Caprioli, Vittorio
Attore e regista teatrale e cinematografico, nato a Napoli il 15 agosto 1921 e morto ivi il 2 ottobre 1989. Interpretò film appartenenti a generi assai diversi, ottenendo risultati non di rado sorprendenti per le notazioni dolci-amare e per la capacità di raccontare con acume, da attore e da regista, una 'commedia umana' sempre sottoposta alla lente grottesca della critica di costume. La scomparsa di C. avvenne mentre provava in teatro Napoli milionaria di Eduardo De Filippo, e sempre nel segno di Napoli, con una piccola parte in 'O sole mio (1946) di Giacomo Gentilomo, un mélo ambientato durante le Quattro giornate (27-30 settembre 1943), era iniziata quella lunga carriera di attore cinematografico che lo avrebbe portato a partecipare, con varietà di caratterizzazioni, a un gran numero di film, soprattutto in Italia, ma con puntate frequenti anche in Francia. Le sue radici napoletane gli conferirono un gusto mordace e disincantato, insieme a un ironico spirito di osservazione, che lo rendevano capace di esprimere con pochi ma significativi tratti il senso di un personaggio, anche minore. C. proveniva da un ambiente intellettuale napoletano, la cui lucidità e il cui sarcasmo 'illuministico' lo avrebbero spinto a scelte innovative e raffinate. Trasferitosi a Roma nel 1941 per frequentare l'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico, C., dopo un apprendistato nella compagnia L. Carli-C. Racca, recitò accanto a 'signori della scena' come Vittorio De Sica, Vivi Goi, Sergio Tofano. Passò presto dalla tradizione all'innovazione, prima facendo un'esperienza nel 1948 in La tempesta di W. Shakespeare al Piccolo Teatro di Milano diretto da Giorgio Strehler, nel periodo pioneristico del teatro pubblico, poi inventando, tra il 1950 e il 1951, il Teatro dei Gobbi, con Alberto Bonucci, Luciano Salce, Carlo Mazzarella e soprattutto Franca Valeri, che sarebbe divenuta sua moglie. Fu questo un esperimento anticonformista, che anticipava il cabaret impegnato del decennio successivo, e che, nella cifra icastica e stralunata di fulminante corrosività e di umorismo raffinato, si rifaceva al clima snob e intellettuale delle caves esistenzialiste parigine. Infatti fu a Parigi, e poi a Londra e in America del Sud, che il gruppo ottenne lusinghieri successi di critica oltre che di pubblico. Tenendo fede alle sue curiosità culturali, inoltre, C. fu il primo a portare in Italia, nel 1954, Aspettando Godot di S. Beckett.
Dalla fine degli anni Cinquanta, C. intensificò le sue partecipazioni cinematografiche e cominciò a disegnare sullo schermo gli esemplari di un'umanità spesso meschina, untuosa, melliflua, ambigua, in cui, nella precisione e nel distacco leggero della sua resa interpretativa e nella sua capacità di trarne materia satirica, si legge una certa eroicità tragicomica. Personaggi segnati spesso dalla tragedia di essere ridicoli, come da un'infame genialità nell'arte di arrangiarsi, o di fingersi vittime, o di raggirare il prossimo. Dal sensale di appartamenti che affibbia un ex bordello in affitto alla rispettabile famiglia di Arrangiatevi! (1959) di Mauro Bolognini, al barbiere compagno di cella del Vittorio De Sica di Il generale Della Rovere (1959) di Roberto Rossellini; dalle bislacche apparizioni nel traffico parigino accanto alla bambina di Zazie dans le métro (1960; Zazie nel metrò) di Louis Malle, all'imbroglione del sottobosco cinematografico in Adieu Philippine (1963; Desideri nel sole) di Jacques Rozier; dal marito ridotto a un fantoccio sotto le premure della moglie ipermaterna in La donna è una cosa meravigliosa (1964) ancora di Bolognini, al commissario di polizia amaramente consapevole della corruzione in Il poliziotto è marcio (1974) di Fernando Di Leo; dall'istruttore di guida che mercanteggia patenti in L'automobile (1972) di Alfredo Giannetti, accanto ad Anna Magnani, al pavido e ipocrita direttore della fabbrica occupata in Tout va bien (1972; Crepa padrone, tutto va bene) di Jean-Luc Godard; dal viscido Erode di Il Messia (1976) di Rossellini fino allo scalcagnato capocomico di L'ultima scena (1988) di Nino Russo.
Aveva esordito come regista con un libero adattamento del romanzo Ferito a morte di R. La Capria: da quel ritratto letterario delle incertezze e delle indolenze dei giovani borghesi napoletani, in vacanza tra Capri e Amalfi, C. ricavò, nel film Leoni al sole (1961), un tratteggio pieno di sommessa amarezza e di ironico disincanto, riservandosi il ruolo dell'impacciato Giuggiù. Nel successivo Parigi, o cara (1962) C. offrì alla moglie Franca Valeri un personaggio indimenticabile: la ragazza squillo romana un po' mitomane la cui remissività mascherata da cinismo la porta a farsi sfruttare dagli uomini che incontra, non ultimo un pizzaiolo con figli a carico emigrato a Parigi, interpretato dallo stesso Caprioli. Dopo uno dei due episodi di I cuori infranti (1963) diretto assieme a Gianni Puccini, dal titolo La manina di Fatma, divertito e funambolico apologo sui maghi da strapazzo, e dopo Scusi, facciamo l'amore? (1968), una specie di moderno conte philosophique, dal sapore lievemente libertino, scritto con la Valeri e interpretato da Pierre Clementi, C. diresse il suo film più riuscito: Splendori e miserie di Madame Royale (1970). In quest'opera, il suo gusto per la tragica grandezza del ridicolo e del miserabile si incarna nella storia patetica e acre di due anziani travestiti che vivono la loro solitudine ai margini di una Roma corrotta e arida, descritta con un acume alla Balzac.Dopo aver divorziato dalla Valeri nel 1974, sposò Virginia Antonioli che nel 1997 gli ha dedicato il libro Vittorio e io, importante documento per la ricostruzione della vita dell'attore. Nei suoi ultimi anni, C. si era allontanato dal cinema per tornare alla vecchia passione teatrale, offrendo grandi prove di intelligenza scenica nella riduzione del film di Ettore Scola Una giornata particolare, interpretando poi La bottega del caffè di C. Goldoni e, diretto dal vecchio amico Giuseppe Patroni Griffi, la trilogia del teatro nel teatro di L. Pirandello.