BETTELONI, Vittorio
Nacque a Verona il 15 giugno 1840, figlio unico di Cesare, d'antica famiglia campagnola, e di Giovanna Bertoldi, figlia di un ricco commerciante veronese.
Il B. crebbe con la madre - che dopo la nascita del figlio era ritornata nella casa paterna - fino all'età di sette anni, quando il padre, che si preoccupava della sua istruzione, lo affidò al prozio Gianfrancesco Betteloni, somasco e direttore prima del collegio di Gorla Minore, presso Milano, e poi, due anni dopo, del collegio Gallio di Como. Con lui il B. iniziò gli studi classici, che proseguì per breve tempo nel collegio del seminario vescovile di Verona e compì (1855-58) nel liceo governativo della stessa città, in qualità di "esterno", giacché il padre, dal '55, aveva voluto che abitasse presso di sé. Allora il B. conobbe le raccolte poetiche pubblicate dal padre e gli mostrò i suoi primi versi, ricevendone il consiglio di perfezionare la propria cultura e il gusto. Furono anni di affetto e di reciproca comprensione, nonostante la timidezza del figlio e lo stoico riserbo coi quale Cesare Betteloni celava i gravi tormenti fisici che lo portarono al suicidio. Il B. restò affidato al più sicuro amico del padre, che divenne suo tutore, Aleardo Aleardi, il quale lo iscrisse alla facoltà di legge dell'università di Padova.
Nell'autunno dell'anno 1859, vista sfumare ogni speranza di una pronta liberazione del Veneto, il B. fuggì a Torino, dove s'iscrisse al secondo anno di legge e dove fu raggiunto dall'Aleardi. Da appunti di un suo diario inedito si rileva che aveva deciso, nel i860, di unirsi alla seconda spedizione garìbaldina in Sicilia, quella dei Medici, e che ne fu distolto dal timore di avere contratto una grave malattia. L'anno seguentepassò all'università di Pisa, dove sapeva di ritrovare suoi compatrioti sottrattisi al dominio austriaco, e dove rimase sino alla laurea, cioè al 1862, quando dovè tornare a Verona per curare i propri interessi: rassegnato, come disse, a "sotterrarsi" nell'antica villa di Castelrotto in Valpolicella, spiando se mai spuntasse verso il Mincio "il raggio che si frange in tre colori". In quegli anni si radicò in lui l'intimo bisogno di restare legato alla propria terra e all'ambiente natio, e possibilmente a una sicura cerchia di affetti familiari, in un accorato contrasto con l'anelito, anch'esso vivo, verso un più largo mondo e verso un avvenire di gloria. A Pisa egli aveva cominciato a dare le prime valide prove poetiche: stando alle date da lui stesso fornite, aveva scritto, dal 1861 al '62, le trentatré liriche del Canzoniere dei vent'anni. E ciò secondo una sua "poetica" già abbastanza ben definita, come si ricava specie da note del suo diario, del '60 e '61, e da una lettera scritta da Pisa il 5 febbr. 1862 all'amico G. L. Patuzzi.
In opposizione con l'Alcardi, che aveva sperato di vedere in lui un valido prosecutore della sua maniera, il B. riconosceva più consona alla sua indole - e anche salutare per la poesia italiana, che riteneva tuttora malata di Arcadia o di magniloquenza sentimentale e classicheggiante - una meditata adesione al "vero". Lungi però da ogni insistenza drammatica: con una ispirata attenzione a quei piccoli fatti della vita quotidiana, che pur riflettono cose più grandi, dai quali si possono ricavare "torrenti di vera poesia". E ciò ricercando dapprima i modelli nei classici del Quattrocento più realisticamente ed elegantemente discorsivi, come il Poliziano delle ballate; nonché nel latino Catullo, in una certa vena del de Musset, e quindi nei poeti inglesi del primo Ottocento e nello Heine.
Il B. aveva già iniziato lo studio dell'inglese nel '59, e si diede al tedesco appena tornato a Verona. Interrompeva la vita piuttosto solitaria con gite a Milano, dove l'amico Patuzzi gli fece conoscere gli "scapigliati": il Praga, per cui ebbe maggiore affetto, lo Zendrini, il Tarchetti e più tardi Camillo Boito. Pensò anzi per un momento di poter formare con quei poeti un "cenacolo", ma non tardò ad accorgersi di certe profonde differenze di indole e di gusto. Frequentò pure il celebre salotto della contessa Maffei; e un'altra casa, centro anch'essa di riunioni patriottiche e letterarie, quella di Francesco Rensi (della famiglia da cui uscirà il noto filosofo Giuseppe): un ricco veronese stabilitosi a Milano. Vi conobbe fra gli altri il Torelli, il Marenco (del quale non amava la retorica); e finì per sp osare, nel 1872, una delle figlie dei Rensi, Silvia.
Dopo il matrimonio, che risultò felice, il B. non si mosse quasi mai da Verona, dividendo la vita fra una modesta casa in città e la bella villa di Castelrotto, che gli fu assai più cara di quella di Bardolino. Gli nacquero tre figli, fra i quali è da ricordare Gianfranco (1878-1948), che fu un modesto e raffinato cultore di poesia, anche dialettale, e si votò alla fama dei padre con riedizioni e accurati lavori bibliografici.
Il B. fece stampare a Verona nel '66 un poemetto in nona rima, L'Ombra dello Sposo - fola da sere d'inverno, ma in un opuscolo - "per nozze" di soli cento esemplari, e dichiarandone la fonte: un racconto dell'americano Washington Irving. Nel '69 pubblicò alfine a sue spese, a Milano presso l'editore Treves, il libro di versi In Primavera,raccolta che consta di tre parti: Canzoniere dei vent'anni (1861-1862), Per una crestaia (1865) e Per una signora (sonetti), oltre ad una Conclusione di dodici liriche. L'indifferenza del pubblico e della critica non lo distolse dalla poesia. Avendo intrapreso la traduzione - in bellissime ottave - del Don Giovanni di Byron, ne pubblicò un saggio, a Verona, nel '75, col titolo di Aideia;e poco dopo, su invito di uno stampatore-editore veronese di origine tedesca, il Münster, eseguì la traduzione in versi del poemetto d'andamento drammatico in sei canti di Robert Hamerling, Assuero a Roma, opera allora stimata, che stampò nel '76 col titolo di Nerone. Ma l'avvenimento di maggior importanza di quegli anni fu per lui la visita a Verona del Carducci nel 1875, con cui strinse viva amicizia.
Il Carducci, conosciuta la raccolta dei versi In Primavera, e presa visione delle altre poesie scritte dal B., lo incitò a prodursi nuovamente in pubblico. Superando varie difficoltà, riuscì a fargli pubblicare nel 1880, nella già famosa collezione elzeviriana dello Zanichelli, la raccolta Nuovi versi, e scrisse per l'occasione il bel saggio - nel quale esaminava anche la situazione della poesia italiana di quel periodo - che fu premesso al volume, dopo esser stato precedentemente pubblicato in due puntate, coi titoli Dieci anni addietro e V. B., nel Fanfulla della Domenica del 22 febbraio e del 28 marzo 1880.
Intanto il B., trovandosi in difficoltà economiche, aveva accettato nel 1877 l'incarico di insegnante di letteratura nel R. Collegio veronese delle fanciulle, incarico che tenne per più di venti anni. La nomina suscitò un certo clamore in città, data la sua fama di anticlericale. Egli conduceva in quel tempo una vivace attività giornalistica, con rendiconti teatrali e letterari e con articoli moraleggianti, ispirati magari da fatti di cronaca, in due quotidiam veronesi, L'Adige e poi L'Arena, di carattere laico, e addirittura, specie il primo, di intonazione volterriana cui la penna del B. non esitò talvolta ad adeguarsi. Collaborerà in seguito, più saltuariamente e con scritti quasi esclusivamente letterari, a La Lettura, la rivista del Corriere della Sera, e al Giornale d'Italia. I suo scritti verranno per la più parte raccolti dal figlio Gianfranco nel volume Impressioni critiche e ricordi autobiografici, che ci dà anche un compiuto e arguto ritratto dell'uomo.
Incline fin dalla giovinezza al juste milieu, come testimonia la commossa poesia scritta a Pisa per la morte del Cavour, che figura nel Canzoniere dei vent'anni il B. diventò progressivamente quello che si direbbe un "moderato". Le violente polemiche, inoltre. suscitate dalla famosa prefazione dei Carducci, e per l'invidia di minori poeti del tempo, come il Marradi, e perché certe citazioni del libro In Primavera, allora iqtrovabile, avevano prestato il fianco a beffardi commenti che si protrassero per molti anni, contristarono molto il B. inducendolo a ripiegarsi sempre più su se stesso. Mentre, sia per il progressivo inaridirsi della sua vena sia per una non benefica influenza del neoclassicismo carducciano, già in alcune liriche dei Nuovi versi, e più nell'ultima raccolta poetica Crisantemi (del1903), alla primitiva sua vivacità veristica e freschezza sentimentale si andava sostituendo, pur fra belle impennate, uno stilismo alquanto convenzionale.
Le opinioni espresse nelle sue note critiche più tarde, dove egli schernisce il Mallarmé e i suoi seguaci, rifiuta seccamente Ibsen, trova oscuro persino il Pascoli di Odie Inni, confermano questa involuzione. Anche i Racconti poetici del '94 - poemetti di varia ispirazione, ma per lo più storico-leggendari, come Stefania, San Giuliano ospitatore, Cleopatra (vi fuincluso L'Ombra dello Sposo, che usci così la prima volta in pubblico) - sono più raffinate prove di stile che non frutto di fresca ispirazione. Si può dire che una maggiore adesione intima riflettano le sue più belle traduzioni: quella del poemetto goethiano Arminio e Dorotea, in efficaci e scorrevoli esametri, uscita il 1892,e quella dei Don Giovanni di Byron, finalmente compiuta e pubblicata il 1897.Ma anche il breve romanzo di limpida scrittura cui attese in tal periodo, Primama lotta (Torino 1896), che piacque al Croce, manifesta, nella sua conclusione, un certo conformismo.
Il B. morì a Castelrotto il 1°sett. 1910.
La sua poesia, nella parte più viva, meglio che sotto la troppo generica formula oggi di moda del Decadentismo, si può considerare come un esempio di quella corrente della "poesia borghese" illustrata da non pochi nostri poeti dei secondo Ottocento: il Praga quando non è volutamente scapigliato, il Panzacchi più misurato, lo Stecchetti migliore e persino, raramente quanto validamente, lo stesso Carducci. Una corrente che attraverso il B. e il milanese Pompeo Bettini, il più delicato e preciso di questi "minori" sboccherà nel Gozzano (che probabilmente non conosceva né l'uno né l'altro), e si effonderà nella cosiddetta poesia crepuscolare.
Bibl.: G. Biadego, introduzione a Poesie di V. B., Bologna 1914; G. Brognoligo, V. B. Note biografiche, e critiche desunte dal suo carteggio, a cura e con prefaz. di A. Alberti, Bologna 1938; V. B., Opere complete, a cura di M. Bonfantini, voll.I-IV (con notizie bio-bibliografiche che hanno beneficiato anche della collaborazione del figlio dei poeta Gianfranco), Milano 1946-1953.