Gelmetti, Vittorio
Compositore, nato a Milano il 25 aprile 1926 e morto a Firenze il 5 febbraio 1992. Musicista autodidatta, anche in virtù di ciò assunse nel panorama musicale italiano una posizione del tutto originale, libera da ogni inquadramento di 'scuola', attraverso un costante movimento di ricerca che, partendo dalla musica elettronica, lo fece approdare alla tecnica del collage, intesa come recupero e rielaborazione di materiali musicali del passato, specialmente della tradizione europea. Docente di musica per film presso il Centro sperimentale di cinematografia dal 1984 al 1992, il suo interesse per il cinema nacque dalla costante attenzione alla dimensione spettacolare della musica e, più in particolare, alla relazione tra suono e immagine. Egli, infatti, avvertì l'analogia in termini di processo creativo tra il montaggio cinematografico e il lavoro di composizione di musica elettronica e di musica concreta e, per sua ammissione, utilizzò talvolta le colonne sonore e le musiche per il teatro come 'banco di prova' per materiali da utilizzare in altre composizioni.
Dopo una prima formazione musicale ricevuta durante l'infanzia e interrotta dal trasferimento a Roma della famiglia, si accostò nuovamente alla composizione negli anni Cinquanta, soprattutto attraverso lo studio delle avanguardie storiche del Novecento. Frequentò quindi un corso di direzione d'orchestra all'Accademia chigiana di Siena (1959). Da allora e per circa un decennio si dedicò alla musica elettronica, entrando in contatto con Franco Evangelisti e il gruppo romano di Nuova consonanza. Lavorò a Roma dapprima presso la Discoteca di Stato e successivamente presso il laboratorio di elettroacustica del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, dove compose Treni d'onda a modulazione d'intensità (1963, per nastro magnetico), e nello Studio S2FM di Firenze, dove portò a termine Nous irons à Tahiti (1965). Dopo L'opera abbandonata tace e volge la sua cavità verso l'esterno (1969), realizzata a Varsavia presso lo Studio sperimentale della radio polacca, G. iniziò ad affiancare agli strumenti elettronici quelli tradizionali (Organum quadruplum, 1967, per organo, coro e nastro magnetico; Per Adrian, 1976, per flauto, piano e sintetizzatore; Eine kleine K Musik, 1979, per piano e nastro magnetico). Nel frattempo era approdato al teatro musi-cale con La descrittione del Gran Paese (1969), su testi di E. Sanguineti, seguita, due decenni dopo, dall'opera Apocrifo, ovvero... (1988). Agli strumenti tradizionali furono dedicati lavori realizzati nel corso degli anni Ottanta come That is (1980, per flauti e percussioni) e Fisa (1989, per fisarmonica e nastro magnetico), nonché, tra le ultime opere, Guernica (1990, per flauto dolce, clarinetto, tromba e percussioni), e Brindisi di San Silvestro (1991, per coro maschile). È rimasto invece incompiuto A futura memoria ‒ Gioco a sei (1991-92).
Nel suo linguaggio musicale, costantemente in movimento, a partire dalla metà degli anni Sessanta risulta assumere particolare rilevanza la dimensione della memoria, attraverso la ricontestualizzazione di elementi e tratti di musiche preesistenti, dall'organo medievale alla canzone pop, rielaborati elettronicamente o variamente montati in citazioni e collage. La poetica sottesa a questa prassi compositiva venne delineata in maniera compiuta dal musicista in Nostalgia d'Europa (1984), saggio-intervista a cura di F. Moscardelli.
L'interesse di G. per il collage trovò nella composizione per il cinema un campo di applicazione congeniale, data l'analogia tecnica tra l'uso del nastro magnetico nella produzione di musica elettronica e nel montaggio del film. Fu infatti negli anni Sessanta che realizzò le sue prime colonne sonore, tra le quali bisogna anzitutto ricordare le pagine elettroniche per Deserto rosso di Michelangelo Antonioni (1964), che si accordano intimamente, mediante elementi rumoristici e concreti, all'impiego del tutto particolare del colore e più in generale al linguaggio visivo astratto utilizzato dal regista. A strumenti tradizionali e in particolare all'orchestra G. ricorse invece per la colonna sonora di Sotto il segno dello Scorpione (1969) di Paolo e Vittorio Taviani, con cluster che ne sfruttano a fondo la tavolozza timbrica. Dell'anno successivo sono le musiche di Il sasso in bocca di Giuseppe Ferrara, regista impegnato in un cinema di denuncia per il quale G. avrebbe scritto, diversi anni dopo, la colonna sonora di Cento giorni a Palermo (1984). Per Angelus Novus (1987), documentario di Pasquale Misuraca sulla figura di Pier Paolo Pasolini, G. compose una delle sue colonne sonore più rappresentative, fondendo con grande efficacia rumore e musica. Tra le altre colonne sonore per il cinema e la televisione, vanno ricordate quelle per Hermitage (1968) di Carmelo Bene, Sierra Maestra (1969) di Ansano Giannarelli (con il quale G. ebbe modo di collaborare in varie occasioni, sia per lavori televisivi sia per documentari e cortometraggi cinematografici), Come ti chiami, amore mio? (1970) di Umberto Silva, …E di Shaúl e dei sicari SULLE VIE DI DAMASCO… (1974) di Gianni Toti. Inoltre, tra le numerose musiche destinate al teatro, sono da menzionare in particolare quelle realizzate per Carmelo Bene (Spettacolo-concerto di Carmelo Bene e Vittorio Gelmetti, 1968; La cena delle beffe, 1974).
E. Comuzio, Vittorio Gelmetti d'avanguardia, ma non dentro le mode, in "Cineforum", 1988, 280; P. Bongiovanni, Gelmetti, Vittorio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 53° vol., Roma 1999, ad vocem.