OCCORSIO, Vittorio
OCCORSIO, Vittorio. – Nacque a Roma il 9 aprile 1929, terzo dei cinque figli di Alfredo, dirigente industriale, e di Olga Jannace, da pochi anni trasferitisi nella capitale dalla natia Napoli.
Concluso il liceo classico, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma La Sapienza, dove si laureò nel luglio 1951. Entrò in magistratura nel luglio 1955 e nell’ottobre dello stesso anno sposò Emilia Forconi, insegnante di liceo. Nel luglio 1956 nacque il loro primo figlio, Eugenio, seguito tre anni dopo da Susanna.
Dopo aver svolto attività di uditore al palazzo di Giustizia di Roma, nel 1957 fu assegnato al Tribunale di Frosinone. Nel 1959 divenne pretore a Terni, dove rimase fino al 1964, quando entrò nella Procura di Roma come sostituto procuratore. Il suo primo incarico fu nella sezione dei reati a mezzo stampa (diffamazione e pornografia), posizione che lo portò, nel 1967, al primo processo importante, generato dalla querela del generale Giovanni De Lorenzo, capo del Servizio informazioni forze armate (SIFAR), contro il direttore de L’Espresso, Eugenio Scalfari, e il suo redattore Lino Jannuzzi.
Secondo il settimanale, quando nell’estate del 1964 si stava profilando il secondo governo di centro-sinistra (guidato da Aldo Moro come il primo, costituito nel dicembre 1963), De Lorenzo – con complicità illustri e con la consapevolezza del presidente della Repubblica, Antonio Segni – avrebbe organizzato un colpo di Stato, il cosiddetto Piano Solo. L’iniziativa sarebbe stata bloccata all’ultimo momento per vari motivi, uno dei quali l’ictus che colpì Segni nella stessa estate del 1964 e lo costrinse a lasciare il suo incarico. De Lorenzo negò ogni addebito, trascinando in tribunale i giornalisti. Occorsio assunse l’accusa quale pubblico ministero ma durante il dibattimento, di fronte all’affiorare di nuove prove, si convinse della veridicità della ricostruzione del settimanale e chiese l’assoluzione dei giornalisti e la messa in stato d’accusa del generale. La Corte gli dette torto e condannò Scalfari e Jannuzzi. Successivamente una commissione parlamentare d’inchiesta in sostanza confermò l’esistenza delle trame denunciate dal settimanale. Nel 1965 il SIFAR venne sciolto e l’intero apparato dei servizi segreti fu ampiamente riformato.
Nel 1969 fu assegnata a Occorsio, che aveva lasciato la sezione dei reati a mezzo stampa, l’inchiesta sugli attentati terroristici compiuti il 12 dicembre di quell’anno a Milano e a Roma. Anche se il più grave era stato a Milano, dove nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana lo scoppio di una bomba aveva causato 17 morti, la sede processuale fu Roma, poiché vi era esploso l’ultimo ordigno. Dopo una lunga indagine, alla fine del 1971 Occorsio rinviò a giudizio Pietro Valpreda, Roberto Gargamelli e un gruppo di anarchici che faceva capo al Circolo romano 22 marzo. Valpreda fu indicato come esecutore materiale della strage milanese in base a una serie di prove incrociate e al riconoscimento da parte del tassista Cornelio Rolandi, che aveva testimoniato di aver portato sul luogo dell’attentato un uomo con una pesante borsa, di averlo aspettato su sua richiesta e di averlo visto tornare senza borsa. Il processo si aprì nel marzo 1972, ma venne sospeso dopo poche udienze perché la Corte accolse l’istanza della difesa sull’incompetenza territoriale e la Corte di Cassazione decise il trasferimento a Catanzaro.
Una delle vicende più controverse fu proprio il riconoscimento di Valpreda da parte di Rolandi, organizzato da Occorsio, che si svolse il 16 dicembre 1969 in una saletta del palazzo di Giustizia di Roma. A Rolandi fu chiesto se identificava il suo passeggero in un gruppo di cinque uomini, di cui uno era Valpreda, che era stato arrestato il giorno precedente a Milano e quindi trasferito a Roma, e quattro erano poliziotti con una fisionomia simile alla sua. Valpreda si era presentato vestito e pettinato in modo normalmente curato, come era solito fare e come appare in una foto da uomo libero scattata il giorno precedente il suo ingresso in questura a Milano (la foto è conservata negli archivi dell’ANSA). Nel 2000 circolò sui giornali, spacciata come quella autentica del riconoscimento, una foto in cui si vedevano un Valpreda scarmigliato e quattro poliziotti compunti in giacca e cravatta; successive verifiche hanno rivelato che questa foto era stata scattata durante una ricostruzione del riconoscimento, eseguita su richiesta della Corte durante il secondo processo di Catanzaro nel 1973, richiamando gli stessi quattro poliziotti che comparivano nell’allineamento originale e Valpreda, il quale, reduce da anni di carcere e vessazioni di ogni tipo, aveva aspetto e abbigliamento logori e provati.
All’interno dello stesso Circolo anarchico 22 marzo di Valpreda e Gargamelli, Occorsio aveva individuato alcuni personaggi che provenivano da gruppi di estrema destra, come Mario Merlino, esponente dell’allora semisconosciuto movimento extraparlamentare Ordine nuovo, con probabili funzioni di provocatore e forse anche di informatore dei servizi segreti, che erano rimasti legati all’estrema destra dai tempi del SIFAR.
Ordine nuovo era stato fondato nel 1956 da Pino Rauti e Clemente Graziani quale movimento politico sulla scorta delle teorie di Julius Evola. Alla fine degli anni Sessanta Rauti era rientrato nel Movimento sociale italiano, ‘abbandonando’ al loro destino Graziani e i più facinorosi ordinovisti, i quali si ritagliarono uno spazio sempre più emarginato e violento.
Alla fine dello stesso 1972 Occorsio aprì formalmente un’inchiesta su Ordine nuovo, accertando nel corso delle indagini il carattere eversivo e neofascista del gruppo, dedito a sequestri di persona e violenze. Chiese e ottenne il rinvio a giudizio dei suoi esponenti, e nel 1973 furono condannati con pene varie 30 dei 43 imputati. Nel novembre di quell’anno il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani ordinò lo scioglimento di Ordine nuovo ai sensi della legge 20 dicembre 1952 n. 645 sulla ricostituzione del partito fascista (legge Scelba). Il movimento si sciolse ufficialmente ma continuò a operare nell’ombra, alzando il tiro delle azioni che divennero sempre più gravi ed efferate. A metà del 1975 Occorsio avviò quindi un’altra istruttoria formale contro 120 esponenti di Ordine nuovo, appurando con le sue indagini le connessioni fra l’attività dei neofascisti e quelle di esponenti di logge coperte della massoneria deviata, nonché della banda dei marsigliesi, responsabile di vari sequestri di persona su cui Occorsio stesso aveva indagato (fra i rapiti Gianni Bulgari, Roberto Ortolani, Alfredo Danesi).
Stava perfezionando i rinvii a giudizio quando, il 10 luglio 1976, fu ucciso da un terrorista armato di mitra sotto la sua casa, in via Mogadiscio a Roma.
Sul suo cadavere fu lasciato un volantino nel quale Ordine nuovo rivendicava l’assassinio con la motivazione «la giustizia borghese arriverà all’ergastolo, la nostra va oltre».
L’inchiesta sull’omicidio, come è regola nel caso in cui la vittima è un magistrato, fu assegnata ad altra sede territoriale e fu seguita dal sostituto procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna, il quale identificò come esecutore dell’attentato Pier Luigi Concutelli, esponente dell’estrema destra già pluricondannato per attentati e violenze. Arrestato nel febbraio 1977 a Roma, Concutelli proclamò che a uccidere Occorsio era stato Ordine nuovo, di cui si dichiarò il comandante militare. A riprova della connessione con la criminalità comune, nel suo covo vennero trovate banconote del riscatto per il sequestro di Emanuela Trapani, compiuto da Renato Vallanzasca. Per poter procedere con rapidità nel processo contro gli esecutori materiali, vista la virtuale confessione di Concutelli e la vicinanza a lui dei più stretti complici anch’essi arrestati, Vigna stralciò questa parte dalla più complessiva inchiesta che stava conducendo su tutto l’ambiente da cui era scaturita la decisione di uccidere Occorsio, cioè sui mandanti. Contro una trentina di costoro, fra cui Graziani, Elio Massagrande, Stefano Delle Chiaie e altri esponenti di spicco di Ordine nuovo e del neofascismo in generale, continuarono a indagare altri giudici della stessa Procura di Firenze. Il processo si svolse nel 1987 e si concluse con l’assoluzione di tutti gli imputati.
Il 31 marzo 1977 il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, consegnò alla vedova di Occorsio la medaglia d’oro al valor civile con questa motivazione: «Si distingueva per l’eccezionale coraggio nella sua attività di pubblico ministero, rappresentando l’espressione vivente del fondamentale principio secondo il quale il giudice è soggetto soltanto alla Legge, principio che Egli, come magistrato, applicava con assoluta imparzialità a garanzia delle istituzioni democratiche. Cadeva vittima di un vile attentato con cui, nell’Uomo, si è voluto deliberatamente colpire la stessa funzione giurisdizionale che non conosce altro indirizzo politico che quello fissato dalla Costituzione».
Fonti e Bibl.: Per le vittime del terrorismo nell’Italia repubblicana, Roma 2008, ad nomen; G. Barbacetto, Il grande vecchio, Milano 2009, ad ind.; P. Casamassima, Armi in pugno, Viterbo 2010, ad ind.; M. Caprara - G. Semprini, Neri! La storia mai raccontata della destra radicale, eversiva e terrorista, Roma 2011, ad ind.; M. Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Torino 2011, ad ind.; E. Occorsio, Non dimenticare, non odiare. Storia di mio padre e di tuo nonno, Milano 2011; Nel loro segno. In memoria dei magistrati uccisi dal terrorismo e dalle mafie, Roma 2011, ad nomen; P.L. Vigna - G. Sturlese Tosi, In difesa della giustizia, Milano 2011, ad indicem.