Bersezio, Vittorio
Scrittore (Peveragno, Cuneo, 1828 - Torino 1900). Si dedicò sin dalla giovane età al giornalismo e alla letteratura. Combatté nella guerra del 1848 e del 1849, prendendo parte a tutta la campagna, sino alla sconfitta di Novara. Dopo la parentesi militare tornò al lavoro giornalistico. Dal 1858 al 1865 diresse la parte letteraria della «Gazzetta ufficiale». Diede vita ad alcune testate, la più rilevante delle quali fu sicuramente la «Gazzetta piemontese», con il supplemento «Gazzetta letteraria», che fondò nel 1865 e diresse per un quindicennio. Nel 1865 venne eletto deputato a Cuneo per la Sinistra costituzionale, carica che conservò per due legislature, fino al 1870, mantenendo sempre un profilo piuttosto defilato. Scrisse drammi storici, novelle (ebbe grande successo il suo Novelliere contemporaneo), una quarantina di romanzi tra i quali vanno ricordati per l’impegno sociale: La Plebe (1867) e Aristocrazia (1881). Pubblicò anche un’opera storica in otto volumi, Regno di Vittorio Emanuele II (1878-1895), a metà fra l’agiografia e la memorialistica e inquadrabile nel filone della pubblicistica moderata. Più che ai romanzi, ritenuti in genere piuttosto mediocri, la sua fama è dovuta ad alcune commedie in dialetto piemontese, tra le quali la più celebre è Le miserie d’monssù Travet (1863). Il testo racconta la storia di un piccolo impiegato schiavo del dovere, angariato dai superiori, soffocato dalla misera vita quotidiana, che sa però ribellarsi quando vede in gioco la sua dignità. La commedia ebbe all’epoca un ampio successo. Il nome del protagonista, Travet o Travetti, fu in seguito inserito nei dizionari della lingua italiana come sinonimo di impiegato malpagato ed è ancora oggi frequentemente usato nel linguaggio corrente.