GASSMAN, Vittorio
GASSMAN (in origine Gassmann), Vittorio
Nacque a Struppa, comune indipendente da Genova fino al 1926, il 1° settembre del 1922, secondo figlio di Heinrich, ingegnere tedesco di Karlsruhe, e di Luisa Ambron, originaria di Pisa. Per un anno, nel 1927, visse a Palmi (Calabria) dove il padre lavorava alla costruzione di case antisismiche, poi si stabilì a Roma.
Nel 1936 suo padre morì. La madre iniziò a lavorare come maestra elementare, la sorella Mary (Maria Luisa) come dattilografa. Allora quattordicenne, Vittorio ricordò poi il momento del funerale come primo emergere della sua vocazione teatrale, per la sensazione di protagonismo e distacco provata durante il rito (cfr. Gassman, 1981, pp. 16-17). Di «carattere chiuso e introverso» (P. Gassman, 2007, p. 89), si interessò però allora soprattutto di letteratura; frequentò il liceo classico Torquato Tasso, e nel 1941 pubblicò a sue spese, con prefazione dell’amico Luigi Squarzina, Tre tempi di poesia (Roma): una raccolta di versi di stile ermetico e dannunziano (Gambetti, 2006, p. 8), di cui anni dopo ritirò tutte le copie (Gassman, 1981, p. 27). In questi anni praticò calcio, atletica, scherma, ma soprattutto pallacanestro: giocò con la Parioli-Bruno Mussolini in serie B e in due campionati di serie A, e fu anche in nazionale. Per l’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) concluse la scuola senza esame di Stato (ibid., pp. 29-30). Si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, ma la madre, che già lo aveva spinto a recitare in una compagnia amatoriale (Gambetti, 2006, p. 10), lo convinse a tentare l’ammissione all’Accademia d’arte drammatica (l’innovativa scuola per attori e registi fondata nel 1935 a Roma da Silvio d’Amico). Al provino nell’ottobre del 1941 recitò L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello – già interpretato a scuola in versione radiofonica col professore di italiano Vladimiro Cajoli (Gassman, 2002 (1982), pp. 17-18). A rischio di esclusione per l’alta statura, fu ammesso grazie al parere favorevole di Guido Salvini, insegnante di regia (Lucignani, 1999, p. 9).
Alle lezioni d’Accademia fecero da controcanto serate goliardiche con un gruppo che comprese, oltre ai già compagni di liceo Squarzina e Carlo Mazzarella, Adolfo Celi, Luciano Salce, Vittorio Caprioli, Nino Dal Fabbro, Alberto D’Aversa, Mario Landi e Umberto Magaldi, Neri Mazzotti ed Emilio Serrao. Insieme improvvisarono imitazioni e scenette comiche, discussero teorie estetiche ed esperimenti letterari, riflettendo sul senso e le possibilità della professione: quasi una scuola nella scuola, determinante per le successive carriere (cfr. Meldolesi, 1984, pp. 113-119 e 200-208; Giammusso, 1989, pp. 87-104). Gassman si distinse presto per qualità di dizione e agilità fisica, ma dovette esercitare a lungo la voce, poi cardine del suo mestiere d’attore, per raggiungere la necessaria forza scenica (cfr. Gambetti, 1999, p. 75).
Nel 1942 ebbe i primi applausi a scena aperta per un’acrobatica caduta nel saggio Don Giovanni Tenorio di José Zorrilla diretto da Eugenio Salussolia, e l’11 febbraio del ‘43 si fece notare per la completezza delle sue capacità attoriali ne L’opera dello straccione diretta da Vito Pandolfi, dove in un duello acrobatico con Nicolò Di Leo arrivò a scalare i palchi del teatro Argentina. A marzo andò per il servizio militare alla Scuola allievi ufficiali di Forlì (corso di addestramento granatieri), ma ottenne presto una sospensione per sospetta pleurite (Gassman, 1981, pp. 42-44) e fu infine dichiarato rivedibile perché affetto da sonnambulismo e unico figlio di madre vedova (cfr. Testoni, 2015, p. 72). In Accademia partecipò anche, il 29 giugno, all’auto sacramental La vita è sogno di Calderón de la Barca diretto da Pandolfi all’Oratorio Borromini, nel ruolo del Principe delle tenebre.
In questo periodo si legò sentimentalmente alla compagna di corso Nora Ricci, figlia d’arte del noto attore Renzo e di Margherita Bagni (che era figliastra del famoso Ermete Zacconi). Da lei Gassman apprese «certi segreti della struttura teatrale ufficiale, i misteri delle ditte e delle carriere» (Gassman, 1981, p. 45), e fu lei in luglio a far da tramite alla sua prima scrittura: un ruolo da protagonista ne La nemica di Dario Niccodemi per la compagnia di Alda Borelli, a Milano, al posto di Gianni Agus che aveva litigato con l’attrice (ivi, p. 48). Poiché il regolamento dell’Accademia non consentiva il contemporaneo impegno professionale, Gassman abbandonò gli studi d’attore prima del terzo e ultimo anno. Bisognava debuttare dopo una settimana: apprese la parte in una sola notte, durante il viaggio in treno.
Nei periodo tra il 25 luglio e l’armistizio partecipò con altri dell’Accademia alla compagnia Nuova scena, diretta a Roma da Landi e Squarzina con organizzazione di Plinio De Martiis, che dette tre atti unici di Anton Čechov al cinema Mazzini e al teatro delle Arti, recitando anche per ex detenuti politici (Gassman, 1981, p. 51; Gassman-Salce, 2004, pp. 75-76; Meldolesi, 1984, p. 117). A fine agosto 1943 Carlo Ponti gli offrì la prima scrittura cinematografica, per La freccia nel fianco di Alberto Lattuada: una carriera che Salvini gli aveva sconsigliato dopo un provino realizzato in Accademia, ritenendo che il suo talento si sarebbe meglio espresso in teatro. Il film fu però interrotto l’8 settembre (Gassman, 1981, pp. 50-52), e poi ripreso con Leonardo Cortese.
Dopo l’invasione tedesca Gassman lavorò con Elsa Merlini ai teatri Eliseo e Quirino (Gassman - Salce, 2004, p. 77). Nel 1944 sposò Nora Ricci, scritturata con lui dalla compagnia Adani. Furono a Firenze (al Maggio musicale nell’Agnese Bernauer di Friedrich Hebbel diretta da Giulio Pacuvio e Corrado Pavolini) poi a Milano con un repertorio di commedie brillanti, tra cui particolare successo ebbe Tre rosso dispari di Henri-Frédéric Amiel. Gassman eccelse in parti di «giovanotti prestanti» e atletici, ottenne presto un aumento di paga (Gassman, 1981, pp. 55, 57) e il nome in ditta (la Adani-Calindri-Carraro-Gassman). Nel 1944 recitò in Incontro con Laura di Carlo Alberto Felice, un film che non ebbe però diffusione (Gambetti, 1999, pp. 33-34). Nel 1945 scrisse la rivista Vestiti su misura (con Carlo Massoni) e la commedia Volo raso, su un «oscuro e complicato incontro d’amore», letta alla compagnia ma mai rappresentata (cit. in Gambetti, 1962, p. 35).
Nel dopoguerra fu al centro dell’acceso dibattito sul rinnovamento del teatro: organizzò a Milano con Paolo Grassi un incontro tra «le nuove forze della scena» e polemizzò contro il suo stesso repertorio d’evasione, rivendicando superiorità intellettuale rispetto alla precedente generazione e la necessità di un teatro di cultura (cfr. Viziano, 2005, pp. 45-46). Erano le esigenze di modernizzazione apprese in Accademia da d’Amico, unite però a una concezione che poneva l’attore, e non il regista, al centro della creazione teatrale. Attratto dal sapere e dall’egocentrismo tradizionali, fin dal debutto Gassman sentì il confronto con i «veterani» determinante per «scoprire i trucchi e le piccole magie del mestiere» (Gassman, 1981, p. 49). Nell’estate del 1945 fu con la famiglia della moglie a Camaiore, dove ebbe un fondamentale incontro («fertile di sensazioni e ammaestramenti» (ivi, p. 65; cfr. Gassman - Salce, 2004, pp. 96-107)) con Ermete Zacconi, il grande attore che con d’Amico aveva spesso polemizzato: Gassman stesso si considerò poi figlio di «un’epoca di transizione» tra tradizione ottocentesca e teatro di regia (Intervista sul teatro, p. 52).
Il 29 giugno 1945 nacque sua figlia Paola. Prima di rientrare nella capitale la compagnia dette spettacoli tra Milano e Torino, mettendo in scena anche La via del tabacco diretta dal già famoso Luchino Visconti (cognato della Adani). A Roma, sempre con Visconti, Gassman fu i due gemelli de La macchina da scrivere di Jean Cocteau e il protagonista omosessuale del discusso Adamo di Marcel Achard.
Nel 1946 partecipò con Grassi a Milano alle attività del circolo Diogene, dove lesse Il soldato Tanaka e Il cancelliere Krehler di Georg Kaiser con Tino Carraro e Giorgio Strehler. «Asserragliato fra adesioni e proposte» cercò la possibilità di lavorare con Squarzina, Salce e Celi (lettere a Squarzina del 6 dicembre 1945 e 25 febbraio 1946, in Testoni, 2015, pp. 247-251, qui 248, e 245-257), ma il timore delle ingerenze del gruppo milanese impedì la realizzazione di una compagnia con Grassi organizzatore (cfr. Meldolesi, 1984, pp. 205-206). Attento al progresso della propria carriera, nel 1946-47 Gassman aderì senza troppa convinzione alla formazione di ex allievi promossa a Roma da d’Amico, diretta da Orazio Costa al teatro Quirino («mi spaventa l’idea della compagnia un po’ sperimentale; non vorrei sgarrare in questo momento», lettera di Gassman a Squarzina in Testoni, 2015, p. 257), da cui fu infine distolto per gli impegni cinematografici. Nel 1946 fu «un pescatore di Portofino, generoso e sentimentale» in Preludio d’amore di Giovanni Paolucci (Gambetti, 1999, p. 34) e fu, accanto a Sarah Churchill, protagonista di Daniele Cortis di Mario Soldati.
Lasciata la compagnia Adani, recitò il 20 aprile a Roma al teatro Quirino in Rebecca nella compagnia di Laura Solari con regia di Salvini, ricevendo una delle rare stroncature della sua brillante carriera. In maggio partecipò all’inaugurazione del teatro Arlecchino con La guerra spiegata ai poveri di Ennio Flaiano. Sempre nel 1946 concluse con Salce, rientrato in Italia dopo una prigionia in Germania, L’educazione teatrale: un romanzo misto di invenzione, ricordi e documenti sul 'gruppo' dell’Accademia (ispirato a L’avenir di Roger Martin du Gard: cfr. Gambetti, 1962, p. 26), che, «rifiutato da tutti gli editori, perché caotico e vagamente misterioso, ermetico» (Gassman 2002 (1982), p. 44), circolò manoscritto tra studiosi e conoscenti (fu pubblicato integralmente solo postumo). Gassman ne scrisse allora a Squarzina come del «preludio teorico e storico alla sinfonia teatrale» che avrebbero presto ‘scatenato’ (lettera del 6 dicembre 1946, in Testoni, 2015, p. 251): vi raccolse le prime riflessioni sul proprio mestiere («La parola magica è "tecnica", intendendola nel senso vasto di elastica pedana ai voli più rarefatti»), indicando come «punti fermi […] la precisione, l’apriori, una certa precedenza del cervello sul cuore» e sostenendo l’importanza di costruirsi una tradizione personale (ibid., pp. 144, 146-147). Vi inserì una lettera a Celi del 1942 intitolata Sporteatro (ibid., pp. 135-138), dove paragonò la squadra di pallacanestro alla compagnia in scena, descrivendo uno spirito agonistico, un desiderio di primeggiare in imprese rischiose che fu tratto specifico del suo percorso teatrale («Credo così, caro Adolfo, che ci sia in me […] la promessa di un futuro “mattatore”; troppe volte mi sorprendo a cercare un successo personale con azzardosi tiri da lontano, che sacrificano il corale amalgama della squadra. Domani, forse, quella palla tentatrice nelle mani porterà scritto Amleto o Peer Gynt» (ibid., p. 137).
Nel 1947 fu protagonista de L’ebreo errante di Goffredo Alessandrini, e ne La figlia del capitano di Mario Camerini interpretò il primo di una lunga serie di villain cinematografici: ruolo in cui fu consacrato nel 1949 dal successo di Riso amaro di Giuseppe De Santis (cfr. Gassman, 1981, pp. 68-69). Nella stagione 1947-48 formò compagnia da capocomico, con Evi Maltagliati: chiamò molti ex dell’Accademia e rappresentò novità come Erano tutti miei figli di Arthur Miller, diretto da Squarzina o L’Aquila a due teste di Cocteau diretto da Salvini, poi il da lui tradotto e ridotto Antony di Alexandre Dumas padre e la farsa Un giovane frettoloso di Eugène Labiche, testi del repertorio ottocentesco presentati al pubblico (il secondo con regia di Salce) con un misto di nostaglia e ironia. Nel 1947 vinse il Premio Fogazzaro con il racconto Luca dei numeri («La Fiera Letteraria», 28 dic. 1952, poi in volume: Milano, 1965), su un suo maturo alter ego che prevede metodicamente su foglietti spese e necessità future. Passando con disinvoltura dalla scena alla macchina da presa, e dall’impegno culturale alla recitazione melodrammatica, nel 1948 fu Casanova ne Il cavaliere misterioso di Riccardo Freda, poi andò in tournée con Salvini per la Biennale di Venezia, a Parigi e Londra come Messaggero nell’Edipo re di Sofocle e protagonista di Cristo ha ucciso di Gian Paolo Callegari. A Londra dette, davanti a un «ristretto auditorio», uno dei suoi primi recitals (Viziano, 2005, pp. 153, 156).
Nella stagione 1948-49 fu con Rina Morelli, Ruggero Ruggeri, Vivi Gioi, Paolo Stoppa, Paola Borboni nell’importante Compagnia italiana di Prosa diretta da Visconti. Recitò in Rosalinda o Come vi piace di Shakespeare, fu il violento Kowalski di Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, poi protagonista nel da lui scelto Oreste di Vittorio Alfieri (Quirino, 9 aprile 1949). Visconti costruì una messinscena «sontuosa e barocca» che non convinse la critica, Gassman ebbe «un trionfo personale» (cfr. Gassman, 1981, pp. 74-76) per l’eccellenza della dizione dei versi e dell’intensa interpretazione. Il dissidio sullo spettacolo e la consapevolezza di una raggiunta autonoma maturità espressiva incrinarono i rapporti col regista, con cui recitò ancora il 21 giugno in Troilo e Cressida al Maggio musicale fiorentino.
Attratto dal cinema soprattutto per le sue prospettive economiche, Gassman non disdegnò di recitare in film di scarse ambizioni culturali come Lo sparviero del Nilo di Giacomo Gentilomo, al Cairo nel 1949, durante le riprese del quale diresse e interpretò in teatro Gli spettri di Ibsen, con Jean Morino (Gambetti, 1962, p. 37). Nel 1950 recitò in un nuovo Oreste con regia di Costa per il Maggio musicale fiorentino, poi con Salvini al Teatro Greco di Siracusa ne le Baccanti di Euripide – dove, scrisse d’Amico, fu «Dioniso, “bello, come un bel Dio”» e riempì da solo con la sua presenza l’immenso spazio scenico – e ne I persiani di Eschilo, dove fu acclamato per la sua interpretazione del lungo monologo del Messo (cfr. Viziano, 2005, pp. 182-183). In agosto, ancora con Salvini, fu protagonista in Romeo e Giulietta di Shakespeare al Festival del teatro di Verona – non riconoscendosi però nel ruolo dell’«amoroso» (Intervista sul teatro, p. 67), cui preferì sempre un repertorio ironico o eroico – e ancora Oreste nell’Ifigenia in Tauride di Goethe al castello di Malcesine.
Nel 1950-51, dopo la morte del suo ex maestro Mario Pelosini, insegnò dizione poetica all’Accademia d’arte drammatica. Tra il 1950 e il 1952 fu capocomico e primo attore della compagnia del teatro Nazionale diretta da Salvini, con Squarzina vicedirettore. Fece allora con la collaborazione di quest’ultimo la sua prima regia teatrale ufficiale, dirigendo se stesso e un gran numero di attori nel Peer Gynt di Henryk Ibsen (di cui curò la riduzione). Nel 1951, riprendendo anche Romeo e Giulietta, recitò in testi del repertorio contemporaneo come Anna per mille giorni di Maxwell Anderson o Detective Story di Sidney Kingsley diretto da Squarzina, e fu regista della prima rappresentazione de Il giocatore di Ugo Betti. Nell’estate del 1951 guidò con Squarzina una tournée in America del Sud, dopo aver presentato in anteprima a Roma e Milano un Oreste da lui diretto e intepretato: fu il maggior successo di un giro artistico che comprendeva classici di più sicuro esito come La vedova scaltra di Carlo Goldoni e Sei personaggi in cerca di autore di Pirandello.
Nel gennaio del 1952 tenne un recital al Piccolo Teatro Eleonora Duse (Gambetti, 1999, p. 35). Il 28 aprile sposò a Juárez nel nord del Messico l’attrice Shelley Winters, con una cerimonia che avrebbe avuto valore legale negli Stati Uniti ma non in Italia (Gassman, 1981, p. 88): visse con lei a Hollywood (a Holloway Drive, poi a Beverly Hills), trovandosi «subito al centro di una divorante curiosità dell’ambiente, una ridda di interviste e di parties», dove potè incontrare, con qualche delusione, molti «miti della [sua] giovinezza» (ibid., pp. 87, 89). Assistette anche alle riprese di Limelight di Charlie Chaplin (ibid., pp. 95-96), ma l’esperienza fu soprattutto quella di un progressivo disincanto. Recitò in quattro film (oltre che, nel 1952, in un recital al Circle Theatre di Los Angeles, replicato a Genova): nel primo, The glass wall di Maxwell Shane, fu un immigrato italiano perseguitato dalla polizia, poi ebbe ruoli da latin-lover per la Metro Goldwin Mayer, con cui firmò un contratto settennale con clausola di poter trascorrere sei mesi all’anno in Italia per dedicarsi al teatro.
Tra il 1952 e il 1954, ottenuta una sovvenzione da Giulio Andreotti (allora Sottosegretario con delega allo Spettacolo), formò con Squarzina il Teatro d’Arte Italiano, condividendo le regie di un repertorio di classici e novità nazionali. Debuttarono con una versione integrale dell’Amleto, tradotto da Squarzina, intesa a ridare risalto e spessore a tutti i personaggi del dramma. Fu uno spettacolo-rivelazione, acclamato e «ricco di suggestioni» (Silvio d’Amico, cit. in Viziano, 2005, p. 204). Gassman, sempre impegnato su più fronti, aveva studiato il testo durante le riprese de Il sogno di Zorro di Mario Soldati (Gassman, 1981, p. 78), e l’interpretazione del protagonista come «non tanto incapace di azione quanto insofferente della volgarità e inutilità dell’agire» era stata influenzata da conversazioni americane col noto attore Charles Laughton (ibid., p. 96). Fu un clamoroso successo, che segnò l’inizio di «una sorta di… gassmanía» (Gambetti, 1962, p. 42). Al teatro Valle si superarono le cento repliche consecutive: per Gassman fu lo spettacolo «spartiacque fra l’apprendistato e la maturità d’attore» (Gassman, 1981, p. 100).
Voce dissonante tra critiche entusiaste, Gerardo Guerrieri notò la riduzione del corpo a «bel trampolino della parola» e un certo meccanicismo nell’uso della voce (cfr. Viziano, 2005, p. 210). D’Amico vide allora in Gassman un modello del da lui sognato attore interprete, erudito e rispettoso del testo, ma assistendo alle repliche gli segnalò il rischio di perdere in spontaneità, diventando «troppo rilevato, troppo sonoro, troppo compiaciuto»: restìo alle classificazioni, Gassman difese piuttosto la propria ricerca di «un tipo di recitazione insieme eroica e realistica» (cfr. Viziano, 2005, pp. 221, 249). Nel 1953 l’impegno culturale del Teatro d’Arte Italiano proseguì con la sua traduzione e messinscena del difficile e mai rappresentato Tieste di Seneca; seguì Tre quarti di luna scritto da Squarzina, testo di denuncia sociale dove recitò anche la madre di Gassman.
Il 14 febbraio nacque in America la sua seconda figlia, Vittoria. Dopo La fuggitiva di Betti e una ripresa dei Persiani Gassman e Squarzina discussero sull’opportunità di inscenare Leonora dell’amico Ferruccio Troiani: il mancato successo dello spettacolo coincise con l’incrinarsi del loro sodalizio artistico e umano (Gassman, 1981, p. 119). L’ultima messinscena comune fu Prometeo incatenato di Eschilo a Siracusa nel 1954, altra prima e altra sfida d’attore (cfr. Viziano, 2005, p. 250), dove Gassman, in risposta alle critiche di eccessivo tecnicismo mosse alla ripresa dell’Amleto, si presentò senza provare e recitando a suggeritore. Fu un nuovo successo interpretativo.
Quell’anno, dopo un periodo burrascoso ampiamente seguito dalla stampa, segnato dall’inizio della sua relazione con Anna Maria Ferrero (cfr. Viziano, 2005, pp. 245-247; Gassman, 1981, pp. 117-118), divorziò dalla Winters. Nell’agosto del 1955, chiamato per le riprese di Guerra e pace di King Vidor, sciolse il contratto con la Metro e tornò in Italia (Gassman, 1981, p. 110), dove recitò in film come La donna più bella del mondo di Robert Z. Leonard, con Gina Lollobrigida, non unico caso in cui venne doppiata la sua ormai famosa voce (cfr. Gambetti, 2006, pp. 46, 48).
In teatro fu invece il momento della completa autonomia: Gassman formò compagnia a suo nome, invitando per alcune regie Luciano Lucignani. Nel 1954-55 trionfò con Kean, genio e sregolatezza, nella versione di Jean-Paul Sartre tratta da Dumas, dove giocò sull’identificazione della propria figura con quella del grande attore inglese improvvisando e bevendo in scena, e trovando «spinte nuove alla sua concezione romantica e avventurosa del mestiere» (Gassman, 1981, p. 127). Nel 1956 ne fece un più lineare film con la collaborazione di Suso Cecchi d’Amico e Francesco Rosi. Seguì un acclamato Edipo re di Sofocle, che rimase uno dei suoi cavalli di battaglia e portò Gassman in contatto col circolo intellettuale di Nicola Chiaromonte, Sandro De Feo, Ennio Flaiano e Vincenzo Talarico (Gassman, 1981, p. 126). Poi mise in scena Sangue verde di Silvio Giovaninetti, e nel 1956-57 un memorabile Otello di Shakespeare dove recitò alternandosi come protagonista e Jago con Salvo Randone. Seguì I tromboni di Federico Zardi, satira dell’Italia di allora che interpretò attraverso nove diversi personaggi, tra cui un autoironico attore (cfr. Gambetti, 2006, pp. 35-56; Gassman, 1981, pp. 138-139); poi la commedia Ornifle di Jean Anouilh e un nuovo Oreste per il festival delle Nazioni a Parigi (1957, a Roma nel 1958, ripreso per la RAI nel 1985). Fu la messinscena da lui giudicata migliore: all’opposto di Visconti scelse una «chiave romantica» e insieme classica (Barsotti, 2001, p. 188) mettendo al centro la «spigolosità» del verso alfieriano, trattando il testo come una partitura di melodramma e i personaggi come ruoli lirici (cfr. Trivero, 2010, p. 92). In settembre inaugurò il Teatro Club di Roma con la conferenza-spettacolo La pulce nell’orecchio, riflessione sul mestiere d’attore con «Leoni in gabbia, motociclette, […] giocatori di basket, lavagne, brani di film, effetti e usi di altoparlanti e di dischi» (Gambetti, 2006, p. 38). Diresse poi tre atti unici di Carlo Terron, Salce e Zardi a Roma e Milano.
Negli anni Cinquanta, fase di crisi della scena, Gassman fu «l’unico attore capace di attirare sempre folle compatte in teatro» (Castello, 1958, p. 970). Nel cinema, che non amava, la sua bellezza aristocratica lo portò ancora a ruoli di amorosi o antagonisti senza spessore, dove poter utilizzare la sua nota agilità fisica. Le cose iniziarono a cambiare nel 1958: scelto contro il parere dei produttori dal regista Mario Monicelli, che l’aveva visto ne I tromboni (Gili, 1980, p. 40), per la parte del pugile Peppe ne I soliti ignoti (soggetto di Age e Scarpelli), truccato in modo da ammorbidire i tratti del volto in chiave popolaresca (con «orecchie a sventola, naso grosso, fronte bassa», ibid.) e con voce balbuziente interpretò il capo sbruffone e sentimentale di una maldestra banda di ladri, rendendo nota al grande pubblico una vena umoristica da tempo presente nel suo teatro (cfr. Gambetti, 1999, p. 11). Fu un film corale (tra gli interpreti principali Marcello Mastroianni, Renato Salvatori e Totò) ma con Gassman protagonista – come sanciscono simbolicamente i fotogrammi in cui si vede in bella mostra, all'interno del cinema in cui uno degli aspiranti scassinatori troverà lavoro, la locandina del suo Kean. Da Monicelli Gassman apprese il particolare ritmo della recitazione cinematografica (Gassman, 1981, pp. 134-135). Vinse il primo Nastro d’Argento, e, abbandonati i vecchi pregiudizi, iniziò un percorso al centro dell’epoca d’oro della commedia italiana.
Quell’anno mise in scena al Teatro Club con Dame Peggy Ashcroft un recital da Shakespeare, fu un manichino muto ne Il bell’indifferente di Cocteau con Lilla Brignone e diresse con Lucignani Irma la dolce, facendo da comparsa e cantando nel disco dalla commedia. Posò poi per un fotoromanzo da Giulietta e Romeo per la rivista Grand Hotel.
Summa del percorso fino allora compiuto fu nel 1959 la trasmissione televisiva Il mattatore. Nel 1955 Gassman aveva già ripreso per la RAI alcuni spettacoli (Amleto, Kean, Edipo re): si trattò ora di dieci puntate appositamente inventate, in cui unendo autoironia e autocelebrazione, cultura e dissacrazione, percorse parallelamente un’indagine sul significato della parola mattatore (dal Matador della corrida spagnola, al mattatore nella storia, musica, sport, teatro, giornalismo, fino a una puntata sul circo cui parteciparono anche Dario Fo e Franca Rame) e i momenti salienti della propria carriera. Sulla sua onda (ma con trama autonoma) fu girato nello stesso anno il film Il mattatore di Dino Risi – nuova ripresa del trasformismo de I tromboni – e fu affidata a Gassman la scrittura della voce Mattatore per l’Enciclopedia dello spettacolo (Roma 1960, VII, p. 291): con erudizione, autoreferenzialità e aperto contrasto con le idee di d’Amico lo definì «l’attore che pone se stesso al centro dello spettacolo […] forte insieme dei suoi meriti e della sua prepotenza», con arte forse eccessiva ma preferibile a quella minore di interpreti educati ma incapaci di affascinare la platea.
Nel 1959, dopo un seguito de I soliti ignoti con Nanni Loy, interpretò il ruolo del soldato milanese Giovanni Busacca, compagno di sventure di Oreste Jacovacci (Alberto Sordi) ne La grande guerra di Monicelli: un affresco antieroico del primo conflitto mondiale che fu realizzato tra grandi polemiche, e che poi vinse il Leone d’oro alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia insieme a Il Generale della Rovere di Roberto Rossellini (Monicelli, 1979, pp. 25, 53-84). Nel film le vicende comiche e tragiche dei due popolani, soldati loro malgrado («un tandem di vigliacconi patetici, obbligati dalle circostanze a trasformarsi in eroi»: Gassman, 1981, p. 139), fanno da controcanto a scene collettive di grande rigore storiografico, lontane dalla retorica dei resoconti ufficiali. Improvvisando a gara con il famoso collega (ibid., p. 140) Gassman creò un personaggio egoista e amorale, via via riscattato dall’esperienza umana del fronte.
Si era ormai consolidato in Italia, a partire dal Piccolo di Grassi e Strehler (nato nel 1947), il sistema dei Teatri stabili. Per sé a fine anni Cinquanta Gassman progettò con Lucignani e grazie al sostegno dell’impresario Giuseppe Erba il Teatro popolare italiano (TPI), un teatro-circo da tremila posti appositamente costruito – un immenso tendone blu, con palco grande il doppio di quello della Scala, e modico prezzo d’entrata – con cui avvicinare un pubblico normalmente escluso dalle sale teatrali a un repertorio di cultura. Un’impresa fuori dalle norme, affine al Théâtre National Populaire diretto allora a Parigi da Jean Vilar. Le attività, promosse con comizi e conferenze degli attori vestiti di tute blu col simbolo della compagnia e con la pubblicazione dei Quaderni del TPI, iniziarono il 3 marzo del 1960 a Roma, al parco dei Daini di villa Borghese, con una memorabile messa in scena dell’Adelchi di Alessandro Manzoni, testo che si riteneva irrapresentabile (Frattali, 2017, p. 71) e che Gassman allestì grandiosamente, con tanto di cavalli in scena. Ma non mancarono problemi tecnici e gelosie dell’ambiente teatrale: la struttura di dimensioni mastodontiche si rivelò di difficile montaggio (il debutto venne più volte rimandato) e inadatta agli spostamenti (se ne fece solo uno, fino a Milano), e la «tournée capillare» del TPI, che portò l’Adelchi lontano dalle tradizionali piazze teatrali (e a trecentomila spettatori in quattro mesi: Degioanni, 1980, p. 88) si svolse grazie all’affitto di un normale tendone da circo adattato per l’occasione (Gassman, 1981, p. 151). Seguì l’Orestiade in versione apposita di Pier Paolo Pasolini, data il 19 maggio al teatro greco di Siracusa, regia di Gassman e Lucignani. Poi la difficile prima di Un marziano a Roma di Flaiano al teatro Lirico di Milano (23 novembre), città dove l’Adelchi aveva trionfato: un fallimento aiutato dalla presenza di «fischiatori organizzati» (Messina, 1999, p. 66). Si riprese quindi il più sicuro Edipo re.
Nel febbraio del 1962 il TPI mise in scena a Torino Questa sera si recita a soggetto di Pirandello in un adattamento di Gassman e Guerrieri dove si parodiavano diversi registi contemporanei (da Grassi a Visconti, da Jean-Louis Barrault a Orson Welles). La critica si divise e Marta Abba, detentrice dei diritti, chiese un risarcimento danni (la causa, vinta dall’attore, durò fino al 1967: Gassman, 1981, p. 161; Gambetti, 1999, p. 42). Seguirono due recital diretti con Lucignani: Caos, da Pirandello, e Mito e libertà, con testi poetici e drammatici. Con formazione ridotta ci fu poi nel 1963 a Parigi Il gioco degli eroi. Antologia del teatro italiano (già vincitore nel 1962 del Premio della Critica dell’Uruguay: Gambetti, 1999, p. 56). Fu l’ultimo spettacolo del TPI, poi ripreso come programma televisivo per la RAI.
Chiusa l’avventura del TPI, in parte per compensarne le spese, Gassman si dedicò soprattutto al cinema: durante le attività aveva partecipato a una sequenza di film non sempre brillanti, tra cui si ricordano Crimen (1960) di Mario Camerini, Il giudizio universale di Vittorio De Sica e Una vita difficile di Risi (del 1961, entrambi in ruoli minori). Il 1962 fu l’anno del deludente Anima nera di Rossellini (uno dei suoi «registi preferiti […] forse nel peggior prodotto della sua filmografia» (Gassman, 1981, p. 162), ma anche del grande successo de Il sorpasso di Risi (sceneggiato dallo stesso con Ettore Scola e Ruggero Maccari, su soggetto iniziale di Rodolfo Sonego (D’Agostini, 1995, p. 58)), film di eco internazionale e che fornì diretta ispirazione, in America, per Easy rider (1969) di Dennis Hopper (cfr. Scola in Ellero, 1988, p. 8; Gassman, 1981, p. 153). Il protagonista Bruno Cortona – un Gassman restituito alla sua immagine naturale, senza deformazioni e trucco (Gambetti, 2006, p. 57) – quarantenne invadente e cialtrone, che coinvolge nella sua fuga dall’afosa Roma di Ferragosto un mite e pacato studente (Jean-Louis Trintignant), rappresentava con la sua corsa in cerca di svago su una moderna Lancia Aurelia bianca una diretta critica all’Italia del boom economico e delle canzonette, vicina ormai alla sua crisi. Gassman vi raggiunse una nuova maturità recitativa, ottenendo un «trionfale riconoscimento» (Viganò, 1999, p. 102). Ancora nel 1962 con Risi fu accanto a Tognazzi ne La marcia su Roma, sull’ascesa del fascismo. Nel 1963 recitò ne Il successo di Mauro Morassi, sul vuoto esistenziale di una disonesta carriera. Riprese poi il trasformismo già sperimentato in teatro ne I mostri di Risi, duro film a episodi sull’immoralità degli Italiani dove fu avvocato o mendicante, frate vanesio o presidentessa della giuria di un premio letterario, fino a un pugile che si lascia tentare, per guadagno del suo manager (Tognazzi), all’ultima disastrosa salita sul ring. Su invito di Gassman, che ne fu protagonista, e con formula simile, Scola realizzò nel 1964 la sua prima regia, Se permettete parliamo di donne. Insieme a Monicelli e Risi, fu uno dei registi con cui Gassman lavorò più volentieri e con miglior esito – per il particolare spazio lasciato alla sua creatività d’attore, nel segno, spesso, di una diretta collaborazione (cfr. Gassman in Gili, 1980, pp. 52-53). Dopo vari film in parte ripetitivi, come Il Gaucho (1964) di Risi o La congiuntura (1965) di Scola, o il più divertito Slalom (1965) diretto da Salce (1965), Gassman fu in Sudamerica con il recital Solitudine, una tournée segnata dal troppo bere e da un atteggiamento dimesso e provocatorio (Gassman, 1981, p. 176). Il 24 febbraio era nato suo figlio Alessandro, dall’attrice francese Juliette Mayniel.
Dopo la grande impresa e delusione del TPI, Gassman si era dedicato per alcuni anni a un teatro privato fatto costruire nella sua villa sull’Aventino, il Club Sant’Alessio, invitando amici e colleghi, mettendo in scena testi inediti, ospitando le prime recite dei 'Gobbi' e di Gigi Proietti (Gassman in Gambetti, 1999, p. 288) e invitando ospiti come Jean Paul-Sartre e Simone de Beauvoir, Pablo Neruda e Rafael Alberti (Gassman, 1981, p. 182).
In Italia tornò in scena nel 1967 (anno in cui riprese anche Ornifle) con i recital DKBC (dalle iniziali degli autori scelti: Dostoevskij, Kafka, Beckett e Compton, quest’ultimo sostituito poi da Gregory Corso) e Moravia per esempio. Poi Erba lo chiamò per Riccardo III di Shakespeare diretto da Luca Ronconi per il teatro Stabile di Torino, spettacolo «trionfale» ma poco replicato per via dei sui impegni nel cinema (ibid., p. 289).
Un nuovo grande successo cinematografico arrivò intanto nel 1966 con L’armata Brancaleone di Monicelli, sceneggiato dal regista con Age e Scarpelli (squadra di molta sua filmografia), che inventarono per i personaggi «un dialetto insieme aulico e maccheronico» (Viganò, 2001, p. 82), sullo stesso tono dei fantasiosi costumi di Piero Gherardi. Gassman, sfruttando in pieno la sua espressività teatrale (Gassman in Gili, 1980, p. 42) fu il capitano vanaglorioso e codardo di una sgangherata compagnia di ventura dell’Italia medioevale, e la sua popolarità si allargò fino al pubblico giovanile, tra cui Brancaleone da Norcia (e la marcia che lo accompagnava) divenne un proverbiale riferimento (cfr. Gassman, 1981, p. 179). Seguirono molti film di minore impatto, come nel 1966 L’arcidiavolo di Scola, nel 1967 Il tigre e nel 1968 Il profeta di Risi. Nel 1968 Gassman fu anche i due protagonisti, gemelli di opposto carattere, ne La pecora nera di Salce, e voce fuori campo nel Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli. Fu questo anche l’anno de L’Alibi, una ripresa in chiave matura e cinica dei temi dell’Educazione teatrale. Costruito attraverso il montaggio di racconti autobiografici di Gassman, Celi e Lucignani (A disposizione, Il ritorno e Guerriglia, diretti dagli stessi, e pubblicati nel 1969 a Roma con introduzione di G. Gambetti) il film ripercorre carriere e vite private evidenziando contraddizioni, disillusioni e compromessi. Gassman vi si presentò impietosamente come attore amante delle belle donne, distante da suo figlio, sospeso tra egoismo esibizionista e dissipazione di sé.
Gassman tenne brevemente, dal 1968, la presidenza della Società attori italiani, che lasciò dopo l’adesione al grande sciopero del 1969 per i nuovi contratti di lavoro, sostenendo che alle rivendicazioni sindacali andasse anteposta una maggiore «coscienza professionale», ovvero una migliore padronanza dei mezzi del mestiere (Gassman, 1981, p. 188): interessato alla pratica artigianale del teatro più che alle strutture organizzative, rifiutò altri incarichi come la direzione della Biennale di Venezia o del Teatro di Roma (cfr. Gassman in Gambetti, 1999, p. 73).
Nel 1970, tra altri film, fu di nuovo eroicomico cavaliere in Brancaleone alle Crociate di Monicelli, e in Contestazione generale di Luigi Zampa (sul ’68) e ne Il divorzio di Romolo Guerrieri tornò a interpretare personaggi socialmente esecrabili, come nel 1971 il suo industriale ne In nome del popolo italiano di Risi.
Nel 1971 sposò Diletta D’Andrea, divenendo un secondo padre per suo figlio Emanuele Salce. Nel 1972 diresse il suo terzo film (dopo Kean e L’alibi) ispirato a un romanzo di Hector Malot, scrivendone soggetto e sceneggiatura (con Age e Scarpelli) e recitandovi nel ruolo di un circense che accompagna la ricerca della madre di un orfano già adulto (Paolo Villaggio): Senza famiglia, nullatenenti cercano affetto (Globo d’oro per la regia nel 1973), un’amara «favola moderna» sulla sconfitta di chi cerca di vivere senza conformarsi alle regole sociali (Degioanni, 1980, p. 133).
Nel 1973 inaugurò il Piccolo Regio a Torino con Il trasloco (recital parabolico in due tempi e cinque giornate), intervallando testi teatrali e brani di romanzi con improvvisazioni e diretto colloquio con il pubblico. Il 1974 fu ancora un anno di importanti interpretazioni: per il cinema fu l’ufficiale cieco protagonista di Profumo di donna di Risi (tratto dal Il buio e il miele di Giovanni Arpino), di cui rese magistralmente il carattere brusco e duro posto a nascondere un’intima fragilità, vincendo alcuni dei prestigiosi premi che accompagnarono tutta la sua carriera (Nastro d’argento a Cannes, il David di Donatello e la Grolla d’oro). Fu l’inizio di una nuova fase della sua recitazione cinematografica: anche per ragioni d’età (Gassman in Gambetti, 1994, p. 22) i suoi personaggi divennero sempre più spesso malinconici e disillusi, come in C’eravamo tanto amati di Scola, storia dell’involuzione della società italiana dal dopoguerra agli anni Settanta attraverso le vicende di tre ex partigiani, e dello scontro dei loro ideali con la nuova ideologia del benessere. Gassman vi fu il solo che, abbandonato ogni scrupolo d’onestà, ha ottenuto ricchezza e successo: di fronte agli amici preferirà fingersi quello di un tempo, chiudendosi in una definitiva solitudine. Diversa immagine offrì sulla scena con O Cesare o nessuno. Azione drammatica in undici quadri con prologo liberamente ispirata alla vita e al mito di Edmund Kean (Milano 1974, scritto con Lucignani), testo-canovaccio che prevedeva un continuo slittamento tra il personaggio e se stesso, e in cui, rifacendosi alle antiche famiglie d’arte, chiamò a recitare amici e parenti, come Paola Gassman e Diletta D’Andrea. Presentato come una «meditazione sull’incognita esistenziale» dell’attore (ibid., p. 7) lo spettacolo mostrò l’impossibilità di separare la biografia dal mestiere (cfr. Gassman, 1981, p. 207) e fu una precisa rivendicazione della propria visione teatrale: il regista vi fu presentato come usurpatore di un territorio non suo, e non mancarono ironiche allusioni alle contemporanee tendenze d’avanguardia. Il finale era un urlo rivolto al pubblico, quasi una sfida e insieme una accorata richiesta di comprensione.
Timido nel privato ma spavaldo e arrogante in pubblico, per la vena polemica che accompagnò il suo successo, ma anche per diffusi giudizi morali sulla sua condotta personale, Gassman ebbe presto fama di antipatico: un’immagine che contribuì a costruire, e fu solo in parte superata nel tempo da una sempre maggiore autoironia (cfr. M. G. Gregori, «Io, antipatico per vocazione», intervista con V. Gassman, in L’Unità, 19 ott. 1992).
Nel 1976 nel cinema fu l’introspettivo protagonista de Il deserto dei tartari di Buzzati diretto da Valerio Zurlini. Tra 1976 e 1977 condusse a Ronciglione (Viterbo) un seminario per preparare un nuovo Edipo re (con sua traduzione e regia) chiuso con due serate per la RAI; nel maggio 1977 dette a Roma il recital Sette giorni all’asta: uno spettacolo continuo, «dal lunedì alla domenica», con «cinema, musica, conferenze, dibattiti» (Intervista sul teatro, pp. 106-107), «una svendita del deposito accumulato in tanti anni di lavoro […]. E, in più, una sfida […] alla resistenza fisica» (Gassman, 1981, p. 211), con cui proseguì la sua analisi sul senso e sui mezzi del mestiere.
Poi, interessato al testo per il tema del rapporto padre-figlio, diresse e interpretò con successo Affabulazione di Pasolini. Per il cinema nel 1977 fu ne I nuovi mostri di Monicelli, Risi e Scola, altri episodi di critica sociale in cui passò dalla comicità caricaturale di Hostaria! (con Tognazzi) alla dignità ecclesiastica controrivoluzionaria in Tantum Ergo. Nel 1978 tornò a recitare in America: per Robert Altman, in Wedding e Quintet, trovandosi a proprio agio per «il comune gusto dell’improvvisazione e della confessione autobiografica» (Gassman, 1981, p. 213). L'anno successivo partecipò in Italia a film come Due pezzi di pane di Sergio Citti, Caro papà di Risi e La terrazza di Scola.
Nel 1980 fondò la Bottega teatrale di Firenze, scuola per insegnare ai giovani l’artigianato del mestiere, che diresse fino all’ 1989. Al centro mise una «riflessione sul significato – e il rischio – della vocazione drammatica», «“malattia”» da coltivare come «essenza del mestiere» (Gassman, 1981, p. 218). Fa male il teatro, da un testo di Luciano Codignola, fu il titolo di uno dei primi spettacoli, ripreso in televisione come Il gioco del teatro tra 1980 e 1981. Nel 1980 Gassman lavorò ancora con Monicelli e Risi (rispettivamente in Camera d’albergo e Sono fotogenico).
Il 26 giugno nacque suo figlio Jacopo.
Nel 1981 Gassman tornò a scrivere per combattere una depressione che accompagnò tutta la sua età matura, ripercorrendo carriera e vicende sentimentali in Un grande avvenire dietro le spalle. Vita, amori e miracoli di un mattatore narrati da lui stesso (Milano). Nel gennaio del 1982 tradusse e mise in scena a Ravenna e Roma un nuovo Otello, con regia di Alvaro Piccardi e sigla TPI, e in estate realizzò con gli allievi della Bottega un recital per il festival teatrale di Avignone. Nel 1982 girò, usando riprese fatte nel corso di più anni, Di padre in figlio, firmato insieme ad Alessandro Gassman. Tra il 1983 e il 1986 lavorò ancora in film internazionali come La vie est un roman (La vita è un romanzo) di Alain Resnais, Benvenuta di André Delvaux e Le Pouvoir du Mal (Il potere del male - Paradigma) di Krzysztof Zanussi. Nel teatro realizzò soprattutto recital, in Italia e all’estero, ma anche «un Macbeth a Firenze, [e] un’altra Affabulazione a Pistoia nel gennaio ‘86» (Gambetti, 2006, p. 86), con Alessandro Gassman nel ruolo del figlio, ripreso come film TV nel 1988 con titolo L’altro enigma. Nel 1985 realizzò per la RAI con Bernardino Zapponi la trasmissione Viaggio attraverso il cinema (Gambetti, 1999, p. 46). Nel 1986 lavorò con la Bottega a un Misteri di Pietroburgo diretto da Celi, interrotto per la morte dell’amico «all’indomani della prova generale» (Gambetti, 2006, p. 86).
Nel 1987 diresse il festival Volterra Teatro, dove tenne il recital Poesia, la vita (poi in tournée in Sudamerica) e una prima lettura di Ulisse e la balena bianca (Gambetti, 1999, p. 47); fu protagonista de La famiglia di Scola, nei due ruoli del nonno e del nipote Carlo, poi riprese toni comici ne I Picari di Monicelli. Recitò nel 1989 nei Mortacci di Citti e come protagonista ne Lo zio indegno di Franco Brusati (con un personaggio molto diverso dai precedenti, «un burbero simpatico, un po’ pazzo, molto legato alla vita» (Gassman in Gambetti, 2006, p. 86), per cui vinse il Nastro d’argento); poi fu, in Tolgo il disturbo (1991) di Risi, un anziano reduce da una clinica psichiatrica e compreso solo dalla nipote bambina.
Gassman sviluppò negli anni una costante riflessione, personale e di mestiere, e una continua vena polemica tanto sulla scena quanto con la scrittura. Ai testi letterari vanno aggiunti innumerevoli interventi e interviste e alcune rubriche su quotidiani: Vittorio Gassman scrive su Il Giorno (1956-58); Taccuino segreto di Vittorio Gassman (poi Taccuino di Gassman) per il Corriere della Sera nel 1983-84 e nel 1986 e da fine 1993 la messa in onda sulla RAI di Gassman legge Dante (Gambetti, 1999, pp. 45, 50). Poi i numerosi testi teatrali, scritti, tradotti e adattati, o lavori come l’antologia, con Lucignani, Cinque modi per conoscere il teatro (Roma 1962). Il suo gusto per la parola poetica si espresse ancora nel 1988 in Vocalizzi (Milano). Nel 1990 uscì Memorie del sottoscala, dove rifuse poesie, testi teatrali, disegni, sceneggiature per raccontare attraverso il protagonista Vincenzo un percorso nel «sottoscala della [sua] anima» (p. 232).
Nel 1992, guardando al degrado culturale dell’Italia contemporanea, scrisse Mal di parola, libro di racconti sul tema del linguaggio, e nel 1996 con Giorgio Soavi Lettere d’amore sulla bellezza (edito a Milano, come i precedenti), ancora un volume per evadere dal vuoto depressivo. L’ultima opera, incompiuta, avrebbe dovuto intitolarsi Il coraggio (cfr. Gassman in Gambetti, 1999, pp. 68-69).
Nel 1990 recitò per la RAI in vari episodi de Il caso Cordero; l'anno successivo realizzò le trasmissioni Tutto il mondo è teatro e Lezioni di teatro, dalla Bottega Teatrale di Firenze (Gambetti, 1999, pp. 47-48). In cinema fu un maggiordomo collaborazionista ne Il lungo inverno di Jaime Camino, sulla guerra civile spagnola, mentre in teatro portò Quattro risate in famiglia, ancora un recital autobiografico.
La componente eroica e di «sfida fisica» (Gassman in Gambetti, 1994, p. 13), il gusto antologico e la ricerca di eccellenza si condensarono nel 1992 nel grandioso allestimento di Ulisse e la balena bianca, da “Moby Dick” e da altri autori, uno spettacolo scritto, diretto e interpretato come Achab da Vittorio Gassman (Milano 1992). La prima fu il 4 luglio (centenario della 'scoperta' dell’America) nel porto di Genova, con impianto scenico di Renzo Piano e musiche di Nicola Piovani. Lo spettacolo, tratto da Herman Melville, comprendeva interpolazioni poetiche da Alfred Tennyson a Dante. Ismaele era Alessandro Gassman, quasi «un passaggio generazionale» (Gambetti, 1994, p. 15).
Pensato come ultimo lavoro, fu seguito da nuovi impegni teatrali, cinematografici e televisivi.
Nel 1993 Vittorio Gassman ricevette una laurea honoris causa in Sociologia dall’Università di Urbino e realizzò Significar per verba, recital cui seguirono nel 1994 Tutto e a capo (Roma), Memorie (Milano e New York) e One Man Show (Barcellona, Buenos Aires: Gambetti, 1999, pp. 50, 296). Quell’anno doppiò Mufasa nella versione italiana de Il re leone della Walt Disney; la depressione lo costrinse poi a interrompere la tournée di Camper. Farsa edipica in 10 round scritta e diretta da Vittorio Gassman (Milano 1994), sempre con suo figlio Alessandro.
Negli anni Novanta lesse in televisione testi come la lista della spesa o le analisi cliniche come pezzi di grande poesia, recitò (come in passato) in vari spot pubblicitari e nel 1996 girò per la RAI la trasmissione Cammin Leggendo (Gambetti, 1999, p. 51). In maggio tenne una «conferenza-lezione» a studiosi delle Scritture su «come porgere» la Parola Sacra; avvicinatosi alla fede tramite Diletta D’Andrea e la conoscenza di alcuni frati camaldolesi (Gambetti, 1999, pp. 52, 65), interpretò poesie di papa Giovanni Paolo II per una registrazione in CD e un suo Te Deum dopo una messa a San Pietro. Nello stesso anno dette i recital Il sacro e il profano. Parole fedeli e infedeli e Anima e corpo. Talk show d’addio (ibid., p. 297), nel 1997 Concerto di parole e recitò a Parigi nel telefilm Un homme digne de confiance (cfr. Gambetti, 1999, p. 54).
Per il cinema fu un signorile capomafia in Sleepers di Barry Levinson, poi, dopo la partecipazione a La cena di Scola (1998), un boss caricaturale ne La bomba di Giulio Base (1999). Per la scena nel 1997 scrisse e diresse Bugie sincere, un nuovo testo su Kean. Nel 1998 dette il recital L’addio del Mattatore.
In televisione e radio, dove più volte furono ripresi suoi spettacoli, era già stato ospite in diverse trasmissioni; molte ora le retrospettive: su Canale 5 nel 1998 la trasmissione Lui, nel 1999 Il Mattatore. Corso accelerato di piccole verità (ibid., pp. 54-55), mentre si moltiplicarono negli ultimi anni i riconoscimenti, italiani e stranieri, a una carriera già pluripremiata (come nel 1992 la nomina in Francia a Ufficiale dell’Ordine delle Arti e delle lettere, nel 1994 l’onorificenza di Cavaliere di Gran croce al merito della Repubblica italiana; nel 1996 il Leone d’oro a Venezia, nel 1999 il secondo Premio Molière). Il 7 settembre 1999 inaugurò col recital Adiós il 2° Festival del teatro di Buenos Aires, e nel 1999-2000 curò e registrò un’Antologia personale della poesia dell’800 e del '900.
La continua attività di Gassman – fatta anche di tanti progetti non realizzati, come un Saul con Ronconi negli anni Ottanta (cfr. Gassman in Gambetti, 1999, p. 297, e la cronologia La vita, la tv, gli onori, altro, ibid., pp. 30-56) – e la quantità di informazioni e scritti disponibili sulla sua variegata opera rendono estremamente difficile la costruzione di un non riduttivo profilo biografico. Questo attore colto che sperimentò molto, ma restando nel solco della tradizione, questo «principe dell’autobluff» (Gassman-Salce, 2004, p. 25) che si nascose svelandosi fin nell’intimo, vincitore scontento e provocatorio (come nella polemica, nel 1991, sulla «“noia” presente nel teatro italiano»: Gambetti, 1999, p. 48; o nella sfida di bravura con Carmelo Bene nel corso di un seminario della Sapienza al Teatro Argentina nel 1984) si è costruito negli anni una precisa autoimmagine che continua a rivelare contraddizioni e a sfuggire alle definizioni. Colto dalla depressione, pensò di aver sbagliato carriera. Ma non intendeva lasciare il centro della scena. Raccontava scherzando di voler farsi impagliare, e sulla sua lapide volle scritto «Attore. Non fu mai impallato».
Morì a Roma il 29 giugno del 2000.
Materiali su Vittorio Gassman si trovano a Roma nell’archivio dell’Accademia nazionale d’Arte nazionale drammatica Silvio d’Amico (Centro studi Casa Macchia); a Genova nel Museo Biblioteca dell’Attore; a Torino nel Centro studi del teatro Stabile. Di rilievo anche le fonti disponibili negli archivi RAI, e la corrispondenza con i suoi collaboratori e maestri (quella con d’Amico è riportata in T. Viziano, Silvio d’Amico & Co. 1943-1955. Allievi e maestri dell’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, Roma 2005; quella con Squarzina è in E. Testoni, Dialoghi con Luigi Squarzina, Firenze 2015).
Un elenco completo delle sue opere, teatrografia e cinematografia si può trovare nei fondamentali studi di G. Gambetti (in particolare V. G. (1982), Roma 1999 (2a ed. aggiornata), contenente anche un’approfondita cronologia), e in V. G.. L’ultimo mattatore, a cura di F. Deriu, Venezia 1999 (in partic. L. Lucignani, Grande attore, suo malgrado. Conversazione con Vittorio, pp. 7-12; N. Messina, Il Teatro Popolare Italiano. Utopia e realtà, pp. 61-71; A. Viganò, Con Risi, pp. 99-110).
Si vedano inoltre, come base dell’ampia bibliografia che lo riguarda: G.C. Castello, V. G., in Enciclopedia dello spettacolo, V, Roma 1958, pp. 969-970; G. Gambetti, V. G., Bologna 1962; B. Degioanni, V. G., Paris 1980; J.A. Gili, Intervista a V. G., in Id., Arrivano i mostri. I volti della commedia italiana, Bologna 1980, pp. 31-60; V. Gassman, Un grande avvenire dietro le spalle. Vita, amori e miracoli di un mattatore narrati da lui stesso, Milano 1981; Id., Intervista sul teatro (Bari 1982), a cura di L. Lucignani, Palermo 2002; C. Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano. La generazione dei registi, Firenze 1984; D. Cappelletti, V. G., solitudine di un mattatore, Roma 1988; M. Giammusso, La fabbrica degli attori. L’Accademia nazionale d’arte drammatica, Roma 1989; R. Cirio, Il mestiere d’attore. Colloqui con V. G. e Bernard Dort, Città di Castello 1992; Un attore e la società. V. G., a cura di G. Gambetti, Urbino 1994; B. Urbani, Melville et Dante. V. G.: Ulisse e la balena bianca, in Italies, 2001, 5, pp. 375-407; F. Vazzoler, L’Ulisse-Achab di Gassman a Genova. Un primo bilancio, in Ariel, 1992, 2, pp. 21-29; Il Dante di Gassman : cronaca e storia di un'interpretazione della Divina Commedia, a cura di M. Giammusso, Milano 1994; L. Lucignani, Gassman e Alfieri, fratelli gemelli, in La Repubblica, 14 febbraio 1999; A. Barsotti, Spettri o sogni di spettri (Gassman), in Id., Alfieri e la scena. Da fantasmi di personaggi a fantasmi di spettatori, Roma 2001, pp. 178-189; L. Bolla - F. Cardini, V. G.: una vita da mattatore, Roma 2002; V. Gassman - L. Salce, L’educazione teatrale, a cura di G. Gambetti - E. Salce, Roma 2004; G. Gambetti, Il teatro e il cinema di V. G., Roma 2006; P. Gassman, Una grande famiglia dietro le spalle. La straordinaria storia di tre generazioni di attori, Venezia 2007; P. D’Agostini et al., V. G.. Album, Roma 2010; P. Trivero, Oreste di Alfieri per V. G., Pisa 2010; E. Agostini, Interpreti maschili del Novecento italiano, parte I, V. G., 2011, http://drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=5276 (16 luglio 2019); A. Frattali, I “trasformismi” di Gassman fino al Teatro Popolare Italiano, in Id., Testo e performance dal Settecento al Duemila. Esempi di scrittura critica sulla teatralità, Milano 2012, pp. 35-51; Id., Rivisitare i classici in cinema-scope: il Teatro Popolare Italiano di V. G., in Castello di Elsinore, 2017, 75, pp. 69-80. E i documentari: La voce a te dovuta, di J. Gassman, Italia 2001; La lunga strada, di E. Salce - T. Pagliai, Italia 2002; Vittorio racconta Gassman. Una vita da mattatore, di Giancarlo Scarchilli, con A. Gassman, Italia 2010; Sono Gassman! Vittorio re della commedia, di Fabrizio Corallo, Italia 2018.
Di non minore rilievo è la presenza di analisi sul suo lavoro in studi dedicati ai registi con cui più a lungo ha collaborato (oltre che a singoli importanti film della sua cinematografia). Qui sono stati citati: M. Monicelli, La grande guerra, Bologna 1979; R. Ellero, Ettore Scola, Milano 1988; P. D’Agostini, Dino Risi, Milano 1995; A. Viganò, Il regista che non volle farsi autore, in Lo sguardo eclettico. Il cinema di Mario Monicelli, a cura di L. De Franceschi, Venezia 2001, pp. 75-87.