BERSEZIO, Vittorio
Nato a Peveragno (Cuneo) nel marzo 1828, morto a Torino il 30 gennaio 1900. Studiò a Torino, laureandosi in giurisprudenza nel 1848: arrolatosi nel maggio prese parte a tutta la campagna del '48-'49 sino a Novara. Ancora studente aveva collaborato alle Letture di famiglia del Valerio e al Messaggero del Brofferio e ben presto, deposta ogni idea di pratica forense, si diede tutto al giornalismo e alla letteratura. Nel 1853 fondò il giornale Espero, su cui pubblicò tutta una serie di Profili parlamentari; nel 1854 diresse per breve tempo il Fischietto, e tornato a Torino, dopo un soggiorno a Parigi (1857-58) che valse a metterlo in rapporto con letterati e giornalisti francesi, fino al 1864 la parte letteraria della Gazzetta ufficiale, succedendo a Felice Romani. Rimasto a Torino dopo il trasporto della capitale, nel 1865 fondò la Gazzetta piemontese e il suo supplemento letterario La gazzetta letteraria, che diresse fino al 1880.
Come scrittore, esordì con due drammi storici (1852-53), ai quali tennero dietro alcune raccolte di novelle. Indi passò ai romanzi e da Mina o Viriù ed Amore (Torino 1858) sino a La parola della morta (Roma 1898) ne scrisse una quarantina, ora di genere famigliare o rusticano (p. es. Povera Giovanna, Milano 1869), ora di intrico e di tenebrose avventure (L'Odio, Torino 1862, rimaneggiato come Dea della Vendetta, Roma 1885), ora di semplice intreccio sentimentale, or anche con velleità di vasta pittura e critica sociale (La Plebe, Torino 1867, Aristocrazia, Milano 1901). L'epoca della sua maggiore attività e notorietà segna pure il suo ritorno al teatro, al quale diede una ventina di commedie in dialetto piemontese che dapprima faceva rappresentare sotto lo pseudonimo di Carlo Nugelli. La più celebre è Le miserie d'monsú Travet (Torino 4 aprile 1863). Più tardi ridusse per le scene italiane alcune delle sue commedie dialettali e dei suoi romanzi, altre ne scrisse di originali, commedie di lieve intreccio e di bonario umorismo: Una bolla di sapone (1871), Da galeotto a marinaro (1883). Negli ultimi decennî della sua vita attese a descrivere il Regno di Vittorio Emanuele II (Torino 1878-1895), opera che è una serena evocazione di uomini e di eventi i quali erano per il B. un vivo ricordo personale. Carattere nettamente autobiografico hanno infine le Visioni del passato, pubblicate dalla Stampa (1898) e I miei tempi (in appendice alla Gazzetta del Popolo, 1899), rimasti interrotti dalla morte.
Uomo probo, mite, d'ingegno vivace, se pure superficiale, chiese alla sua penna non solo una fama che conseguì larghissima, ma anche un onesto sostentamento in momenti di rovesci economici. Liberale moderato quale egli era, intese coi suoi scritti di far opera di educazione morale, sociale e nazionale; e per questo intento pratico, che salda in una certa unità tutta la sua produzione in apparenza così slegata, più che per la sua partecipazione diretta alla politica del tempo (fu deputato di Cuneo per la IX e la X Legislatura), egli appartiene degnamente a quella generazione di piemontesi che prepararono la formazione del regno d'Italia. L'interesse maggiore della sua opera letteraria oggi sta appunto nell'essere essa una schietta testimonianza di quei tempi e di quelle idee. In particolare poi vi si rispecchiano le varie correnti che dominarono dal '50 all'80 la nostra letteratura narrativa e drammatica, alle quali si piegò docile la debole personalità artistica del B. che vi rimane come stemperata e perduta, quando non sia addirittura soffocata da intenti didattici, nobilissimi, ma pur sempre esteriori. Sicché egli riesce per lo più prolisso e manierato, difetti che trovano espressione persino nell'impaccio della sua lingua artificiosa, anche quando vuol essere casalinga.
Per obbedire a una moda, più che per altro, egli acconsentì anche a scrivere per il teatro piemontese, cui era da principio contrario perché gli pareva che contrastasse all'ideale dell'unità nazionale. Invece con la compagnia Toselli, e con le commedie del Pietracqua e del Garelli, il teatro dialettale, verso il '60, era potuto risorgere a Torino appunto perché in esso trovavano espressione vita e virtù paesane, nel momento che stavano per sciogliersi in un mondo più grande che tanto avevano contribuito a creare. Era precisamente ciò che trovava nell'animo del B. più schietta risonanza e rispondeva alle sue doti innegabili di ingenuo e arguto osservatore, di sceneggiatore talvolta vivace ed abile, come a tratti appare anche dalla sua produzione italiana. E infatti Le miserie d' monsú Travet (la storia dell'impiegatuccio meschino che, ligio al dovere e ai superiori, schiavo della sua misera vita quotidiana, trova una guida e una difesa nella rettitudine dell'animo e si ribella quando la sua dignità di uomo è messa in dubbio) sono il solo lavoro dove l'arte del B. ci apparisce schietta e quindi potente e duratura, e sono ad un tempo la più bella commedia in cui l'animo della piccola borghesia piemontese abbia trovato la sua espressione.
Bibl.: Per la vita e per gli scritti: M. Mattalia, Vittorio Bersezio, Cuneo 1911 (con bibl., non completa, degli scritti a stampa e degli inediti); G. Faldella, V. B., in Piemonte e Italia, X, Torino 1911. Giudizî critici in: B. Croce, La letteratura della nuova Italia, Bari 1921, I, pp. 139-150, 414 e bibliografia ivi citata.