MINARELLI, Vittorio
– Nacque il 30 giugno 1907 a Quarto Inferiore, frazione di Granarolo dell’Emilia, in provincia di Bologna, da Quinto e da Filomena Sarti; poco tempo dopo la sua famiglia si trasferì a Borgo Panigale, un sobborgo del capoluogo emiliano.
Il M. frequentò le scuole elementari fino alla 6ª classe; costretto ad abbandonare gli studi e a cercare lavoro a causa della morte del padre, fu assunto dallo scultore M. Sarto, specialista in monumenti funebri, che gli affidò l’incarico di disegnare lapidi e fregi; pur dimostrandosi abile nello svolgere le proprie mansioni, fin da allora principale interesse del M. furono meccanica e motori. Appena ne ebbe l’occasione si impiegò come meccanico apprendista presso un concessionario di automobili. Dal 1926 al 1929 prestò servizio militare nel genio radiotelegrafisti, dove approfondì le sue conoscenze tecniche. Congedato, riprese servizio come meccanico e nel 1931 sposò Dina Bonvicini; l’anno successivo nacque l’unico figlio, Giorgio.
Il M. divenne un eccellente preparatore di macchine da corsa, che collaudava personalmente in gara. La sua competenza gli diede modo di frequentare i più noti motoristi bolognesi, quali i fratelli Maserati, A. Morini, E. Weber ed E. Seragnoli.
Proprio Seragnoli, dirigente della filiale italiana della Ford, lo assunse come camionista-capofficina, assegnato a un’impresa di autotrasporti nell’Africa orientale italiana; il M. trascorse tre anni in Abissinia, dal 1936 al 1939. Tornato in Italia, fu assunto come meccanico motorista dalla G.D., un’azienda costruttrice di motocarri pesanti rilevata da Seragnoli.
Il M. fu adibito alla produzione del modello da 617 cc, ma sembra si sia occupato anche di piccoli motori e, in particolare, abbia progettato e realizzato, in quel periodo, un motore da 125 cc.
Come «militarizzato» il M. rimase in fabbrica fino al marzo 1943, allorché fu richiamato nelle forze armate; dopo la guerra continuò a lavorare presso varie officine di riparazione e revisione dei motori di automobili e autocarri. Finalmente, il 14 maggio 1951, associatosi con Franco Morini, il nipote di Alfonso Morini, costituì la Fabbrica bolognese motocicli (FBM), dotata di un capitale sociale pari a 150.000 lire.
Morini, assai più giovane del M., si era tuttavia già formato una cospicua esperienza motoristica lavorando come disegnatore alla Ducati e alla Moto Morini.
I due tecnici allestirono una modesta officina e intrapresero la produzione di motori sciolti per conto terzi. Tra i primi committenti vi fu l’azienda milanese Guazzoni, che commissionò alla FBM una moto leggera con motore di 150 cc a 2 tempi.
In Italia vi era stato un vero e proprio boom della produzione e vendita di motociclette e scooter che, procedendo di pari passo con la ripresa economica, diede vita al primo fenomeno di motorizzazione di massa nel paese. Oltre alle aziende più antiche e più importanti, come la Guzzi, la Gilera, la MV e la Piaggio, che costruivano da sé i motori e gran parte della componentistica, sorsero decine di nuove sigle che, in pratica, si limitavano ad assemblare i ciclomotori e i motocicli, acquistando i componenti da terzi, in particolare il motore. Ciò favorì lo sviluppo, anche tecnologico, dei produttori di motori sciolti e degli altri accessori, come telai, freni, cerchi, carburatori, strumenti ottici.
Dal 1952 la FBM iniziò ad affiancare alla produzione dei motori sciolti quella di motocicli.
Presentò inizialmente una motoleggera di 125 cc, denominata Gabbiano, che ebbe un buon riscontro, cui si aggiunsero, l’anno successivo, un motocarro leggero, Gabbiancar, destinato a soddisfare le esigenze commerciali di piccoli artigiani e commercianti, e il Vampir, con motore di 200 cc a 4 tempi. Il successo ottenuto determinò, nel 1954, il trasferimento in una sede più ampia dove fu progettato il primo di una numerosa e fortunata serie di motori destinati ai ciclomotori, che avrebbe assicurato la fama mondiale del marchio: si trattava di un 48 cc a 2 tempi, denominato Pettirosso, con accensione a volano magnete, trasmissione primaria a ingranaggi, cambio a 2 marce e pedaliera incorporata. Questo modello si prestava facilmente a motorizzare qualunque tipo di telaio anche artigianale.
Il M., comunque, non aveva cessato di interessarsi alle corse. Per sottolineare la qualità dei propri motori, la FBM allestì alcuni prototipi che venivano collaudati nelle massacranti gare di regolarità dal dipendente A. Venturi; ben presto l’azienda fiorentina Beta scelse i motori della FBM per le proprie motoleggere da 175 cc, che correvano due fra le più importanti e dure gare dell’epoca, il Motogiro e la Milano-Taranto, seguite da un folto pubblico: vincere la gara, o anche una delle varie classifiche in cui era suddivisa la corsa, poteva assicurare il successo commerciale di un modello e del relativo marchio. Nel 1956 la FBM ampliò la propria gamma di motori sciolti.
Al 48 cc a 2 marce si affiancò quello a 3 marce, il 150 a 4 tempi e i 2 tempi 75, 125, 160, 175. L’azienda strinse contratti di fornitura con Benassi, Beta, Bonvicini, Cimatti, FMB, Telaimotor, Gerosa, Legnano, Meteora, Mondial, Perugina, Rizzato, Testi e con molti meccanici ciclisti.
In quello stesso 1956 l’aumento della produzione rese necessario l’allestimento di un nuovo stabilimento; contemporaneamente, però, si manifestarono i primi dissapori fra il M. e il suo socio che portarono, in breve, a una separazione e alla costituzione di due aziende distinte e autonome, le quali, comunque, continuarono per qualche tempo a coabitare nello stesso stabile e a montare i medesimi motori con varianti minime.
La separazione, tuttavia, non rallentò l’attività del M. il quale anzi, nel 1958, sulla linea di produzione della FB Minarelli (questo il nome della nuova azienda) giunse a produrre giornalmente ben 400 motori da 48 cc Pettirosso a 3 marce.
Nell’ambito della fabbrica il M. svolgeva le più svariate mansioni: direttore, capo tecnico, progettista, collaudatore, amministratore, e anche semplice operaio, se necessario, mantendo, nello stile tipico dei self made men emiliani, un rapporto paritetico con le maestranze, senza frapporre rigidità gerarchiche. Al successo contribuì ovviamente anche la scelta di eccellenti collaboratori, come E. Taddia (capofficina), A. Venturoli (disegnatore), Venturi, P. Capelli e G. Cinelli (progetti ed esperienze), il figlio Giorgio che, dopo aver conseguito la laurea in ingegneria, era entrato in azienda occupandosi dell’organizzazione.
La crisi del mercato motociclistico italiano, all’inizio degli anni Sessanta, generata dalla contrazione delle vendite in seguito al boom delle automobili utilitarie, non rallentò la crescita della FB Minarelli. Diversificando nel settore delle macchine agricole e per giardinaggio, e puntando in misura crescente sui motori sciolti di piccola cilindrata, che alimentavano una forte esportazione in Europa e in alcuni paesi dell’America Latina, come l’Argentina e il Messico, già negli anni Settanta l’azienda del M. si affermò come la più grande impresa europea costruttrice di motori sciolti; altrettanto importante per il suo successo fu certamente l’ubicazione all’interno del polo motociclistico bolognese.
Il settore delle motociclette godeva a Bologna di tradizioni risalenti già agli anni Venti e Trenta, ma fu nel corso dei Cinquanta e Sessanta che esso si rafforzò. A favorire la crescita furono senz’altro fattori come la nascita e il consolidamento di aziende produttrici di componenti per moto ad alto contenuto tecnologico, e la presenza di istituti industriali di grande tradizione, come l’Aldini e il Belluzzi, che favorirono l’ingresso nelle imprese di tecnici e operai qualificati.
Negli anni Sessanta, inoltre, il M. intensificò la partecipazione alle competizioni, specialmente nelle gare di velocità. Le affermazioni conseguite nelle piccole cilindrate determinarono la crescita del fatturato e delle esportazioni. Tra il 1967 e il 1968 l’azienda adottò la ragione sociale di Motori Minarelli spa e lasciò nel vecchio stabilimento solo il reparto motori I, adibito al settore delle macchine agricole, concentrando la produzione motociclistica a Calderara di Reno.
Il moderno opificio divenne il centro del complesso aziendale, in cui oltre 100 addetti erano impegnati nella produzione dei 7 modelli base, suscettibili di circa 200 varianti, poste a disposizione dei clienti a seconda delle loro esigenze.
Contestualmente alla produzione industriale il M. continuò a occuparsi con passione delle gare sportive. Dopo avere conseguito centinaia di vittorie in ambito nazionale ed europeo, e battuto 6 record di velocità per le piccole cilindrate all’autodromo di Monza fra il 1973 e 1975, infine, nel 1977, decise di schierare ufficialmente una propria squadra nel campionato mondiale di velocità. A tale scopo, nel 1977, fu costituita la Minarelli Corse srl, della quale facevano parte la Motori Minarelli spa e la Minarelli Industriale, di cui il M. fu presidente.
Inoltre egli decise di affiancare alla cilindrata di 50 cc, in cui aveva già raccolto notevoli successi, una squadra nella categoria 125 con l’intenzione di conseguire il titolo mondiale della cilindrata. Per progettare la nuova motocicletta fu assunto uno dei più brillanti tecnici motoristici di quegli anni, l’ingegnere tedesco J. Moller; come piloti furono ingaggiati due dei più validi conduttori di 125, P.P. Bianchi e lo spagnolo A. Nieto, pluricampione mondiale. Fin dall’esordio, nel 1978, la Minarelli bicilindrica 125 si aggiudicò 8 gare su 12, vincendo così il campionato del mondo.
Il M. morì a Bologna il 1° ag. 1981.
Fonti e Bibl.: E. Ruffini, Dalla bicicletta a motore alle superbike. Artigianato ed industria della motocicletta a Bologna, in Scuolaofficina, XV (1996), 2, pp. 8-19; Id., Divisi per vincere. La componentistica per motociclette a Bologna, ibid., XIX (2000), 2, pp. 12-21; Prodotto a Bologna. Una identità industriale con cinque secoli di storia, a cura di A. Campigotto et al., Bologna 2000, pp. 118-135; E. Ruffini, Alle origini di una industria bolognese, in Scuolaofficina, XX (2001), 2, pp. 18-23.
G.L. Podestà