cronachette di letteratura contemporanea, Bologna 1971, pp. 185-191; A. Colombo, B.-B. e i "Cinque testimoni di Satana", in Il Politico, XLII (1977), pp. 166-170; Id., Dalla storia delle dottrine politiche alla dottrina politica della storia, ibid., XLIV (1979), pp. 361-368; G. Spadolini, Una presenza nella cultura e nel giornalismo, ibid., pp. 368-370; Ricordo di V.B.-B., Pavia 1982 (con saggi di A. Colombo, G. Spadolini, F. Curato, E. Malcovati, F. Valsecchi, C. Angelini, e con rassegna bibliografica a cura di V. P. Gastaldi).