DUCROT, Vittorio
Figlio dell'ingegnere ferroviario Victor e di Marie Roche, nacque a Palermo il 3 genn. 1867. 1 genitori, francesi, si erano stabiliti in Sicilia dopo un temporaneo soggiorno a Malta che aveva fatto seguito al loro trasferimento in Egitto. Rimasta vedova, Marie Roche sposò Carlo Golia, già rappresentante per la Sicilia delle stoffe per mobili e arredi prodotte dalla Solei Hebert & C. di Torino, poi divenuto proprietario di un prestigioso emporio di articoli internazionali di lusso per l'arredo altoborghese, di un laboratorio di specchi e affmi, di uno stabilimento specializzato nella "costruzione" di mobili artistici, tappezzerie e decorazioni di interni che, però, operava anche sotto l'etichetta Solei Hebert e che nel 1893 contava 47 dipendenti.
Conclusi, senza particolari meriti, gli studi in Svizzera (ove era stato mandato per volere della madre), il giovane D., dopo un prolungato esordio mondano nella cosmopolita società isolana fin de siècle, assunse la direzione dell'impresa del patrigno scongiurandone il fallimento (1895) e affrancandola definitivamente dalla Solei Hebert. Intorno al 1900 figurava come coproprietario della ditta e sposò Jeanne Durand (dalla quale avrebbe avuto cinque figli), figlia della proprietaria di una famosa casa di moda.
Il mobilificio, che dal 1896 firmò i propri prodotti solo col marchio "C. Golia & C. Studio, Palermo", sotto la guida del D. passò dalla dimensione del grande atelier di maestri artigiani a quella della efficiente organizzazione industriale, in cui la stessa razionalizzazione del ciclo produttivo imponeva una rigida differenziazione dei processi di lavorazione; ne derivava la formazione di classi di operai specializzati e il tramonto di quella categoria corporativa di "capi d'arte" inizialmente chiamati dallo stesso D. dall'Inglifiterra e dalla Francia. La riforma doveva comportare anche la definitiva separazione del lavoro manuale dal lavoro mentale e la creazione di un ufficio tecnico, fra i primi in Europa in questo campo, preposto alla creazione di nuove forme. Dunque, in linea con tale assetto progressista imposto all'impresa (cui corrispondeva un paternalistico trattamento verso i dipendenti che, oltre ad eque retribuzioni, godevano di evolute forme assistenziali fra cui indennizzi per infortuni, alloggi, corsi di avviamento professionale per i figli, servizio di assistenza sociale, ecc.), il D. aspirava alla emancipazione dai repertori della tradizionale ebanisteria; in vista di tale obbiettivo, egli attese all'aggiornamento professionale dei disegnatori, costituendo una biblioteca fornita delle migliori riviste internazionali di arte decorativa moderna.
Riflesso di questo impegno del D. fu una produzione modernista ad alto livello, al passo con l'evolversi del gusto internazionale e, tuttavia, da esso dipendente. Già dal 1899 i rapporti di lavoro con l'architetto E. Basile (e con la cerchia di artisti formata dai pittori G. Enea, E. De Maria Bergler, S. Gregorietti, L. Di Giovanni, R. Lentini, M. Cortegiani e dagli scultori A. Ugo e G. Geraci), in occasione della realizzazione di arredi improntati al principio della Gesamtkunstwerk, avevano portato alla ribalta gli ateliers del D. come il "primo centro creativo di un'arte decorativa moderna italiana" (Savarese, 1903). Articolando i laboratori in vari settori (ebanisteria, tappezzeria, intaglio, intarsio, incisione del cuoio, ferri battuti, fonderia, mosaico, decorazione, sbalzatura metalli, lavorazione vetri, tappeti, lampadari e finimenti metallici), il D. aveva instaurato un cielo di lavorazione completo, in virtù del quale il suo stabilimento era in grado di portare a termine i più complessi arredamenti, anche senza l'apporto di quelle ditte esterne (specializzate in particolari campi delle arti applicate), imposte talvolta dallo stesso Basile.
La ditta del D., oltre che per gli ambienti presentati alle Esposizioni di Torino (1902) e di Milano (1906), per gli oggetti e i mobili esposti alla V (catal., p. 126) e VI (catal., pp. 130 s.) Biennale di Venezia e per la decorazione e l'arredamento della sala "Bellezze della Sicilia" alla VIII (catal., p. 138), fra il 1899 e il 1910 riscosse l'unanime plauso della critica per gli arredi realizzati a Palermo (villino Florio, grand hotel Villa Igiea, salone di casa Lemos, casa Basile, palazzina Deliella, sede della Cassa centrale di risparmio), a Roma (palazzo di Montecitorio e il caffè Faraglia a piazza Venezia) e, tra l'altro, per i saloni del piroscafo "Siracusa" della Navigazione generale italiana.
Mecenate e stimato collezionista di opere di arte, il D. istituì un canale di diffusione di opere e oggetti d'arte applicata che portano la firma di alcuni fra i migliori artisti o laboratori modernisti, da A. M. Mucha a M. Bompard, da M. Dufréné a R. Lalique, da G. Boldini a M. Dudovich, da L. C. Tiffany alla scuola di Nancy o a quella di Glasgow, alla Loetz, ecc. Risvolto commerciale, questo, di più profondi rapporti fra il D. e l'intellighenzia artistica siciliana e continentale; rapporti talvolta non esenti da frequentazioni con fronde massoniche antigovernative. Il D. sarà l'unico "non artista" costantemente partecipe alle iniziative del gruppo di pittori, scultori e architetti che, capeggiato da Basile, aveva dato vita alla secessione palermitana del 1897.
Fece parte del Comitato permanente per il movimento dei forestieri (formato quasi esclusivamente da artisti); fra il 1907 e il 1909 collaborò col Basile e con la deputazione della Civica galleria d'arte moderna di Palermo per l'acquisto di opere d'arte (fra cui quadri di Ettore Tito, Franz von Stuck e J. von Biesbroeek); fino agli anni '30 partecipò a comitati di mostre e rivesti la carica di direttore organizzativo delle feste sportive patrocinate dai Florio e delle feste d'arte patrocinate dal Circolo artistico e da aristocratiche intellettuali. Fondamentale per la funzione di innovatore del D. fu la sua disponibilità a uniformare parte della produzione del suo mobilificio alla ricerca del Basile di forme aderenti alle modalità costruttive secondo una formula adottata dal binomio Basile-Ducrot già a cavallo dei due secoli per conto dell'alta borghesia mercantile e industriale palermitana, clientela di ampia apertura culturale, ma pur sempre elitaria. Risultato di questa intesa - che, relativamente al periodo in questione, rappresenta, anche a livello internazionale, uno dei rari episodi di effettivo conseguimento di felice mediazione fra profitto e cultura - fu la messa a punto di logici modelli, "tipi" (classificati: "Torino", quelli presentati all'Esposizione del 1902; "intaglio papaveri", "intaglio crostacei" e "carretto siciliano", quelli del 1906; "Faraglia" quelli del 1907) dai quali lo stesso Basile e, poi, l'ufficio tecnico derivarono sistemi sicuri di funzionali mobili a basso costo che, prodotti in serie, permisero di estendere a più vasti strati sociali quel programma di capillare riorganizzazione dell'ambiente dell'uomo postulato dalla migliore cultura modernista.In seguito alla morte di Carlo Golia (12 sett. 1902), il D. divenne proprietario unico della ditta, ne cambiò il nome in "Ducrot, Palermo, succ. di C. Golia & C. e di Solei Hebert & C." e ne affidò la generale riforma della "immagine" al Basile che, oltre a creare i modelli più rappresentativi e a pilotare buona parte delle scelte dell'ufficio tecnico, progettò gli arredi dei locali di vendita, il marchio, le carte intestate, le pubblicità, gli stabilimenti ecc... A questa "immagine" programmatica il D. non rinunciò neanche quando diverse esigenze del mercato e una diversa organizzazione dell'impresa - divenuta nel 1907 società per azioni - imposero un graduale ritorno agli "stili illustri".
All'origine della adesione del D. al movimento modernista erano tanto moventi culturali quanto una precoce strategia imprenditoriale che sembra anticipare certi programmi emersi in seno al Werkbund, essendo rivolta, da un canto, alla conquista del mercato esistente tramite l'immissione di "irrinunciabili" prodotti innovativi d'alta qualità e, dall'altro, alla creazione della domanda strumentalizzando la tendenza al ricambio delle forme. Con i "tipi" progettati dal Basile e dall'ufficio tecnico, il D. esportò forme nuove, qualitativamente confrontabili con la migliore produzione europea, partecipando a quel clima di rinascita dell'economia siciliana che aveva visto, alla fine del XIX secolo, il sorgere di una competitiva compagine industriale isolana. Risultato della potenza raggiunta dall'industria del D. fu il proliferare di succursali sul territorio nazionale e l'estendersi dei rapporti di lavoro con l'area mediterranea (e con alcune città sudamericane). Fra il 1910 e il 1930 in città come Roma, Milano, Palermo, Napoli, Venezia, Taormina, Genova, Il Cairo, Istanbul, gli arredi di alberghi di lusso, casinò, circoli, teatri, sedi di importanti istituzioni pubbliche (fra cui l'ambasciata a Istanbul, 1907) e private (ad esempio gli uffici FIAT in corso Sempione a Milano 1911) portano il marchio della fabbrica del D., che in alcune città nordafricane istituirà una sorta di monopolio nel settore dei grandi incarichi, eliminando la concorrenza delle industrie francesi.
Il progressivo incremento del potenziale produttivo della fabbrica (che dai 200 operai del 1902 passò ai 445 del 1911, ai 1.000 del 1914 e infine si stabilizzò sui 2.500 dipendenti negli anni '30), e quindi la crescita degli impegni imprenditoriali, allontanarono il D. dagli artisti palermitani. In concomitanza con il suo ritiro dalle manifestazioni culturali si verificò negli anni Venti, il decadimento qualitativo delle sezioni meridionali alle Esposizioni d'arte decorativa. Tuttavia, grazie alla sua lungimiranza (e disponibilità anche nei confronti del regime), la sua industria sopravvisse all'irreversibile declino dell'imprenditoria palermitana.
Durante il conflitto 1915-18 il D. aveva operato la riconversione dei suoi opifici in fabbrica di idrovolanti cacciabombardieri, per conto dei governi inglese, francese e italiano; nel primo dopoguerra, pur ritornando al mercato libero dei mobili, indirizzò gran parte dei suoi interessi nel settore navale, realizzando alcuni fra i più famosi arredi, concepiti con forme auliche tradizionali, dei transatlantici della Marina mercantile italiana. Solo intorno al 1930, soppressa la produzione in stile, il D. ritornò al moderno, con sobrie serie di mobili (alcuni dei quali progettati da lui) e, fra i primi in Italia, introdusse sul mercato nazionale mobili economici in tubolare metallico. Nello stesso periodo, con la realizzazione degli arredi per la motonave del Lloyd triestino "Victoria" (su progetto di G. Pulitzer Finali e, in parte, dell'ufficio tecnico Ducrot), il D. si assicurò un posto nella storia del design italiano, contribuendo alla prima affermazione di quel "gusto moderno italiano" che, nel settore dell'arredo navale, rimarrà insuperato fino agli anni '60.
In società con l'ing. G. B. Caproni, nel 1936 il D. fondò la Aeronautica sicula, assorbendo le attrezzature e il personale della sua fabbrica eccedenti in seguito alle difficoltà del 1934. Nel 1939 fu costretto a cedere ciò che restava del mobilificio a un gruppo finanziario genovese, facente capo all'ing. Tiziano De Bonis, sotto il quale l'impresa si estraniò da qualsiasi contatto con il mondo della cultura.
Alla sua morte, avvenuta a Roma il 4 marzo 1942, oltre al titolo di cavaliere del lavoro, grande ufficiale del Regno e vicepresidente dell'Aeronautica sicula, conservava quello di presidente della S. a. Ducrot; e ancora col suo nome, divenuto sinonimo e garanzia di alta qualità di mobili e arredi, la fabbrica palermitana avrebbe continuato a operare per quasi trent'anni (fino al 1970).
Fonti e Bibl.: P. Levi, Artisti sicil. alla Esposizione di Torino, in Giornale di Sicilia, 18-19 ott. 1902; V. Pica, Mobili siciliani nuovi, in Arte italiana decorativa e industriale, XII (1903), 2, pp. 13 ss.; A. Melani, L'arte decorativa all'Esposizionedi Venezia: la sala piemontese, la sala meridionale, ibid., 7, pp. 53-56; R. Savarese, L'arte decorativamoderna in Sicilia, in L'Arte decorativa moderna, II (1903), I, pp. 12-22; A. W. R. S., Sicily, in TheStudio, XXX (1903), 127, pp. 76 s.; V. Pica, L'arte mondiale alla V Esposizione di Venezia, Bergamo 1903, pp. 32-49; Id., L'arte mondiale alla VIEsposizione di Venezia, Bergamo 1905, pp. 304, 306 ss., 318 s.; A. Melani, L'arte nell'industria, II, Milano s. d. [1907], pp. 583 ss.; Il caffè Faraglia aRoma, in Emporium, XXVII (1908), 127, pp. 158-162; S. Brinton, The new House of Parliamentin Rome, in The Builder, CVIII (1915), pp. 243 s.; G. Pirrone, E. Basile "designer", in Comunità, XIX (1965), 128, pp. 46-68; Id., Palermo liberty, Caltanissetta-Roma 1971, pp. 16 s.; Id., Ditta Golia & C. poi Ducrot, in Mostra del liberty italiano (catal.), Milano 1972, pp. 229 ss.; E. Bairati-R. Bossaglia-M. Rosci, L'Italia liberty, Milano 1973, pp. 50, 128, 137, 166, 176, 196 s., 309, 326; A. Alfano, La produzione della ditta Ducrot alle esposizioni internazionali, in Liberty a Palermo (catal.), Palermo 1974, pp. 61 ss.; G. Pirrone, Studi eschizzi di E. Basile, Palermo 1976, pp. 12 ss.; Id., Lo stile 1900 alle frontiere europee: la Spagna e laSicilia, in Situazione degli studi sul liberty, Atti delConvegno internazionale di Salsomaggiore Terme, Firenze s. d. [1976], p. 136; M. Nicoletti, L'architettura liberty in Italia, Bari 1978, pp. 139-194, 199, 323; E. Mauro-E. Sessa, in E. Basile architetto (catal.), Venezia 1980, pp. 26 ss.; E. Sessa, Mobili e arredi di E. Basile nella produzione Ducrot, Palermo 1980; Id., in Palermo 1900 (catal.), Palermo 1981, pp. 137 s.; E. Mauro, ibid., pp. 216 s., 222, 249, 251; I. Guttry-M. P. Maino, Il mobile liberty italiano, Bari 1983, pp. 31, 33, 42, 45, 53 s., 94 s.; E. Bairati-D. Riva, Il liberty in Italia, Bari 1985, pp. 140, 196.